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Autore: Elisempreeli    10/06/2021    1 recensioni
Prosopagnosia: non riconoscere i volti delle persone, compresi se stessi. A me, capita molto spesso di non riconoscere più le cose che conosco. Compresa me stessa.
Scritto di getto in una notte di stanchezza ma desiderosa di scrivere e riflettere.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sto leggendo un libro in cui il protagonista è affetto da prosopagnosia, un deficit cognitivo che rende incapaci di riconoscere i volti delle persone, compresi quelli di familiari, amici stretti, e se stessi. Non se ne ha memoria, tutto è sempre sconosciuto, tutto torna al livello zero nel giro di pochi secondi. Allo specchio, sei osservato da qualcuno che non conosci. Spesso, mi sento anch'io così. Spesso, ho l'impressione di dimenticarmi pezzi fondamentali della mia vita, al cui posto non riesco a vedere altro che fallimenti, sbagli e sconfitte. Il buio, il vuoto. Non riconosco più quello che fino a poco tempo prima conoscevo senza sforzo. Compresa me stessa. E certo sono sempre una bocca, un naso, due occhi, due orecchie, puoi anche riconoscerli separati, ma assieme è lì il casino, è lì che la somma delle parti ti dà solo un tutto confuso. Così è difficile trovare una totalità, un'identità. Riprendo quel minimo di confidenza con me stessa, ed ecco che di punto in bianco i punti cardine della mia persona subiscono un reset, e diventano un'estranea. In questi momenti, mi estraneo dal mondo che allo stesso modo non riconosco più per come riuscivo a vederlo prima, dentro ci vedo solo luoghi sconosciuti, persone mai incontrate prima, tutto è sfocato e inconsistente, tutto fa paura perché il contatto con la realtà si è perso irrimediabilmente. E se non sei reale, bè, è difficile prendere piena coscienza di qualcosa che non esiste, che non si sente esistere. Ci si sente molto soli, ci si sente molto tagliati fuori, in-adatti, in-esistenti, appunto. Tra le tante, soffrire di un disturbo alimentare significa prendere confidenza con un determinato cibo, farci amicizia, conoscersi, e poi dal nulla, a causa di questo strano tipo di prosopagnosia, quel cibo ridiventa uno sconosciuto verso cui provare diffidenza, se non vero timore e istinto alla fuga. Non si vedono più i progressi per quel che sono, sai sono semplicemente progressi, non vittorie esclusive o definitive, non punti di arrivo, che magari detto così fa ancora più impressione, eppure i passi avanti fanno così paura che si preferisce fare finta che non esistano, di non conoscerli, vederli passare e non fermarsi per salutarli, ma tirare dritto come sempre, senza che nessuno ti fermi. Senza che nessuno possa riconoscerti o avere anche solo il tempo di memorizzare la tua persona. Perché se di te si ricordano, significa che hai stabilito un contatto, e che per farlo, allora esisti. Il problema è che per te, sarai sempre lo sconosciuto di te stesso, avrai sempre dei dubbi sulla tua presenza, domande che anche se avrai una risposta, poi si ripresenteranno identiche qualche tempo dopo. Dalla prosopagnosia non si guarisce, come da molte altre cose totalizzanti e inglobanti che sconquassano la vita di tutti i giorni, ma allora mi viene da pensare che si possa usarla contro se stessa, ovvero non riconoscere più la malattia per tale, crederla una sconosciuta, non tenerne memoria. Il che non significa fare finta che non sia esistita o che non esista tuttora, né rappresenta arrendersi o rassegnarsi. È un modo che hai per ricordarti di te stesso. E questo, per quanto poco possa valere, o per quanto non lo si voglia credere già conosciuto, si chiama progresso.
   
 
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