. 14 .
Fiori Selvatici
Ino
non era affatto di buon umore quel mattino e Shikamaru se ne sarebbe accorto
anche a chilometri di distanza: chi come lui è cresciuto con una ragazza
incline alla violenza e soggetta a sbalzi d’umore, impara a cogliere il minimo
segnale d’allerta
Se
ne stava spaparanzato su una panchina in riva al fiume a godersi la quiete,
quando la sentì avvicinarsi calpestando rumorosamente il sentiero alla sua
destra.
Quel giorno le nuvole erano particolarmente interessanti da osservare: cospicue
quanto bastava per non annoiarsi, bianchi batuffoli galleggianti su una tela
azzurra; socchiudendo gli occhi le immaginava come pecorelle al pascolo e quasi
sentiva i loro campanacci tintinnare.
Ma
i suoi placidi pensieri riguardo nuvole e pecorelle furono violentemente
spazzati via quando Ino si lasciò cadere sulla panchina accanto a lui.
«Sono
incazzata nera» dichiarò.
Shikamaru
abbassò lo sguardo sul fiume e prese un lungo tiro di sigaretta.
Ino
sbuffò sonoramente, infastidita. «Giuro,
non immagini quanto sono incazzata» sbottò, alzando la voce per attirare la
sua attenzione. Quando ancora non ottenne risposta dal compagno, gli diede una
botta in mezzo alle scapole. «Mi stai ascoltando?»
«Sei
incazzata. Ho capito.» Perché sentisse il bisogno di annunciarlo quando era
chiaro come l’acqua, invece, restava un mistero. Ma alla fine, le donne in
generale erano un totale punto interrogativo per lui.
Era
piuttosto chiaro, invece, che Ino stesse adottando la sua solita tattica,
all’unico scopo di indirizzarlo dove meglio credeva. «Vuoi sapere perché sono
così incazzata?»
E a
lui non restava che rispondere: «Certo.»
Come da manuale, era la mossa più sicura.
Avrebbe anche potuto farsi cogliere da un moto di pura sincerità e risponderle
che no, non gli interessava, ma alla fine ne avrebbe ricavato solo un altro
pugno – dopodiché, Ino avrebbe comunque ripreso il discorso.
«Quella
Sakura» cominciò, arricciando leggermente il naso, «è proprio una stronza. La
notte scorsa l’ho seguita per scoprire chi è questo suo fantomatico amante, e
lei che ha fatto? È andata a casa, si è messa a guardare quelle soap opera
noiosissime e poi è andata a letto. E indovina io ovviamente che ho fatto?»
«Che
hai fatto?» Shikamaru aveva la stessa funzione di un muro, nei monologhi di
Ino: la sua parte consisteva nel far rimbalzare tutte le domande che lei gli
scagliava contro, per farla felice.
«Me
ne sono tornata a casa, no?» Ino batté rabbiosa un pugno contro il ginocchio.
«E stamattina mi sono alzata di buon’ora per seguirla, nel caso si fosse vista con
qualcuno prima di andare a lavoro, e indovina un po’?»
«Indovina
un po’?»
«È
tornata dieci minuti dopo di me.»
Ino
assunse un’espressione di completo shock, come se avesse appena avuto la
rivelazione del secolo, ma Shikamaru era il volto dell’apatia e confusione. «E
quindi?» chiese, cauto.
«E
quindi?!» strillò Ino. «E quindi che
palle! È sgattaiolata via nel cuore della notte per un incontro segreto con
quel suo amante misterioso ed io non ho ancora scoperto chi è!»
«Come
fai ad essere sicura che si sia vista con un uomo?» le chiese. «Magari è uscita
solo per una passeggiata all’alba.»
Ino
gli rivolse un’occhiata di pura compassione. «Quando è tornata non aveva di
certo l’aspetto di una che torna da una passeggiata. Aveva la tipica
camminatura di una che è stata scopata a dovere per tutta la notte.»
Shikamaru
sospirò: non gli piaceva affatto quel tipo di discorso. «Perché tanto
interesse? Sono affari tuoi?»
«Sì,
assolutamente» sbottò. «L’unica spiegazione a tutta questa segretezza da parte
di Sakura è che lui sia incredibilmente brutto. O un poveraccio. O molto, molto
stupido. O... qualcuno che non può frequentare. Forse sta fraternizzando con il
nemico, Shikamaru! È nostro dovere come shinobi di Konoha proteggere il nostro
villaggio e i suoi segreti e impedire ogni furto di informazioni!»
A
proposito di furto di informazioni... «Ino, a te non interessa niente di tutto
ciò. Vuoi solo scoprire chi frequenta Sakura per sapere se è più carino del tuo
ragazzo.»
«Oh,
Shikamaru, ti prego, aiutami,» piagnucolò,
lasciando cadere la maschera. «Con la tua mente e la mia bellezza, risolveremo
questo mistero entro mezzogiorno!»
Shikamaru
sospirò e sollevò di nuovo lo sguardo riflessivo, lasciando consumare la
sigaretta tra le dita. Dopo un lungo e denso silenzio, annuì al vuoto. «Forse è
Kakashi-sensei.»
Ino
scattò, fissandolo tra sorpresa e confusione. «Cosa?»
«Gira
voce che uno dei maestri jonin abbia una relazione con un’allieva, e in genere
le voci si basano su fatti reali. Sakura è l’allieva di un jonin, e stando a
quanto dici ha una relazione che, senza apparente motivo, si ostina a tenere
segreta. Se fai due più due ottieni Haruno Sakura e Hatake Kakashi.»
Ino
inchiodò lo sguardo su di lui, in attesa di altro; ma quando fu palese che il
ragionamento di Shikamaru fosse concluso, si stizzì. «Non fare l’idiota!
Potresti almeno fingere di prendermi sul serio.»
Shikamaru
scrollò le spalle e tornò a fumare, rilassato.
Dopo pochi istanti di ritrovata serenità, un fulmine giallo e arancio gli
sfrecciò davanti. Notò Ino e Shikamaru solo dopo diversi metri, e con
un’azzardata inversione ad U si parò di fronte a loro.
«Hey,
ragazzi!» li salutò Naruto, con fin troppo entusiasmo per quell’ora del
mattino. «Qualcuno di voi ha visto Sakura-chan?»
Shikamaru
guardò Ino aspettando una risposta, ma il cipiglio dell’amica si fece più
marcato. «Sakura, Sakura, Sakura! Perché sono tutti ossessionati da Sakura?»
«Non
saprei, sei tu quella che la pedina» le fece notare.
«Davvero?
Stai pedinando Sakura-chan?» Naruto non sembrava affatto scosso. «Quindi sai
dov’è?»
Ino
incrociò le braccia, assumendo una posa di totale indifferenza; tuttavia
rispose: «L’ultima volta che l’ho vista stava andando verso l’ospedale.»
«Fantastico,
grazie! Temo che ultimamente si senta un po’ messa da parte, sapete, per la
storia dell’esame jonin. Credete che dovrei prenderle dei fiori?»
Shikamaru
si strinse nelle spalle.
«Male non faranno.»
Ino
li fulminò con lo sguardo.
«Dico, siete matti?» sbottò.
«Portarle dei fiori significa praticamente ammettere che hai fatto qualcosa per
infastidirla, e la farà incazzare ancora di più perché si renderà conto che non
si sta comportando da pazza paranoica. Non azzardarti a scusarti, lascia che
sia lei a farlo.»
La
logica femminile era qualcosa di contorto e Naruto si sentì disorientato. «Ok,
perfetto» disse, quando riuscì a mettere in ordine almeno i concetti base.
«Quindi... Dovrei comportarmi normalmente con lei?»
«Assolutamente» rispose Ino, come fosse stata
la cosa più ovvia del mondo.
«Grazie
mille!»
Ma
prima che potesse filare via, Ino lo richiamò. «Hey, Naruto! Sai per caso chi è
il tizio misterioso che frequenta Sakura?»
Naruto
si voltò a guardarla, confuso. «Credevo uscisse con quel bastardo di Ikki.»
«Sprechi
tempo» le sussurrò Shikamaru. Se Naruto non si era nemmeno reso conto di
essersi messo la felpa di rovescio, di certo non sarebbe stato in grado di
carpire segreti riguardo le vite amorose degli altri.
«Non
importa» Ino si accasciò di nuovo contro la panchina, sconsolata. «Hai la zip
aperta, comunque.»
Naruto
si allontanò trotterellando serenamente, alzando la zip in questione con una
mano e salutandoli con l’altra.
«Beh,
di sicuro non è lui» sospirò Ino. «E non può nemmeno essere Sasuke, altrimenti
Sakura me lo starebbe ancora rinfacciando.»
«Suppongo
sia inutile farti notare ancora che non sono affari tuoi» riprovò Shikamaru,
fiaccamente.
«Sì,
infatti» rispose Ino, piccata.
Shikamaru,
con un’alzata di spalle ed un tiro di sigaretta, poggiò la testa contro lo
schienale della panchina. Il fumo prese a confondersi con le nuvole: almeno il
suo angolino di mondo era a posto.
Quella
sensazione di malinconica tenerezza l’avrebbe accompagnata per giorni, ne era
certa.
Sakura cercava invano di non dondolare mentre si trascinava lungo il corridoio
diretta all’ufficio di Tsunade, stringendo al petto una pila corposa di
cartelle mediche.
L’atteggiamento di Kakashi aveva avuto un certo peso su di lei, nel bene e nel
male.
Avevano passato una meravigliosa – sebbene ultima – notte insieme, ma cosa
restava ormai di loro?
Quando
notò il modo in cui Shizune la fissava incuriosita, dal banco della reception,
si rese conto che i suoi sforzi per camminare quanto più naturalmente possibile
erano stati del tutto vani.
Ondeggiò fino a che non le fu di fronte e, con un sonoro sospiro, poggiò i
fascicoli sul bancone.
«Come
mai zoppichi?» le chiese.
«Mi
sono storta una caviglia» mentì Sakura.
«La
caviglia, huh? Ma certo» Shizune annuì,
scettica. Entrambe sapevano – ma nessuna delle due avrebbe ammesso – che Sakura
aveva l’andatura di una a cui è passato un camion tra le gambe. «E queste?»
chiese, battendo l’indice sulle cartelle che Sakura aveva poggiato.
«Le
cartelle cliniche che mi ha chiesto la maestra Tsunade» rispose, buttando un
occhio alla sala d’attesa deserta. «È già arrivata?»
«Mhmh»
mormorò Shizune, annuendo ancora. «È in riunione con un team per una missione,
ma dovrebbe liberarsi a breve.»
Ottimo, pensò Sakura, posso
sedermi. In effetti, qualcosa le restava di Kakashi: il tremore alle gambe.
Ma
Shizune non le diede pace. «Oh, hey» la richiamò, riducendo la voce ad un mero
sibilo. «Hai sentito cosa si dice in giro?»
«Riguardo
gli aumenti di stipendio?» chiese speranzosa.
«No,
no, no, è addirittura meglio.» Si guardò intorno circospetta, prima di fare
cenno a Sakura di avvicinarsi. Si sporse poi oltre il bancone che le separava e
le bisbigliò: «Gira voce che... uno dei
maestri jonin vada a letto con un’allieva!»
Il cuore di Sakura perse un battito, per poi prendere a pulsare impazzito. «C-cosa?!» balbettò.
«Lo
so, è assurdo!» Shizune arricciò il naso. «Sarebbe come se tu andassi a letto
con Kakashi-sensei: assolutamente sbagliato!»
Sakura
deglutì rumorosamente, cercando di gestire il sudore freddo che sentiva alle
mani. «S-Sai per caso se... Cioè... è certo? Si sa chi è?»
Shizune
scosse la testa. «Ma ci sono solo dieci maestri jonin nel villaggio. Resti tra
noi, ma io scommetto che è Nakamura-sensei. La sua
allieva è una totale piantagrane, per non dire altro. Beh... a prescindere dai
soggetti, se è vero sono in un mare di guai. L’ultimo insegnante che ha fatto
una cosa del genere è stato punito con un mandato d’esecuzione.»
«Cosa?!» Sakura annaspò.
«Beh,
non solo per quello, ne aveva combinate parecchie... tipo omicidio, esperimenti
genetici senza permessi, cospirazioni per ammutinamento, alto tradimento... Del
resto, era Orochimaru.» Shizune roteò gli occhi. «Ma è comunque una cosa seria,
anche se potrebbe essere solo un pettegolezzo senza fondamenti.»
«Sì,»
annuì fortemente Sakura «senza dubbio sono solo voci. Non può essere vero.»
Shizune
la guardò stranita per un attimo, ma quando schiuse le labbra per dire
qualcosa, la porta dell’ufficio di Tsunade si aprì e ne uscì una fila di
persone. Sakura non conosceva i due uomini, ma scorse un viso familiare tra
loro, che incrociò il suo sguardo.
«Sakura!
Hey!»
Era
una ragazza dai capelli biondi, piccoli occhi castani e labbra perennemente imbronciate.
Sakura l’aveva conosciuta all’ospedale – era un medico chūnin, come lei.
E la
odiava.
«Ciao,
Nibiki» sbuffò, salutandola con ben poco entusiasmo. «Vai in missione?»
Una
lunga coda bionda ondeggiò drammaticamente, accompagnata da uno sguardo di
finta modestia e contornato da ciglia ridicolmente lunghe e impregnate di
mascara. «Oh sì, e sarà piuttosto lunga... Augurami buona fortuna!» Poi il suo
sguardo cadde indagatore su di lei. «Oh cielo, non dirmi che sei stata di nuovo
in ospedale tutta la notte! Lavori troppo, sai.»
Sakura
si passò una mano tra i capelli, imbarazzata. Prima di uscire di casa si era
guardata allo specchio e si era trovata fresca e vivace, quella mattina.
Nibiki si era già incamminata quando Sakura alzò lo sguardo in tempo per notare
un altro uomo uscire dall’ufficio di Tsunade.
Kakashi.
Rivolse
un cenno a Shizune, poi sorrise dolcemente a lei. «Buongiorno, signorine»
salutò, gentile.
«Vedo
che ha trovato un medico chūnin» notò.
Il
sorriso di Kakashi si ingigantì: si avvicinò al banco di Shizune, per poi
passarle un foglio da timbrare. «Suvvia Sakura» la richiamò, in tono di
rimprovero. «Non essere gelosa.»
Sakura
arrossì fino alle orecchie.
Kakashi ritirò il foglio e si voltò ancora verso di lei, per poi rivolgerle un
occhiolino furtivo e malizioso; infine uscì, portando il povero cuore di Sakura
con sé.
Rimaste di nuovo sole, Shizune si sporse ancora oltre il banco. «Perché porta
Nibiki e non te? Mi ha dato il fascicolo di una missione di classe A e tu sei migliore
di lei sia come medico che come shinobi.»
Sakura
si sentì terribilmente amareggiata all’improvviso. «Me l’ha chiesto, ma ho
rifiutato.»
«Perché?»
Perché
non sarebbe mai riuscita dimenticarlo e andare avanti se avesse dovuto passare
un mese intero a combattere al suo fianco.
Doveva restare a Konoha ed approfittare della sua assenza per tornare sulla
retta via, lontana dalla collisione d’intenti in cui erano incappati. Sarebbe
uscita di più, magari con gli amici, forse sarebbe andata a letto con qualcuno.
Si sarebbe sforzata di mostrare più interesse per gli esami di Naruto e Sasuke
e si sarebbe lasciata quella sensazione di inadeguatezza alle spalle. Si
sarebbe concessa un nuovo inizio e sarebbe stata una nuova Sakura. Quello
stupido pettegolezzo sarebbe svanito col tempo, perché non ci sarebbe stato più
niente ad alimentarlo. Quel capitolo della sua vita era morto e sepolto, ora
l’aspettava una nuova pagina bianca da scrivere. E...
...e
dio, quanto le sarebbe mancato Kakashi.
Sentì
lo sguardo di Shizune su di sé e si rese conto di essersi imbambolata ad
osservare fin troppo l’uscio della porta attraverso la quale Kakashi si era
dissolto. Si rese conto solo in quel momento di non aver risposto alla domanda.
«Uhm... Non mi andava di prendere parte ad una missione così lunga» rispose vaga.
«E poi qualcuno deve tenere d’occhio Naruto e Sasuke.»
La
sua risposta sembrò soddisfare la collega. «Ah, sì, vero» annuì saggiamente.
«Senza te, non avrebbero nemmeno una misera possibilità di passare l’esame
jonin.»
Sakura
si schiarì la voce. Forse avrebbe fatto
meglio ad andare con Kakashi.
«È
bello vedere che qualcuno ha il tempo di spettegolare mentre altri si spezzano
la schiena a lavoro» le richiamò una voce alle loro spalle.
Sakura
scattò sull’attenti in sua direzione. «Maestra! Mi scusi, maestra – le ho
portato i documenti che mi ha chiesto, maestra!»
«Bene.
Portali qui e diamogli un’occhiata.» Tsunade aspettò Sakura sull’uscio e, una
volta entrata, si chiuse la porta alle spalle.
«Perché
cammini come se ti fosse passato un camion tra le–»
«Mi
sono storta una caviglia.»
Secondo
Kakashi, c’erano solo due tipi di villaggi portuali: quelli sovraffollati e in
continuo subbuglio, o letargici e impestati dalla puzza di urina e trementina;
il porto di Sokko, in cui si trovava, apparteneva senza dubbio alla seconda
categoria.
L’aria era satura d’umidità, e le folate di vento che raramente gli sfioravano
il viso portavano con loro l’olezzo di pesce avariato e sale, mentre tutto ciò
che lo circondava sembrava essere pesantemente ricoperto da uno strato di
sudore afoso.
I pochi alberi erano tutti appassiti, gli abitanti del villaggio se ne stavano
accasciati su casse di legno all’ombra, e gli stessi edifici erano
evidentemente provati dalla salsedine.
Kakashi
discese il pendio verso le banchine insieme al suo team, sotto un cielo rovente
che sembrava null’altro che una bianca foschia. I suoi compagni sembravano
tutti tremendamente infastiditi e sudavano come maiali, fin troppo abituati al
clima mite di Konoha.
Su Kakashi, invece, il caldo non sembrava avere effetto: mentre il suo team
continuava a lamentarsi, lui alzò la zip della divisa da jonin fino al mento e
spinse le mani in tasca; dopo essere stato di stanza ai confini di Suna durante
la guerra, aveva ben imparato a convivere con il caldo.
Era
intento ad osservare la pittura scrostata delle case e le crepe sui cardini
arrugginiti, quando qualcuno lo affiancò.
«Hey,
Kakashi-taichō, non ha caldo?» era Nibiki.
«Sono
a posto» rispose cordiale. Apparentemente lo era anche lei, ma un velo di
sudore sulla fronte la tradiva. Sarebbe stato un peccato se le avesse rovinato
il trucco...
«Forse
starebbe meglio se si togliesse la maschera» consigliò lei.
«Sto
bene» ripeté.
«Mmh»
annuì. «Perché la indossa, se posso chiedere?»
Le
rivolse un’occhiata gelida e tagliente, lunga abbastanza da intimidire
qualsiasi vittima; uno sguardo del genere, di solito, terrorizzava la gente a
vita, ma la ragazza gli sorrise.
«C’era un ragazzo all’Accademia che ne portava una simile» spiegò lei. «Alla
fine abbiamo scoperto che la portava perché era davvero bruttino».
E
con ciò, Nibiki affrettò il passo e raggiunse il resto del team avanti a loro.
Insomma,
era passiva-aggessiva e sfidava la sua autorità, esattamente come si aspettava.
Aveva avvertito puzza di guai quando l’aveva sentita fare quel commento sul
lavoro di Sakura, ed era stato proprio in quel momento che aveva deciso di
prendere il traghetto passando per sud,
attraverso il caldo rovente del porto di Sokko, piuttosto che optare per l’itinerario
nord, che li avrebbe portati al clima fresco del porto di Matsuyama.
Perché Nibiki non era l’unica stronza passiva-aggressiva
del team.
«Uhm,
Nibiki?» la chiamò.
La
ragazza si voltò allegramente.
Fece
un gesto vago per indicarsi gli occhi. «Il tuo mascara... uhm... credo tu
voglia sistemarlo.»
Nibiki
arrossì violentemente e si voltò, sfregando furiosamente il viso e peggiorando
il problema; in quel momento, Kakashi si ritrovò a pensare che avrebbe
preferito di gran lunga Sakura. Non solo perché era più abile sia in medicina
che in combattimento, ma soprattutto perché stava cominciando a sentire
acutamente la sua mancanza.
Ed inoltre, i suoi tentativi di insubordinazione erano molto più accattivanti.
Erano
in viaggio da ormai quasi una settimana ed avevano alloggiato in parecchie
locande decrepite lungo la strada. Il budget gli permetteva di affittare una
camera a testa, ma poco cambiava: i muri erano talmente sottili che poteva chiaramente
sentire il russare degli occupanti delle camere accanto alla sua, come avessero
avuto le labbra appoggiate al suo stesso orecchio. Ed inoltre, i muri sottili
non bastavano ad ovattare il suono dei gemiti di piacere che gli arrivavano di
tanto in tanto.
Non male come porno gratis, ma alquanto depressivi se ascoltati mentre il suo
corpo cercava di abituarsi alla mancanza di qualcuno con cui condividere il
letto. Per due notti di seguito era stato raggiunto dagli ansimi di una voce
femminile che riecheggiavano nella sua stanza ed invadevano i suoi sogni,
portandolo crudelmente a credere di essere tornato con Sakura, e facendolo
svegliare con un inconveniente pasticcio da ripulire.
Il
“prurito” era tornato, ma non aveva mai desiderato darvi sollievo con una donna
in particolare... mentre quella volta, era inconfondibile. C’era un solo viso
che gli tornava in mente quando restava solo. Solo i suoi capelli. Solo i suoi
occhi. Solo il suo intimo, che ancora conservava accuratamente nel portaoggetti.
Dannazione,
cosa avrebbe dato per farle accettare la missione, anche se sapeva quanto fosse
giusta la sua scelta. Se fosse andata con lui, non sarebbero passate più di tre
notti prima che uno dei due seducesse l’altro. Sarebbero stati i suoi ansimi e
gemiti a riecheggiare tra le pareti di quelle locande, rendendo la loro
relazione palese.
Quando
si erano separati, sei notti prima, era stato chiaro ad entrambi che fosse
finita.
Non ne avrebbero più fatto parola, avrebbero semplicemente preso strade diverse
per dimenticarsi.
La loro relazione – se così poteva definirsi – era ormai conclusa e Sakura gli
aveva detto che era libero di tornare a fare il donnaiolo, come lei lo
definiva.
Ma
non era stato affatto un addio formale: non si erano stretti la mano né si
erano salutati.
Sakura si era alzata dal letto e, dopo essersi rivestita, gli aveva spiegato le
condizioni della loro separazione – ed ascoltato le sue – per poi saltargli di
nuovo in grembo per baciarlo come fosse stata l’ultima volta che l’avrebbe
visto.
Era stato bello, non fosse stato per il fatto che Sakura avesse la cattiva
abitudine di eccitarlo con ben pochi sforzi, quindi Kakashi si era costretto a
metterla alla porta prima di tornare dove tutto era cominciato: a letto.
Nell’esatto
istante in cui Sakura se n’era andata, il sorriso di Kakashi era sparito; e
sebbene sapesse che le cose fossero andate esattamente secondo i piani –
separandosi senza litigi o drammi e soprattutto mantenendo il segreto – non era
affatto felice. Non era di certo depresso, ma nemmeno sentiva il sollievo che
era solito provare quando chiudeva un rapporto con una donna... forse perché,
questa volta, era finita molto prima di arrivare al punto di voler chiudere.
Ma
sebbene avrebbe voluto passare ancora qualche notte insieme a lei, la sua
eterna voglia di compagnia non era affatto più importante del bisogno che Sakura
aveva di allontanarsi da lui; perché, alla fine, non avrebbe fatto altro che
trascinarla a fondo con sé...
«Capitano,
quello è il nostro traghetto?» chiese uno dei suoi subordinati. Poteva essere
sia Denji che Daisuke, ma si somigliavano così tanto che Kakashi non avrebbe
saputo distinguerli.
Arrestò
il passo e portò una mano a schermare gli occhi per osservare meglio il porto.
«Intendi quel puntino microscopico all’orizzonte?»
Il
resto del team gemette di disperazione. «Ma non ne passerà un altro prima di domani»
si lamentò l’altro Denji, o Daisuke.
«Avremmo
fatto in tempo se stamattina fossimo partiti in orario» fece notare disinvolta
Nibiki, rendendo chiara l’allusione a Kakashi dandogli le spalle.
«Il
traghetto era un lusso opzionale» specificò lui. «Speravo di prenderlo, ma
siccome non è stato possibile, continueremo a piedi».
«Cosa?!»
ora Nibiki lo sfidava apertamente.
«Vi
hanno insegnato a camminare sull’acqua da genin, no?» chiese retorico. «Sono pochi
chilometri, dovete solo fare attenzione alle onde. E alle meduse. E ricordatevi
che ogni tanto agli squali piace fare spuntini peculiari.»
Inutile
specificare quanto Kakashi fosse amato da quel team e da qualsiasi altro avesse
mai capitanato.
Decisero
di fare una pausa una volta raggiunto il porto. Nibiki si rifece il make-up,
Denji e Daisuke si scambiarono qualche bevanda e Kakashi si sedette contro un
muretto, osservando la striscia di terra all’orizzonte.
Quel
villaggio portuale era fin troppo silenzioso per lui: c’era una sola barca che
galleggiava placidamente ancorata alla banchina. Un uomo dall’apparenza stanca
e trasandata provò a vendergli pezzi di calamari allo spiedo immersi in quella
che sembrava salsa di soia appiccicosa, ma Kakashi rifiutò cortesemente. Non
era saggio accettare cibo non richiesto durante una missione, perciò
schiaffeggiò la mano di Denji o Daisuke quando uno dei due jonin alzò il
braccio per richiamare il venditore ambulante.
«Ma
muoio di fame, capitano» si lamentò Daisuke, o Denji.
«Non
tocchiamo nulla da ieri notte» concordò l’altro.
«Prima
ci incamminiamo prima troviamo un posto in cui mangiare» spiegò. «Quindi, se
abbiamo finito tutti di sistemarci il rossetto, possiamo–»
«Vi
serve un passaggio?»
L’intero
gruppo si girò verso l’uomo che aveva parlato.
Sembrava essere un pescatore, a giudicare dalle reti che si trascinava dietro, abbinate
alla barba bianca selvaggia che portava e al capo calvo ed abbronzato.
La bocca gravemente sdentata era parzialmente nascosta dai lunghi baffi.
«Sì!»
rispose impulsivamente Nibiki.
«No»
corresse Kakashi, fissando la sua nuca.
«Sto
per salpare per le Isole Yura... posso lasciarvi nei
dintorni, se il compenso è generoso».
«Abbiamo
la stessa destinazione!» si entusiasmò ancora la ragazza. «Quanto vuole?»
«Uhm...»
Kakashi cercò di interromperli.
«Cinquantamila
ryo.»
«Kakashi-taichō,
abbiamo–»
«No.»
Anche i passaggi non richiesti erano fuori discussione.
«Ma
dovremo camminare per ore!» protestò Nibiki. «Ed è anche più economico del
traghetto – e cosa faremmo se inciampassi, cadessi e annegassi? Queste borse
sono pesantissime.»
Kakashi
sapeva bene come mai Nibiki fosse
stata promossa alla prova semestrale.
Ma anche i due jonin lo guardavano con sguardo speranzoso, e il marinaio
sembrava davvero essere un innocuo vecchietto... anche se non c’era da fidarsi
delle apparenze.
«Quella
è la sua barca?» Kakashi ammiccò all’imbarcazione sporca e solitaria con le
vele piegate.
«È
la mia barca» annuì umilmente.
Kakashi
sospirò. «Ci serve un passaggio per le Isole Yura.
Riesce a portarci lì prima del tramonto?»
«Ci
arriveremo nel primo pomeriggio... Per sessantamila ryo.»
«...Ha...
ha appena aumentato il prezzo.»
«Capitano,
lo paghi prima che arrivi a settantamila.»
«Bene,
bene...» Stava diventando fin troppo accomodante con il passare degli anni, ma
che senso aveva affrontare una camminata del genere quando poteva godersi un
viaggio in barca?
Contò
le banconote e le porse al marinaio, che si incamminò verso l’imbarcazione
seguito dal resto del team. In un momento di distrazione, Kakashi lo analizzò
con lo sharingan: non era camuffato, né c’era alcun chakra captabile. Sembrava
essere esattamente ciò che era: un marpione in cerca di denaro.
Presto
Nibiki rivalutò il colpo di fortuna che avevano avuto, quando dopo appena un
quarto d’ora di viaggio era appesa al fianco della barca, intenta a svuotare il
contenuto del suo stomaco tra le onde, mentre la leggera barchetta veniva
scossa da ogni singola onda.
Ancora
una volta Kakashi si ritrovò a vestire i panni dell’aiutante di ragazze con
problemi di stomaco, dato che sia Denji che Daisuke apparivano altrettanto
provati.
«Perché non ci hai detto che soffri il mal di mare?» le chiese stancamente,
sentendosi come catapultato indietro nel tempo a quando faceva da babysitter a
tre ragazzini, piuttosto che essere a capo di un team di due jonin adulti ed un
ninja medico qualificato.
«Non
ne avevo idea» gemette Nibiki. «Non sono mai stata su una barca.»
Ah.
«È per questo che hai insistito tanto?»
La
ragazza gemette ancora. «Puzza tutto di pesce...»
«Le
barche da pesca in genere sono così.»
Sembrava non aver più nulla nello stomaco da rigettare, quindi Kakashi aprì il
proprio zaino con una mano – mentre l’altra ancora le reggeva i capelli – per
poi estrarne un fazzoletto. «Prendi» le disse, porgendoglielo.
«Grazie»
rispose lei, più docilmente di quanto l’avesse mai sentita fare, mentre si
tamponava discretamente le labbra.
Le lasciò i capelli dandole una pacca compassionevole sulla testa, ma Nibiki
restò aggrappata al bordo dell’imbarcazione per svariati minuti ancora, prima
di sollevare il capo. «È molto più gentile di quanto fosse il mio sensei.»
«Chi
era?»
«Morino
Ibiki.»
«Ah...»
questo spiegava parecchie cose.
«Invidio
molto Sakura» gracchiò.
Ho notato, pensò Kakashi, ma non aggiunse altro.
«Perché
non ha portato lei?» gli chiese, guardandolo. «È un medico migliore di me.
Senza considerare che può scavare un tunnel con un pugno. Quindi... perché io?»
«Non
pensare che ti abbia scelta perché sei speciale. Sakura era impegnata.»
«Non
sembrava esserlo... quando le ha fatto l’occhiolino.»
Kakashi
fissò stoicamente l’orizzonte.
Nibiki
si alzò e sistemò i capelli dietro le orecchie. «Ha sentito che uno dei maestri
jonin va a letto con una studentessa?» chiese.
«Se
tieni gli occhi fissi sull’orizzonte, ti aiuterà a mantenerti in equilibrio e
ti sentirai meglio» la informò.
«Giusto...»
Il viaggio
proseguì tranquillamente.
Nibiki diede di stomaco ancora un paio di volte, fino a quando non le restò
nulla da rigettare, e perfino uno tra Denji e Daisuke si sentì male. Al
marinaio sembrava non importare affatto e proseguì spedito, ma almeno mantenne
la parola data e li lasciò a destinazione cinque minuti prima delle tre.
«La
ringrazio» gli disse Kakashi, mentre sbarcava insieme al team.
Il suo era più un “grazie di essere chi dicevi di essere e non un nemico mandato
ad ucciderci prima che noi stessi uccidiamo i bersagli della missione, e
soprattutto di aver ripristinato la mia speranza nell’umanità di almeno qualche
punto”, ma sarebbe stato un discorso complicato da districare ed aveva fretta. «Andiamo»
chiamò il trio barcollante alle sue spalle. «Camminateci su.»
«Ma
ho fame» si lamentò qualcuno.
«Camminateci
su» ripeté.
«Rimangio
ciò che ho detto» disse Nibiki. «Lei è molto più crudele di Ibiki-sensei.»
«Questo
sì che è un successo. Mi assicurerò che lo scrivano sulla mia tomba» rispose
piccato.
Si
incamminarono ed in breve furono fuori dal porto; una volta imboccato un
sentiero nella foresta, si trovarono a camminare tra santuari diroccati e
piccoli branchi di scimmie che gli tagliavano la strada di tanto in tanto.
Le scimmie erano una vera rarità nel paese del fuoco, ed ovviamente i membri
più giovani del team ne erano incuriositi.
«Non
fissatele» li avvisò Kakashi.
«Perché
no?» chiese Denji, o Daisuke.
Il
grosso scimmione che stava osservando spalancò improvvisamente le fauci
emettendo un forte urlo, per poi avviarsi a grandi falcate verso di loro.
Entrambi i jonin balzarono all’indietro, e Nibiki – lanciando un urletto – si aggrappò al braccio di Kakashi. Ma un attimo
prima di caricarli, la scimmia deviò verso gli alberi e sparì, soddisfatta del
suo bluff.
«Ecco
perché» scherzò Kakashi, scrollandosi gentilmente di dosso Nibiki.
«Questo
posto non mi piace» disse lei, rabbrividendo nello scrutare una grossa statua
coperta di muschio dalle sembianze di una scimmia ghignante, nascosta nell’erba
alta ai lati del sentiero.
«Ti
ci devi abituare» le disse Kakashi. «Potremmo dover restarci per un mese.»
«Sta
cominciando a dispiacermi che Sakura fosse così impegnata, sa?» gli rivolse un’occhiatina complice – che Kakashi
ignorò – ma questa volta Nibiki sembrava restia a far cadere l’argomento. Dopo
aver lanciato uno sguardo alle sue spalle per assicurarsi che entrambi i
ragazzi fossero abbastanza lontani da non sentirla, si piazzò al fianco di
Kakashi e gli sussurrò: «Non sono un’idiota, capitano. So che c’è qualcosa tra
lei e Sakura.»
«Non
mi piace ciò che stai insinuando» le disse Kakashi, con distacco. «La mia
relazione con Sakura è strettamente platonica. Alludere ad altro mina la
fiducia che–»
«Oh,
la faccia finita, non lo dirò a nessuno» ridacchiò.
Kakashi
fece una smorfia.
«Scommetto
che si sta chiedendo come faccio a saperlo–»
«Nient’affatto–»
«Beh,
riflettendo sulla voce che gira da un po’ di giorni, sono solo dieci le persone
a cui può riferirsi; escludendo Ibiki-sensei perché lo avrei saputo se fossi stata io, ne rimangono
nove. La maggior parte di loro è sposata, e quelli che non lo sono, sono troppo
vecchi per i loro studenti. Lei e Sakura formate l’unica coppia possibile, e l’occhiolino
che le ha rivolto fuori l’ufficio dell’Hokage ha confermato i miei sospetti. Quello,
ed il fatto che ha un paio di mutandine con il suo nome sull’etichetta nel
borsellino delle armi. Le ho trovate mentre faceva il bagno.»
Kakashi
sospirò. «Sul serio... non so di cosa tu stia parlando.»
«Va
bene, lo capisco» disse comprensiva, dandogli una pacca sulla spalla. «È giusto
negare. Ma non crede che se avessi voluto dirlo a qualcuno lo avrei già fatto?»
«Forse
vuoi ricattarmi» suggerì lui.
«Ah-hah!» gli puntò un dito contro. «Quindi lo ammette!»
«Ammettere
cosa?» chiese innocentemente.
«Scommetto
che le manca...»
«Nibiki»
la chiamò, stancamente.
«Va
bene, non parlo più».
E
mantenne la parola: in quell’esatto momento un kunai le squarciò la nuca e la
uccise.
Quel
giorno Konoha era avvolta da una nuova ondata di calore sporadico, tipica di
metà estate. Le nubi minacciose erano ormai sparite dietro le montagne,
lasciando il cielo terso, e Sakura stava innaffiando le piante.
Era una calura secca, abbastanza da dormire con la finestra chiusa, ma
sufficiente a far appassire i fiori per la mancanza di pioggia.
Sakura
si sporse oltre il davanzale della finestra per versare un altro bicchiere
d’acqua nel vaso di Mrs. Uno; tutte le altre piante erano ormai morenti, ma
Mrs. Uno era un osso duro, anche se non riceveva di certo cure sufficienti.
Con
un pensiero sfuggevole, si chiese se non fosse il caso di dare un’occhiata alla
controparte di Mrs. Uno, Mr. Ukki. Ora che Kakashi era lontano da casa, la
povera piantina sarebbe stata sicuramente trascurata; il suo sensei sarebbe si sicuramente
rattristato nel trovarla appassita al suo ritorno, come era successo a Miss
Urru dopo averla lasciata a Sasuke per appena una settimana.
Ma controllare Mr. Ukki avrebbe comportato tornare nell’appartamento di
Kakashi, e non le sembrava affatto una buona idea viste le circostanze. Si
sarebbe ritrovata a ricordare l’ultima volta in cui era stata lì, e non voleva
sentire la sua mancanza.
«Hey,
fronte spaziosa!»
«Maialino.»
Lungo
la strada sottostante, Ino ghignava come una iena: petto in fuori e mani
nascoste dietro la schiena, cercava di assumere una posa quasi innocente.
Sakura si chiese se non fosse il caso di rovesciarle addosso l’acqua che le
restava nel bicchiere, giusto per divertirsi un po’.
«Vieni
all’Osservazione dei Fiori Selvatici?» chiese Ino.
«Osservazione
dei fiori selvatici?» fece eco Sakura, confusa.
«C’è
la locandina alla bacheca degli annunci da almeno una settimana. Dio, Sakura,
ultimante hai proprio la testa tra le nuvole.» Ino alzò le braccia verso di
lei, mostrandole due bottiglie che scintillarono al sole. «Se non vieni, ti
perdi tutto il mio sakè!»
Pur
non avendo voglia di osservare altri fiori, Sakura non aveva molta scelta: era
ormai una tradizione, e Ino non se ne sarebbe andata senza di lei.
Sospirò pesantemente e mise da parte lo spray per le pulizie, per poi
raggiungere Ino ed incamminarsi insieme a lei verso il campo d’allenamento
numero 6; era riservato agli studenti dell’Accademia pre-genin, quindi era
quello più intatto.
Quando arrivarono, c’erano già parecchi gruppetti sparsi intorno al laghetto, tutti
impegnati nei loro picnic a base di alcol. Era uno dei pochi giorni all’anno
che gli shinobi avevano per rilassarsi: ufficialmente era un raduno per
osservare i fiori e riflettere sulla natura transitoria della vita; in realtà,
era solo un’occasione per ubriacarsi, diffondere gossip maliziosi e flirtare
spudoratamente con i colleghi – come aveva potuto dimenticarsene?
Beh,
sicuramente aveva avuto ben altri pensieri quella settimana...
«Sakura-chan!
Ino-chan! Vi abbiamo riservato un posto!» Naruto era nel cuore del trambusto,
con gli occhi lucidi e del sakè tra le mani. Accanto a lui, Sasuke sedeva con
gli occhi socchiusi: la solita aura altezzosa era smorzata dalle gote arrossate
– forse dal sole, forse dall’alcol. Sulla stuoia accanto alla loro c’era
radunato il team 8 al completo e al loro fianco il restante team 10.
Ed
andarono tutti al sodo.
«All’estate!»
tuonò Ino, facendo tintinnare la propria bottiglia di sakè contro quelle del
suo team. Sakura cercò di contenersi in principio, ma ogni sua iniziativa fu
interrotta dall’amica che le spinse letteralmente l’altra bottiglia ambrata giù
per la gola, a suon di «Bevi!».
La
conversazione si animò subito, e Sakura vi prestò attenzione per non restare esclusa.
L’argomento corrente – capì poi – era il dibattito su quale fosse lo shinobi
più sexy di Konoha.
«No
comment» fu tutto ciò che Sasuke ebbe da dire.
«Uhm...»
Hinata avvampò, posando gli occhi su qualsiasi cosa non fosse Naruto.
«Sai»
sospirò Ino.
«Tenten»
confessò Kiba, sicuro. «È la migliore coi nunchaku.»
Sakura
si sentì a disagio, quindi acciuffò il primo nome esterno al gruppo che le
passò per la mente. «Il capitano Yamato».
In
risposta ottenne una serie di sputacchi, gridolini e qualche cenno di
confusione. «Che?!» fu il commento
generale.
«C-credo sia dolce» si giustificò, con il viso in fiamme. Se
l’avesse sentita il capitano...
«Ma
se ha degli occhi terrificanti!» protestò Naruto.
«Esprimono
profondità» scattò lei.
«Hah!»
sbuffò Ino.
«Senti
chi parla!» rispose, spostando l’attenzione sull’amica. «Sai è profondo quanto
un lavandino che perde!»
«Oi,
oi, oi!» Shikamaru si
intromise quando fu palese che le ragazze si stavano preparando ad una discussione
che sarebbe culminata con qualche capello in meno.
«Preservatevi
per quando avremo una pozzanghera di fango a disposizione» consigliò Choji, inconsapevole
di aver sventato la rissa attirando su di sé l’odio delle ragazze, ora unite
nell’esasperazione contro il genere maschile.
«Urgh» sospirò la bionda.
«Uomini,
che vuoi farci» concordò Sakura.
«Io
invece credo...» Naruto si puntellò il mento. «Nibiki! Il ninja medico!»
«Ew, cosa?» lo fulminò la sua compagna di team. «Non puoi
essere serio.»
«Sì,
in effetti è piuttosto carina» fece eco Kiba.
«Ma
è grassa» protestò Ino.
«E
con ciò?» chiese Choji.
«Nulla,
nulla» aggiunse in fretta l’amica.
Shikamaru
scosse la testa. «Non è grassa, ha le curve ai punti giusti. Non è affatto
male, credo... Anche se mi pare abbia un caratteraccio.»
«E comunque,
dov’è quella vacca?» chiese Ino, stizzita. «È da un po’ che non la vedo in
ospedale.»
«Kakashi-sensei
l’ha portata in missione» rispose Sakura, a voce bassa.
«Eh?»
Naruto la guardò stralunato. «E perché?»
«Gli
serviva un medico» disse ancora, con un tono ai limiti dell’udibile.
«Se
gli serviva un medico perché non ha portato te?»
La
risposta di Sakura fu così mesta che nessuno poté sentirla.
Ino rise. «O perché fai schifo come medico, o perché gli piace, e in ogni caso
tu – hey!»
«Basta
sakè per oggi» le disse Shikamaru, tenendo la bottiglia mezza vuota fuori dalla
sua portata. «Sei una cattiva bevitrice.»
«Sakura
sa che scherzo» singhiozzò lei. «E poi cosa vuoi che le importi di quello che
pensa Kakashi-sensei? Ha già quel suo fidanzato super segreto che tiene tutto
per sé e non condivide con noi.»
Sakura
raccolse la testa tra le mani, ritrovandosi a sperare che il mondo smettesse di
girare da un momento all’altro. «Ino» chiamò in tono di avvertimento, ma era
già troppo tardi.
«Hey,
ne ho sentito parlare, chi è?» chiese Naruto, e perfino Sasuke aprì gli occhi
abbastanza da osservarla con fare quasi interessato. In effetti, in quel
momento aveva tutti gli sguardi puntati addosso – fatta eccezione per Ino, che
cercava di scavalcare Shikamaru per riavere la sua bottiglia.
«Nessuno»
rispose rigida, cercando di suonare quanto più disinteressata possibile. «Non
ascoltate Ino, è solo ubriaca.»
«Stronzate!»
tuonò l’amica, rinunciando una volta per tutte alla riconquista dell’alcol. «Mi
sono appostata sotto casa tua qualche notte fa, e sei tornata all’alba. Eppure
la sera prima c’eri, ed io lo so perché... Beh, ti ho seguita. Dove hai passato
la notte?»
Sakura
si trovò di nuovo inchiodata dagli sguardi dei suoi amici.
«Ho
fatto una passeggiata prima dell’alba» si giustificò debolmente.
«Anche
qualche notte fa non c’eri» rincarò Sasuke, monopolizzando l’attenzione
generale – era la frase più lunga che avesse pronunciato, quel pomeriggio. «Io
e Naruto siamo passati per ricordarti della revisione di quella mattina, ma non
c’eri. Il tuo vicino ci ha detto che ultimamente passi spesso la notte fuori.
Dove sei stata?»
«Io
– uhm – seppure fossero affari vostri – e
non lo sono! – sì, ho passato qualche notte a casa di una persona, ma è
finita e non mi va di parlarne.» Sakura incrociò le braccia.
«Quindi
ti ha scaricata?» punzecchiò Ino.
«No!»
scattò. «Nessuno è stato scaricato – è stata una separazione concordata.»
Ino
si protese verso Choji e bisbigliò, ma senza alcuna discrezione, «L’ha scaricata.»
«Va
bene, va bene, lasciate in pace Sakura. Se non le va di parlarne, sono affari
suoi» la difese Shikamaru. «Cambiamo argomento e lasciamo da parte il suo
misterioso ex.»
Sakura
sentì un moto di gratitudine verso il suo pigro amico.
«Ad
esempio, secondo voi tra quanto tornerà Kakashi-sensei? E quanto tempo impiega
a sistemarsi i capelli in quella maniera?»
Qualche
dio minore – da qualche parte nel cosmo – si stava prendendo gioco di lei, ne
era sicura.
Quando
le fu permesso di tornare a casa, era ormai stanca e brilla. I suoi amici erano
di certo un bel gruppetto, almeno quando non le imponevano un interrogatorio
serrato, cercando di estrapolarle informazione che avrebbero ferito più loro
che lei. Fortunatamente, la questione “fidanzato misterioso” sarebbe caduta in
fretta nel dimenticatoio; ancora più rapidamente, se si fosse decisa a trovarsi
un ragazzo.
Ma
non le andava affatto.
A meno che non ci fosse stato qualcuno, là fuori, identico a Kakashi.
Arrivò
a casa accaldata e stordita, e filò a letto senza nemmeno spogliarsi. E sebbene
le piacesse la pace e la solitudine, non era lo stesso senza nessuno lì ad
aspettarla. Ed era strano, perché in genere preferiva avere il letto tutto per
sé, soprattutto dopo averlo condiviso con un ragazzo ed aver sopportato il
russare, i piedi freddi e le gomitate.
Ma dividere il letto con Kakashi, sebbene per breve tempo, le era sembrato
naturale: non le aveva mai tirato le coperte – anche perché ne avanzano in
abbondanza, quando si dorme avvinghiati l’uno all’altra – non russava mai, o
almeno mai abbastanza da svegliarla, e se sporadicamente l’aveva sfiorata con i
piedi freddi, non le aveva mai dato fastidio.
Le
mancava.
Soprattutto nei momenti di solitudine come quello.
Si chiese dove fosse, come andasse la missione e sperò con tutto il cuore che
stesse bene. Nel loro mondo, c’era sempre la possibilità che uno shinobi non
facesse ritorno a casa – specialmente durante una missione d’alto rango come
quelle di Kakashi – ma trattandosi di lui e conoscendo le sue capacità, si
impose di restare tranquilla: sarebbe stato un insulto fare altrimenti.
Aveva
fatto bene a troncare la loro relazione.
Era un bene che in quel momento non fosse con lui.
Ed ancor di più il fatto che fosse da sola a letto a rotolarsi tra le lenzuola
piuttosto che farlo con lui in qualche posto esotico, lontano e tremendamente
romantico con il solo calore dei loro corpi a riscaldarli mutualmente.
«Guh...» si lamentò, affondando tra le lenzuola.
Sarebbe
stato terribilmente sconveniente innamorarsi della persona meno adeguata al
mondo...
Sakura
si svegliò al suono di qualcuno che le prendeva a martellate la testa. Il
dolore si posò sugli occhi mentre si metteva a sedere e cercava di ricordare
perché mai fosse andata a letto vestita. Si riprese quanto bastava per alzarsi
e andare a controllare chi bussava alla porta con tanta insistenza.
La
maniglia era l’unica cosa che la reggeva in piedi, mentre si affacciava dallo
spiraglio aperto. «Sì...?» chiese, confusa.
«C’è
bisogno urgente di lei all’ospedale, Sakura-san» un
paramedico.
Sakura
si raddrizzò e si passò una mano sulla faccia. «C’è un emergenza?»
«Il
team Kakashi è tornato» le rispose cauto il collega. «Ci sono state... vittime.»
La
mano di Sakura cadde esanime lungo il corpo. «Oh» disse. «Lui...?»
«Non
lo so» le rispose dispiaciuto. «Deve venire subito.»
«Sì.
Giusto. Uhm. H-ho bisogno delle scarpe. Dovrei
cambiarmi? No... no... scarpe... dove sono le mie scarpe?» Esitò per un
istante, insicura sul come agire. Indossò uno stivale ed un sandalo, poi si
rese conto dell’errore e lasciò il sandalo per infilare l’altro stivale. Si
voltò di nuovo verso l’appartamento e si chiese se fosse il caso di portare un
cambio –
Kakashi potrebbe essere in fin di vita,
stupida!
La
sua mente offuscata individuò un nuovo obbiettivo e scosse la testa. «Sono
pronta» disse, sorpassando il paramedico con una fretta tale da urtarlo,
dimenticando addirittura di chiudere la porta.
Corse
talmente tanto da avere l’impressione di volare lungo le strade, tagliando per
ogni scorciatoia conosciuta e scaraventando via qualsiasi cosa la intralciasse,
fossero tubi, persone o palazzi. Arrivò all’ospedale in pochi minuti,
schiantandosi contro le porte e lasciando strisciate con gli stivali sui
pavimenti lucidi. Urtò almeno un paio di infermiere nella fretta di raggiungere
il reparto emergenze, e nel momento esatto in cui arrivò, Shizune la tirò per
un braccio.
«Dammi
una mano, svelta!» la spinse verso una barella su cui giaceva un uomo
mortalmente pallido. Una ferita profonda all’addome sanguinava copiosamente.
Ma
non era Kakashi.
«Dov’è
Kakashi-sensei?» chiese Sakura.
Shizune
scosse la testa. «Quest’uomo faceva parte del team Kakashi. Curalo, ora.»
Non
era in posizione di negarsi, né avrebbe potuto andare a cercare Kakashi sebbene
lo volesse. Non era nella sua natura lasciare morire un uomo, a prescindere da
quali fossero le sue priorità. Nonostante i postumi, nonostante il timore che
Kakashi fosse già morto e stessero solo evitando di dirglielo, nonostante
avesse l’urgente bisogno di una doccia ed un cambio di vestiti, si mise a
lavoro e cominciò a pompare il proprio chakra nel sistema danneggiato del suo
paziente.
Profonde
ferite allo stomaco e al fegato... Era ad un passo dalla morte. Aveva perso
troppo sangue ed altri tre medici cercavano di tenerne vivo il battito.
Si chiese se anche Kakashi fosse nelle stesse condizioni, poi chiuse gli occhi
e si disse che se avesse voluto salvare la vita di quell’uomo, avrebbe dovuto
sgomberare la mente da Kakashi.
Il suo paziente aveva diritto a non meno della sua piena attenzione.
Lentamente,
le lacerazioni presero a richiudersi. Le membrane intrise di sangue si
ricucirono e la pelle prese a rigenerarsi.
Solo quando Shizune le diede una pacca sulla spalla capì che poteva fermarsi.
Non era completamente guarito, ma ormai aveva solo bisogno di sangue e non era
qualcosa che il chakra avrebbe risolto.
«Ottimo
lavoro» disse Shizune, impressionata. «E anche rapido. Tsunade ne sarà felice,
ma conserva le energie. C’è qualcun altro che ha bisogno di cure.»
Sakura
fu guidata lungo il reparto fino ad un’altra barella sulla quale giaceva disteso
a pancia in giù un uomo; una ferita profonda gli squarciava la schiena. Era già
stata pulita accuratamente da un’infermiera, che all’arrivo di Sakura si fece
da parte per lasciarla al suo lavoro. Ancora una volta il viso di Kakashi si
sovrappose all’immagine che aveva davanti, facendole avvertire tutta la
frustrazione del non sapere dove fosse né come stesse.
Concentrò
le sue energie sulla ferita del paziente e chiuse gli occhi; era solo
superficiale, profonda ma non fatale: nessun organo vitale era stato colpito e
per fortuna i nervi erano ancora tutti intatti. Non le ci volle molto per
guarirla completamente, ed appena ebbe terminato, si rivolse a Shizune con uno
sguardo risoluto. «Dov’è Nibiki? Avrebbe dovuto occuparsene lei.»
Ed
in quel momento capì.
Nibiki era un bravo medico e non avrebbe mai permesso ai suoi compagni di
tornare a casa in quelle condizioni.
Shizune
sembrò esitare per un istante. «Nibiki è morta, Sakura.»
Non
c’era molto da aggiungere.
Sakura sentì un nodo formarsi alla base della gola e si rese conto che le
tremavano le mani.
Le chiuse a pugno e deglutì. «Dov’è Kakashi-sensei?»
Shizune
indicò con un cenno del capo la porta di una stanza privata, appena fuori dal
reparto. Senza neanche voltarsi, Sakura vi si avviò.
«Aspetta
– no – Sakura, non puoi entrare ora–»
Sakura
spinse la porta ed entrò senza pensarci due volte, con il cuore da qualche
parte in gola.
Nella
camera, due paia d’occhi si voltarono per la sua improvvisa apparizione.
Lui sedeva sul bordo di un lettino,
con addosso una maglia lacerata ed un braccio fasciato, ma indubbiamente in
buone condizioni.
Ma non aveva il copri fronte, e quando si voltò a guardarla l’unico occhio
visibile era rabbuiato e vuoto. Quello sguardo le fece dubitare che stesse
bene.
Sembrava
a pezzi.
«Sakura,
esci» le ordinò Tsunade.
Sakura
guardò ancora Kakashi, ma lo sguardo di lui scivolò sul pavimento. In quel
momento, lasciarlo era l’ultima cosa che voleva fare.
«Sì,
maestra. Scusi, maestra. Sensei.» Si inchinò profondamente in segno di scusa e
sparì velocemente.
Ancora
una volta trovò Shizune, la quale le offrì un sorriso triste ed una pacca sulla
spalla prima di tornare dai feriti.
Sakura prese a camminare su e giù per il corridoio, chiedendosi cosa fare oltre
a torturarsi le mani, in ansia come un parente in una sala d’attesa.
Non
ci volle molto prima che la porta si aprisse di nuovo e Tsunade la
raggiungesse. «Ha ancora qualche lacerazione alla schiena che ha bisogno di
essere curata. Puoi occupartene tu. Io devo informare la famiglia di Nibiki...»
Sentì
un peso sul cuore. Era sempre difficile accettare una perdita, sebbene nel loro
mondo capitasse spesso. Qualche volta qualcuno che conosci, la maggior parte
delle volte qualcuno che non conosci, ed occasionalmente perfino qualcuno che
non ti stava affatto simpatico. Eppure, era strano per lei pensare che non
avrebbe mai più rivisto Nibiki; non invidiava affatto il compito di Tsunade.
Ma
ciò che davvero la preoccupava era il fatto che fosse capitato sotto la guida
di Kakashi. Per quanto ne sapesse, non aveva mai perso un subordinato, era
sempre stato così attento alla salvezza dei suoi compagni di team...
Sakura
entrò di nuovo nella stanza – stavolta più discretamente – e richiuse
dolcemente la porta alle sue spalle. Kakashi sedeva ancora sul letto, troppo
impegnato ad osservare il pavimento per accorgersi di lei, e per un attimo
Sakura si sentì insicura: non sapeva cosa fare, né cosa dire per alleviare il
suo dolore; non sapeva nemmeno se Kakashi apprezzasse la sua presenza in quel
momento. Era indecisa tra l’assumere un atteggiamento professionale e curare le
sue ferite come con qualsiasi paziente, o comportarsi amichevolmente e provare
a guarire anche le ferite che non vedeva.
Mosse
un passo cauto verso di lui e Kakashi sollevò il viso come se si fosse appena
accorto di lei. Qualcosa nel suo sguardo si addolcì e le tese una mano, ed
improvvisamente tutte le sue incertezze svanirono e seppe esattamente cosa
fare. Senza un attimo di esitazione, afferrò la sua mano e lo strinse in un
caldo abbraccio, facendo attenzione a non ferirlo.
Per
buona pace dei loro accordi.
Kakashi
poggiò il mento sulla sua spalla e Sakura poggiò la testa sulla sua.
Sospirarono insieme per il sollievo di riavere il contatto fisico che si erano
negati per una settimana intera e non sembrò esserci altro da dire. Le parole
non bastavano ad esprimere ciò che quel semplice tocco diceva. Ciao. Come stai? Sono felice che tu sia
vivo.
Riluttante,
Sakura interruppe l’abbraccio per guardarlo in viso e prese ad accarezzargli i
capelli, mentre Kakashi chiudeva gli occhi, godendo del suo tocco. Districò con
cura le ciocche con le dita, mentre una mano di lui restava poggiata dolcemente
sul suo fianco.
«Nibiki è morta» le disse laconico, spezzando il silenzio ma non l’atmosfera.
«Mi dispiace.»
«Perché
ti scusi?» gli chiese tristemente. «Non è colpa tua.»
Kakashi
aprì l’occhio destro, ma non la guardò.
Sakura
tirò delicatamente una ciocca di capelli per livellare i loro sguardi. «Non è colpa tua, hai capito?» ripeté con
più decisione.
L’occhio
che la guardò era vuoto ed indecifrabile. «C’è stato un imboscata poco dopo
essere arrivati su una delle isole Yura. Hanno mirato
direttamente al ninja medico. È una tattica sempre più comune, privare il
nemico del supporto medico. L’hanno colpita con un kunai alla nuca ed è morta
sul colpo.»
Le
mani di Sakura si poggiarono sulle ginocchia di Kakashi; si morse le labbra e
trattenne le lacrime che sentiva pizzicarle gli occhi.
«Erano
in otto. Siamo riusciti solo a costringerli alla ritirata ed ho dovuto usare il
rotolo del teletrasporto di emergenza per salvare Denji. O Daisuke.
Probabilmente entrambi.» Una nuova ondata di biasimo sembrò posarsi sulle sue
spalle. «Ho dovuto lasciarla lì, Sakura. È già stata inviata una squadra di
recupero per riportare il suo corpo a casa, ma impiegheranno almeno una
settimana per trovarla. Dubito rimanga qualcosa da riportare, fino ad allora.»
«Non
è colpa tua» ribadì. «Hai fatto la cosa giusta in base alle circostanze.»
«Potevi
essere tu.»
Gli
occhi di Sakura saettarono verso i suoi, ma lo sguardo di Kakashi restava
basso. «Non essere sciocco» lo rimproverò. «Non potevi saperlo.»
«Se
avessi accettato la missione, sarebbe il tuo corpo a giacere abbandonato sul
sentiero di una foresta lontana» disse stancamente.
«Cosa
ti salta in mente?» chiese, rabbiosa. «Non sono morta, sono qui con te. Perché
preoccuparsi di qualcosa che non è successo? Nibiki è morta, ed è triste... Ma
io non sono come lei, sensei. Per favore, prendine atto.»
Aggirò
il letto e si posizionò alle sue spalle. «Ora, Tsunade dice che hai delle
ferite alla schiena. Devo sollevarti la maglietta per guarirti.»
Della
maglietta in questione non restava ancora granché: la maggior parte del tessuto
che copriva la schiena era stato strappato e lasciava la pelle ferita e sporca
esposta. «Una lunga scivolata, si direbbe.»
Facendo
molta attenzione, sollevò la stoffa restante e chiese a Kakashi di tenerla
ferma sulle spalle; si mise subito a lavoro e pulì le ferite con un unguento
disinfettante. Era una procedura piuttosto dolorosa, ma Kakashi non sussultò
nemmeno una volta: solo occasionalmente tratteneva il fiato, quando tirava via qualche
scheggia rocciosa.
Disinfettati
i tagli, prese a medicarlo con il chakra. Si prese i suoi tempi, concentrandosi
per fare del suo meglio per lui, ma aveva speso già troppe energie per i
pazienti precedenti e dovette costringersi a fermarsi quando la pelle si fu
appianata. Era ancora arrossata e raggrinzita in qualche punto, ma non poteva
fare di più al momento.
Sbuffò
per la stanchezza e la frustrazione, poi poggiò le mani sul materasso. «Ecco
fatto» sussurrò.
Kakashi
lasciò cadere la maglietta e si alzò, stiracchiando le spalle. «Grazie» le
disse, distratto. «Non fa più male.»
Si
voltò verso di lei e cadde un silenzio imbarazzante. Sakura chiamò a raccolta
le ultime forze per raddrizzare la schiena e mise su un sorriso forzato. «Suppongo
che sei libero di andare, allora» disse, cercando di smorzare la tensione con
finta allegria.
Kakashi
prese un respiro e per un attimo sembrò voler dire qualcosa di profondo e
significativo... Ma all’ultimo cambiò idea e sbuffò solo un: «Sì, certo». Poi
raccolse la giacca ed il coprifronte e si avviò.
Qualcosa dalle sembianze di un fazzoletto gli scivolò dalla tasca.
«Kakashi-sensei?»
lo chiamò, ma non si fermò.
Uscì
dalla stanza e per poco non si schiantò contro Shizune, che al contrario stava
per entrare. Le mormorò qualcosa che Sakura pensò essere una scusa e poi sparì.
«È
il primo compagno che perde in cinque anni» la informò Shizune. «Non dev’essere
facile per lui. Volevo fargli sapere che Denji e Daisuke stanno bene, ma credo
non avrebbe fatto molta differenza. Povera Nibiki... Era una delle migliori.
Mancherà a tutti.»
Sakura
sospirò. «Credo andrò a casa» disse, stanca.
«Certo.
Scusa per averti trascinata qui a notte fonda.»
«No,
nessun problema.»
Sorrise dolcemente e si ravvivò i capelli in disordine. Sorpassò Shizune per
avviarsi, ma prima di uscire dalla stanza si voltò a chiederle: «Credi che
starà bene?»
Shizune
strinse le labbra. «Hatake Kakashi non è mai stato bene fin da quando era
bambino. Non mi preoccuperei troppo se fossi in te, se ne farà una ragione.»
Sakura
non era sicura di aver capito, ma annuì lo stesso e se ne andò a casa.
Per la seconda volta, quella notte, tornò in un letto vuoto; ma almeno si
ricordò di togliersi i vestiti.
Pensò
a Nibiki; alla bella, vanitosa e sfortunata Nibiki il cui corpo giaceva
abbandonato lontano da casa. Rabbrividì e si chiese se le cose sarebbero andate
diversamente se ci fosse stata lei al suo posto. Kakashi sarebbe rimasto così
affranto dalla sua morte? Gli era di sicuro passato per la mente, e la cosa la
confondeva.
Perché
sembrava così colpito dall’idea che potesse esserci lei al posto di Nibiki?
Possibile
che a Kakashi importasse di lei molto più di quanto immaginasse?
Era
curioso.
Avrebbe potuto giurare di aver visto qualcosa cadere a Kakashi, quando l’aveva
incrociato.
Qualcosa che somigliava ad un fazzoletto di stoffa pregiata, da come aveva
intravisto, e Shizune aveva intenzione di raccoglierlo e conservarlo nel caso
fosse tornato a riprenderlo; ma dov’era?
Da
quando Sakura l’aveva salutata, Shizune gattonava sul pavimento lucido alla
ricerca del pezzetto di tessuto. Non era dietro la porta, né sotto al letto. Si
accigliò, infilando il braccio sotto al macchinario per la defibrillazione. «Ah-hah!» esclamò, afferrando il fazzoletto latitante, per
poi scuoterlo per ripulirlo dalla polvere.
«Oh,
santo cielo...» Spalancò gli occhi quando si rese conto di avere tra le mani
delle mutandine da donna. Si morse le labbra per trattenere un sorrisetto
allegro e le esaminò. Cosa diavolo poteva mai farci Kakashi con quelle? O aveva
un’amica speciale, o un hobby piuttosto insolito.
Erano
mutandine piccole, fini e delicate; di sicuro costose, ed anche piuttosto
scomode. Shizune aguzzò la vista quando notò un nome impresso nell’etichetta.
Appartenevano di sicuro a qualcuno che frequentava spesso le terme, o le cui
abitudini dell’Accademia erano dure a morire. Le avvicinò agli occhi per
distinguere i caratteri del nome...
...e
le si gelò il sangue nelle vene.
«Oh...
santo cielo...»
Ci
ho provato in tutti i modi a farmelo piacere, ma niente: non mi soddisfa.
Ma è passato troppo tempo dall’ultimo aggiornamento ed era ora.
Sorry! 💕