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Autore: Gun    10/06/2021    2 recensioni
Sakura aveva sempre voluto vedere Kakashi senza maschera, anche se questo era troppo persino per lei...
Tutto inizia a causa dell'ennesimo ritardo di Kakashi, in una calda mattinata.
Tra imbarazzi, mutandine rubate, inganni ed incomprensioni, Sakura si addentra nel mondo dei piaceri fisici con l'aiuto dell'unico uomo che non avrebbe mai considerato. Ma se dall'amore può nascere il sesso, dal sesso può nascere l'amore?
KakaSaku.
Traduzione precedentemente pubblicata in parte da eveyzonk.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Tsunade
Note: Lemon, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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. 14 .

Fiori Selvatici

 

 


 

Ino non era affatto di buon umore quel mattino e Shikamaru se ne sarebbe accorto anche a chilometri di distanza: chi come lui è cresciuto con una ragazza incline alla violenza e soggetta a sbalzi d’umore, impara a cogliere il minimo segnale d’allerta

Se ne stava spaparanzato su una panchina in riva al fiume a godersi la quiete, quando la sentì avvicinarsi calpestando rumorosamente il sentiero alla sua destra.
Quel giorno le nuvole erano particolarmente interessanti da osservare: cospicue quanto bastava per non annoiarsi, bianchi batuffoli galleggianti su una tela azzurra; socchiudendo gli occhi le immaginava come pecorelle al pascolo e quasi sentiva i loro campanacci tintinnare.

Ma i suoi placidi pensieri riguardo nuvole e pecorelle furono violentemente spazzati via quando Ino si lasciò cadere sulla panchina accanto a lui.

«Sono incazzata nera» dichiarò.

Shikamaru abbassò lo sguardo sul fiume e prese un lungo tiro di sigaretta.

Ino sbuffò sonoramente, infastidita. «Giuro, non immagini quanto sono incazzata» sbottò, alzando la voce per attirare la sua attenzione. Quando ancora non ottenne risposta dal compagno, gli diede una botta in mezzo alle scapole. «Mi stai ascoltando?»

«Sei incazzata. Ho capito.» Perché sentisse il bisogno di annunciarlo quando era chiaro come l’acqua, invece, restava un mistero. Ma alla fine, le donne in generale erano un totale punto interrogativo per lui.

Era piuttosto chiaro, invece, che Ino stesse adottando la sua solita tattica, all’unico scopo di indirizzarlo dove meglio credeva. «Vuoi sapere perché sono così incazzata?»

E a lui non restava che rispondere: «Certo.»
Come da manuale, era la mossa più sicura.
Avrebbe anche potuto farsi cogliere da un moto di pura sincerità e risponderle che no, non gli interessava, ma alla fine ne avrebbe ricavato solo un altro pugno – dopodiché, Ino avrebbe comunque ripreso il discorso.

«Quella Sakura» cominciò, arricciando leggermente il naso, «è proprio una stronza. La notte scorsa l’ho seguita per scoprire chi è questo suo fantomatico amante, e lei che ha fatto? È andata a casa, si è messa a guardare quelle soap opera noiosissime e poi è andata a letto. E indovina io ovviamente che ho fatto?»

«Che hai fatto?» Shikamaru aveva la stessa funzione di un muro, nei monologhi di Ino: la sua parte consisteva nel far rimbalzare tutte le domande che lei gli scagliava contro, per farla felice.

«Me ne sono tornata a casa, no?» Ino batté rabbiosa un pugno contro il ginocchio. «E stamattina mi sono alzata di buon’ora per seguirla, nel caso si fosse vista con qualcuno prima di andare a lavoro, e indovina un po’?»

«Indovina un po’?»

«È tornata dieci minuti dopo di me.»

Ino assunse un’espressione di completo shock, come se avesse appena avuto la rivelazione del secolo, ma Shikamaru era il volto dell’apatia e confusione. «E quindi?» chiese, cauto.

«E quindi?!» strillò Ino. «E quindi che palle! È sgattaiolata via nel cuore della notte per un incontro segreto con quel suo amante misterioso ed io non ho ancora scoperto chi è!»

«Come fai ad essere sicura che si sia vista con un uomo?» le chiese. «Magari è uscita solo per una passeggiata all’alba.»

Ino gli rivolse un’occhiata di pura compassione. «Quando è tornata non aveva di certo l’aspetto di una che torna da una passeggiata. Aveva la tipica camminatura di una che è stata scopata a dovere per tutta la notte.»

Shikamaru sospirò: non gli piaceva affatto quel tipo di discorso. «Perché tanto interesse? Sono affari tuoi?»

«Sì, assolutamente» sbottò. «L’unica spiegazione a tutta questa segretezza da parte di Sakura è che lui sia incredibilmente brutto. O un poveraccio. O molto, molto stupido. O... qualcuno che non può frequentare. Forse sta fraternizzando con il nemico, Shikamaru! È nostro dovere come shinobi di Konoha proteggere il nostro villaggio e i suoi segreti e impedire ogni furto di informazioni!»

A proposito di furto di informazioni... «Ino, a te non interessa niente di tutto ciò. Vuoi solo scoprire chi frequenta Sakura per sapere se è più carino del tuo ragazzo.»

«Oh, Shikamaru, ti prego, aiutami,» piagnucolò, lasciando cadere la maschera. «Con la tua mente e la mia bellezza, risolveremo questo mistero entro mezzogiorno!»

Shikamaru sospirò e sollevò di nuovo lo sguardo riflessivo, lasciando consumare la sigaretta tra le dita. Dopo un lungo e denso silenzio, annuì al vuoto. «Forse è Kakashi-sensei.»

Ino scattò, fissandolo tra sorpresa e confusione. «Cosa?»

«Gira voce che uno dei maestri jonin abbia una relazione con un’allieva, e in genere le voci si basano su fatti reali. Sakura è l’allieva di un jonin, e stando a quanto dici ha una relazione che, senza apparente motivo, si ostina a tenere segreta. Se fai due più due ottieni Haruno Sakura e Hatake Kakashi.»

Ino inchiodò lo sguardo su di lui, in attesa di altro; ma quando fu palese che il ragionamento di Shikamaru fosse concluso, si stizzì. «Non fare l’idiota! Potresti almeno fingere di prendermi sul serio.»

Shikamaru scrollò le spalle e tornò a fumare, rilassato.
Dopo pochi istanti di ritrovata serenità, un fulmine giallo e arancio gli sfrecciò davanti. Notò Ino e Shikamaru solo dopo diversi metri, e con un’azzardata inversione ad U si parò di fronte a loro.

«Hey, ragazzi!» li salutò Naruto, con fin troppo entusiasmo per quell’ora del mattino. «Qualcuno di voi ha visto Sakura-chan?»

Shikamaru guardò Ino aspettando una risposta, ma il cipiglio dell’amica si fece più marcato. «Sakura, Sakura, Sakura! Perché sono tutti ossessionati da Sakura?»

«Non saprei, sei tu quella che la pedina» le fece notare. 

«Davvero? Stai pedinando Sakura-chan?» Naruto non sembrava affatto scosso. «Quindi sai dov’è?»

Ino incrociò le braccia, assumendo una posa di totale indifferenza; tuttavia rispose: «L’ultima volta che l’ho vista stava andando verso l’ospedale.»

«Fantastico, grazie! Temo che ultimamente si senta un po’ messa da parte, sapete, per la storia dell’esame jonin. Credete che dovrei prenderle dei fiori?»

Shikamaru si strinse nelle spalle.
«Male non faranno.»

Ino li fulminò con lo sguardo.
«Dico, siete matti?» sbottò. «Portarle dei fiori significa praticamente ammettere che hai fatto qualcosa per infastidirla, e la farà incazzare ancora di più perché si renderà conto che non si sta comportando da pazza paranoica. Non azzardarti a scusarti, lascia che sia lei a farlo.»

La logica femminile era qualcosa di contorto e Naruto si sentì disorientato. «Ok, perfetto» disse, quando riuscì a mettere in ordine almeno i concetti base. «Quindi... Dovrei comportarmi normalmente con lei?»

«Assolutamente» rispose Ino, come fosse stata la cosa più ovvia del mondo.

«Grazie mille!»

Ma prima che potesse filare via, Ino lo richiamò. «Hey, Naruto! Sai per caso chi è il tizio misterioso che frequenta Sakura?»

Naruto si voltò a guardarla, confuso. «Credevo uscisse con quel bastardo di Ikki.»

«Sprechi tempo» le sussurrò Shikamaru. Se Naruto non si era nemmeno reso conto di essersi messo la felpa di rovescio, di certo non sarebbe stato in grado di carpire segreti riguardo le vite amorose degli altri.

«Non importa» Ino si accasciò di nuovo contro la panchina, sconsolata. «Hai la zip aperta, comunque.»

Naruto si allontanò trotterellando serenamente, alzando la zip in questione con una mano e salutandoli con l’altra.

«Beh, di sicuro non è lui» sospirò Ino. «E non può nemmeno essere Sasuke, altrimenti Sakura me lo starebbe ancora rinfacciando.»

«Suppongo sia inutile farti notare ancora che non sono affari tuoi» riprovò Shikamaru, fiaccamente.

«Sì, infatti» rispose Ino, piccata.

Shikamaru, con un’alzata di spalle ed un tiro di sigaretta, poggiò la testa contro lo schienale della panchina. Il fumo prese a confondersi con le nuvole: almeno il suo angolino di mondo era a posto.

 


 

Quella sensazione di malinconica tenerezza l’avrebbe accompagnata per giorni, ne era certa.
Sakura cercava invano di non dondolare mentre si trascinava lungo il corridoio diretta all’ufficio di Tsunade, stringendo al petto una pila corposa di cartelle mediche.
L’atteggiamento di Kakashi aveva avuto un certo peso su di lei, nel bene e nel male.
Avevano passato una meravigliosa – sebbene ultima – notte insieme, ma cosa restava ormai di loro?

Quando notò il modo in cui Shizune la fissava incuriosita, dal banco della reception, si rese conto che i suoi sforzi per camminare quanto più naturalmente possibile erano stati del tutto vani.
Ondeggiò fino a che non le fu di fronte e, con un sonoro sospiro, poggiò i fascicoli sul bancone.

«Come mai zoppichi?» le chiese.

«Mi sono storta una caviglia» mentì Sakura.

«La caviglia, huh? Ma certo» Shizune annuì, scettica. Entrambe sapevano – ma nessuna delle due avrebbe ammesso – che Sakura aveva l’andatura di una a cui è passato un camion tra le gambe. «E queste?» chiese, battendo l’indice sulle cartelle che Sakura aveva poggiato.

«Le cartelle cliniche che mi ha chiesto la maestra Tsunade» rispose, buttando un occhio alla sala d’attesa deserta. «È già arrivata?»

«Mhmh» mormorò Shizune, annuendo ancora. «È in riunione con un team per una missione, ma dovrebbe liberarsi a breve.»

Ottimo, pensò Sakura, posso sedermi. In effetti, qualcosa le restava di Kakashi: il tremore alle gambe.

Ma Shizune non le diede pace. «Oh, hey» la richiamò, riducendo la voce ad un mero sibilo. «Hai sentito cosa si dice in giro?»

«Riguardo gli aumenti di stipendio?» chiese speranzosa.

«No, no, no, è addirittura meglio.» Si guardò intorno circospetta, prima di fare cenno a Sakura di avvicinarsi. Si sporse poi oltre il bancone che le separava e le bisbigliò: «Gira voce che... uno dei maestri jonin vada a letto con un’allieva!»
Il cuore di Sakura perse un battito, per poi prendere a pulsare impazzito. «C-cosa?!» balbettò.

«Lo so, è assurdo!» Shizune arricciò il naso. «Sarebbe come se tu andassi a letto con Kakashi-sensei: assolutamente sbagliato!»

Sakura deglutì rumorosamente, cercando di gestire il sudore freddo che sentiva alle mani. «S-Sai per caso se... Cioè... è certo? Si sa chi è?»

Shizune scosse la testa. «Ma ci sono solo dieci maestri jonin nel villaggio. Resti tra noi, ma io scommetto che è Nakamura-sensei. La sua allieva è una totale piantagrane, per non dire altro. Beh... a prescindere dai soggetti, se è vero sono in un mare di guai. L’ultimo insegnante che ha fatto una cosa del genere è stato punito con un mandato d’esecuzione.»

«Cosa?!» Sakura annaspò.

«Beh, non solo per quello, ne aveva combinate parecchie... tipo omicidio, esperimenti genetici senza permessi, cospirazioni per ammutinamento, alto tradimento... Del resto, era Orochimaru.» Shizune roteò gli occhi. «Ma è comunque una cosa seria, anche se potrebbe essere solo un pettegolezzo senza fondamenti.»

«Sì,» annuì fortemente Sakura «senza dubbio sono solo voci. Non può essere vero.»

Shizune la guardò stranita per un attimo, ma quando schiuse le labbra per dire qualcosa, la porta dell’ufficio di Tsunade si aprì e ne uscì una fila di persone. Sakura non conosceva i due uomini, ma scorse un viso familiare tra loro, che incrociò il suo sguardo.

«Sakura! Hey!»

Era una ragazza dai capelli biondi, piccoli occhi castani e labbra perennemente imbronciate. Sakura l’aveva conosciuta all’ospedale – era un medico chūnin, come lei.

E la odiava.

«Ciao, Nibiki» sbuffò, salutandola con ben poco entusiasmo. «Vai in missione?»

Una lunga coda bionda ondeggiò drammaticamente, accompagnata da uno sguardo di finta modestia e contornato da ciglia ridicolmente lunghe e impregnate di mascara. «Oh sì, e sarà piuttosto lunga... Augurami buona fortuna!» Poi il suo sguardo cadde indagatore su di lei. «Oh cielo, non dirmi che sei stata di nuovo in ospedale tutta la notte! Lavori troppo, sai.»

Sakura si passò una mano tra i capelli, imbarazzata. Prima di uscire di casa si era guardata allo specchio e si era trovata fresca e vivace, quella mattina.
Nibiki si era già incamminata quando Sakura alzò lo sguardo in tempo per notare un altro uomo uscire dall’ufficio di Tsunade.

Kakashi.

Rivolse un cenno a Shizune, poi sorrise dolcemente a lei. «Buongiorno, signorine» salutò, gentile.

«Vedo che ha trovato un medico chūnin» notò.

Il sorriso di Kakashi si ingigantì: si avvicinò al banco di Shizune, per poi passarle un foglio da timbrare. «Suvvia Sakura» la richiamò, in tono di rimprovero. «Non essere gelosa.»

Sakura arrossì fino alle orecchie.
Kakashi ritirò il foglio e si voltò ancora verso di lei, per poi rivolgerle un occhiolino furtivo e malizioso; infine uscì, portando il povero cuore di Sakura con sé.
Rimaste di nuovo sole, Shizune si sporse ancora oltre il banco. «Perché porta Nibiki e non te? Mi ha dato il fascicolo di una missione di classe A e tu sei migliore di lei sia come medico che come shinobi.»

Sakura si sentì terribilmente amareggiata all’improvviso. «Me l’ha chiesto, ma ho rifiutato.»

«Perché?»

Perché non sarebbe mai riuscita dimenticarlo e andare avanti se avesse dovuto passare un mese intero a combattere al suo fianco.
Doveva restare a Konoha ed approfittare della sua assenza per tornare sulla retta via, lontana dalla collisione d’intenti in cui erano incappati. Sarebbe uscita di più, magari con gli amici, forse sarebbe andata a letto con qualcuno. Si sarebbe sforzata di mostrare più interesse per gli esami di Naruto e Sasuke e si sarebbe lasciata quella sensazione di inadeguatezza alle spalle. Si sarebbe concessa un nuovo inizio e sarebbe stata una nuova Sakura. Quello stupido pettegolezzo sarebbe svanito col tempo, perché non ci sarebbe stato più niente ad alimentarlo. Quel capitolo della sua vita era morto e sepolto, ora l’aspettava una nuova pagina bianca da scrivere. E...

...e dio, quanto le sarebbe mancato Kakashi.

Sentì lo sguardo di Shizune su di sé e si rese conto di essersi imbambolata ad osservare fin troppo l’uscio della porta attraverso la quale Kakashi si era dissolto. Si rese conto solo in quel momento di non aver risposto alla domanda. «Uhm... Non mi andava di prendere parte ad una missione così lunga» rispose vaga. «E poi qualcuno deve tenere d’occhio Naruto e Sasuke.»

La sua risposta sembrò soddisfare la collega. «Ah, sì, vero» annuì saggiamente. «Senza te, non avrebbero nemmeno una misera possibilità di passare l’esame jonin.»

Sakura si schiarì la voce. Forse avrebbe fatto meglio ad andare con Kakashi.

«È bello vedere che qualcuno ha il tempo di spettegolare mentre altri si spezzano la schiena a lavoro» le richiamò una voce alle loro spalle.

Sakura scattò sull’attenti in sua direzione. «Maestra! Mi scusi, maestra – le ho portato i documenti che mi ha chiesto, maestra!»

«Bene. Portali qui e diamogli un’occhiata.» Tsunade aspettò Sakura sull’uscio e, una volta entrata, si chiuse la porta alle spalle.

«Perché cammini come se ti fosse passato un camion tra le–»

«Mi sono storta una caviglia.»

 


 

Secondo Kakashi, c’erano solo due tipi di villaggi portuali: quelli sovraffollati e in continuo subbuglio, o letargici e impestati dalla puzza di urina e trementina; il porto di Sokko, in cui si trovava, apparteneva senza dubbio alla seconda categoria.
L’aria era satura d’umidità, e le folate di vento che raramente gli sfioravano il viso portavano con loro l’olezzo di pesce avariato e sale, mentre tutto ciò che lo circondava sembrava essere pesantemente ricoperto da uno strato di sudore afoso.
I pochi alberi erano tutti appassiti, gli abitanti del villaggio se ne stavano accasciati su casse di legno all’ombra, e gli stessi edifici erano evidentemente provati dalla salsedine.

Kakashi discese il pendio verso le banchine insieme al suo team, sotto un cielo rovente che sembrava null’altro che una bianca foschia. I suoi compagni sembravano tutti tremendamente infastiditi e sudavano come maiali, fin troppo abituati al clima mite di Konoha.
Su Kakashi, invece, il caldo non sembrava avere effetto: mentre il suo team continuava a lamentarsi, lui alzò la zip della divisa da jonin fino al mento e spinse le mani in tasca; dopo essere stato di stanza ai confini di Suna durante la guerra, aveva ben imparato a convivere con il caldo.

Era intento ad osservare la pittura scrostata delle case e le crepe sui cardini arrugginiti, quando qualcuno lo affiancò.

«Hey, Kakashi-taichō, non ha caldo?» era Nibiki.

«Sono a posto» rispose cordiale. Apparentemente lo era anche lei, ma un velo di sudore sulla fronte la tradiva. Sarebbe stato un peccato se le avesse rovinato il trucco...

«Forse starebbe meglio se si togliesse la maschera» consigliò lei.

«Sto bene» ripeté.

«Mmh» annuì. «Perché la indossa, se posso chiedere?»

Le rivolse un’occhiata gelida e tagliente, lunga abbastanza da intimidire qualsiasi vittima; uno sguardo del genere, di solito, terrorizzava la gente a vita, ma la ragazza gli sorrise.
«C’era un ragazzo all’Accademia che ne portava una simile» spiegò lei. «Alla fine abbiamo scoperto che la portava perché era davvero bruttino».

E con ciò, Nibiki affrettò il passo e raggiunse il resto del team avanti a loro.

Insomma, era passiva-aggessiva e sfidava la sua autorità, esattamente come si aspettava.
Aveva avvertito puzza di guai quando l’aveva sentita fare quel commento sul lavoro di Sakura, ed era stato proprio in quel momento che aveva deciso di prendere il traghetto  passando per sud, attraverso il caldo rovente del porto di Sokko, piuttosto che optare per l’itinerario nord, che li avrebbe portati al clima fresco del porto di Matsuyama.
Perché Nibiki non era l’unica stronza passiva-aggressiva del team.

«Uhm, Nibiki?» la chiamò.

La ragazza si voltò allegramente.

Fece un gesto vago per indicarsi gli occhi. «Il tuo mascara... uhm... credo tu voglia sistemarlo.»

Nibiki arrossì violentemente e si voltò, sfregando furiosamente il viso e peggiorando il problema; in quel momento, Kakashi si ritrovò a pensare che avrebbe preferito di gran lunga Sakura. Non solo perché era più abile sia in medicina che in combattimento, ma soprattutto perché stava cominciando a sentire acutamente la sua mancanza.
Ed inoltre, i suoi tentativi di insubordinazione erano molto più accattivanti.

Erano in viaggio da ormai quasi una settimana ed avevano alloggiato in parecchie locande decrepite lungo la strada. Il budget gli permetteva di affittare una camera a testa, ma poco cambiava: i muri erano talmente sottili che poteva chiaramente sentire il russare degli occupanti delle camere accanto alla sua, come avessero avuto le labbra appoggiate al suo stesso orecchio. Ed inoltre, i muri sottili non bastavano ad ovattare il suono dei gemiti di piacere che gli arrivavano di tanto in tanto.
Non male come porno gratis, ma alquanto depressivi se ascoltati mentre il suo corpo cercava di abituarsi alla mancanza di qualcuno con cui condividere il letto. Per due notti di seguito era stato raggiunto dagli ansimi di una voce femminile che riecheggiavano nella sua stanza ed invadevano i suoi sogni, portandolo crudelmente a credere di essere tornato con Sakura, e facendolo svegliare con un inconveniente pasticcio da ripulire.

Il “prurito” era tornato, ma non aveva mai desiderato darvi sollievo con una donna in particolare... mentre quella volta, era inconfondibile. C’era un solo viso che gli tornava in mente quando restava solo. Solo i suoi capelli. Solo i suoi occhi. Solo il suo intimo, che ancora conservava accuratamente nel portaoggetti.

Dannazione, cosa avrebbe dato per farle accettare la missione, anche se sapeva quanto fosse giusta la sua scelta. Se fosse andata con lui, non sarebbero passate più di tre notti prima che uno dei due seducesse l’altro. Sarebbero stati i suoi ansimi e gemiti a riecheggiare tra le pareti di quelle locande, rendendo la loro relazione palese.

Quando si erano separati, sei notti prima, era stato chiaro ad entrambi che fosse finita.
Non ne avrebbero più fatto parola, avrebbero semplicemente preso strade diverse per dimenticarsi.
La loro relazione – se così poteva definirsi – era ormai conclusa e Sakura gli aveva detto che era libero di tornare a fare il donnaiolo, come lei lo definiva.

Ma non era stato affatto un addio formale: non si erano stretti la mano né si erano salutati.
Sakura si era alzata dal letto e, dopo essersi rivestita, gli aveva spiegato le condizioni della loro separazione – ed ascoltato le sue – per poi saltargli di nuovo in grembo per baciarlo come fosse stata l’ultima volta che l’avrebbe visto.
Era stato bello, non fosse stato per il fatto che Sakura avesse la cattiva abitudine di eccitarlo con ben pochi sforzi, quindi Kakashi si era costretto a metterla alla porta prima di tornare dove tutto era cominciato: a letto.

Nell’esatto istante in cui Sakura se n’era andata, il sorriso di Kakashi era sparito; e sebbene sapesse che le cose fossero andate esattamente secondo i piani – separandosi senza litigi o drammi e soprattutto mantenendo il segreto – non era affatto felice. Non era di certo depresso, ma nemmeno sentiva il sollievo che era solito provare quando chiudeva un rapporto con una donna... forse perché, questa volta, era finita molto prima di arrivare al punto di voler chiudere.

Ma sebbene avrebbe voluto passare ancora qualche notte insieme a lei, la sua eterna voglia di compagnia non era affatto più importante del bisogno che Sakura aveva di allontanarsi da lui; perché, alla fine, non avrebbe fatto altro che trascinarla a fondo con sé...

«Capitano, quello è il nostro traghetto?» chiese uno dei suoi subordinati. Poteva essere sia Denji che Daisuke, ma si somigliavano così tanto che Kakashi non avrebbe saputo distinguerli.

Arrestò il passo e portò una mano a schermare gli occhi per osservare meglio il porto. «Intendi quel puntino microscopico all’orizzonte?»

Il resto del team gemette di disperazione. «Ma non ne passerà un altro prima di domani» si lamentò l’altro Denji, o Daisuke.

«Avremmo fatto in tempo se stamattina fossimo partiti in orario» fece notare disinvolta Nibiki, rendendo chiara l’allusione a Kakashi dandogli le spalle.

«Il traghetto era un lusso opzionale» specificò lui. «Speravo di prenderlo, ma siccome non è stato possibile, continueremo a piedi».

«Cosa?!» ora Nibiki lo sfidava apertamente.

«Vi hanno insegnato a camminare sull’acqua da genin, no?» chiese retorico. «Sono pochi chilometri, dovete solo fare attenzione alle onde. E alle meduse. E ricordatevi che ogni tanto agli squali piace fare spuntini peculiari.»

Inutile specificare quanto Kakashi fosse amato da quel team e da qualsiasi altro avesse mai capitanato.

Decisero di fare una pausa una volta raggiunto il porto. Nibiki si rifece il make-up, Denji e Daisuke si scambiarono qualche bevanda e Kakashi si sedette contro un muretto, osservando la striscia di terra all’orizzonte.

Quel villaggio portuale era fin troppo silenzioso per lui: c’era una sola barca che galleggiava placidamente ancorata alla banchina. Un uomo dall’apparenza stanca e trasandata provò a vendergli pezzi di calamari allo spiedo immersi in quella che sembrava salsa di soia appiccicosa, ma Kakashi rifiutò cortesemente. Non era saggio accettare cibo non richiesto durante una missione, perciò schiaffeggiò la mano di Denji o Daisuke quando uno dei due jonin alzò il braccio per richiamare il venditore ambulante.

«Ma muoio di fame, capitano» si lamentò Daisuke, o Denji.

«Non tocchiamo nulla da ieri notte» concordò l’altro.

«Prima ci incamminiamo prima troviamo un posto in cui mangiare» spiegò. «Quindi, se abbiamo finito tutti di sistemarci il rossetto, possiamo–»

«Vi serve un passaggio?»

L’intero gruppo si girò verso l’uomo che aveva parlato.
Sembrava essere un pescatore, a giudicare dalle reti che si trascinava dietro, abbinate alla barba bianca selvaggia che portava e al capo calvo ed abbronzato.
La bocca gravemente sdentata era parzialmente nascosta dai lunghi baffi.

«Sì!» rispose impulsivamente Nibiki.

«No» corresse Kakashi, fissando la sua nuca.

«Sto per salpare per le Isole Yura... posso lasciarvi nei dintorni, se il compenso è generoso».

«Abbiamo la stessa destinazione!» si entusiasmò ancora la ragazza. «Quanto vuole?»

«Uhm...» Kakashi cercò di interromperli.

«Cinquantamila ryo

«Kakashi-taichō, abbiamo–»

«No.» Anche i passaggi non richiesti erano fuori discussione.

«Ma dovremo camminare per ore!» protestò Nibiki. «Ed è anche più economico del traghetto – e cosa faremmo se inciampassi, cadessi e annegassi? Queste borse sono pesantissime

Kakashi sapeva bene come mai Nibiki fosse stata promossa alla prova semestrale.
Ma anche i due jonin lo guardavano con sguardo speranzoso, e il marinaio sembrava davvero essere un innocuo vecchietto... anche se non c’era da fidarsi delle apparenze.

«Quella è la sua barca?» Kakashi ammiccò all’imbarcazione sporca e solitaria con le vele piegate.

«È la mia barca» annuì umilmente.

Kakashi sospirò. «Ci serve un passaggio per le Isole Yura. Riesce a portarci lì prima del tramonto?»

«Ci arriveremo nel primo pomeriggio... Per sessantamila ryo

«...Ha... ha appena aumentato il prezzo.»

«Capitano, lo paghi prima che arrivi a settantamila.»

«Bene, bene...» Stava diventando fin troppo accomodante con il passare degli anni, ma che senso aveva affrontare una camminata del genere quando poteva godersi un viaggio in barca?

Contò le banconote e le porse al marinaio, che si incamminò verso l’imbarcazione seguito dal resto del team. In un momento di distrazione, Kakashi lo analizzò con lo sharingan: non era camuffato, né c’era alcun chakra captabile. Sembrava essere esattamente ciò che era: un marpione in cerca di denaro.

Presto Nibiki rivalutò il colpo di fortuna che avevano avuto, quando dopo appena un quarto d’ora di viaggio era appesa al fianco della barca, intenta a svuotare il contenuto del suo stomaco tra le onde, mentre la leggera barchetta veniva scossa da ogni singola onda.

Ancora una volta Kakashi si ritrovò a vestire i panni dell’aiutante di ragazze con problemi di stomaco, dato che sia Denji che Daisuke apparivano altrettanto provati.
«Perché non ci hai detto che soffri il mal di mare?» le chiese stancamente, sentendosi come catapultato indietro nel tempo a quando faceva da babysitter a tre ragazzini, piuttosto che essere a capo di un team di due jonin adulti ed un ninja medico qualificato.

«Non ne avevo idea» gemette Nibiki. «Non sono mai stata su una barca.»

Ah. «È per questo che hai insistito tanto?»

La ragazza gemette ancora. «Puzza tutto di pesce...»

«Le barche da pesca in genere sono così.»
Sembrava non aver più nulla nello stomaco da rigettare, quindi Kakashi aprì il proprio zaino con una mano – mentre l’altra ancora le reggeva i capelli – per poi estrarne un fazzoletto. «Prendi» le disse, porgendoglielo.

«Grazie» rispose lei, più docilmente di quanto l’avesse mai sentita fare, mentre si tamponava discretamente le labbra.
Le lasciò i capelli dandole una pacca compassionevole sulla testa, ma Nibiki restò aggrappata al bordo dell’imbarcazione per svariati minuti ancora, prima di sollevare il capo. «È molto più gentile di quanto fosse il mio sensei.»

«Chi era?»

«Morino Ibiki.»

«Ah...» questo spiegava parecchie cose.

«Invidio molto Sakura» gracchiò.

Ho notato, pensò Kakashi, ma non aggiunse altro.

«Perché non ha portato lei?» gli chiese, guardandolo. «È un medico migliore di me. Senza considerare che può scavare un tunnel con un pugno. Quindi... perché io?»

«Non pensare che ti abbia scelta perché sei speciale. Sakura era impegnata.»

«Non sembrava esserlo... quando le ha fatto l’occhiolino.»

Kakashi fissò stoicamente l’orizzonte.

Nibiki si alzò e sistemò i capelli dietro le orecchie. «Ha sentito che uno dei maestri jonin va a letto con una studentessa?» chiese.

«Se tieni gli occhi fissi sull’orizzonte, ti aiuterà a mantenerti in equilibrio e ti sentirai meglio» la informò.

«Giusto...»

Il viaggio proseguì tranquillamente.
Nibiki diede di stomaco ancora un paio di volte, fino a quando non le restò nulla da rigettare, e perfino uno tra Denji e Daisuke si sentì male. Al marinaio sembrava non importare affatto e proseguì spedito, ma almeno mantenne la parola data e li lasciò a destinazione cinque minuti prima delle tre.

«La ringrazio» gli disse Kakashi, mentre sbarcava insieme al team.
Il suo era più un “grazie di essere chi dicevi di essere e non un nemico mandato ad ucciderci prima che noi stessi uccidiamo i bersagli della missione, e soprattutto di aver ripristinato la mia speranza nell’umanità di almeno qualche punto”, ma sarebbe stato un discorso complicato da districare ed aveva fretta. «Andiamo» chiamò il trio barcollante alle sue spalle. «Camminateci su.»

«Ma ho fame» si lamentò qualcuno.

«Camminateci su» ripeté.

«Rimangio ciò che ho detto» disse Nibiki. «Lei è molto più crudele di Ibiki-sensei.»

«Questo sì che è un successo. Mi assicurerò che lo scrivano sulla mia tomba» rispose piccato.

Si incamminarono ed in breve furono fuori dal porto; una volta imboccato un sentiero nella foresta, si trovarono a camminare tra santuari diroccati e piccoli branchi di scimmie che gli tagliavano la strada di tanto in tanto.
Le scimmie erano una vera rarità nel paese del fuoco, ed ovviamente i membri più giovani del team ne erano incuriositi.

«Non fissatele» li avvisò Kakashi.

«Perché no?» chiese Denji, o Daisuke.

Il grosso scimmione che stava osservando spalancò improvvisamente le fauci emettendo un forte urlo, per poi avviarsi a grandi falcate verso di loro.
Entrambi i jonin balzarono all’indietro, e Nibiki – lanciando un urletto – si aggrappò al braccio di Kakashi. Ma un attimo prima di caricarli, la scimmia deviò verso gli alberi e sparì, soddisfatta del suo bluff.

«Ecco perché» scherzò Kakashi, scrollandosi gentilmente di dosso Nibiki.

«Questo posto non mi piace» disse lei, rabbrividendo nello scrutare una grossa statua coperta di muschio dalle sembianze di una scimmia ghignante, nascosta nell’erba alta ai lati del sentiero.

«Ti ci devi abituare» le disse Kakashi. «Potremmo dover restarci per un mese.»

«Sta cominciando a dispiacermi che Sakura fosse così impegnata, sa?» gli rivolse un’occhiatina complice – che Kakashi ignorò – ma questa volta Nibiki sembrava restia a far cadere l’argomento. Dopo aver lanciato uno sguardo alle sue spalle per assicurarsi che entrambi i ragazzi fossero abbastanza lontani da non sentirla, si piazzò al fianco di Kakashi e gli sussurrò: «Non sono un’idiota, capitano. So che c’è qualcosa tra lei e Sakura.»

«Non mi piace ciò che stai insinuando» le disse Kakashi, con distacco. «La mia relazione con Sakura è strettamente platonica. Alludere ad altro mina la fiducia che–»

«Oh, la faccia finita, non lo dirò a nessuno» ridacchiò.

Kakashi fece una smorfia.

«Scommetto che si sta chiedendo come faccio a saperlo–»

«Nient’affatto–»

«Beh, riflettendo sulla voce che gira da un po’ di giorni, sono solo dieci le persone a cui può riferirsi; escludendo Ibiki-sensei perché lo avrei saputo se fossi stata io, ne rimangono nove. La maggior parte di loro è sposata, e quelli che non lo sono, sono troppo vecchi per i loro studenti. Lei e Sakura formate l’unica coppia possibile, e l’occhiolino che le ha rivolto fuori l’ufficio dell’Hokage ha confermato i miei sospetti. Quello, ed il fatto che ha un paio di mutandine con il suo nome sull’etichetta nel borsellino delle armi. Le ho trovate mentre faceva il bagno.»

Kakashi sospirò. «Sul serio... non so di cosa tu stia parlando.»

«Va bene, lo capisco» disse comprensiva, dandogli una pacca sulla spalla. «È giusto negare. Ma non crede che se avessi voluto dirlo a qualcuno lo avrei già fatto?»

«Forse vuoi ricattarmi» suggerì lui.

«Ah-hah!» gli puntò un dito contro. «Quindi lo ammette!»

«Ammettere cosa?» chiese innocentemente.

«Scommetto che le manca...»

«Nibiki» la chiamò, stancamente.

«Va bene, non parlo più».

E mantenne la parola: in quell’esatto momento un kunai le squarciò la nuca e la uccise.

 


 

Quel giorno Konoha era avvolta da una nuova ondata di calore sporadico, tipica di metà estate. Le nubi minacciose erano ormai sparite dietro le montagne, lasciando il cielo terso, e Sakura stava innaffiando le piante.
Era una calura secca, abbastanza da dormire con la finestra chiusa, ma sufficiente a far appassire i fiori per la mancanza di pioggia.

Sakura si sporse oltre il davanzale della finestra per versare un altro bicchiere d’acqua nel vaso di Mrs. Uno; tutte le altre piante erano ormai morenti, ma Mrs. Uno era un osso duro, anche se non riceveva di certo cure sufficienti.

Con un pensiero sfuggevole, si chiese se non fosse il caso di dare un’occhiata alla controparte di Mrs. Uno, Mr. Ukki. Ora che Kakashi era lontano da casa, la povera piantina sarebbe stata sicuramente trascurata; il suo sensei sarebbe si sicuramente rattristato nel trovarla appassita al suo ritorno, come era successo a Miss Urru dopo averla lasciata a Sasuke per appena una settimana.
Ma controllare Mr. Ukki avrebbe comportato tornare nell’appartamento di Kakashi, e non le sembrava affatto una buona idea viste le circostanze. Si sarebbe ritrovata a ricordare l’ultima volta in cui era stata lì, e non voleva sentire la sua mancanza.

«Hey, fronte spaziosa!»

«Maialino.»

Lungo la strada sottostante, Ino ghignava come una iena: petto in fuori e mani nascoste dietro la schiena, cercava di assumere una posa quasi innocente. Sakura si chiese se non fosse il caso di rovesciarle addosso l’acqua che le restava nel bicchiere, giusto per divertirsi un po’.

«Vieni all’Osservazione dei Fiori Selvatici?» chiese Ino.

«Osservazione dei fiori selvatici?» fece eco Sakura, confusa.

«C’è la locandina alla bacheca degli annunci da almeno una settimana. Dio, Sakura, ultimante hai proprio la testa tra le nuvole.» Ino alzò le braccia verso di lei, mostrandole due bottiglie che scintillarono al sole. «Se non vieni, ti perdi tutto il mio sakè!»

Pur non avendo voglia di osservare altri fiori, Sakura non aveva molta scelta: era ormai una tradizione, e Ino  non se ne sarebbe andata senza di lei.
Sospirò pesantemente e mise da parte lo spray per le pulizie, per poi raggiungere Ino ed incamminarsi insieme a lei verso il campo d’allenamento numero 6; era riservato agli studenti dell’Accademia pre-genin, quindi era quello più intatto.
Quando arrivarono, c’erano già parecchi gruppetti sparsi intorno al laghetto, tutti impegnati nei loro picnic a base di alcol. Era uno dei pochi giorni all’anno che gli shinobi avevano per rilassarsi: ufficialmente era un raduno per osservare i fiori e riflettere sulla natura transitoria della vita; in realtà, era solo un’occasione per ubriacarsi, diffondere gossip maliziosi e flirtare spudoratamente con i colleghi – come aveva potuto dimenticarsene?

Beh, sicuramente aveva avuto ben altri pensieri quella settimana...

«Sakura-chan! Ino-chan! Vi abbiamo riservato un posto!» Naruto era nel cuore del trambusto, con gli occhi lucidi e del sakè tra le mani. Accanto a lui, Sasuke sedeva con gli occhi socchiusi: la solita aura altezzosa era smorzata dalle gote arrossate – forse dal sole, forse dall’alcol. Sulla stuoia accanto alla loro c’era radunato il team 8 al completo e al loro fianco il restante team 10.

Ed andarono tutti al sodo.

«All’estate!» tuonò Ino, facendo tintinnare la propria bottiglia di sakè contro quelle del suo team. Sakura cercò di contenersi in principio, ma ogni sua iniziativa fu interrotta dall’amica che le spinse letteralmente l’altra bottiglia ambrata giù per la gola, a suon di «Bevi!».

La conversazione si animò subito, e Sakura vi prestò attenzione per non restare esclusa. L’argomento corrente – capì poi – era il dibattito su quale fosse lo shinobi più sexy di Konoha.

«No comment» fu tutto ciò che Sasuke ebbe da dire.

«Uhm...» Hinata avvampò, posando gli occhi su qualsiasi cosa non fosse Naruto.

«Sai» sospirò Ino.

«Tenten» confessò Kiba, sicuro. «È la migliore coi nunchaku

Sakura si sentì a disagio, quindi acciuffò il primo nome esterno al gruppo che le passò per la mente. «Il capitano Yamato».

In risposta ottenne una serie di sputacchi, gridolini e qualche cenno di confusione. «Che?!» fu il commento generale.

«C-credo sia dolce» si giustificò, con il viso in fiamme. Se l’avesse sentita il capitano...

«Ma se ha degli occhi terrificanti!» protestò Naruto.

«Esprimono profondità» scattò lei.

«Hah!» sbuffò Ino.

«Senti chi parla!» rispose, spostando l’attenzione sull’amica. «Sai è profondo quanto un lavandino che perde!»

«Oi, oi, oi!» Shikamaru si intromise quando fu palese che le ragazze si stavano preparando ad una discussione che sarebbe culminata con qualche capello in meno.

«Preservatevi per quando avremo una pozzanghera di fango a disposizione» consigliò Choji, inconsapevole di aver sventato la rissa attirando su di sé l’odio delle ragazze, ora unite nell’esasperazione contro il genere maschile.

«Urgh» sospirò la bionda.

«Uomini, che vuoi farci» concordò Sakura.

«Io invece credo...» Naruto si puntellò il mento. «Nibiki! Il ninja medico!»

«Ew, cosa?» lo fulminò la sua compagna di team. «Non puoi essere serio.»

«Sì, in effetti è piuttosto carina» fece eco Kiba.

«Ma è grassa» protestò Ino.

«E con ciò?» chiese Choji.

«Nulla, nulla» aggiunse in fretta l’amica.

Shikamaru scosse la testa. «Non è grassa, ha le curve ai punti giusti. Non è affatto male, credo... Anche se mi pare abbia un caratteraccio.»

«E comunque, dov’è quella vacca?» chiese Ino, stizzita. «È da un po’ che non la vedo in ospedale.»

«Kakashi-sensei l’ha portata in missione» rispose Sakura, a voce bassa.

«Eh?» Naruto la guardò stralunato. «E perché?»

«Gli serviva un medico» disse ancora, con un tono ai limiti dell’udibile.

«Se gli serviva un medico perché non ha portato te?»

La risposta di Sakura fu così mesta che nessuno poté sentirla.
Ino rise. «O perché fai schifo come medico, o perché gli piace, e in ogni caso tu – hey!»

«Basta sakè per oggi» le disse Shikamaru, tenendo la bottiglia mezza vuota fuori dalla sua portata. «Sei una cattiva bevitrice.»

«Sakura sa che scherzo» singhiozzò lei. «E poi cosa vuoi che le importi di quello che pensa Kakashi-sensei? Ha già quel suo fidanzato super segreto che tiene tutto per sé e non condivide con noi.»

Sakura raccolse la testa tra le mani, ritrovandosi a sperare che il mondo smettesse di girare da un momento all’altro. «Ino» chiamò in tono di avvertimento, ma era già troppo tardi.

«Hey, ne ho sentito parlare, chi è?» chiese Naruto, e perfino Sasuke aprì gli occhi abbastanza da osservarla con fare quasi interessato. In effetti, in quel momento aveva tutti gli sguardi puntati addosso – fatta eccezione per Ino, che cercava di scavalcare Shikamaru per riavere la sua bottiglia.

«Nessuno» rispose rigida, cercando di suonare quanto più disinteressata possibile. «Non ascoltate Ino, è solo ubriaca.»

«Stronzate!» tuonò l’amica, rinunciando una volta per tutte alla riconquista dell’alcol. «Mi sono appostata sotto casa tua qualche notte fa, e sei tornata all’alba. Eppure la sera prima c’eri, ed io lo so perché... Beh, ti ho seguita. Dove hai passato la notte?»

Sakura si trovò di nuovo inchiodata dagli sguardi dei suoi amici.

«Ho fatto una passeggiata prima dell’alba» si giustificò debolmente.

«Anche qualche notte fa non c’eri» rincarò Sasuke, monopolizzando l’attenzione generale – era la frase più lunga che avesse pronunciato, quel pomeriggio. «Io e Naruto siamo passati per ricordarti della revisione di quella mattina, ma non c’eri. Il tuo vicino ci ha detto che ultimamente passi spesso la notte fuori. Dove sei stata?»

«Io – uhm – seppure fossero affari vostri – e non lo sono! – sì, ho passato qualche notte a casa di una persona, ma è finita e non mi va di parlarne.» Sakura incrociò le braccia.

«Quindi ti ha scaricata?» punzecchiò Ino.

«No!» scattò. «Nessuno è stato scaricato – è stata una separazione concordata.»

Ino si protese verso Choji e bisbigliò, ma senza alcuna discrezione, «L’ha scaricata.»

«Va bene, va bene, lasciate in pace Sakura. Se non le va di parlarne, sono affari suoi» la difese Shikamaru. «Cambiamo argomento e lasciamo da parte il suo misterioso ex.»

Sakura sentì un moto di gratitudine verso il suo pigro amico.

«Ad esempio, secondo voi tra quanto tornerà Kakashi-sensei? E quanto tempo impiega a sistemarsi i capelli in quella maniera?»

Qualche dio minore – da qualche parte nel cosmo – si stava prendendo gioco di lei, ne era sicura.

Quando le fu permesso di tornare a casa, era ormai stanca e brilla. I suoi amici erano di certo un bel gruppetto, almeno quando non le imponevano un interrogatorio serrato, cercando di estrapolarle informazione che avrebbero ferito più loro che lei. Fortunatamente, la questione “fidanzato misterioso” sarebbe caduta in fretta nel dimenticatoio; ancora più rapidamente, se si fosse decisa a trovarsi un ragazzo.

Ma non le andava affatto.
A meno che non ci fosse stato qualcuno, là fuori, identico a Kakashi.

Arrivò a casa accaldata e stordita, e filò a letto senza nemmeno spogliarsi. E sebbene le piacesse la pace e la solitudine, non era lo stesso senza nessuno lì ad aspettarla. Ed era strano, perché in genere preferiva avere il letto tutto per sé, soprattutto dopo averlo condiviso con un ragazzo ed aver sopportato il russare, i piedi freddi e le gomitate.
Ma dividere il letto con Kakashi, sebbene per breve tempo, le era sembrato naturale: non le aveva mai tirato le coperte – anche perché ne avanzano in abbondanza, quando si dorme avvinghiati l’uno all’altra – non russava mai, o almeno mai abbastanza da svegliarla, e se sporadicamente l’aveva sfiorata con i piedi freddi, non le aveva mai dato fastidio.

Le mancava.
Soprattutto nei momenti di solitudine come quello.
Si chiese dove fosse, come andasse la missione e sperò con tutto il cuore che stesse bene. Nel loro mondo, c’era sempre la possibilità che uno shinobi non facesse ritorno a casa – specialmente durante una missione d’alto rango come quelle di Kakashi – ma trattandosi di lui e conoscendo le sue capacità, si impose di restare tranquilla: sarebbe stato un insulto fare altrimenti.

Aveva fatto bene a troncare la loro relazione.
Era un bene che in quel momento non fosse con lui.
Ed ancor di più il fatto che fosse da sola a letto a rotolarsi tra le lenzuola piuttosto che farlo con lui in qualche posto esotico, lontano e tremendamente romantico con il solo calore dei loro corpi a riscaldarli mutualmente.

«Guh...» si lamentò, affondando tra le lenzuola.

Sarebbe stato terribilmente sconveniente innamorarsi della persona meno adeguata al mondo...

 


 

Sakura si svegliò al suono di qualcuno che le prendeva a martellate la testa. Il dolore si posò sugli occhi mentre si metteva a sedere e cercava di ricordare perché mai fosse andata a letto vestita. Si riprese quanto bastava per alzarsi e andare a controllare chi bussava alla porta con tanta insistenza.

La maniglia era l’unica cosa che la reggeva in piedi, mentre si affacciava dallo spiraglio aperto. «Sì...?» chiese, confusa.

«C’è bisogno urgente di lei all’ospedale, Sakura-san» un paramedico.

Sakura si raddrizzò e si passò una mano sulla faccia. «C’è un emergenza?»

«Il team Kakashi è tornato» le rispose cauto il collega. «Ci sono state... vittime.»

La mano di Sakura cadde esanime lungo il corpo. «Oh» disse. «Lui...?»

«Non lo so» le rispose dispiaciuto. «Deve venire subito.»

«Sì. Giusto. Uhm. H-ho bisogno delle scarpe. Dovrei cambiarmi? No... no... scarpe... dove sono le mie scarpe?» Esitò per un istante, insicura sul come agire. Indossò uno stivale ed un sandalo, poi si rese conto dell’errore e lasciò il sandalo per infilare l’altro stivale. Si voltò di nuovo verso l’appartamento e si chiese se fosse il caso di portare un cambio –

Kakashi potrebbe essere in fin di vita, stupida!

La sua mente offuscata individuò un nuovo obbiettivo e scosse la testa. «Sono pronta» disse, sorpassando il paramedico con una fretta tale da urtarlo, dimenticando addirittura di chiudere la porta.

Corse talmente tanto da avere l’impressione di volare lungo le strade, tagliando per ogni scorciatoia conosciuta e scaraventando via qualsiasi cosa la intralciasse, fossero tubi, persone o palazzi. Arrivò all’ospedale in pochi minuti, schiantandosi contro le porte e lasciando strisciate con gli stivali sui pavimenti lucidi. Urtò almeno un paio di infermiere nella fretta di raggiungere il reparto emergenze, e nel momento esatto in cui arrivò, Shizune la tirò per un braccio.

«Dammi una mano, svelta!» la spinse verso una barella su cui giaceva un uomo mortalmente pallido. Una ferita profonda all’addome sanguinava copiosamente.

Ma non era Kakashi.

«Dov’è Kakashi-sensei?» chiese Sakura.

Shizune scosse la testa. «Quest’uomo faceva parte del team Kakashi. Curalo, ora.»

Non era in posizione di negarsi, né avrebbe potuto andare a cercare Kakashi sebbene lo volesse. Non era nella sua natura lasciare morire un uomo, a prescindere da quali fossero le sue priorità. Nonostante i postumi, nonostante il timore che Kakashi fosse già morto e stessero solo evitando di dirglielo, nonostante avesse l’urgente bisogno di una doccia ed un cambio di vestiti, si mise a lavoro e cominciò a pompare il proprio chakra nel sistema danneggiato del suo paziente.

Profonde ferite allo stomaco e al fegato... Era ad un passo dalla morte. Aveva perso troppo sangue ed altri tre medici cercavano di tenerne vivo il battito.
Si chiese se anche Kakashi fosse nelle stesse condizioni, poi chiuse gli occhi e si disse che se avesse voluto salvare la vita di quell’uomo, avrebbe dovuto sgomberare la mente da Kakashi.
Il suo paziente aveva diritto a non meno della sua piena attenzione.

Lentamente, le lacerazioni presero a richiudersi. Le membrane intrise di sangue si ricucirono e la pelle prese a rigenerarsi.
Solo quando Shizune le diede una pacca sulla spalla capì che poteva fermarsi.
Non era completamente guarito, ma ormai aveva solo bisogno di sangue e non era qualcosa che il chakra avrebbe risolto.

«Ottimo lavoro» disse Shizune, impressionata. «E anche rapido. Tsunade ne sarà felice, ma conserva le energie. C’è qualcun altro che ha bisogno di cure.»

Sakura fu guidata lungo il reparto fino ad un’altra barella sulla quale giaceva disteso a pancia in giù un uomo; una ferita profonda gli squarciava la schiena. Era già stata pulita accuratamente da un’infermiera, che all’arrivo di Sakura si fece da parte per lasciarla al suo lavoro. Ancora una volta il viso di Kakashi si sovrappose all’immagine che aveva davanti, facendole avvertire tutta la frustrazione del non sapere dove fosse né come stesse.

Concentrò le sue energie sulla ferita del paziente e chiuse gli occhi; era solo superficiale, profonda ma non fatale: nessun organo vitale era stato colpito e per fortuna i nervi erano ancora tutti intatti. Non le ci volle molto per guarirla completamente, ed appena ebbe terminato, si rivolse a Shizune con uno sguardo risoluto. «Dov’è Nibiki? Avrebbe dovuto occuparsene lei.»

Ed in quel momento capì.
Nibiki era un bravo medico e non avrebbe mai permesso ai suoi compagni di tornare a casa in quelle condizioni.

Shizune sembrò esitare per un istante. «Nibiki è morta, Sakura.»

Non c’era molto da aggiungere.
Sakura sentì un nodo formarsi alla base della gola e si rese conto che le tremavano le mani.
Le chiuse a pugno e deglutì. «Dov’è Kakashi-sensei?»

Shizune indicò con un cenno del capo la porta di una stanza privata, appena fuori dal reparto. Senza neanche voltarsi, Sakura vi si avviò.

«Aspetta – no – Sakura, non puoi entrare ora–»

Sakura spinse la porta ed entrò senza pensarci due volte, con il cuore da qualche parte in gola.

Nella camera, due paia d’occhi si voltarono per la sua improvvisa apparizione.
Lui sedeva sul bordo di un lettino, con addosso una maglia lacerata ed un braccio fasciato, ma indubbiamente in buone condizioni.
Ma non aveva il copri fronte, e quando si voltò a guardarla l’unico occhio visibile era rabbuiato e vuoto. Quello sguardo le fece dubitare che stesse bene.

Sembrava a pezzi.

«Sakura, esci» le ordinò Tsunade.

Sakura guardò ancora Kakashi, ma lo sguardo di lui scivolò sul pavimento. In quel momento, lasciarlo era l’ultima cosa che voleva fare.

«Sì, maestra. Scusi, maestra. Sensei.» Si inchinò profondamente in segno di scusa e sparì velocemente.

Ancora una volta trovò Shizune, la quale le offrì un sorriso triste ed una pacca sulla spalla prima di tornare dai feriti.
Sakura prese a camminare su e giù per il corridoio, chiedendosi cosa fare oltre a torturarsi le mani, in ansia come un parente in una sala d’attesa.

Non ci volle molto prima che la porta si aprisse di nuovo e Tsunade la raggiungesse. «Ha ancora qualche lacerazione alla schiena che ha bisogno di essere curata. Puoi occupartene tu. Io devo informare la famiglia di Nibiki...»

Sentì un peso sul cuore. Era sempre difficile accettare una perdita, sebbene nel loro mondo capitasse spesso. Qualche volta qualcuno che conosci, la maggior parte delle volte qualcuno che non conosci, ed occasionalmente perfino qualcuno che non ti stava affatto simpatico. Eppure, era strano per lei pensare che non avrebbe mai più rivisto Nibiki; non invidiava affatto il compito di Tsunade.

Ma ciò che davvero la preoccupava era il fatto che fosse capitato sotto la guida di Kakashi. Per quanto ne sapesse, non aveva mai perso un subordinato, era sempre stato così attento alla salvezza dei suoi compagni di team...

Sakura entrò di nuovo nella stanza – stavolta più discretamente – e richiuse dolcemente la porta alle sue spalle. Kakashi sedeva ancora sul letto, troppo impegnato ad osservare il pavimento per accorgersi di lei, e per un attimo Sakura si sentì insicura: non sapeva cosa fare, né cosa dire per alleviare il suo dolore; non sapeva nemmeno se Kakashi apprezzasse la sua presenza in quel momento. Era indecisa tra l’assumere un atteggiamento professionale e curare le sue ferite come con qualsiasi paziente, o comportarsi amichevolmente e provare a guarire anche le ferite che non vedeva.

Mosse un passo cauto verso di lui e Kakashi sollevò il viso come se si fosse appena accorto di lei. Qualcosa nel suo sguardo si addolcì e le tese una mano, ed improvvisamente tutte le sue incertezze svanirono e seppe esattamente cosa fare. Senza un attimo di esitazione, afferrò la sua mano e lo strinse in un caldo abbraccio, facendo attenzione a non ferirlo.

Per buona pace dei loro accordi.

Kakashi poggiò il mento sulla sua spalla e Sakura poggiò la testa sulla sua. Sospirarono insieme per il sollievo di riavere il contatto fisico che si erano negati per una settimana intera e non sembrò esserci altro da dire. Le parole non bastavano ad esprimere ciò che quel semplice tocco diceva. Ciao. Come stai? Sono felice che tu sia vivo.

Riluttante, Sakura interruppe l’abbraccio per guardarlo in viso e prese ad accarezzargli i capelli, mentre Kakashi chiudeva gli occhi, godendo del suo tocco. Districò con cura le ciocche con le dita, mentre una mano di lui restava poggiata dolcemente sul suo fianco.
«Nibiki è morta» le disse laconico, spezzando il silenzio ma non l’atmosfera. «Mi dispiace.»

«Perché ti scusi?» gli chiese tristemente. «Non è colpa tua.»

Kakashi aprì l’occhio destro, ma non la guardò.

Sakura tirò delicatamente una ciocca di capelli per livellare i loro sguardi. «Non è colpa tua, hai capito?» ripeté con più decisione.

L’occhio che la guardò era vuoto ed indecifrabile. «C’è stato un imboscata poco dopo essere arrivati su una delle isole Yura. Hanno mirato direttamente al ninja medico. È una tattica sempre più comune, privare il nemico del supporto medico. L’hanno colpita con un kunai alla nuca ed è morta sul colpo.»

Le mani di Sakura si poggiarono sulle ginocchia di Kakashi; si morse le labbra e trattenne le lacrime che sentiva pizzicarle gli occhi.

«Erano in otto. Siamo riusciti solo a costringerli alla ritirata ed ho dovuto usare il rotolo del teletrasporto di emergenza per salvare Denji. O Daisuke. Probabilmente entrambi.» Una nuova ondata di biasimo sembrò posarsi sulle sue spalle. «Ho dovuto lasciarla lì, Sakura. È già stata inviata una squadra di recupero per riportare il suo corpo a casa, ma impiegheranno almeno una settimana per trovarla. Dubito rimanga qualcosa da riportare, fino ad allora.»

«Non è colpa tua» ribadì. «Hai fatto la cosa giusta in base alle circostanze.»

«Potevi essere tu.»

Gli occhi di Sakura saettarono verso i suoi, ma lo sguardo di Kakashi restava basso. «Non essere sciocco» lo rimproverò. «Non potevi saperlo.»

«Se avessi accettato la missione, sarebbe il tuo corpo a giacere abbandonato sul sentiero di una foresta lontana» disse stancamente.

«Cosa ti salta in mente?» chiese, rabbiosa. «Non sono morta, sono qui con te. Perché preoccuparsi di qualcosa che non è successo? Nibiki è morta, ed è triste... Ma io non sono come lei, sensei. Per favore, prendine atto.»

Aggirò il letto e si posizionò alle sue spalle. «Ora, Tsunade dice che hai delle ferite alla schiena. Devo sollevarti la maglietta per guarirti.»

Della maglietta in questione non restava ancora granché: la maggior parte del tessuto che copriva la schiena era stato strappato e lasciava la pelle ferita e sporca esposta. «Una lunga scivolata, si direbbe.»

Facendo molta attenzione, sollevò la stoffa restante e chiese a Kakashi di tenerla ferma sulle spalle; si mise subito a lavoro e pulì le ferite con un unguento disinfettante. Era una procedura piuttosto dolorosa, ma Kakashi non sussultò nemmeno una volta: solo occasionalmente tratteneva il fiato, quando tirava via qualche scheggia rocciosa.

Disinfettati i tagli, prese a medicarlo con il chakra. Si prese i suoi tempi, concentrandosi per fare del suo meglio per lui, ma aveva speso già troppe energie per i pazienti precedenti e dovette costringersi a fermarsi quando la pelle si fu appianata. Era ancora arrossata e raggrinzita in qualche punto, ma non poteva fare di più al momento.

Sbuffò per la stanchezza e la frustrazione, poi poggiò le mani sul materasso. «Ecco fatto» sussurrò.

Kakashi lasciò cadere la maglietta e si alzò, stiracchiando le spalle. «Grazie» le disse, distratto. «Non fa più male.»

Si voltò verso di lei e cadde un silenzio imbarazzante. Sakura chiamò a raccolta le ultime forze per raddrizzare la schiena e mise su un sorriso forzato. «Suppongo che sei libero di andare, allora» disse, cercando di smorzare la tensione con finta allegria.

Kakashi prese un respiro e per un attimo sembrò voler dire qualcosa di profondo e significativo... Ma all’ultimo cambiò idea e sbuffò solo un: «Sì, certo». Poi raccolse la giacca ed il coprifronte e si avviò.
Qualcosa dalle sembianze di un fazzoletto gli scivolò dalla tasca.

«Kakashi-sensei?» lo chiamò, ma non si fermò.

Uscì dalla stanza e per poco non si schiantò contro Shizune, che al contrario stava per entrare. Le mormorò qualcosa che Sakura pensò essere una scusa e poi sparì.

«È il primo compagno che perde in cinque anni» la informò Shizune. «Non dev’essere facile per lui. Volevo fargli sapere che Denji e Daisuke stanno bene, ma credo non avrebbe fatto molta differenza. Povera Nibiki... Era una delle migliori. Mancherà a tutti.»

Sakura sospirò. «Credo andrò a casa» disse, stanca.

«Certo. Scusa per averti trascinata qui a notte fonda.»

«No, nessun problema.»
Sorrise dolcemente e si ravvivò i capelli in disordine. Sorpassò Shizune per avviarsi, ma prima di uscire dalla stanza si voltò a chiederle: «Credi che starà bene?»

Shizune strinse le labbra. «Hatake Kakashi non è mai stato bene fin da quando era bambino. Non mi preoccuperei troppo se fossi in te, se ne farà una ragione.»

Sakura non era sicura di aver capito, ma annuì lo stesso e se ne andò a casa.
Per la seconda volta, quella notte, tornò in un letto vuoto; ma almeno si ricordò di togliersi i vestiti.

Pensò a Nibiki; alla bella, vanitosa e sfortunata Nibiki il cui corpo giaceva abbandonato lontano da casa. Rabbrividì e si chiese se le cose sarebbero andate diversamente se ci fosse stata lei al suo posto. Kakashi sarebbe rimasto così affranto dalla sua morte? Gli era di sicuro passato per la mente, e la cosa la confondeva.

Perché sembrava così colpito dall’idea che potesse esserci lei al posto di Nibiki?

Possibile che a Kakashi importasse di lei molto più di quanto immaginasse?

 


 

Era curioso.
Avrebbe potuto giurare di aver visto qualcosa cadere a Kakashi, quando l’aveva incrociato.
Qualcosa che somigliava ad un fazzoletto di stoffa pregiata, da come aveva intravisto, e Shizune aveva intenzione di raccoglierlo e conservarlo nel caso fosse tornato a riprenderlo; ma dov’era?

Da quando Sakura l’aveva salutata, Shizune gattonava sul pavimento lucido alla ricerca del pezzetto di tessuto. Non era dietro la porta, né sotto al letto. Si accigliò, infilando il braccio sotto al macchinario per la defibrillazione. «Ah-hah!» esclamò, afferrando il fazzoletto latitante, per poi scuoterlo per ripulirlo dalla polvere.

«Oh, santo cielo...» Spalancò gli occhi quando si rese conto di avere tra le mani delle mutandine da donna. Si morse le labbra per trattenere un sorrisetto allegro e le esaminò. Cosa diavolo poteva mai farci Kakashi con quelle? O aveva un’amica speciale, o un hobby piuttosto insolito.

Erano mutandine piccole, fini e delicate; di sicuro costose, ed anche piuttosto scomode. Shizune aguzzò la vista quando notò un nome impresso nell’etichetta. Appartenevano di sicuro a qualcuno che frequentava spesso le terme, o le cui abitudini dell’Accademia erano dure a morire. Le avvicinò agli occhi per distinguere i caratteri del nome...

...e le si gelò il sangue nelle vene.

«Oh... santo cielo...»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci ho provato in tutti i modi a farmelo piacere, ma niente: non mi soddisfa.
Ma è passato troppo tempo dall’ultimo aggiornamento ed era ora.
Sorry!
💕

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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