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Autore: Kimando714    16/06/2021    0 recensioni
Giulia ha solo quindici anni quando impara che, nella vita, non si può mai sapere in anticipo che direzione prenderà l’indomani. Questa certezza la trova durante una comune mattina di novembre, quando il suo tragitto incrocia (quasi) del tutto casualmente quello di Filippo, finendo tra le sue braccia.
E cadendo subito dopo a causa dell’urto.
Un momento all’apparenza insignificante come tanti altri, ma che, come Giulia scoprirà andando avanti nel suo cammino, potrebbe assumere una luce piuttosto differente.
“Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi” - (Italo Calvino)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 76 - STILLNESS OF HEART




 
All that I want
Is stillness of heart
So I can start
To find my way
Out of the dark
And into your heart [1]
 

La seconda settimana di settembre era giunta più in fretta di quanto chiunque si potesse aspettare: faceva ancora parecchio caldo, e nelle calli veneziane si respirava ancora l’afa estiva.
Iniziare i corsi universitari in quei giorni, con temperature ancora proibitive e la frenesia per quel nuovo inizio, per Caterina non era stato un dramma più di quanto non fosse già abituata dai tempi del liceo: poteva fare finta di dover ancora andare a scuola, pensare che quello fosse l’ennesimo inizio di un altro anno al Virgilio – con la sola differenza che non c’era nessuna corriera da prendere, nessuna faccia già conosciuta, e persino la casa in cui si era svegliata quel primo giorno ora era diversa.
Stesa sul letto della sua nuova stanza – decisamente più piccola e più spoglia della sua a Torre San Donato – Caterina tirò un sospiro lungo, stanco. Aveva ripercorso con la memoria quell’ultima settimana per decine di volte, ormai, senza aver ancora realizzato del tutto l’andamento degli ultimi eventi: lei e Giulia avevano trovato un appartamento – abbastanza spazioso e con un affitto nemmeno troppo esoso- giusto due settimane prima, quando il tempo ormai sembrava essere finito, lasciandole spacciate. Si erano trasferite in fretta e furia, e quando l’8 settembre si erano dovute recare per la prima volta nella loro sede universitaria, era successo tutto talmente veloce che non si erano quasi rese conto di essersi effettivamente trasferite e di aver appena cominciato la loro carriera da matricole universitarie.
Erano passati sette giorni da quel giorno, e il disorientamento era calato solo in parte: Caterina doveva ancora abituarsi agli orari delle lezioni, alle lunghe camminate che doveva fare dall’appartamento fino alla sede, e si sentiva tremendamente nostalgica nel pensare alla sua vecchia stanza nella casa di Torre San Donato. Si sentiva ancora sperduta, in quella città del tutto nuova, anche se la presenza di Giulia all’appartamento la rassicurava non poco. Le faceva strano, a lezione, girarsi e non vedere né lei né Valerio accanto a sé: immaginava che fosse solo questione di tempo, ma sospettava che le ci sarebbe voluto un bel po’ per abituarsi all’idea di non trovarsi nella stessa aula con entrambi.
Sospirò, la testa che le doleva per le lunghe giornate che durante quella settimana aveva vissuto. Aveva già sonno, anche se non erano nemmeno le nove, e la sua voglia di uscire era completamente a terra. Non che le dispiacesse trovarsi con Alessio, Pietro, Giulia, Filippo e Nicola, solo avrebbe preferito rimanersene lì per qualche ora, senza fare nulla e riflettere su tutti quei cambiamenti che stavano avvenendo. Sentiva che avrebbe avuto bisogno di un attimo in più di tregua, per meditare, per interiorizzare e mettere in ordine tutti i pensieri che le vorticavano nella mente – e invece se ne stava lì, in attesa che Pietro la passasse a prendere per andare insieme al locale dove si sarebbero trovati con gli altri .
Giulia era già uscita per passare qualche ora sola con Filippo prima della serata, e in quell’appartamento era rimasta solo lei, con i suoi pensieri e tutti i suoi timori più reconditi, e di certo non aveva la minima voglia di perdersi per Venezia, da sola e per di più di sera, e ancor più certamente non avrebbe messo un piede fuori casa fino a quando Pietro non sarebbe arrivato.
Quasi come l’avesse richiamato con la sua stessa mente, sentì il citofono suonare proprio in quell’istante. Caterina si ridestò di colpo; passarono alcuni secondi prima che si alzasse dal letto e si avviasse alla porta d’ingresso, premendo il pulsante per aprire il portone del palazzo senza nemmeno alzare la cornetta del citofono per scoprire chi fosse. Attese accanto alla porta, cercando di riassettare il vestito scuro che indossava. Dopo qualche minuto sentì bussare alla porta, e dallo spioncino riconobbe la figura conosciuta di Pietro.
Caterina, aprendo la porta e scostandosi per poter far passare l’altro, non gli diede nemmeno il tempo di aprire bocca:
-Ti vorrei far notare che sei in ritardo-.
Gli lanciò un’occhiataccia, prima di piegarsi un attimo per potersi infilare i sandali neri ai piedi, già tenuti pronti lì nell’ingresso.
-Volevo lasciarti più tempo per prepararti- replicò convinto Pietro, le braccia incrociate contro il petto – Di solito a voi ragazze servono intere ore per scegliere l’abito, il trucco, le scarpe e … -.
-Invece ero pronta già da un po’- lo interruppe lei, rialzandosi e guardandolo di rimando – Mai basarsi sugli stereotipi. Ammetti semplicemente che eri in ritardo-.
Afferrò la borsa, appesa all’attaccapanni, prima di lanciare un cenno a Pietro. Dopo pochi minuti erano già in strada, sotto il sole quasi del tutto tramontato; camminavano fianco a fianco, le braccia che ogni tanto si sfioravano casualmente, ed un silenzio che a Caterina parve quanto mai strano e teso. Non era lei ad essere particolarmente agitata – si sentiva solamente un po’ stanca, per non essersi ancora abituata ai nuovi ritmi, e un po’ spaesata per le vie che non riconosceva ancora-, ma riusciva a percepire una sorta di ansia nei gesti di Pietro: aveva i tratti del viso tesi, tutt’altro che rilassati, e camminava velocemente con lo sguardo fisso davanti a sé. Caterina cominciava a faticare a stargli dietro, e prima che svoltassero l’angolo, lo afferrò per un braccio, strattonandolo:
-Non potresti rallentare giusto un po’? Non posso correre con i tacchi-.
-Ti prenderei anche in braccio, così da facilitarti la vita, ma ho come l’impressione che se lo venisse a sapere Tessera le mie ore in questo mondo potrebbero finire improvvisamente- la prese in giro Pietro, lanciandole un sorrisetto astuto, che però sparì subito dopo.
Nel sentire nominare Nicola, Caterina scostò lo sguardo da Pietro. Non aveva voglia di parlare di lui, e tantomeno di pensarlo, eppure, nell’attimo stesso in cui Pietro si era riferito a lui, non era più riuscita ad allontanare i pensieri su Nicola dalla sua mente.
Nell’ultima settimana non era riuscita quasi mai a parlargli, a parte qualche sporadica conversazione portata avanti per messaggi.
“Forse è perché l’ho evitato intenzionalmente” ricordò a se stessa.
Forse era più corretto dire che aveva evitato ogni occasione per vederlo e parlargli di persona. Era stato l’unico modo che aveva trovato per non ripensare a tutte le insicurezze e alle indecisioni in cui si era ritrovata a soffocare, dopo averlo visto in compagnia di alcune ragazze – che non dovevano essere altro che sue compagne di corso- l’unico giorno in cui aveva deciso di andarlo a salutare nella sua sede. Caterina era ancora irritata dalla sua stessa reazione, perché vederlo semplicemente parlare con altre ragazze era qualcosa di così banale da esser privo di chissà quali significati e doppi fini, eppure si era sentita, per la prima volta in quegli ultimi mesi, come messa in disparte. Era come se fosse finita improvvisamente in secondo piano, come se ciò che aveva visto qualche giorno prima non fosse altro che il futuro che l’attendeva: Nicola che si sarebbe stancato di aspettarla, si sarebbe stufato delle sue insicurezze, e avrebbe smesso di starle accanto pazientemente. E lei sarebbe finita così, messa da parte e pian piano dimenticata.
La sua parte razionale le stava dicendo che era da stupidi reagire così solo per quello, evitando Nicola in qualsiasi modo, ma non poteva farci nulla se in quella settimana era stata la sua parte più emotiva ad aver preso il sopravvento. In un certo senso ringraziava il destino – o chi per lui- di star passeggiando con Pietro accanto a sé in quel momento, e non Nicola. Non aveva voglia di sentirsi dire da lui che le sue erano solamente paranoie assurde e, nell’altro caso, non aveva il coraggio nemmeno di avere una conferma dei suoi timori.
Sapeva solo che quella situazione stava diventando estenuante, e cominciava a sentirsi completamente in bilico, incapace di prendere una decisione che le permettesse di sentirsi finalmente sicura di sé. Il fatto che avrebbe comunque visto anche Nicola di lì a poco non la stava aiutando a mantenere i nervi saldi.
-Fosse per me sarei rimasto anche a casa, stasera-.
Caterina sentì Pietro bofonchiare seccato; si voltò verso di lui, lanciandogli una veloce occhiata. Effettivamente non sembrava per nulla coinvolto o entusiasta al pensiero della serata che li attendeva: lo sguardo più cupo del solito sembrava esprimere tutto il malessere in cui si doveva trovare in quel momento.
-Non sei curioso di conoscere Alice?- gli chiese Caterina di rimando, cercando di affrettare il passo per potergli stare dietro.
-Conoscerla o no a me non cambia nulla- replicò atono lui, senza nemmeno voltarsi verso di lei – Tanto non è la mia ragazza, ma quella di Alessio. Non sono certo io quello che deve conoscerla-.
-Come sei cinico- lo rimbrottò Caterina, scuotendo appena la testa. Avrebbe quasi giurato che Pietro potesse sentirsi geloso, visto il tono acido con cui aveva parlato. Le ricordava addirittura un po’ la se stessa di quegli ultimi giorni nei momenti peggiori.
Continuarono a camminare ancora per diverso tempo, almeno una decina di minuti, a passo spedito. Ogni tanto Pietro sembrava rallentare, guardandosi intorno, forse per capire se quella era la strada giusta per il posto che dovevano raggiungere.
-Manca ancora molto?- si arrischiò a domandare Caterina, cercando di non perdere il ritmo di camminata: i piedi cominciavano a dolerle un po’, e sperava vivamente che mancasse poca strada da fare.
-Non credo. Dovremmo essere arrivati, dietro quell’angolo- Pietro fece un cenno verso l’incrocio alla fine di quella stessa strada che stavamo percorrendo – Se lo svoltiamo dovremmo ... Oh cazzo-.
Pietro si bloccò non appena svoltarono nella calle dietro l’angolo. Anche Caterina si fermò, confusa, e intuendo in pochi secondi quale doveva essere il problema che aveva bloccato l’altro.
Nello spiazzo dove erano giunti non c’era traccia del discopub dove dovevano trovarsi con gli altri. Era invece una zona piuttosto spoglia, poco frequentata, se non fosse stato per un minuscolo bar che si trovava di fronte a loro.
Avevano completamente sbagliato strada.
-Hai una vaga idea di dove ci troviamo?- Caterina parlò piano, indecisa se voler sentire davvero la risposta di Pietro.
-No. Credo proprio di no-.
Caterina espirò stancamente, chiudendo gli occhi per un attimo e scuotendo la testa con fare rassegnato: improvvisamente si pentì amaramente per aver preferito essere accompagnata da Pietro – e dal suo pessimo senso dell’orientamento.
-Ehi, dolcezza, molla lo spilungone e vieni con noi!- il grido arrivò da un gruppetto di ragazzi seduti ad uno dei tavoli del bar; dovevano essere già brilli, e ammiccavano inequivocabilmente verso Caterina, che alzò il dito medio nella loro direzione all’istante.
-Andiamocene prima che mi venga voglia di mandarli a fanculo di nuovo- borbottò a denti stretti, innervosita.
-Non prenderti male per gentaglia del genere- le mormorò Pietro, lanciando al gruppetto un’occhiata piuttosto torva, prima che lui e Caterina tornassero indietro dalla strada appena percorsa. Le si mise un po’ più vicino come se implicitamente volesse difenderla.
-Forse se usiamo il navigatore del telefono possiamo ritrovare la retta via-.
Caterina sospirò di nuovo, annuendo piano. Si sentiva già stanca, e per un momento si ritrovò a desiderare profondamente di tornare a casa a sua volta.
Per come era cominciata la serata, non si prospettava nulla di positivo davanti ai suoi occhi.
 
*
 
Pur rimanendo fuori dal locale, Giulia sentiva la musica provenire dall’interno pulsarle nelle orecchie. In piedi di fianco all’entrata se ne stava avvinghiata a Filippo, cercando di non perdere l’equilibrio a causa dei tacchi troppo alti che aveva deciso di indossare quella sera. Non riusciva ancora a capacitarsi di come non fosse già caduta nel camminare fino a quel discopub, pentitasi di aver messo proprio quelle scarpe l’attimo in cui aveva accennato il primo passo. Più di qualcuno, entrando nel locale, le aveva fatto l’occhiolino – alcuni le avevano addirittura fischiato, ed in quel momento aveva temuto seriamente che Filippo potesse compiere una strage. Giulia, stretta nel suo vestito bordeaux, si era sentita quanto mai a disagio, infastidita e sull’orlo di una crisi di nervi.
Non era abituata ai locali alla moda, a vestiti eleganti e a tacchi vertiginosi – non sapeva bene neanche lei cosa l’avesse spinta per quel cambio di look quella sera-, e sperava soltanto che gli altri si sbrigassero ad arrivare, per evitare di dover rimanere ferma lì ancora per molto: non vedeva l’ora di sedersi, di essere lasciata in pace, e di bere qualcosa di fresco.
-Non potevano scegliere un posto un po’ più sobrio?- borbottò, corrugando la fronte e scrutando l’orizzonte, per cercare di individuare uno qualsiasi dei loro amici – Sarebbe andato benissimo anche un normalissimo bar. Un posto qualsiasi dove sarei potuta venire anche in maglietta, jeans e scarpe da ginnastica-.
-Credo che il posto l’abbia proposto Alice- le rispose Filippo, calmo e tranquillo come se si sentisse completamente a suo agio, al contrario di Giulia – Quindi magari evita di lamentarti davanti a lei. Non sarebbe un modo carino per iniziare a conoscersi-.
Giulia tirò un sospiro scocciato, spostando il peso da una gamba all’altra. Odiava già quel posto, e il fatto che avesse deciso Alice di andarci non la tranquillizzava. Era curiosa di conoscerla, finalmente, anche se temeva la possibilità di trovarla antipatica o insopportabile. Sarebbe stato arduo, in quel caso, riuscire a non darlo a vedere in maniera troppo esplicita.
-Sta arrivando Nicola- la voce di Filippo giunse a distrarla dai suoi pensieri. Giulia acuì lo sguardo, e non le ci volle molto per individuare la figura bionda e slanciata di Nicola camminare verso la loro direzione. In pochi attimi li raggiunse, l’aria stravolta e gli occhi azzurri velati di stanchezza.
-Che ti è successo per avere un’aria così sbattuta?- Giulia non gli lasciò nemmeno il tempo per salutare, lievemente preoccupata ed incuriosita dall’aspetto affaticato di Nicola. Si ricordava vagamente che doveva aver appena finito di lavorare – aveva trovato giusto qualche settimana prima un impiego da cameriere in un ristorante veneziano, e sebbene i turni non fossero troppo massacranti, a quanto pareva doveva ancora abituarsi ai nuovi ritmi-, ma in quel momento non si fidava molto della sua memoria.
-Ho finito di lavorare giusto mezz’ora fa- disse lui, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte leggermente sudata – Quindi sono dovuto correre a casa per cambiarmi e darmi una sistemata. E poi sono corso qui … Pensavo che sarei stato l’ultimo ad arrivare, ma a quanto pare non sono io il ritardatario di turno-.
-Alessio ed Alice non si sono ancora visti- spiegò Filippo, tirando un sospiro profondo, quasi rassegnato – E spero che Caterina e Pietro non si siano persi nei meandri della città. O potremmo anche rischiare di rivederli direttamente il prossimo secolo-.
Giulia ebbe la netta sensazione che, nel sentire parlare di Caterina insieme a Pietro, Nicola fosse stato punto sul vivo: aveva sbuffato piano, una smorfia dipinta sul viso, ed infine aveva distolto lo sguardo. Non ebbe comunque il tempo per rispondere: Filippo riprese subito a parlare, indicando con la mano due persone ancora lontane da loro, ma dirette proprio a quel locale.
-Meglio tardi che mai! Alessio ed Alice sono finalmente giunti-.
L’attenzione di Giulia si catalizzò completamente sulla coppia in arrivo: benché fossero ancora parecchio distanti da dove si trovavano, non poté fare a meno di starli ad osservare. Alessio sembrava fin troppo elegante, nella camicia scura con solo i primi bottoni aperti, e i capelli biondi perfettamente in ordine. Lo vedeva piuttosto sorridente, mentre avanzava mano nella mano con quella che non poteva che essere Alice. Il suo viso incorniciato dai capelli rossi, che le arrivavano poco più sotto delle spalle, le sembrava effettivamente famigliare – non che ci fosse da sorprendersi visto che Alessio aveva già rivelato loro che Alice non era altri che la cameriera con cui aveva avuto l’incidente la sera della festa di compleanno di Giulia.
Anche Alice sorrideva rilassata, lanciando spesso delle occhiate ad Alessio: sembrava completamente presa solamente da lui, come se non esistesse nient’altro attorno a loro. Giulia non riuscì a trattenere un timido sorrido, nell’osservarli: per quanto dubbiosa potesse sentirsi verso di lei, non conoscendola affatto, sperava soltanto che quella non fosse l’ennesima delusione per Alessio.
Quando finalmente, dopo appena qualche minuto, giunsero davanti a Giulia, Filippo e Nicola, il sorriso di Alessio si fece più imbarazzato e allo stesso tempo più ampio: sembrava lievemente impacciato, e anche Alice le dava l’impressione di essere esitante e timida.
-Scusate il ritardo- Alessio esordì subito, non appena si fu fermato di fronte agli amici, lanciando poi un’occhiata veloce ad Alice – Ammetto che ce la siamo presa un po’ troppo comoda. Siete qui da tanto?-.
-Oh no, solo da circa mezzo secolo- ironizzò Giulia, sorridendo innocentemente, e ignorando bellamente l’occhiataccia che le rivolse Filippo.
-In realtà pure io sono appena arrivato- si intromise Nicola, in piedi di fianco ad Alessio, lo sguardo che sembrava ancora cercare qualcuno all’orizzonte.
-Comunque potete consolarvi: non siete gli ultimi. Mancano ancora altri due elementi, come si sarà già notato- proseguì Giulia, annuendo: non poteva fare a meno di domandarsi che fine potessero aver fatto Caterina e Pietro. Nessuno di loro era in genere ritardatario, ma in quel frangente sembravano essere letteralmente spariti dalla circolazione, senza lasciare nessuna notizia.
Alessio annuì subito, e forse fu solo un’impressione di Giulia, ma sembrò cercare di nascondere la sua espressione abbastanza stizzita.
-Fa piacere sapere che Pietro e Caterina abbiano disertato così- replicò lui, cercando di buttarla sul ridere, pur continuando a sua volta a guardarsi alle spalle.
-Magari si sono semplicemente persi- suggerì Filippo, alzando le spalle – Caterina ancora non conosce la città, e Pietro … Beh, diciamo che il senso dell’orientamento non è il suo forte-.
-In ogni caso- Alessio riprese la parola, voltandosi ancora una volta verso una ancora silenziosa Alice, che si era tenuta in disparte e non si era intromessa, prima di rivolgersi agli altri arrossendo ancor di più – Direi che possiamo iniziare le presentazioni: questa è Alice-.
-Credo che ormai lo avessero già intuito- Alice prese finalmente la parola, il sorriso timido ancora stampato in viso. Parlando aveva rivelato l’accento inglese che la contraddistingueva, anche se Giulia doveva ammettere che parlava in italiano piuttosto bene.
-Ho l’impressione che ci siamo già visti in giro- commentò Nicola a mezza voce, intercettato subito da Giulia:
-Forse perché era al locale dove abbiamo festeggiato il mio compleanno l’ultima volta?- gli ricordò, con un sopracciglio alzato. Nicola la guardò spaesato per qualche secondo, poi sembrò ricordarsi di quando Alessio aveva spiegato loro chi fosse Alice.
-Che è dove lavoro ancora- confermò Alice, annuendo pensierosa – Forse era la sera in cui ho incontrato per la prima volta Alessio. E poi ci siamo incrociati anche in università-.
-Esattamente- confermò lui, per poi proseguire:
-Comunque questi sono Nicola, Filippo, e Giulia, che ovviamente è la stessa Giulia che era festeggiata quella sera in pizzeria-.
-E indovinate un po’, vedo qualcuno di nostro conoscenza in lontananza- lo interruppe Giulia stessa, non appena fu sicura di vedere, oltre le spalle di Alessio e Alice, Caterina e Pietro avanzare piuttosto celermente. Sembravano piuttosto accaldati e scombinati – e Giulia sperò sarcasticamente che quel particolare fosse dovuto al fatto che dovevano aver corso, essendo in estremo ritardo-, e Caterina sembrava camminare a fatica sui sandali dal tacco abbastanza basso. In pochi passi arrivarono dove si trovavano gli altri ad attenderli, trafelati e con le guance arrossate per il caldo.
-Cominciavamo a pensare che vi foste perduti per sempre- Giulia cercò di trattenere le risate, quando notò Caterina rivolgere veloce uno sguardo torvo nella direzione di Pietro.
-Diciamo soltanto che abbiamo avuto qualche difficoltà a trovare la direzione giusta- spiegò Pietro, passandosi una mano tra i capelli ormai scombinati, e facendosi aria con una mano.
-Diciamo che stavamo andando esattamente nella direzione opposta a quella giusta- lo corresse Caterina, fulminandolo ancora una volta con lo sguardo – Credo che avrò bisogno di restare seduta per tutto il resto della sera: i miei piedi stanno gridando pietà-.
Alessio si limitò a ridere piano, senza nemmeno accorgersi di aver appena ricevuto a sua volta un altro sguardo truce da parte di Caterina. Giulia spostò gli occhi su Pietro, che sembrava quanto mai a disagio: non aveva detto più nulla dopo la sua prima giustificazione al loro ritardo, e appariva quanto mai indeciso su dove rivolgere lo sguardo. Sembrava del tutto intenzionato ad evitare in qualsiasi modo il contatto visivo con Alessio, e soprattutto con Alice: le aveva riservato solo un’occhiata breve e veloce non appena lui e Caterina erano giunti, per poi distogliere gli occhi – un po’ come se stesse fingendo che lei nemmeno ci fosse.
Le iridi azzurre di Nicola, invece, dardeggiavano su Caterina e Pietro, ancora in piedi fianco a fianco, taciturne e fredde come non le vedeva da un po’. A Giulia venne quasi da ridere al pensiero che Nicola potesse sentirsi geloso di Pietro, o forse semplicemente invidioso perché Caterina sembrava aver preferito la sua compagnia per arrivare fin lì, piuttosto che chiedere a lui di accompagnarla.
-Direi che ora siamo al completo, perlomeno- Alessio riprese la parola, un po’ meno impacciato di quanto non appariva prima – Questa è Caterina. Di fatto è stato grazie a lei se ho conosciuto anche tutti gli altri del gruppo. E Pietro, il mio coinquilino-.
-Il tuo amato coinquilino- lo prese in giro Giulia, trattenendosi a stento dallo scoppiare a ridere nell’accorgersi degli sguardi attoniti dei due interessati. Alice si limitò a ridere a sua volta, evidentemente per nulla insospettita o infastidita da quella puntualizzazione.
-I’m really glad to have you all here tonight- disse Alice, le gote appena arrossite, stringendosi nelle spalle esili – Alessio mi ha già parlato un po’ di voi, ma sono davvero curiosa di conoscervi personally-.
Alice sembrava realmente sincera nel dirlo, un po’ in inglese e un po’ in italiano forse per via dell’agitazione.
“Non sembra male” si ritrovò a pensare Giulia. Le premesse sembravano promettere bene, almeno ad una prima impressione.
-Allora, che ne dite se proseguiamo la serata all’interno del locale?- propose infine Filippo – Non so voi, ma io sto morendo di sete-.
In un’accoglienza generale, dopo pochi secondi si avviarono finalmente all’entrata. Sembrava che, finalmente, la serata potesse avere ufficialmente inizio.
 
*
 
La musica impazzava in maniera assordante all’interno del locale, unita ad una luce soffusa e calda che a Nicola stava provocando un terribile mal di testa. Avrebbe solamente voluto chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, giusto per avere qualche minuto di libertà da tutto quel fracasso. Il discopub era particolarmente affollato, quel sabato sera: avevano faticato a trovare un tavolo libero, e parecchia altra gente si era dovuta rassegnare a rimanere in piedi, a volte anche piuttosto distante dal bancone del bar.
Proprio per quella ressa di gente Nicola si era fatto spazio a malapena, riuscendo ad arrivare al bancone solo sgomitando e cercando di avanzare lentamente.
Dovette quasi urlare per farsi sentire dal barista, e sperò vivamente che almeno avesse capito bene. Il caldo che c’era gli aveva provocato una sete tremenda. Forse era stato tutto quell’insieme di cose che gli aveva procurato quell’insolito nervosismo che sentiva crescere in lui.
Tutto sommato, però, la serata stava procedendo come previsto: erano rimasti fermi al tavolo per un'ora circa, non potendo però scambiarsi tutte le parole che avrebbero voluto per il frastuono della musica a tutto volume. Poi Filippo si era alzato, praticamente costringendo Giulia a seguirlo sulla pista da ballo, trascinandosela dietro quasi di peso e non badando alle sue proteste sempre più accese. Poco dopo anche Alice si era alzata, dicendo di aver bisogno di un po’ d’aria fresca, e Alessio l’aveva seguita fuori, ed era successo così che Nicola si era inaspettatamente ritrovato da solo con Caterina e Pietro.
E lì la situazione era come precipitata, immancabilmente: i sospetti che Caterina lo avesse evitato per tutti i giorni precedenti si erano rivelati fondati nel momento stesso in cui, rimanendo loro tre da soli, lei non aveva fatto altro che rivolgersi solamente a Pietro, evitando accuratamente qualsiasi contatto visivo con Nicola.
Stupidamente, lui aveva preferito allontanarsi a sua volta. Si era sentito particolarmente vulnerabile in quella situazione, incapace di girarla a suo favore, e poi si era sentito anche in colpa, per il senso di gelosia che lo aveva attanagliato sin da quando Caterina era arrivata con Pietro.
Non avrebbe voluto avercela con lui, e a dire il vero non voleva nemmeno sentirsi arrabbiato con lei: gli sarebbe bastato capire cosa l’avesse spinta ad evitarlo così esplicitamente, o perlomeno spingerla a superare quella sua resistenza nei suoi confronti.
Il barista tornò poco dopo, con un bicchiere pieno del cocktail che Nicola aveva ordinato. Non appena afferrò il bicchiere cercò di farsi di nuovo largo tra la folla, con la precisa intenzione di uscire a sua volta da quel posto claustrofobico. Aveva bisogno anche lui di aria pulita, e soprattutto aveva bisogno di parlare con qualcuno.
Lungo la strada che lo separava dalla porta d’ingresso, più volte rischiò di far cadere il suo bicchiere, beccandosi molte più gomitate nei fianchi di quante non ne avesse date per passare.
Quando finalmente uscì all’aria aperta Nicola inspirò profondamente: si sentiva già meglio, la testa meno dolorante e pesante, e meno accaldato rispetto a come si sentiva dentro al locale. Non c’era molta gente fuori: solo qualche gruppetto o ragazzi da soli che fumavano o che tenevano un bicchiere colmo d’alcool come lui. Non gli fu difficile individuare Alice e Alessio: erano poco distanti dall’ingresso, con Alice appoggiata al muro dell’edificio e Alessio di fronte a lei. Non aveva idea di cosa stessero parlando, ma avanzò comunque verso di loro, senza alcun imbarazzo.
-Oh, sei scappato anche tu da quel posto infernale?- Alessio lo vide subito arrivare, girandosi provvidenzialmente proprio mentre Nicola li stava per raggiungere.
-Avevo bisogno di una pausa- confermò Nicola, fermandosi accanto a loro, e prendendo un lungo sorso dal suo bicchiere.
-Avrei dovuto scegliere un posto un po’ più tranquillo- disse Alice, scostandosi una ciocca di capelli ramati finitale davanti agli occhi. Rannicchiata contro il muro sembrava ancor più esile di quanto non era già, stretta nel suo abito blu dalle linee sinuose.
-Il posto non sarebbe male, è che dopo un po’ rischi di svenire per il mal di testa- annuì Alessio, più tra sé e sé, prima di rivolgersi direttamente a Nicola:
-Gli altri sono ancora dentro a resistere?-.
-Giulia e Filippo sono ancora dispersi da qualche parte nel locale- spiegò lui, prima di lasciarsi scappare una smorfia infastidita che non sfuggì agli altri due – Mentre Pietro e Caterina sono ancora insieme, al tavolo, a fare non so cosa-.
Si sentì incredibilmente stupido nel ripensare a ciò che aveva appena detto, e quella vena di disagio verso se stesso sembrò non passare inosservata nemmeno ad Alessio: lo guardò fisso per interminabili secondi, e a Nicola parve quasi che stesse riuscendo a leggergli cosa esattamente gli stava passando per la testa. Si sentì preso alla sprovvista, e sentì la sua storica imperturbabilità vacillare sotto lo sguardo limpido dell’altro.
-È solo una mia sensazione, o tu e Caterina vi state evitando?-.
Alessio lo domandò a bruciapelo, dopo altri attimi di silenzio durante i quali Nicola aveva cercato di fare finta di nulla e Alice aveva fatto vagare lo sguardo su entrambi, in attesa.
-Veramente lo sta facendo solo lei. Non chiedermi il perché, non lo so nemmeno io- rispose vagamente Nicola. Supponeva che, in realtà, il motivo fosse ricollegabile solamente alla loro situazione instabile, ma non riusciva a capire perché Caterina avesse cominciato ad evitarlo così solo da poco. Che avesse preso finalmente una decisione, ed avesse scelto di non voler avere ancora una relazione con lui e non sapeva come dirglielo? Forse doveva solo cercare di farle capire ancor di più che avrebbe rispettato qualsiasi sua decisione, e così avrebbe smesso di evitare persino di guardarlo quando erano nello stesso posto.
-Non avete ancora parlato di nuovo riguardo voi due?- chiese di nuovo Alessio, mettendolo alle strette. Doveva aver intuito molto di più di quanto Nicola non avrebbe voluto.
Fece segno di diniego, rimanendo in silenzio. Forse avrebbero dovuto davvero parlare riguardo la loro situazione, cercare di impedire a Caterina di scappare ogni qual volta cercava di avvicinarla. Tirò un sospiro profondo, l’ansia ed il nervoso che si accumulavano sempre di più: certe volte Caterina riusciva a risultare ancor più indecifrabile di quanto non era lui stesso. Era esattamente quella, la situazione: non riusciva a capire cosa le passasse per la testa, a cosa fossero dovuti quei suoi comportamenti.
Forse davvero non lo voleva più, e cercava solo di farglielo capire in un qualche modo, senza doverglielo dire in faccia. Quell’ipotesi lo fece sprofondare ancora di più: avrebbe preferito mille volte sentirsi rifiutato di nuovo esplicitamente, piuttosto che dover ancora aspettare invano per un tempo indefinito.
Solo, probabilmente, nemmeno lui riusciva a racimolare il coraggio necessario per chiederle di nuovo cosa avesse intenzione di fare.
-Scusate- la voce esitante di Alice lo riportò alla realtà, facendolo voltare verso di lei incuriosito – Lo so che non conosco ancora bene il vostro gruppo, ma da quel poco che ho capito, c’è qualche problema ... Amoroso, no?-.
Prima che Nicola potesse anche solo pensare di negare, Alessio lo precedette:
-Lui e Caterina stavano insieme fino al dicembre scorso, poi si son lasciati, e anche se non lo vogliono ammettere, probabilmente sono ancora cotti l’uno dell’altra- riassunse in fretta, sorridendo divertito per l’occhiata fulminante ricevuta da Nicola – Alcuni mesi fa hanno deciso di rimanere momentaneamente amici, ma è evidente che ormai è una fase da superare. Ma si ritrovano comunque a non sapere cosa fare-.
-Un riassunto più stringato di così non lo potevi proprio fare- commentò seccato Nicola, scuotendo rassegnato il capo nel notare che, come risultato, aveva ottenuto solamente l’ennesima risata da parte di Alessio. Se avesse applicato le stesse ottime capacità d’analisi alla sua stessa vita, Nicola era sicuro che gran parte dei suoi malesseri sarebbero stati superati ottimamente già da tempo – un po’ come avrebbe dovuto fare lui stesso, d’altro canto.
-A parte questo, comunque, è andata così- si costrinse ad ammettere – Anche se, almeno nell’ultima settimana, sembro esserle più indifferente che altro. Sembra quasi non mi veda nemmeno-.
-Try to put yourself in her shoes- Alice sorrise appena, incoraggiante – Forse ha capito anche lei che è arrivato il momento di decidere. Ma per farlo ha bisogno di tempo per sé, o magari ha paura-.
-Ma così mi sembra quasi che abbia già deciso cosa fare- replicò Nicola, confuso. Non riusciva a capire fino in fondo dove volesse andare a parare Alice, anche se, effettivamente, un consulto femminile era quello che gli serviva.
-Allora ti resta da fare solo una cosa- gli disse ancora lei, scambiandosi una veloce occhiata con Alessio.
-Chiederglielo- completò lui, con un’alzata di spalle – Ormai avete imparato come fare, no?-.
Nicola dovette masticare un “Dovresti imparare a farlo anche tu”, che di sicuro sarebbe risultato troppo offensivo e troppo cattivo nei confronti di Alessio. Sapeva, però, che non aveva tutti i torti: in fondo, la soluzione era davvero così semplice.
Doveva solo trovare un altro po’ di coraggio per affrontare nuovamente l’argomento, stavolta definitivamente.
 
*
 
L’alcool fresco le scivolò lungo la gola, donandole una sensazione di sollievo temporanea. Caterina chiuse per un attimo gli occhi, appoggiando la fronte contro il vetro freddo del bicchiere che teneva posato sul tavolo: stava letteralmente soffocando, ma preferiva rimanersene lì seduta, piuttosto che andarsene fuori dove, molto probabilmente, si trovava anche Nicola.
Avrebbe cominciato di nuovo a sentirsi a disagio e leggermente in colpa a rimanere nello stesso posto con lui senza rivolgergli nemmeno la più piccola attenzione. Per quello, almeno per il momento, preferiva restare dove si trovava, prendendosi un po’ di tempo per restare lontana da lui.
Seduto accanto a lei, Pietro sembrava alquanto pensieroso: da quando Nicola si era allontanato non aveva aperto bocca, e aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto. Caterina ricordava di averlo visto in quello stato ben poche volte, e ancora non riusciva a capire cosa potesse tormentarlo così a lungo. In un certo senso si rivedeva in lui: non credeva di avere una situazione migliore della sua, in fatto di problemi e tormenti.
-Hai intenzione di spiegarmi a cosa è dovuto il tuo silenzio, o dovrò domandartelo io esplicitamente?- domandò infine Caterina, tirando una leggera gomitata all’altro, per attirare la sua attenzione. Pietro parve riprendersi di colpo, come se si fosse appena svegliato di soprassalto, e si girò a malapena verso di lei:
 -È una lunga storia- bofonchiò, appena udibile nel frastuono generale che vigeva nel locale.
Caterina sbuffò sonoramente, lanciandogli un’occhiata fredda: aveva sperato che Pietro non continuasse a fare troppo il misterioso, ma a quanto pareva sembrava del tutto intenzionato a tenere per sé i propri pensieri.
-Paura a confidarti?- lo punzecchiò, pentendosene subito dopo aver ricevuto un’occhiata tagliente da parte dell’altro:
-Non mi sembra che, d’altra parte, tu stia parlando molto di Nicola. Eppure mi sembra che le cose tra voi non vadano alla grande, visto che nemmeno vi parlate-.
Caterina abbassò lo sguardo, lontano dagli occhi scuri di Pietro. Quello era stato un colpo basso, eppure doveva ammettere di esserselo in parte cercato.
-Non volevo farmi gli affari tuoi- replicò infine, evitando ancora il contatto visivo con l’altro – È che parlare dei problemi degli altri a volte aiuta a non pensare ai propri-.
-Già- annuì Pietro, che aveva già abbandonato l’aria diffidente di poco prima – In ogni caso non mi va di parlarne. Troppo complicato-.
-Dillo a me- sospirò Caterina, sconsolata. In quel momento sarebbe tornata volentieri a casa, per buttarsi sul letto e dormire per ore e ore, senza dover pensare a niente di tutto ciò che la preoccupava, ma si costrinse a rimanere seduta lì, con la sola compagnia di Pietro a darle un po’ di conforto: sapere di non essere la sola ad avere pensieri negativi, in un certo senso, la faceva sentire meno incompresa e abbandonata a se stessa.
Pochi minuti dopo dovette riprendersi alla svelta, non appena si accorse che Alessio, Alice e Nicola erano di ritorno al tavolo. Di Giulia e Filippo, invece, non vi era ancora nessuna traccia: sembravano essersi persi nella calca da qualche parte nella pista da ballo, e ormai mancavano da almeno mezz’ora.
-Credo che entro la fine della serata perderò definitivamente l’udito- urlò Alessio, sedendosi al tavolo, esattamente di fronte a Pietro, e di fianco a Nicola, cercando di farsi udire dagli altri nonostante il martellare della musica.
-Che ne dici, invece, di ballare un po’?- ribatté Alice, appoggiandosi alla spalla di lui, gli occhi dolci rivolti all’altro come per cercare di convincerlo. L’espressione di Alessio, però, sembrava tutt’altro che convinta: arricciò le labbra per un secondo, prima di scuotere il capo con fermezza. Non sembrava per niente intenzionato ad alzarsi di nuovo da lì, e Alice ricevette quella sua silente risposta con malcelata delusione.
-So lazy- lo bacchettò, ricevendo in risposta da Alessio un unico ghigno astuto e divertito – Qualcun altro vuole venire con me?-.
Alice rivolse lo sguardo verso Pietro, Nicola e Caterina, in attesa di una risposta. Pietro rimase ammutolito, lo sguardo che vagava ovunque, tranne che sulla sua figura; Caterina sorrise, scuotendo piano la testa, prima di aggiungere:
-Scusami, ma sono proprio pessima nel ballare-.
Fece appena in tempo a concludere la frase, prima che Nicola prendesse a sua volta la parola, un sorriso a tirargli le labbra piene:
-Io sono disponibile-.
Caterina rimase attonita per i primi attimi, incredula. Non era nemmeno molto sicura di aver capito bene: poteva essersi immaginata tutto, aver sentito male a causa del disturbo che le procurava la musica troppo alta. L’evidenza di quel che era appena successo, però, si stava rendendo sempre più concreta davanti ai suoi occhi: Alice aveva sorriso a Nicola riconoscente, prima di alzarsi insieme a lui.
D’un tratto le tornarono in mente le immagini di Nicola con le altre ragazze, le sue compagne di corso: le sembrava di rivivere quello stesso momento, la stessa gelosia irrazionale e il senso di inadeguatezza che l’avevano assalita qualche giorno prima.
Sapeva che Alice non ci stava certo provando con lui, non per davvero, non quando stava già con Alessio, ma non riuscì a restare calma, a ragionare a mente lucida. Semplicemente non ce la faceva più a restarsene lì.
Caterina non attese nemmeno di vederli allontanarsi insieme, prima di alzarsi a sua volta. Sentiva lo sguardo di tutti addosso, in quel momento, e si sentì tremendamente in imbarazzo. Allo stesso tempo, però non poteva rimanere lì un minuto di più.
-Io credo che me ne andrò a casa- iniziò, la voce che le tremava, ma con la musica che, fortunatamente, riusciva a coprire quel tremolio – Vado a riposare, sono parecchio stanca-.
-Ti accompagno. Non ti conviene girartene da sola di notte- le rispose prontamente Pietro, alzandosi a sua volta, ma ricevendo uno sguardo truce da Caterina:
-Preferisco andare da sola- sbottò lei, accorgendosi di essere stata fin troppo astiosa – Salutatemi Filippo e Giulia-.
Prima ancora di lasciar agli altri il tempo di ribattere, afferrò la borsa e si allontanò dal tavolo, non voltandosi indietro nemmeno per vedere le facce sbigottite dei suoi amici.
Sentì addosso lo sguardo di Nicola seguirla, ma non vi badò: continuò a camminare imperterrita, non facendosi frenare nemmeno dal dolore ai piedi causato dai sandali che portava. Voleva solamente arrivare all’uscita il prima possibile, lasciandosi alle spalle quella serata disastrosa.
Caterina se ne uscì sbattendo dietro di sé la porta d’ingresso, senza nemmeno voltarsi per assicurarsi di non aver colpito nessuno. Aveva già percorso diversi metri, quando la voce di Pietro la chiamò una, due, tre volte. Si fermò solamente quando percepì una nota di esasperazione nel tono dell’altro, attendendo ferma nella stessa posizione che la raggiungesse. Non riusciva a capire come mai lo stesse aspettando: in fin dei conti non voleva parlare con nessuno. Se ne era andata proprio per evitare di dover rendere spiegazioni a qualcuno, per evitare che tutto ciò che la stava tormentando venisse mostrato, ma qualcosa in lei le diceva che forse Pietro l’avrebbe capita più di quanto immaginasse.
-Si può sapere che ti prende?-.
Pietro finalmente la raggiunse, piazzandosi davanti a lei, non facendo nulla per nascondere la confusione che doveva avere dentro di sé.
-Niente- ribatté Caterina, incrociando le braccia al petto e sperando di risultare convincente. Alzando lo sguardo incrociò gli occhi scuri ed espressivi dell’altro: quelle iridi famigliari riuscirono a calmarla almeno un po’, a farla sentire meno spaesata e meno sola. Era una sensazione strana: non si era mai aperta troppo con Pietro, non su Nicola e tutto ciò che ci girava attorno, eppure riusciva a riconoscere nel suo sguardo la stessa sofferenza che stava provando lei. Riusciva a sentirlo più vicino di quanto non potesse essere chiunque altro, anche se non aveva alcuna sicurezza che le sue sensazioni fossero vere.
-È per Nicola -.
Quella di Pietro non era una domanda, né fece trasparire alcuna insicurezza nella sua voce. A Caterina non rimase altro che annuire piano, arrendersi a quell’evidenza.
-Perché diavolo non vi parlate una volta per tutte e prendete una decisione che sia una?- proseguì Pietro, non lasciando il tempo a Caterina di mettere insieme dei pensieri per potergli rispondere – Non so cosa sia successo ancora, non so nemmeno se volete tornare insieme o se volete lasciarvi andare definitivamente ... Ma almeno parlatevi chiaramente e finitela di rimandare-.
-Non è così facile- sbottò Caterina, punta sul vivo.
-Non ho detto che lo sia, ma questo non è un buon motivo per rimanere in silenzio a farsi mille pare mentali- Pietro gesticolava mentre parlava, innervosito – Almeno voi due che potete farlo, fatelo-.
-Che intendi dire?- Caterina rimase attonita per qualche attimo, le ultime parole di Pietro che le ronzavano in mente, facendole capire che, forse, c’era davvero qualcosa sotto.
Anche lo sguardo di Pietro sembrava confermarle ciò che stava pensando: aveva distolto gli occhi, puntandoli oltre le spalle di Caterina, lontani da lei. Nonostante fosse buio, fu quasi sicura di vederlo arrossire lievemente.
-Niente- bofonchiò lui, scalciando piano un sassolino.
-Sembrava quasi che ... - Caterina si fermò un secondo, indecisa se continuare o meno a parlare. Di certo distogliere il discorso da sé era la cosa più positiva che potesse capitarle in quel momento, ma riusciva a vedere distintamente Pietro in difficoltà.
-Non sono nella tua stessa situazione, se è questo quello che volevi dire- la rimbrottò Pietro, nervosamente, evitando ancora il contatto visivo. Era evidente come avrebbe preferito non toccare affatto l’argomento, anche se ormai Caterina aveva intuito qualcosa:
-Ma sembra che vorresti dire qualcosa a qualcuno e non puoi farlo-.
Pietro non rispose affatto, rimanendosene in silenzio in quello che parve un muto assenso. Aveva i tratti del volto contratti, trattenendosi forse dall’avere una qualsiasi reazione alla domanda di Caterina; non sembrava nemmeno averla sentita, da come appariva immobile ed impassibile.
-Chi è l’altra persona?-.
Caterina parlò con voce appena udibile: le era stato impossibile impedirsi di parlare, spinta da una curiosità genuina.
-Non posso dirtelo-.
-La conosco?-.
-Non è per quello che non te lo sto dicendo- mormorò in fretta lui, come a scacciare qualsiasi sospetto che potesse sorgere in Caterina. Era ancora più in difficoltà, ora, mentre passava nervosamente una mano tra i capelli scuri, arruffandoli e facendoli ricadere scomposti sulla fronte.
-Perché dici che non puoi parlare con questa persona?- insistette lei, sentendosi un po’ in colpa per tutte le domande che gli stava facendo.
-Perché non cambierebbe niente- Pietro parlò atono e freddo, con una rassegnazione tale in viso che Caterina dovette sforzarsi per non lasciargli una carezza d’incoraggiamento sulla spalla – Anzi, peggiorerebbe solo le cose -.
-Magari sarebbe lo stesso per me e Nicola. Magari ha davvero cambiato idea- Caterina sembrò parlare più a se stessa che non a Pietro, lo sguardo abbassato e rivolto al terreno.
-Se non vi parlerete, non lo saprai mai. E forse a questo punto è comunque meglio togliersi ogni dubbio-.
Caterina rimase in silenzio, sentendosi lo sguardo penetrante di Pietro addosso. Sapeva che aveva ragione: prima o poi lei e Nicola avrebbero dovuto affrontare definitivamente l’argomento, qualunque decisione avrebbero preso.
Eppure, anche solamente a pensarci, si sentiva la terra mancare sotto i piedi: sarebbe riuscita ad accettare un possibile rifiuto di Nicola? E in quanto tempo l’avrebbe superato? E se fossero stati i suoi, di sentimenti, a non essere abbastanza forti?
In quel momento non riusciva a dissipare tutti quei dubbi che le vorticavano in testa.
E il pensiero di dover parlare con Nicola si allontanava sempre di più dal suo volere.
 
*
 
Caterina continuò a tenere gli occhi fissi sulle parole stampate sulla pagina, mentre se ne stava stesa sul divano del piccolo soggiorno dell’appartamento, Il ritorno del re stretto in mano a rappresentare una più che valida distrazione. Preferiva perdersi tra le righe di quel mondo, piuttosto che dover interpretare il suo, quello in cui viveva. C’era silenzio attorno a lei: Giulia se n’era uscita già da un’ora, per la sua consueta uscita serale con Filippo, dandole una strana impressione di ansia ed esaltazione che l’avevano accompagnata sin da quella mattina e che Caterina non era riuscita a capire a cosa fosse dovuta. Era come se fosse entusiasta per qualcosa di non ben specificato. E poi, prima di uscire, aveva lanciato un sorriso a Caterina, uno di quei sorrisi che avevano le persone quando la sapevano lunga riguardo qualcosa di sconosciuto ad altri. Poteva anche essersi sbagliata, ma quel sorriso che Giulia le aveva rivolto non avrebbe saputo descriverlo in altra maniera.
Era da un po’ che Caterina aveva smesso di rimuginarci sopra: si era tuffata tra le pagine del libro, leggendo freneticamente e con interesse. Distrarsi era stata la strategia per tutta quell’ultima settimana, che era stata tutt’altro che semplice: si era isolata completamente, preferendo passare quante più ore possibili all’università, fermandosi più di una sera a studiare nella sala studio della sua sede. Quell’esilio le era servito per cercare di pensare il meno possibile a tutti i dubbi che la tormentavano come un tarlo; a poco erano servite le insistenze di Giulia – che solamente guardandola doveva aver intuito molto di più di quanto Caterina stessa non avesse lasciato trasparire- nel chiederle spiegazioni per quel suo insolito comportamento.
Sembrava che, in quel momento, il silenzio e la solitudine fossero le uniche cure giuste per lei.
Nicola non si era fatto vivo. Caterina pensava si fosse rassegnato alla sua evidente voglia di non parlargli, o che, come seconda ipotesi, non sentisse poi così tanto la sua mancanza. In un caso o nell’altro, comunque, quell’atteggiamento indifferente dell’altro non faceva altro che mandarla ancor più in crisi.
Quella domenica pomeriggio non faceva eccezione.
Quando suonò il campanello, Caterina sussultò, sorpresa. Non aspettava nessuno, ed era impossibile che fosse Giulia: era passato troppo poco tempo da quando se ne era andata, e poi non avrebbe avuto senso per lei suonare quando aveva direttamente le chiavi con sé.
Il secondo scampanellio costrinse Caterina ad alzarsi dal divano, ancora dubbiosa: si avvicinò al citofono, ancora indecisa se scoprire o no chi diavolo fosse. Alla fine afferrò la cornetta, poggiandola contro l’orecchio e mormorando un ancor poco convinto “Pronto?”.
-Sono io-.
Dall’altro capo della linea le rispose immediatamente una voce che Caterina riconobbe all’istante, che la fece sentire quanto mai presa alla sprovvista, completamente impreparata.
-Posso salire?-.
Caterina sospirò profondamente, la mente in confusione completa. Si sarebbe aspettata tutto, tranne che Nicola decidesse di andare direttamente lì, a casa sua senza alcun preavviso. Non si era preparata ad una eventualità simile.
In un flash le tornò in mente l’immagine del viso di Giulia, poco prima di uscire dall’appartamento: forse era tutta suggestione, ma quel sorriso astuto non poté fare altro che farle pensare che sapesse già cosa sarebbe successo. Possibile che fosse uscita con Filippo solo per lasciarla sola, con Nicola in arrivo?
A quanto pareva, in ogni caso, non aveva molte altre scelte.
-Ti apro- mormorò, per poi rimettere subito al suo posto la cornetta del citofono e premendo il pulsante che apriva automaticamente il portone del palazzo.
Si fiondò davanti allo specchio dell’ingresso, per potersi dare una sistemata veloce: aveva i capelli completamente in disordine, era struccata, ed aveva un vestito troppo scollato per potersi sentire a suo agio davanti a lui. Non ebbe il tempo per cambiarsi o darsi una sistemata ulteriore: Nicola bussò dall’altra parte della porta, in attesa di poter entrare.
Caterina gli aprì, le mani che le tremavano appena per l’agitazione: si sentiva un po’ sciocca, nell’agitarsi in quella maniera, eppure sentiva di non avere la situazione sotto controllo. Non era affatto preparata mentalmente per affrontarlo così, da soli in quell’appartamento.
Nicola le si presentò davanti agli occhi con un sorriso appena accennato, di circostanza. Sembrava teso, anche se probabilmente non quanto lei.
-Per un attimo ho pensato che non mi avresti nemmeno aperto- disse subito lui, entrando, richiudendosi alle spalle la porta d’ingresso.
-Grazie per la fiducia- sbuffò Caterina, amaramente ironica, dandogli le spalle e facendogli strada verso il salotto. Si fermò solamente quando ebbero raggiunto entrambi la stanza, fermandosi in piedi davanti al divano:
-Come mai sei qui? Pensavo che tu e Pietro doveste uscire, questa sera- farfugliò, cercando di non far emergere la sua ansia. Si accorse di aver fallito miseramente, finendo per mangiarsi le parole.
Nicola la guardò in silenzio per qualche secondo, prima di scuotersi:
-C’è stato un cambio di programma- spiegò, gesticolando appena – Diciamo che mi interessava molto di più vedere te, per parlare di alcune cose-.
“Cazzo”.
Fu difficile cercare di mantenere un’espressione neutrale, quando l’unica cosa che Caterina si sentiva di fare era urlare a piena voce.
-Alcune cose?- ripeté lentamente, come se non avesse capito – Quali?-.
Una sensazione alquanto negativa si fece strada in lei sempre di più. Per quanto stesse cercando di restare calma, ormai sapeva che il momento era giunto, e che non aveva alcuna via di fuga.
-Credo che tu riesca già ad immaginarle-.
Caterina rimase in silenzio, lo sguardo basso per evitare di incrociare quello di Nicola. Sentiva l’atmosfera farsi sempre più tesa ogni attimo che passava, con Nicola ancora in attesa di una qualche risposta che sembrava non giungere mai. Caterina si torturò le mani, spostando il proprio peso da una gamba all’altra, incapace di formulare un qualsiasi pensiero. Non sapeva cosa avrebbe potuto dire: credeva di sapere davvero a cosa si riferisse Nicola, eppure non riusciva a trovare la forza necessaria per parlare.
-È da una settimana che non ti fai vedere in giro. Senza contare poi che, anche quando ci siamo visti, hai fatto finta che io nemmeno ci fossi-.
La voce di Nicola riecheggiò nuovamente nel salotto, il tono apparentemente calmo e distaccato. Caterina si sforzò di alzare il capo, amareggiata quanto non mai: odiava quella sua sensazione di incapacità, l’idea di non sapere come ribattere senza uscirne troppo ferita.
-E mi sembra che tu sia sopravvissuto benissimo anche senza di me- borbottò infine, facendo qualche passo più distante da lui. Lo sentì sospirare a fondo, una lieve nota di esasperazione a farla tremare ancor di più.
-Questo non è vero- replicò Nicola, e sebbene Caterina non lo stesse ancora guardando in viso, sentiva che anche per lui la tensione cominciava a crescere – Perché non mi dici quel che è successo?-.
Per l’ennesima volta Caterina si sentì in difficoltà: cosa avrebbe dovuto dirgli? Raccontargli di tutte le sue insicurezze e dei suoi timori, che sembravano prendere una forma sempre più precisa? Parlargli della fottuta paura che aveva di perderlo, stavolta per davvero e in maniera definitiva?
Le sembrò di avere le mani legate. Di certo non era lei ad avere il coltello dalla parte del manico.
Fu Nicola ad avvicinarsi a lei, seppure impercettibilmente, a guardarla con determinazione:
-Ti ricordi come eravamo distanti l’anno passato, già in questo periodo?-.
Caterina annuì debolmente, prima di lasciarlo continuare:
-Parlavamo, stavamo insieme, ma non ci ascoltavamo davvero, e non eravamo sinceri tra di noi. Ed è stata la nostra rovina. Non rifacciamo gli stessi errori una seconda volta, non ora che è troppo importante per entrambi- Nicola le si era avvicinato ancora, accennando alcuni passi nella sua direzione, gli occhi chiari puntati supplicanti su Caterina – Parlami, ti prego. Ti ascolto. Voglio ascoltarti-.
Caterina rialzò lo sguardo, rimanendo per alcuni attimi con gli occhi dardeggianti sulla figura di Nicola. Stavano davvero rischiando di ripetere gli stessi errori di un anno prima, ma stavolta Nicola era diverso. Era un Nicola differente da quello da cui era scappata mesi prima: non era la stessa persona che, l’anno prima, l’aveva fatta sentire sola e abbandonata a se stessa.
Doveva cominciare a fidarsi, di nuovo, e cominciare a fidarsi anche di sé, della persona nuova che, inevitabilmente, era diventata anche lei.
-È che ... -.
Caterina sentì la gola secca e le parole che emergevano a fatica, ma ci provò di nuovo:
-Ho come l’impressione che non ti importi più di me-.
Prese un respiro profondo, cercando di ordinare le idee e tradurle in parole, il cuore che le martellava nel petto.
-Forse tutti questi mesi di attesa non hanno fatto altro che allontanarti sempre di più. E va bene, può succedere, non sono arrabbiata ... Ma ciò non toglie che abbia paura di sentirti dire una cosa del genere- si morse il labbro inferiore, lottando contro la voglia di lasciar perdere tutto – A giugno mi hai detto che avresti voluto ritentare a stare insieme, e io ho detto che ci sarebbe servito altro tempo. Ora sembra quasi che le cose si siano ribaltate-.
Nicola la guardò confuso:
-Cosa te lo ha fatto pensare?-.
-Solo delle mie sensazioni- cercò di spiegare impacciata lei, sperando di riuscire a spiegarsi. Si sentiva quasi stupida, in quel momento, sotto lo sguardo accigliato e meravigliato di Nicola.
-Sensazioni dovute a cosa?- insistette lui, facendosi vicino ancora di qualche passo, ed arrivando infine di fronte a Caterina.
Lo guardò dubbiosa, ancora per qualche secondo, ma ormai tanto valeva andare fino in fondo.
-È dal giorno in cui sono venuta nella tua sede che ci penso. Dopo che ti ho visto con le tue compagne di corso- si sentì un’idiota anche solo nel dirlo a voce alta, e distolse subito lo sguardo – E poi diciamo che quel sabato al discopub, quando hai deciso di ballare con Alice, non ha aiutato molto. Sono una stupida-.
Caterina si fece coraggio e alzò di nuovo gli occhi, studiando attentamente il viso di Nicola, cercando di cogliere qualche segnale che le potesse far capire cosa stesse pensando: l’espressione sorpresa si trasformò piano in una pensierosa, fino a quando anche quella non lasciò spazio ad un sorriso appena accennato.
-Eri gelosa, per caso?-.
Glielo domandò con un ghigno tale che a Caterina parve quasi divertito. Sembrava quasi che, per quanto riguardasse almeno lui, la tensione di qualche minuto prima fosse scomparsa del tutto.
-Anche se fosse?- replicò Caterina, sulla difensiva.
Il sorriso di Nicola non fece altro che allargarsi:
-Delle mie compagne di corso non ti devi preoccupare in alcun modo, e in quanto ad Alice ... Beh, non dovresti sentirsi minacciata nemmeno da lei, visto che mi sembra piuttosto presa da Alessio- Nicola le rivolse uno sguardo un po’ colpevole – Un po’ l’ho fatto apposta per vedere come avresti reagito-.
-L’avevi fatto apposta?- esclamò Caterina, non facendo nulla per nascondere la nota di indignazione e l’aria vagamente offesa – Sappi che hai fatto passare a Pietro dei minuti infernali, per cercare di calmarmi-.
-L’importante è che ora sai la verità. E che finalmente la so anch’io- sorrise ancora Nicola, prima di tornare più serio, parlando quasi a bassa voce – Cominciavo a pensare anch’io che non te ne importasse più niente-.
Stavolta fu il turno di Caterina di ridere piano, d’un tratto sentendosi leggera: sembrava che le avessero appena tolto un peso dalle spalle, dopo averlo trasportato per troppo tempo.
-Allora non avevamo capito niente entrambi-.
Nicola le si avvicinò ancora, e Caterina non fece nulla per riportare la distanza precedente: si sentiva come incollata al pavimento, e, in fondo, forse nemmeno lei voleva andarsene da lui. L’ansia che la attanagliava in quel momento era diversa, come trasformata: non era più la paura a farla rimanere immobile ed incapace di agire, ma piuttosto l’attesa. Era palpabile, quasi potesse toccarla, e l’accolse con un senso di ottimismo che fino a pochi minuti prima non si sarebbe mai aspettata di provare.
Per la prima volta dopo mesi non diffidava di ciò che sarebbe potuto succedere, e non si nascose dallo sguardo limpido di Nicola.
-Lo sai che con quel vestito sei semplicemente stupenda?- la voce di Nicola risultò appena udibile, probabilmente per l’imbarazzo che doveva provare in quel momento. Aveva le gote leggermente arrossate, e Caterina dovette pensare che lo stesso doveva valere anche per lei: le sembrava di essere tornata all’inizio della loro storia, quando ancora non si trovavano ancora a proprio agio nei momento di intimità come quello.
-Ci stai provando, per caso?- Caterina cercò di abbattere la tensione che sentiva in corpo e intorno a loro, un sorriso appena accennato e le guance sempre più rosse.
-È solo un complimento- ribatté lui, ormai di fronte a Caterina, a meno di un metro di distanza – Non è cambiato niente, per me, da giugno. Anzi, sarebbe più corretto dire che non è cambiato nulla da molto prima di quel periodo. O forse mi sbaglio: qualcosa è cambiato-.
-Che intendi dire?- domandò Caterina, d’un tratto disorientata. Non era sicura di aver capito bene dove volesse andare a parare Nicola, o forse era semplicemente troppo agitata per riuscire a ragionare con lucidità. Riusciva solamente a sentire i battiti accelerati del cuore, e il respiro farsi più veloce, quando lo vide avvicinarsi ulteriormente, ad una distanza ormai inequivocabile:
-Voglio dire che, se anche per te è lo stesso, non ho più alcuna intenzione di perdere altro tempo distante da te-.
-È forse una dichiarazione?-.
Anche se Caterina conosceva già la risposta, o almeno così credeva, sentì comunque il proprio cuore fare un tuffo.
-Non è originale, e nemmeno così appassionata, ma con le parole non me la sono mai cavata bene- Nicola portò una mano al volto di Caterina, sfiorandole piano una ciocca di capelli scuri al lato del viso – Sei anche più bella, così arrossita-.
Caterina non rispose nulla, né pensò niente. Fu, in fin dei conti, la cosa più semplice che potesse fare in quel momento, sporgersi verso di lui e poggiare le labbra su quelle di Nicola.
Non badò ad altro, se non al ritrovarsi delle loro labbra, al profumo di lui che le invadeva le narici, e le sue mani su suoi fianchi.
Quel bacio aveva il sapore della rinascita, del rincontrarsi dopo momenti bui che nessuno di loro avrebbe scordato mai. Aveva il sapore di coloro che, pur distanti per periodi che erano sembrati interminabili, erano sempre stati legati, fino al ritrovarsi.
 
I think we're like fire and water
I think we're like the wind and sea
You're burning up, I'm cooling down
You're up, I'm down
You're blind, I see [2]
 
*
 
I raggi cristallini del sole filtravano attraverso i vetri della finestra, rendendo più tiepida l’atmosfera che si respirava nella stanza. A mano a mano che il sole si alzava nel cielo, la penombra nella stanza diminuiva, fino a quando un raggio di sole non colpì in viso Caterina, costringendola ad aprire gli occhi un po’ infastidita. Era già sveglia da circa un’ora, ma aveva preferito tenere gli occhi chiusi: stava pensando, riportando alla mente diversi ricordi della sera precedente.
Tirò un po’ più in su il lenzuolo, dei brividi di freddo che le percorrevano la schiena, cercando di coprirsi la pelle nuda delle spalle, e facendo ricadere di nuovo la testa sul cuscino.
I ricordi nella sua mente stavano diventando sempre più vividi, e sempre più nitidi, una volta richiusi gli occhi, inspirando forte il profumo delle lenzuola che teneva strette a sé.
 


La forza di volontà. Ecco cosa le mancava.
Mancava un mese alla fine della scuola, e ai conseguenti esami di maturità, ma la sua voglia di studiare sembrava proprio non voler comparire.
Era da circa due ore che si trovava seduta alla sua scrivania, ed ormai fuori era calata la sera. Il libro di spagnolo era aperto davanti a lei, ma la concentrazione era nulla: probabilmente stava leggendo la stessa riga per la ventesima volta, non avanzando nemmeno di una parola.
In compenso, però, non si era certo dimenticata dell’esistenza del suo cellulare: vide il display illuminarsi, e in quel momento lo afferrò in fretta per controllare di chi fosse il messaggio che le era appena arrivato.
Caterina si lasciò scivolare sulla sedia, con aria delusa: un messaggio di Giulia non era proprio quello che si aspettava. L’unico da cui avrebbe voluto ricevere un messaggio era tutt’altra persona.
D’altro canto, Nicola avrebbe avuto un parziale  proprio il giorno seguente: probabilmente stava studiando nel suo appartamento a Venezia, preparando l’esame dell’indomani.
L’aveva visto giusto il giorno prima, e il giorno prima ancora, prima che ripartisse. In quei pochi minuti in cui erano rimasti da soli, senza la presenza di Giulia, Filippo, Alessio e Pietro, avevano parlato, anche se non quanto come quando stavano insieme. L’imbarazzo era ancora forte, e i sensi di colpa altrettanto.
 
And our time apart, like knives in my heart
How could anyone ask for more?
 
Caterina sbuffò, seduta su quella sedia, e richiudendo infine il libro: sapeva che ogni volta che Nicola la vedeva non poteva fare altro che vedere l’immagine di lei e Giovanni insieme. Valeva anche per lei, e non ne andava affatto fiera. Aveva sperato che con Giovanni potesse funzionare, almeno per dimenticare Nicola e tutto quello che il suo nome portava con sé. Non era servito.
Non era riuscita a dimenticare, e ora che con Giovanni era finita davvero, e Nicola era tornato con la sua presenza fisica, e non solo mentale, nella sua vita, tutto era più difficile.
 
But if there’s a pill to help me forget,
God knows I haven’t found it yet
But I’m dying to
God, I’m trying to
 
Non poteva fare altro che ammetterlo, non poteva negarlo: cercare di non sentire di nuovo quel sentimento che la legava a Nicola era la cosa più difficile che avesse mai fatto in vita sua. Ci riusciva solo fino ad un certo punto, e poi, inevitabilmente, non poteva fare altro che provare quel calore che la riscaldava ogni volta che lo vedeva, ogni volta che lo sfiorava, ogni volta che sentiva la sua voce.
Per questo in quel momento sperava in un suo messaggio, in una sua chiamata, nonostante se lo rimproverasse.
Erano mesi che non erano più una coppia, ma ripetersi tutti i motivi per i quali lo aveva lasciato, e per i quali non sarebbero potuti tornare ad essere una coppia, funzionava solo fino ad un certo punto. Sentiva dentro di sé un qualcosa di non ben definito che le diceva che non ce l’avrebbe mai fatta: Nicola era il suo passato, era tornato ad essere il suo presente, e anche se non ne era ancora del tutto sicura, anche il suo futuro.
Più cercava di convincersi del contrario, più non faceva altro che accorgersi di quanto le mancasse.
 


Caterina si rigirò nel letto, tenendo ancora le palpebre abbassate, e tenendo ancora stretto tra le mani il lenzuolo del letto sfatto.
Quel ricordo ancora le faceva un certo effetto: forse perché nonostante tutto il tempo già passato da allora, lo ricordava ancora come fosse ieri. E poi non poteva fare a meno di ripensarci, confrontando quel momento passato alla situazione attuale. Ora come ora, mai avrebbe pensato che quel giorno di maggio avrebbe potuto anche solo immaginarsi cosa sarebbe davvero successo. Ora che aveva vissuto fino a quel momento, sapeva che la realtà superava di gran lunga qualsiasi sua fantasia avvenuta nei mesi scorsi.
Ricordava quando ancora aveva sofferto tantissimo per le sue decisioni: lo aveva fatto fino a poche ore prima. Erano passate solo poche ore, da quando aveva iniziato a potersi definire felice.


 
Ormai le sembrava di non avere più lacrime dentro di sé.
Sembrava che finalmente le cose potessero andare bene, ma la paura, quella maledettissima paura, le aveva impedito di far sì che potesse andare anche meglio.
Ma che ci poteva fare? In fondo sapeva che era meglio aspettare: era ancora troppo presto per riprovarci con Nicola. Aveva troppa paura che finisse nuovamente come la prima volta, e forse anche peggio.
Aveva paura di perderlo nuovamente, e sapeva che se fosse successo una seconda volta, non ce l’avrebbe fatta.
In certi casi, il passare del tempo era la medicina migliore, anche se faceva male.
Ed in quel momento faceva malissimo.
 
And this kind of pain, only time takes away
That’s why it’s harder to let you go
And nothing I can do, without thinking of you
That’s why it’s harder to let you go
 
Eppure, in quel momento – con la faccia appena sollevata dal cuscino del suo letto, cercando di asciugare quelle lacrime con la mano-, non riusciva proprio a pensare a come ce l’avrebbe fatta ad aspettare. Era difficile, fin troppo. Aveva perso il conto di quante ore e giorni avesse passato pensandolo, pensando solo a lui. Il giorno precedente si era trovata in piazza con Giulia, e non aveva fatto a meno di ricordare tutte le volte in cui l’aveva fatto in compagnia di Nicola, tra carezze, abbracci e chiacchierate che finivano inevitabilmente in baci attesi con tutto l’amore che potevano provare l’uno per l’altra.
Non doveva pensarci, doveva almeno sforzarsi di non farlo, altrimenti tutto sarebbe stato ancor più difficile. Avrebbe volentieri cercato un metodo efficace per impedire alla sua mente di farle rivedere l’azzurro incredibilmente accesso di quegli occhi, di farle tornare in mente quei fili d’oro dalla morbidezza infinta, e quelle labbra piene e vellutate che l’avevano baciata così tante volte, ogni volta in modo unico.
 
But if there’s a pill to help me forget
God knows I haven’t found it yet
But I’m dying to
God, I’m trying to
 
Ma la sua forza di volontà arrivava fino ad un certo punto, soprattutto in una situazione come quella. Ed in quel momento, come nei momenti precedenti, stava comunque pensando a lui. Sempre a lui.
Tra tutte quelle lacrime che la facevano sentire stanca e svuotata, tutto ciò che avrebbe voluto era una carezza da parte sua, o anche semplicemente, qualche parola dolce, d’incoraggiamento. Ma sapeva che non sarebbe successo, non per ora. Non dopo essere stata lei stessa a chiedergli di aspettare ancora.
C’erano un’infinità di motivi per voler aspettare, ma neppure uno sembrava che potesse essere valido davvero, non in quel frangente.
Era quasi incredibile come il fatto di non voler ammettere di amarlo ancora, complicasse così tanto le cose tra loro. Cose che solamente con Nicola potevano succedere.
 


Ripensando agli ultimi mesi, Caterina dovette ammettere che il periodo più difficile era stato proprio quello estivo: Nicola le sembrava quanto mai vicino, più di quanto non lo fosse mai stato da un anno a quella parte, e allo stesso tempo le era sembrato sempre più distante.
Quelle sue sensazioni contrastanti ed erronee le avevano giocato un brutto scherzo. Ancora si dava della stupida, per aver davvero pensato che Nicola avesse improvvisamente cambiato idea su di lei, su di loro. Caterina aveva vacillato come non mai in quelle due ultime settimane: ogni tipo di fiducia era scomparsa, ogni speranza frantumata. Si era sbagliata così tanto che, a ripensare al giorno precedente, non poté fare a meno di credere che, tra loro due, era stata lei, stavolta, ad essere la più cieca.


 
Erano passati alcuni mesi, e il dolore non si era attenuato. O almeno, era cambiato. In realtà, il dolore ora era accompagnato da ciò che più aveva temuto in assoluto.
I primi giorni di settembre erano ancora caratterizzati dal caldo afoso dell’avvicinarsi della fine dell’estate, ma a Caterina non importava: quel pomeriggio se ne stava seduta su una panchina, poco distante dalla sede universitaria di Nicola, pensando, pensando, ed ancora pensando.
 
So I sit here divided, just talking to myself
Was something that I did?
Was there somebody else?
 
Vederlo parlare con altre ragazze l’aveva fatta andare in crisi, c’era poco da fare. Lei e Nicola si erano certamente riavvicinati in quei mesi – o forse era stata solo una sua sensazione. Sì, forse era stata solo la sua immaginazione, ora doveva ammetterlo. Non poteva continuare a fingere che sarebbero potuti continuare entrambi in quella situazione d’incertezza per tutto quel tempo.
-Che fai qui, tutta sola?-.
A distrarla fu una voce alle sue spalle; Caterina non ebbe bisogno di girarsi per riconoscere la persona che si trovava poco dietro di lei, e che le aveva rivolto appena qualche secondo prima la parola.
 
When a voice from behind me, that was fighting back tears
Sat right down beside me, and whispered right in my ear


-Riflettevo- la sua voce uscì dalla sua bocca come un sussurro, appena udibile.
Nicola fece il giro della panchina, andando a sedersi di fianco a lei. Caterina non sollevò lo sguardo, ma sentì comunque la sua vicinanza e i suoi occhi azzurri posati su di lei.
-E su cosa riflettevi?- la voce di Nicola le arrivò dolcemente, mentre Caterina alzava finalmente il viso, mentre lui appoggiava piano il mento sulla sua spalla sinistra, continuando a guardarla e accennando ad un sorriso – Caterina non era del tutto sicura che fosse lo stesso sorriso affabile, affascinante, che aveva rivolto alle sue compagne di corso qualche minuto prima.
Stavolta non distolse lo sguardo, e non cercò di impedire quel contatto.
A cosa stava pensando?
Probabilmente pensava solamente al fatto che, nonostante tutto, lo amava ancora.
 
Tonight I’m dying to tell you
That trying not to love you, only went  so far
Trying not to need you, was tearing me apart
 
Caterina finalmente riaprì gli occhi, quando sentì un movimento di fianco a lei, nel letto. Probabilmente si era svegliato anche lui, alla fine. Si girò nuovamente, avvicinandosi il più possibile alla schiena nuda del ragazzo di fianco a lei, e accarezzandogli piano il braccio, respirando appena sulla pelle nuda.
-Alla buonora, eh- sussurrò lei, avvicinandosi all’orecchio di Nicola, mentre lui apriva pian piano gli occhi, ancora assonnati.
-Ciao- borbottò Nicola, girandosi appena verso di lei, e accennando ad un sorriso.
Caterina sorrise a sua volta: alla fine, era vero, era arrivato il momento per loro di riprovarci.
D’altro canto, ci aveva provato a non amarlo nuovamente, a non sentire di nuovo il bisogno di lui. Alla fine, come aveva previsto, aveva ceduto.
Ed ora, averlo lì, di fianco a lei, dopo aver passato la notte insieme, ed essersi risvegliati di nuovo vicini, la faceva stare bene. Era riuscita ad accantonare la paura, perché i motivi per i quali lei e Nicola potevano riprovare una seconda volta erano stati troppi. Non era pentita di quella sua decisione.
Posò un leggere bacio sulla pelle calda e liscia del ragazzo, mentre Nicola le accarezzava i capelli, sistemandosi meglio tra le braccia di lei.
Caterina si stese, facendo aderire i loro corpi, e appoggiando il capo sul petto di Nicola.
Ora stava davvero bene.
 
Now I see the silver lining
from what we’re fighting for
And if we just keep on trying,
We could be much more
‘Cause trying not to love you, trying not to love you
Only makes me love you more
Only makes me love you more [3]


 
[1] Lenny Kravitz - "Stillness of heart"
[2] Lana del Rey - "Brooklyn Baby"
[3] Nickelback - "Trying not to love you"
*il copyright delle canzoni appartengono esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
 NOTE DELLE AUTRICI
E anche quest'estate è finita ufficialmente: settembre è arrivato, e si è portato con sè aria di cambiamenti, soprattutto per Giulia e Caterina. Ormai stabilitesi a Venezia (anche se all'ultimo), per loro è iniziata la loro avventura universitaria. Chissà come se la caveranno!
Ma in mezzo a tanti cambiamenti, la vera cosa importante è come si conclude questo lungo capitolo, che porta con sè happy ending per Caterina e Nicola che si sono finalmente ritrovati. Avevate quasi perso le speranze, vero?
Che cosa succederà nel prossimo capitolo, che è anche il penultimo di questa prima parte di Walk of Life?
Appuntamento a mercoledì 30 giugno, per avvicinarci sempre di più al gran finale!
Kiara & Greyjoy

 
 
 
 
 
 
   
 
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