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Autore: SkysCadet    19/06/2021    0 recensioni
La cittadina di Filadelfia sembra un borgo tranquillo, in cui la gente comune passa la giornata senza occuparsi degli strani avvenimenti che accadono da diverso tempo. Tuttavia, Simon si ritrova - suo malgrado - a combattere per la salvezza delle anime sfuggite al potere dei Lucifer. Tra questi c'è Joshua, un ragazzo con un dono particolare. Il giorno in cui Ariel - una matricola impulsiva dell'università di Filadelfia - lo incontra per la prima volta, capisce che in lui c'è qualcosa di diverso dagli altri ragazzi. Solo un nome sembra in grado di cambiare il corso degli avvenimenti, un nome che i Lucifer non possono nominare...
Genere: Fantasy, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Era stata una giornata pesante per Ariel, la quale aveva capito che, Joshua, nel suo modo di fare, nella sua mente, nella sua fede, non avrebbe mai trovato posto per lei. Tuttavia, si sentiva legata a lui da un cordame fatto di strane emozioni e sensazioni e, in quel momento, sotto le coperte, guardando verso il balcone finì per lasciarsi sfuggire un'ultima goccia di quella delusione provata qualche ora prima.

Mostrò quindi le spalle alla finestra e si addormentò, bagnando il cuscino di alcune gocce di tristezza.

Il giorno seguente, guardandosi allo specchio prima di uscire di casa si vide stranamente il volto limpido e riposato.

A causa della sua afflizione, infatti, aveva dormito più di otto ore, ma in un sonno stranamente dolce, come se, qualcuno, come un padre, le fosse stato accanto, consolandola.

Non era stato un sogno, ma una sensazione palpabile come il calore dell'amore di un padre...

Si era persa in quel ricordo, ma guardando l'orario dell'orologio da polso si accorse che l'università la stava aspettando.

***

«Tutto a posto, Ariel?»

Lucia era seduta accanto a lei in una delle ultime file dell'Aula in cui si svolgeva 'Diritto Romano' e la osservava mentre era intenta a disegnare delle ali candide sul quaderno degli appunti, incurvando le labbra in un sorriso.

«Sì, tutto a posto.» Rispose, prima di scorgere la figura di Joshua che saliva i gradini diretto verso la loro posizione.

Sembrava un'altra persona. Non potè fare a meno di notare quanto fosse diverso con un velo di barba a contornare la mandibola e le labbra; i capelli lievemente scompigliati non riuscirono a renderlo meno elegante, vestito di un cappotto blu lungo fino alle ginocchia.

«Oh. Mio. Dio.» la voce di Lucia le giunse alle orecchie come un allarme. Si girò verso di lei che si stava abbassando per nascondersi dietro la fila di sedili. Ariel la guardò e aggrottando le sopracciglia le chiese: «Lucia, ma che combini?»

«Tranquilla, fa sempre così quando lo vede» il tono caldo di Joshua la fece sobbalzare; si era accomodato accanto a lei che avrebbe voluto scappare, ma si ritrovò bloccata: da una parte l'amica era in preda ad un rossore preoccupante e, alla sua sinistra, Joshua si era già proteso per osservare il suo disegno «Un angelo?»

Lei chiuse il quaderno di scatto. «Sempre curioso, eh?» lo provocò.

Era cambiato qualcosa in lui; avrebbe potuto giurare di avvertire il peso dei suoi occhi verdi come un macigno sulla pelle. «Stavi dicendo?»

Lui si schiarì la voce: «Lucia fa così quando vede Heliu a chilometri di distanza.» Nel dirlo, si sporse verso Lucia per guardarla sottecchi.

«Shh! Ti prego Joshua! Non fare come al tuo solito!» lo implorò l'altra che si copriva il volto con il block notes e si sporgeva verso Ariel, mentre lui si divertiva a far finta di salutare il ragazzo muovendo in aria le braccia.

«Chi è questo Heliu? E perché non me ne hai parlato, Lucia?» le chiese Ariel, socchiudendo gli occhi e Lucia dovette liberarsi del block notes, ponendolo sulle ginocchia con mento basso. «Sì, insomma, te ne avrei parlato se...»

Si conoscevano da poco, ma fin da subito si era formato tra le due quel legame che ti fa comprendere che nell'altra potrai sempre contare; tuttavia, l'unica volta che avrebbe voluto sapere se Lucia avesse un ragazzo si era ritrovata a parlare al telefono con Joshua, finendo col fare una brutta figura.

«Heliu è un mio amico e vive anche lui al Centro di Padre Simon, solo che Lucia non ne aveva parlato ancora con nessuno» spiegò Joshua masticando la parte inferiore di una penna bic con lo sguardo su un ragazzo che stava salendo le scale per andarsi a sedere qualche fila dopo di loro.

Ariel scrutò l'amica e vedendola diventare rossa, capì quanto Lucia fosse ormai nella fase ultima di una cotta bella e buona. Non fece in tempo ad articolare quel pensiero che avvertì il peso del braccio di Joshua sulle spalle; la tirò leggermente verso di lui per indicargli il ragazzo moro, seduto due file dopo di loro.

«Ecco, quello è Heliu» e nel rivolgerle parola, Joshua la sentì irrigidirsi e, a bassa voce, verso il suo orecchio, spiegò: «Sai, Lucia è così: parla e si confida solo con Simon e lui non lo sa ancora. Ecco perché si sente così. Avrebbe voluto dirlo prima a lui.»

Ariel aveva ascoltato ben poco delle parole che gli aveva rivolto, intenta com'era nel cercare di rallentare un battito che le stava infuocando le guance. Così si ritrasse dal suo braccio, lasciando che la sua mano scivolasse via dalla spalla destra.

Quando i loro occhi entrarono in contatto, ad Ariel le si mozzò il fiato: il ricordo della sua precedente vicinanza le annebbiò i pensieri.

Intanto il professore dal capo canuto e gli occhiali sul naso aveva fatto il suo ingresso in aula camminando celermente; mentre si stava sistemando nella cattedra vide il volto di Acab in prima fila. «Buongiorno a tutti ragazzi, ma soprattutto a lei Signor Damian. E' bello riaverla tra noi!»

«È sempre un piacere partecipare alle sue lezioni, professore» rispose il ragazzo dagli occhi di ghiaccio e un largo sorriso, poggiando il mento sulle mani incrociate e i gomiti sui braccioli.

«Ma per favore...» commentò Joshua. Aveva partecipato ad altre lezioni del professore in questione e sapeva che tutto quell'interessamento non era certo dovuto alla buona condotta del Damian.

«Non sopporto i professori che fanno i lecchini con chi li tiene sulla poltrona...» disse Ariel, guadagnandosi lo sguardo compiaciuto di Joshua, che continuava a masticare la penna, in maniera nervosa.

«Comunque,» risoluto «gli angeli esistono e stanno accanto a chi sta per avvicinarsi a Dio. Lo sapevi?» le domandò sottovoce, piegando la testa verso la sua direzione.

«No, ma non mi interessa.»

Le interessava, eccome! Solo che non gli avrebbe dato adito di pensare che, anche lontanamente, lei avrebbe potuto varcare la soglia di una chiesa.

Cos'è? Siamo diventati migliori amici, Joshua? Si disse, pensando alla sera precedente.

«Sai, Ariel,» la dolce voce di Lucia la riportò alla lezione, mutando il volto corrucciato in un'espressione distesa e tranquilla. «Joshua vede gli angeli!»

«Ma davvero? Sono impressionata!» la voce di Ariel risultò sarcastica e mentre i suoi occhi fissavano seccamente il professore, Joshua avvertì chiaramente il suo astio; serrò la mascella e rifletté sulla visione della notte trascorsa in bianco.

Svegliato di soprassalto, aveva visto l'arcangelo Gabriel posarsi sul balcone della giovane in un'esplosione di luce, e, attraversando la parete, era entrato nella stanza della ragazza senza sapere che quell'evento aveva dato ad Ariel la possibilità di dormire in tranquillità.

La guardò sottecchi ripensando a ciò che lo aveva smosso a compiere quel gesto la sera precedente. Lei non avrebbe mai compreso la sua scelta. Sapeva di aver smosso qualcosa in lei, ma avrebbe fatto di tutto per farle capire che non avrebbe dovuto innamorarsi di lui; lui che era il primo a tormentarsi per starle lontano.

«Concorda con me, Signor Damian?»

«Assolutamente.»

Il professore aveva iniziato un'invettiva sul cristianesimo e le sue origini, ma Joshua non se n'era accorto.

«Ma hai sentito cosa ha detto, Joshua?» Lui scosse la testa un paio di volte alla domanda di Lucia.

«Ascolta...» lo sguardo di Ariel appariva turbato, in direzione del professore.

«Vedete? Non sono il solo a pensare che il cristianesimo abbia rovinato il nostro mondo, Signori!»

Il docente aveva continuato a parlare del fatto che i romani si fossero cristianizzati con l'inganno della resurrezione di Gesù Cristo, creata ad arte dai primi apostoli.

Joshua, a quelle parole, si sentì colpito da una lama in pieno petto e mentre il cuore aveva iniziato a battere violentemente, quasi volesse uscire dallo sterno, avrebbe voluto far rimangiare all'uomo quelle esternazioni. Così si alzò di scatto e uscì dalla sala con un sentimento che non avrebbe mai voluto provare di nuovo.

La porta dell'aula sbatté, suscitando un sorriso compiaciuto sul volto di Acab.

Il Leone di Dio è solo, adesso...

Joshua uscì dall'università, verso una sola direzione: il Centro di Simon, la sua casa. Quel centro di bambini sorridenti, di famiglie tolte dalla strada, ferite ricucite e vite salvate.

Camminava a piedi e a passo svelto, faceva echeggiare il suo respiro affannoso; con gli occhi lucidi per la risonanza di quelle affermazioni che gli avevano inflitto, sentì dentro una ferita aperta, come un chiodo conficcato nell'anima. Poi l'immagine di due mani aperte e inchiodate a un pezzo di legno fece capolino nella sua mente; mani aperte ad un mondo che, invece di accoglierti, ti frusta e ti mette in croce.

Ma se tutto questo bene ha provocato solo male, che senso ha avuto?

Vivere anni di umanità, con gioie, dolori, tentazioni, mentre tutta la pienezza della divinità celeste aveva camminato su una terra che da lì a poco l'avrebbe guardato con disprezzo e che avrebbe giudicato ogni sua decisione.

Tutte queste riflessioni, provocarono in Joshua altro risentimento, tenuto a bada da una forza più grande di lui, che gli premeva lo stomaco in una morsa.

«Perché ami questo mondo? Eh? Loro Ti odiano! Uccidono i tuoi figli e poi danno la colpa a Te! Dicono che sei un'invenzione! Sono Tue creature. Mostrati e vendicati!» Indicando il cielo si era fermato a urlare al Creatore come chi litiga con la persona che ama di più al mondo, piangendo di una rabbia che pulsava nelle tempie.

Nel mentre si era fermato ad osservare il cielo limpido, venne investito da un raggio di sole, che gli abbagliò la vista; si fermò con una mano a schermare quella luce innaturale e, in lontananza, udì il fischio delle ruote di un'auto sull'asfalto.

Quando si voltò, la scena che vide gli gelò il sangue. Boccheggiò, negando col capo.

L'auto che aveva sentito aveva svoltato l'angolo e, per un soffio, non aveva investito- né sfiorato- Lucia e Ariel appena fuori dall'università.

Sentì le forze venire meno, ma nonostante le gambe tremanti e un filo di voce corse nella loro direzione pronunciando il nome di Lucia.

Ariel aveva visto che un bagliore caldo le accecava la vista e costretta a rimanere sul marciapiede vide come a rallentatore l'auto scura di Acab che le sfiorava il braccio; lo riconobbe alla guida con il volto pallido e glaciale come la neve. Lo spostamento d'aria e lo spavento le provocarono un inevitabile sbilanciamento verso Lucia che si trovò ad attutire la sua caduta al suolo.

Acab non aveva adempiuto alla sua missione nemmeno quella volta.

Sapeva di non essere bravo a uccidere le anime in quel modo: solitamente era astuto e seducente per carpire il cuore di ragazze abbandonate come Ariel. Ma, quel giorno, non aveva capito la telefonata della sorella, che gli intimava di prendere l'automobile e uccidere la Profetessa e il Leone di Dio.

Una volta salito in macchina aveva ripensato più volte al da farsi, sentendosi poco idoneo al compito e stringendo lo sterzo tra le mani sudate si ferì il labbro interno con i ripensamenti.

Forse non era ancora pronto ad uccidere, ma avrebbe dovuto farlo o sarebbe stato lui a perdere la vita, in un modo più atroce di quanto non avesse fatto con le due.

Così, le avrebbe aspettate all'uscita, ascoltando il motore della sua auto nera una volta che le due avessero oltrepassato la soglia dell'università.

Una volta che ebbe premuto il pedale dell'acceleratore sembrò che anche il suo cuore potesse prendere quella velocità, e quando quella forza gelida che gli permeava le vene ebbe il sopravvento. iniziò a far stridere le ruote sull'asfalto. L'adrenalina gli pulsava nelle vene ma non ebbe il tempo di realizzare quanto stava accadendo perchè una figura possente gli apparve di fronte, mentre il veicolo era in corsa; il lampo di luce prodotto da quella enorme creatura lo costrinse a svoltare rumorosamente.

Svoltato l'angolo si era fermato con il respiro concitato e gli occhi sbarrati; le mani tremanti e sudate. Non gli era mai successo di provare una simile emozione e in un modo così violento.

Quel ghiaccio che lo aveva sorretto nelle varie missioni, sembrò graffiato da qualcosa simile alla paura di morire.

Si guardò indietro e vedendo la strada vuota, increspò la fronte. Accese il motore e corse via.

***

Ariel avvertiva gli occhi pesanti e la testa compiva giri tali da non permetterle di riconoscere l'ambiente circostante; la voce flebile di Lucia che chiamava il suo nome le arrivò alle orecchie come un suono ovattato. Un velo di sudore ghiacciato le imperlava la fronte e la nuca e quando un tocco familiare le sfiorò la guancia si sentì rinsavire.

Il volto di Joshua le aveva regalato la visione di un sorriso; gli occhi lucidi- come di chi resiste al pianto -la guardavano riprendere conoscenza. Lui che aveva perso i genitori con le stesse modalità di quell'incidente, faticò a tenere chiuse le palpebre per non far uscire nemmeno una lacrima.

«Ariel...» pronunciò, con un filo di voce.

Lucia le teneva la nuca, in ginocchio, bagnandole lievemente le labbra con dell'acqua.

Fu lo sguardo che mostrava Lucia a preoccuparla più di tutto: uno sguardo smarrito e in preda alla confusione; un viso pallido e gli occhi di chi, invece, aveva pianto intensamente.

«Cosa...» Ariel fece leva sui gomiti e cercò di rialzarsi da sola, mentre le gambe stentavano a ricevere i comandi neuronali.

«Penso proprio che sia giunto il momento.»

Joshua aveva pronunciato quella frase cercando lo sguardo di Lucia, che tuttavia sembrava non essere presente nella loro dimensione, ma piuttosto rapita da qualche immagine invisibile.

«Vero, Lucia?» Il ragazzo ripeté la domanda e quando le toccò la fronte gelida con il palmo della mano, l'altra si girò verso di lui dopo aver battuto un paio di volte le palpebre.

«Padre Simon...» sussurrò, poi. Joshua non riuscì a capire cosa volesse dire, ma tentò di leggere oltre quelle poche parole.

«Sì, Lucia, dobbiamo andare da Simon.» il timbro della voce di Joshua tentò di rassicurarla data la situazione già precaria. Lo sguardo di Joshua si fece cupo e impenetrabile e quando Ariel riuscì ad alzarsi si rivolse a Lucia: «Cosa sta succedendo a Padre Simon?»

Joshua la osservò dal basso, corrugando la fronte; non avrebbe mai potuto credere che una ragazza del mondo avesse avuto la capacità di trovare un significato a quel paio di parole.

Lucia le rispose con tono sicuro: «Dobbiamo andare da Simon per aiutarlo, Joshua.» ordinò. Poi fece balzare lo sguardo dal ragazzo a Ariel e in un un largo sorriso rassicurante le confidò all'orecchio: «Ora conoscerai tutta la verità.»

***

Simon aveva avuto una fitta improvvisa alla testa, nello stesso momento in cui la luce aveva abbagliato le vite dei tre ragazzi, senza sapere quello che fosse successo. Così, mentre si trovava a pregare in ginocchio ai piedi del letto del suo studio, si alzò con un presentimento.

Il cuore che gli palpitava nel petto lo indirizzò verso la libreria color ciliegio con il dolce suono d'una voce paterna. Lì c'erano i libri e gli studi teologici di padre Peter che lo guidavano nell'interpretazione del Sacro Libro della Confraternita delle Sette Chiese che aveva subito varie modifiche passando dalle mani dei vari capi delle Sette Chiese; ma nonostante alcuni cambiamenti tra le varie dottrine, Simon sapeva che il Libro era uno per tutte: l'unico elemento oggettivo contro le dottrine dei Lucifer.

Vi si avvicinò con aria interrogativa, sentendo una lieve spinta alle sue spalle, che lo costrinse a voltarsi di scatto. La stanza era vuota e, a parte le lancette della piccola sveglia posta sul comodino, che scandendo l'ora facevano sentire il classico ticchettio, non c'erano altri movimenti.

«Spostamenti d'aria, mh?» si era domandato, inarcando un sopracciglio prima di voltare il busto e rivolgere lo sguardo verso la pila di libri posti nella parte superiore della libreria.

Un libro in particolare aveva attirato la sua attenzione: un libro dalla copertina rigida, color rosa antico e con i caratteri della scrittura in oro.

Il titolo lo spinse ad un'urgente lettura, come se si stesse delineando di fronte a lui la via che avrebbe dovuto percorrere di lì a poco:

"Regno di Dio tra gli uomini."

Aveva letto seguendo con l'indice le striature di cartoncino rigido, proseguendo fino al sottotitolo.

"Una lotta di regni, per la salvezza delle anime"

Concluse, prima di sobbalzare allo squillo acuto del telefono.

«Pronto?» Simon aveva sbarrato gli occhi a sentire la voce dell'uomo dall'altra parte della cornetta. «Certo, arrivo subito» riattaccò, senza levare la mano dall'oggetto fino a far sbiancare le nocche.

Se la Confraternita delle Sette Chiese l'aveva convocato, voleva dire una sola cosa: avevano scoperto la sua nuova visione.

Prese il cappotto beige appeso al lato della porta e roteò la maniglia ma sull'uscio, ad attenderlo, c'era un ragazzo dai mossi capelli bruni che si trovava in procinto di bussare ad una porta già aperta.

Simon rimase per un'attimo in attesa di qualche parola da parte del giovane, che lo guardava con aria perplessa.

«Allora Heliu, cosa devo fare per farti aprire la bocca? Sono in attesa di una tua parola.» Simon era visibilmente preda dell'agitazione per aver ricevuto quella telefonata. Così, aggiustandosi il colletto della giacca, mostrò in quel volto solitamente pacifico e benevolo, l'aria di chi è sull'orlo di una crisi di nervi.

«I... Io...»

Heliu era una ragazzo insicuro e dal cuore fragile, tanto che la sua anima rischiava di ferirsi anche con un soffio di vento. Fu per questo che Simon lasciò da parte l'ansia per dedicarsi al ragazzo, qualsiasi cosa avrebbe voluto chiedergli.

Dopo aver chiuso la porta dietro di sé, Simon si sedette sulla poltrona, osservando il giovane seduto di fronte a lui nell'atto di scrocchiare le dita convulsamente, mentre uno strano sorriso imbarazzato era ben stampato sul suo viso.

«Allora, cosa volevi dirmi?» sospirò Simon, adagiando le braccia conserte alla scrivania e cercando lo sguardo di Heliu coperto da qualche ciuffo di capelli.

«Ecco...» tossì «Non volevo disturbarti, perché non credo sia una cosa importante» lo sguardo ridente e il lieve rossore fecero sorridere il Padre, che abbassò per un attimo il volto chiedendo perdono al Creatore per la sua mancanza di pazienza avuta nei suoi confronti.

«Heliu, Heliu...» Il giovane aggrottò le sopracciglia mentre lo stomaco compiva delle piroette al solo intuire cosa stava per dirgli Simon. «Non devi essere timido con me; purtroppo per te, riesco a intuire parecchie cose.»

«E cosa hai intuito, Padre?» deglutì.

Simon sorrise, mostrando lievi rughe intorno agli occhi prima di iniziare il suo discorso: «L'amore...» si alzò, fece qualche passo attorno al mobile per sedersi sul bordo della scrivania facendo peso su una gamba «E' una forza così potente per cui, anche se non fai alcunché per mostrarlo, devi inevitabilmente fare i conti con delle reazioni fisiologiche: come il rossore, l'agitazione e...»

«Dice che Lucia ha capito tutto?» Lo interruppe Heliu bruscamente, lasciandolo a bocca aperta. Simon annuì un paio di volte con sguardo incredulo.

«Beh...» biascicò Simon, grattandosi la nuca. Sembravano passati in un attimo gli anni da quando Lucia aveva varcato la soglia del Centro insieme al Padre Gilbert. Lucia era già diventata una donna e fu in quel momento che, per la prima volta si vide nei panni di chi, in un prossimo futuro avrebbe dovuto celebrare il suo matrimonio.

«Questo non lo so, ragazzo mio, ma non smettere mai di essere te stesso.» Concluse, rivolgendogli un largo sorriso che spuntava dal volto barbuto e, ponendo una mano sulla spalla del giovane, ormai sereno, si diresse verso la porta che una volta aperta fece comparire i volti dei suoi figli prediletti: Joshua e Lucia.

«Ragazzi!» Si gettò istintivamente verso Joshua con un forte abbraccio dandogli delle sonore pacche alla schiena, mentre scorgeva il volto turbato di una ragazza mora e dai grandi occhi marroni oltre le spalle del ragazzo. Il cuore di Simon si rinfrancò alla loro presenza, a causa dei presentimenti avuti prima della telefonata aveva temuto il peggio.

«Dobbiamo parlarti...» pronunciò Joshua. Il tono utilizzato fece scomparire nel Padre la gioia che aveva allietato il suo animo; spostò lo sguardo verso il viso pallido di Lucia e i suoi occhi gli parlavano di un evento ben preciso.

«Joshua, io so cosa vuoi dirmi, ma ho un'urgenza» comunicò sospirando profondamente «devo andare alla Cattedrale delle Sette Chiese.»

«Il numero sette...» pronunciò Ariel in un fil di voce. Voleva vederci chiaro una volta per tutte ed era infatti per quell'unico motivo che aveva accettato di incontrare Simon.

Avevano preso l'autobus e, dato che la fermata non era tanto lontana dal Centro di Aggregazione, avevano camminato a piedi, fin quando, oltre i palazzi rustici, Ariel aveva visto spuntare un palazzo di cinque piani color ciano, le cui grandi finestre di vetro riflettevano le nuvole bianche che adornavano il cielo. Era circondato da un muro in cemento al cui interno alti pini svettano verso il cielo.

Era un luogo che già dall'esterno trasmetteva un senso di tranquillità dato dalle risate acute e dalle esclamazioni di gioia di bambini che percorrevano il cortile di corsa.

Che posto è questo? Si era chiesta Ariel non appena il suo cuore era stato riempito di un sentimento di tenerezza e appagamento.

Nel momento in cui il cancello grigio scivolò di fronte ai suoi occhi, gli vennero in mente le parole di Acab che cozzavano con quello che stava provando e con la visione di quel luogo capace di trasmettere uno stato di serenità.

Giovani donne accomodante a delle panche di legno, confabulavano sorridenti, mentre uomini in vesti di operai davano dei ritocchi di pittura alle mura bianche della Cappella.

Percorse il cortile seguendo i due ragazzi a sguardo basso e con un peso improvviso in corrispondenza della sua collana che strinse nel palmo destro.

Come se si sentisse improvvisamente inadatta a quel posto, rallentò il passo e quando un bambino gli si gettò alle gambe lei pensò di avergli fatto male.

«Scusa piccolo!» gli aveva detto, guardandolo correre verso la madre che non smetteva di sorridere. La donna invitò il bambino a salutare Ariel, quello lo fece. Quel gesto le riscaldò in un attimo il cuore e proseguì all'interno con volto disteso.

Joshua e Lucia erano davanti a lei quando la porta di legno dello studio di Simon si aprì. La vista di Simon fu per Ariel come ricevere un pugno violento allo stomaco.

Quell'uomo...Lui...

Nei tratti fisici del padre vi erano delle terrificanti somiglianze con l'uomo del suo sogno.

 

   
 
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