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Autore: Little Miss Sunshine    30/08/2009    8 recensioni
Diciassette anni, capelli rossi, infinite lentiggini.
-Sembra che tu abbia la varicella!
Non ero la classica ragazza anonima che voleva mostrare di avere carattere.
Non ero la classica ragazza anonima che rispondeva acida.
Diciamo che ero la classica ragazza un po' stronza e popolare che non voleva un ragazzo facile da ottenere, ovviamente.
Possibile che nella mia scuola, carente di ragazzi carini, non si fosse mai parlato di quel ragazzo che meritava sicuramente un posto nella classifica dei più desiderati? Ipotizzai che fosse uno nuovo mentre portavo la tazzina alle labbra per mandare giù il caffé amarissimo. Ad un tratto lui si girò ed incrociò il mio sguardo che gli stava facendo una radiografia da almeno un paio di minuti. Mentre le mie guance si coloravano probabilmente di porpora ed indirizzavo il mio sguardo ficcanaso sul piattino dove posavo la tazzina, lui sorrideva guardandomi per poi tornare a concentrarsi sul suo cappuccino.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Through it all, I made my mistakes
I stumble and fall, but I mean these words
I want you to know
With everything I won't let this go,

 these words are my heart and soul
I'll hold on to this moment you know,

 'cause I'll bleed my heart out to show
That I won't let go

With Me – Sum 41

 

 

 

Capitolo Decimo: Un giorno (non) come gli altri.

 Emanuele Benassi non era mai stato sinonimo di passeggiate alle dieci di mattina.
Eppure quella mattina quando mi svegliai con la testa ancora pesante per la sbornia e le palpebre che non ne volevano sapere di stare alzate, mi feci una doccia velocemente ed uscii, ben deciso a schiarirmi le idee, a capire qualcosa di tutto ciò che mi era successo ultimamente.
Da quella mattina di gennaio la mia vita era cambiata decisamente con l’ingresso di Ginevra Sforza nella mia quotidianità. In un modo o nell’altro aveva conquistato la mia testa ed il mio cuore e mentre camminavo le immagini di quei tre mesi si presentavano una dopo l’altra nella mia mente.
Era un modo particolare quello in cui avevo conosciuto Ginevra, effettivamente.
Quel giorno ero arrivato a scuola un po’ prima del mio solito e siccome mia madre e mio padre erano partiti per andare a trovare i miei zii ad Ancona, avevo deciso di fare colazione al confusionario baretto della mia scuola. Non lo frequentavo quasi mai visto che odiavo il rumore di prima mattina e quando vi entrai per poco non mi prese un colpo. Ragazzi e ragazze mai visti erano affollati a chiaccherare, a pagare alla cassa.. e spingevano, ridevano, cantavano: uno zoo. Dopo aver pagato il mio cappuccino mi avvicinai al bancone e la vidi per la primi volta: Ginni era al bancone e stava bevendo il caffé e mangiando un moretto, guardandosi distrattamente intorno. Mi fermai accanto a lei e diedi lo scontrino alla barista. Lei tornò dopo pochissimi istanti con un largo sorriso sulle labbra ed il mio cappuccino fra le mani. Quella mattina ne avevo di cose da fare: avevo il compito di matematica in terza ora e di conseguenza io e Federico avevamo deciso molto saggiamente di non andare a scuola, per farci un giro in centro: tanto mio padre era convinto che avessi una partita di pallavolo e, a dircela tutta, non gliene importava più di tanto.
Alzai lo sguardo dal cappuccino e mi guardai intorno, incrociando quello di Ginevra che stava al mio lato. Lei per un attimo spalancò gli occhi e poi tornò a concentrarsi sul suo caffé: beccata. Non la conoscevo ma non mi posi minimamente la domanda sul perché mi stesse fissando.. ormai non mi interessava più. Decine su decine di ragazzine urlanti si affollavano durante la ricreazione casualmente davanti la mia classe per guardarmi ed una in più o una in meno che mi faceva il filo ormai non mi faceva nessuna differenza.
Ginevra finì la sua colazione e se ne andò velocemente dopo aver salutato la barista. Io mi limitai a finire di bere il mio cappuccino ed uscii a cercare Federico.
-Guarda quant’è figa!- Sì, lo avevo decisamente trovato. Mi girai e lo vidi tutto adorante guardare nella direzione di una ragazza dai lunghi capelli biondi che correva il più velocemente possibile: Sara Rossetti, l’amore della sua vita.
-Sì, invece di imbambolarti muoviti che qui passano un sacco di professoresse.- Lo tirai via a forza dalla visione celestiale della sua Lei e ridacchiando ci avviammo verso la fermata dell’autobus.
Molto francamente non mi ero mai interessato attivamente di far sbocciare l’amore fra Federico e Sara.. Non si erano nemmeno mai parlati e,soprattutto, non avevo la minima voglia di fare da Cupido. Me ne fregavo altamente dei discorsi amoreggianti di lui, anche se non era un comportamento esattamente degno del migliore amico di sempre.. Ma ero fatto così e Federico mi accettava anche in quel modo.
-Com’è andata a finire allora la storia con i tuoi zii?- Domandò Federico mentre ci sedevamo sul primo autobus che portava alla metro. Sospirai pesantemente, sistemandomi la borsa dell’Eastpack sulle ginocchia.
-A quanto pare mio padre e lo zio Giorgio hanno litigato davvero per bene questa volta.- Dissi, cercando di parlare con la maggiore noncuranza possibile. –Sembravano moglie e marito che urlavano chi avrebbe usato a giugno e chi a luglio la casa a Porto Cervo..- Mi strinsi nelle spalle.
-E tutto ciò perché sei riuscito a farti anche la tua stessa cugina!- Federico mi diede una pacca sulla spalla, sorridendo. Risposi a quella pacca con un leggero pugnetto mentre scendevamo dal 778, scendendo lungo gli scalini che portavano alla metro, di fronte a cui vi era la parte meno frequentata del “Laghetto dell’EUR”.
-Almeno io sono riuscita a farmela.- Sentenziai infine, ridacchiando, mentre ci sedevamo sull’erba e distendevamo le gambe. –Sei venuto con me in Calabria per anni, provandoci, ma lei non c’è mai stata..-
-Ha un debole per i troll, evidentemente.- Scoppiammo entrambi a ridere per un po’, finché Federico non riuscì a riprendere il controllo di sé, calmandosi. –Parlando di cose serie.. fumiamo?- Domandò, indicando eloquentemente con lo sguardo la borsa. Io annuii, cominciando ad aprire la mia borsa. Guardai dentro sempre con un sorrisetto sulle labbra e quest’ultimo si spense immediatamente. –Allora?- Chiese Federico più insistentemente. Io scossi la testa, alzando lo sguardo.
-Non è la mia borsa!- Balbettai. Federico scoppiò a ridere, dandomi una leggera bottarella. Io deglutii. –Federico, non è la mia borsa questa! Guarda!-
Cominciai a tirare fuori tutti i libri, velocemente, uno dopo l’altro e li fissavo stupefatto.
-C’erano quaranta euro d’erba lì dentro!- Federico parve finalmente realizzare mentre sfogliava furiosamente i libri ed i quaderni che io estraevo. –Prendi il libretto!- Mi strappò praticamente la borsa dalle mani e dieci secondi dopo sventolava il libretto davanti al mio naso. Lo afferrai e guardai la foto ed i dati personali.
-Ginevra Sforza,- Cominciai a leggere, mentre Federico guardava i quaderni con gli occhi ancora fuori dalle orbite. –nata il quattro aprile del novantuno.. frequenta il II E, conosciamo qualcuno in II E?- Federico parve illuminarsi.
-Sara..- Disse con aria sognante, prendendo il libretto e guardando la foto. -E’ la migliore amica! E’ la rappresentante d’istituto.. Non l’hai mai vista?- Io scossi la testa, guardando la foto attentamente. –Anche lei è una gran figa. Sono una coppia di fighe.- Diedi una botta in testa a Federico.
-La smetti di fare il pervertito!- Sbottai, poggiando il libretto indietro nella borsa.
-Parla quello che si scopa la cugina!- Lanciai un’occhiataccia a Federico e questo guardò altrove. Per passare il tempo allora presi un quaderno di Ginevra. Era nero, con le pagine verdi: particolare la ragazza. Lo aprii e per poco che non persi la mandibola: versi su versi del Purgatorio dantesco parafrasati con ordine e diligenza.
-Ce l’ha un diario questa?- Domandai mentre Federico fissava con la mia stessa espressione un altro quaderno della sconosciuta.
-Ma hai visto quant’è ordinata, fa paura!- Mi sventolò davanti al naso un altro quaderno. –Comunque sì, tieni.- Posai il quaderno di italiano per terra e presi il diario.
-Guarda questo qui.. C’è il Purgatorio trascritto e commentato.- Gli dissi mentre cominciavo a sfogliare il diario: una smemoranda interamente nera. Ogni pagina che giravo incontravo una frase di una canzone sempre differente dei gruppi più svariati: Led Zeppelin, Guns and Roses, Nirvana, Ramones, Sex Pistols, Simple Plan, Negramaro, Negramaro, Negrita.. –Fede, mi passi i post-it?- Domandai alzando lo sguardo da quelle pagine. Federico era fissato con i post-it e se ne portava sempre un bel mazzetto con sé. Lui annuì, cercando nel proprio zaino per poi passarmeli. Dopo aver rimediato anche una penna decisi di lasciare un segno del mio passaggio a quella famosissima ma per me sconosciutissima Ginevra Sforza.
Ginevra Sforza.
Ginni.

L’avevo lasciata sul letto che dormiva ancora profondamente, un braccio sotto il cuscino e l’altro lasciato cadere morbidamente lungo il suo fianco. Si era addormentata così la sera precedente quando l’avevo portata in camera ubriaca, si era lamentata come sempre dimendandosi con forza dalla mia presa ma appena l’avevo coperta con il piumone era crollata in un sonno profondo.
Dimenandosi era riuscita a dirmene di tutti i colori, che ero uno stronzo, che l’avevo usata per poi metterla a letto come una bambina, che me l’avrebbe fatta pagare.. Ma non capiva che fatica era stata per me staccarmi dalle sue labbra, dai suoi baci, dal suo corpo e riportarla a letto.
Era cominciato tutto per festeggiare i suoi diciotto anni: eravamo andati al Bellavita, avevamo bevuto un bel po’, ci eravamo fatti regalare una bottiglia dal proprietario e ce ne eravamo tornati a casa. Saliti in terrazza avevamo acceso la musica ed avevamo dato via a quel gioco che avevo ideato teoricamente per farla bere di meno, visto che il ricordo di Sara, dell’ospedale era piuttosto fresco e vederla finire nella stessa situazione non era il mio desiderio più forte. Un sorso, un altro e le domande erano diventate più a bruciapelo, più intime.
-Sei vergine?- Le domandai ridacchiando, tenendo la bottiglia in alto in modo che lei cercasse di allungare le sue braccia per prenderla, senza però riuscirci.
-Che cazzo te ne frega?- Mi rispose subitò, riservandomi quello sguardo assassino che non fece altro che aumentare le mie risate.
-Stai al gioco o non vuoi bere?- La tentai, facendo oscillare davanti al suo naso la bottiglia. Lei si arrese, sospirando.
-No.- Rispose secca e mi rubò la bottiglia dalle mani con avidità, perdendosi mentre beveva nei suoi pensieri. –E tu?-
-No.- Le risposi tranquillamente. La mia prima volta non me la ricordavo.. Le uniche cose di cui ero certo erano che era accaduto tutto in spiaggia a Sabaudia durante il ferragosto di tre anni prima con una ragazza più grande di me. La classica storiella che racconterebbe il figo di turno agli amici ma di cui io non avevo nulla di cui vantarmi, visto che infondo, certi ricordi sono preziosi e si vorrebbero avere.
Scossi la testa mentre portavo la bottiglia alle mie labbra senza bere però. Se avessi continuato la mia memoria si sarebbe azzerata ed infondo erano molte le immagini di quella sbornia che mi volevo conservare.
Ginni che ballava a piedi nudi, con le braccia alte verso il cielo, i lunghi capelli rossi che oscillavano da una parte all’altra e quel suo sorriso. Quel sorriso così sincero, così ampio, così vero.. Quel sorriso che illuminava, contagiava chiunque e di cui io ero totalmente dipendente dalla prima volta che me ne aveva rivolto uno.
Poi c’era Ginni che ballava con me, tenendo le braccia incrociate dietro il mio collo, guardandomi con i suoi occhi azzurrissimi leggermente arrossati da tutte le ore che eravamo svegli e dall’alcol.
-Ti sei divertita oggi?- Le domandai infine curiosamente.
-Sì.- Rispose ed il mio cuore parve fare un salto di gioia. Ci tenevo davvero così tanto a farla felice?
-E tu?- Mi domandò prontamente lei, bevendo la vodka.
-Sì..- Mormorai, ormai disperso nei ricordi, nei pensieri, anche se offuscati e confusi dall’alcol. Sì, ero stato benissimo con lei, ero stato con lei così come avevo desiderato starci da tempo.
-Ginni,- Incominciai, passando la bottiglia da una mano all’altra, guardando un po’ questa ed un po’ la ragazza seduta davanti a lei. –Sei innamorata?- Le domandai guardandola dritta negli occhi. Lei per un attimo parve confusa, stupita, imbarazzata da quella mia domanda, ma poi si sciolse in un dolce sorriso.
-Sì- Mi rispose tranquilla, affrontando coraggiosamente il mio sguardo. Il mio cuore parve fermarsi un istante per poi riprendere a battere furiosamente. Era innamorata? Di chi? Di me ? Riusciva ancora ad essere innamorata di me dopo tutto ciò che era successo da febbraio?
-E tu sei innamorato, Emanuele?- Alzai lo sguardo ed incrociai il suo che mi fissava insistentemente: voleva delle risposte, Ginevra, voleva i suoi perché lei.
-Sì.- Risposi infine, sospirando.
Era stato così difficile dire quell’unica, brevissima parola, ma ora il mio cuore era lì che saltava di gioia mentre io ero come paralizzato, incollato alla sedia. Ero innamorato davvero? Ero innamorato di lei? O era solamente l’effetto dell’alcol?
Impossibile saperlo, almeno finché sarei stato in quelle condizioni, ma l’unica cosa di cui ero certo era che più volte, negli ultimi due mesi, dopo che lei mi aveva dato il suo ultimatum, avevo pensato a lei, alla possibilità di noi due insieme.
Presi la bottiglia che lei mi porgeva e la posai sul tavolo accanto a noi, scuotendo la testa. Non volevo più giocare a quel gioco. Lei fece per riprendersela ma istintivamente posai la mia mano sulla sua e la fermai così a mezz’aria. Ginni mi guardò perplessa: forse ancora rimurginando sulle mie parole, forse ormai troppo ubriaca per ragionare come una persona normale.
Mi alzai e la tirai verso di me, lasciando che il suo corpo aderisse perfettamente contro il mio, godendo dei brividi che mi percorsero completamente al contatto con lei. La guardai un’ultima volta negli occhi prima di poggiare le mie labbra sulle sue. Erano morbide, accaldate, e sapevano incredibilmente di vodka. Una mia mano scivolò fra i suoi capelli, scendendo poi sulla sua nuca e stringendola con forza a me in quel bacio.
Inizialmente la sentii stupita sotto i miei tocchi, poi entrambi ci dimenticammo di cosa stessimo facendo, dove fossimo, e quel bacio si approfondì velocemente. Mi lasciai rubare dal suo profumo, dalle sue mani delicate che carezzavano prima il mio viso, poi la mia schiena, che mi tenevano stretto a lei. Ma non ce n’era bisogno che mi stringesse per non lasciarmi andare via, non me ne sarei mai andato. Le mie mani scesero lungo la sua schiena, carezzandola intensamente, mentre le nostre labbra si staccavano ed io scendevo lungo il suo collo in una calda scia di baci.
-Ho freddo..- Mormorò lei contro le mie labbra quando tornai a posarle sulla sua bocca. Io mi allontanai da lei e la guardai un attimo, chiedendomi se stessi facendo la cosa giusta: ero ubriaco, lei era ubriaca. Ma gli istinti del proprio corpo sono duri da tenere a freno. Così la condussi per mano nel superattico, e scivolai insieme a lei sul divano che era situato lì.
-Va meglio?- Le domandai mentre lei si stendeva su di me, facendo fare un balzo al mio stomaco. Lei si limitò ad annuire, tornando a baciarmi. Ed io risposi a quel bacio lasciando che le nostre lingue si intrecciassero in quel gioco, in quella danza che stavano conoscendo, scoprendo. Le mie mani esplorarono il suo corpo prima con indecisione, lentezza e poi con più intensità, con più desiderio. Scoprii che il suo collo era un’attrazione formidabile per me alla quale non riuscivo più a resistere e che ogni volta che la baciavo avevo voglia di farlo ancora, ancora, senza fermarmi mai.
I baci che seguirono fecero alzare mano a mano la temperatura in quella stanza. Le mie mani avevano abbassato le spalline del suo vestito, lasciando intravedere la pelle nuda del suo petto ed il reggiseno nero, mentre lei si era impadronita dei bottoni della mia camicia. Scendeva lenta su quei bottoni, mentre io non riuscivo a privarmi di un suo solo sospiro, di un suo solo bacio, e solo quando ormai giunse al quinto e la mia pelle arse al contatto con quella del suo petto, ebbi non so quale forza di allontanarla da me.
-Stiamo esagerando.- Dissi serio, cercando di non guardare quei suoi dannati occhi che avrebbero piegato ai suoi piedi chiunque. Lei aggrottò le sopracciglia, provando ad avvicinarsi nuovamente, ma io la riuscii a tenere lontano, alzandomi poi velocemente con lei dal divano. –Hai bevuto troppo, Ginni, ti porto a letto.- Lei mugolò, posando le sue mani sulle mie spalle, per reggersi in piedi senza cadere e poi, dopo avere realizzato il senso delle parole mi guardò male.
-Sei uno stronzo.- Disse, allontanandosi di scatto da me. La presi in braccio, riuscendo con non so quale fortuna a non prendermi uno degli schiaffi che cercava in continuazione di tirarmi. Come ho già detto, me ne disse di tutti i colori, mi minacciò in tutti i modi possibili e quando la posai soddisfatto sul mio letto mi aveva detto le parole che mi avevano tormentato il cuore per tutta la notte seguente.
-Fai tutto come ti pare a te! Mi baci quando vuoi tu, ti approfitti della mia sbornia, mi usi e poi mi porti a letto come una bambina! Cantami anche la buonanotte ora!- Mi urlò, mentre io le carezzavo i capelli cercando di farla stendere. –E non mi toccare!- Mi schiaffeggiò la mano ed io la allontanai, non riuscendo comunque a sorridere.
Davvero pensava quelle cose?
Pensava che non m’importava di lei?
Pensava che mi fossi approfittato di lei?
Scossi la testa, portando le mani sul viso costringendomi a guardarmi. Si ammutolì all’istante ed io la guardai: piena di lentiggini, confusa, non mi capiva, non capiva quella situazione.
-Baciarti era la cosa che desideravo di più.- Le sussurrai, mentre lei lasciava passare sul suo viso decine e decine di espressioni differenti: sorpresa, curiosità, sorpresa, odio, sorpresa.
-Lasciami stare, ti prego- Mormorò scuotendo la testa. –Non ci voglio restare male- Aggiunse, sdraiandosi e sospirando. Io cercai di trovare una spiegazione ragionevole a quelle parole, ma Ginevra non era l’unica sotto l’effetto dell’alcol e la mia testa girava insistentemente. Mi limitai a sistemarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio e a coprirla con il piumone.
-Buonanotte.- Le dissi infine, piegandomi sul suo viso per lasciarle un dolce bacio sulle labbra. Lei annuì debolmente mantenendo gli occhi chiusi.
-Notte.- Rispose, girandosi poi sull’altro fianco. Mi alzai dal letto e socchiusi la porta alle mie spalle. Chiusi e riaprii gli occhi, rendendomi conto che la mia testa girava decisamente più velocemente di qualche istante prima e che avevo l’impellente bisogno di stendermi.
Raggiunsi un po’ traballante il divano in salone e mi sdraiai a pancia in su, sospirando sonoramente. Quando chiusi gli occhi non riuscii a dormire immediatamente: forse per la sensazione che il mondo stesse girando, forse perché la mia testa non riusciva a trovare la pace, a liberarsi dai ricordi, dagli avvenimenti di quella serata. Quando varcai la soglia del mondo dei sogni, lo feci però con l’immagine di Ginevra ben stampata nella mia mente.

 Riuscii finalmente a raggiungere lo Starbucks situato all’incrocio della Fifth Avenue con la 59esima strada e tirai fuori dalla tasca dei jeans cinque dollari, rivolgendo poi un sorriso alla cassiera.
-Un moka-frappuccino piccolo, perfavore.- Ordinai educatamente, stupendomi poi della mia stessa voce: più roca e più profonda del solito.
-Arriva subito!- Mi disse la ragazza con un sorriso, rivolgendosi poi al prossimo cliente: una signora anziana con i suoi due nipotini. Sorrisi con amarezza, prendendo poi il mio frappuccino ed uscendo dallo Starbucks, incamminanandomi lungo la Fifth Avenue, diretto ormai a casa.
Considerai più volte l’idea di andare al Central Park ma l’erba bagnata non faceva altro che allontanarmi da quell’idea.
Più pensavo a ciò che era successo la sera precedente e più mi ponevo la domanda che mi aveva rivolto Ginevra: “sei innamorato, Emanuele?” Ero innamorato io, Emanuele Benassi?
Avevo deciso di chiudere definitivamente con l’amore, avevo deciso che non ne valeva la pena di soffrire, di passare ore infernali a causa di una ragazza. Ero stato fidanzato un anno e tre mesi con Michela. Quindici mesi in cui io avevo dato tutto me stesso giorno dopo giorno, mese dopo mese, perché lei era la mia prima vera ragazza, la prima con cui non stavo solo così per starci durante una vacanza estiva, ma ci stavo perché io l’amavo e lei amava me. Ci eravamo conosciuti alla festa di diciotto anni della cugina di Federico, andava a scuola in un liceo scientifico del centro di Roma ed era più grande di me di un anno. Mi presentai, chiaccherammo un po’ e poi ci scambiammo i numeri, cominciando a sentirci, a frequentarci. Un mese dopo ci mettemmo insieme e cominciammo quella che aveva tutti i caratteri della storia che doveva durare per sempre. Sfortunatamente quell’eternità fu violentemente spezzata dal suo ex, con il quale si frequentò per gli ultimi quattro mesi della nostra storia. Lo scoprii da solo, casualmente, nel modo probabilmente peggiore, il giorno che preceva il nostro sedicesimo mesiversario. Ricordavo ancora quel pomeriggio perfettamente in ogni suo dettaglio: ero uscito da scuola e l’avevo chiamata, chiedendole se aveva voglia di uscire quel pomeriggio, lei mi aveva risposto che aveva da fare ed allora ero uscito a farmi un giro con Federico, accompagnandolo a comprare dei libri per scuola a Piazza della Repubblica; arrivammo e prima di entrare Federico mi domandò di aspettarlo perché voleva fumare una sigaretta e fu in quell’istante che il destino si pronunciò: se fossimo entrati non avrei mai potuto notare una coppia che si baciava appassionatamente in una mini cooper rossa parcheggiata a pochi metri dalla libreria, non avrei mai scoperto Michela ed il suo tradimento.
Sospirai e mi accorsi che in preda ai ricordi mi ero fermato a guardare una famigliola che giocava a football nel parco, ridendo e gridando a gran voce. Scossi la testa, riprendendo a camminare con la testa, invece, totalmente altrove. Fra le nuvole.
Fatto stava che dopo la mia rottura con Michela mi ero ripromesso solennemente che non mi sarei mai più andato a buttare in delle storie d’amore ed avevo cominciato così a stilare la mia lunga lista da Don Giovanni. Federico mi aveva rimproverato più volte il fatto che non mi comportavo bene, che cambiare ragazze come se nulla fosse non mi faceva apparire migliore e non faceva soprattutto onore. Avevamo litigato più volte insistentemente sull’argomento e la volta che la nostra amicizia per poco non si chiuse seriamente successe che ci prendemmo a pugni e deviai il suo setto nasale e lui mi ruppe uno zigomo. Dopo quel giorno mi calmai sicuramente ma restò il fatto che ero diventato estremamente cinico e poco disponibile nei confronti dell’amore, delle ragazze, della possibilità di provare nuovamente determinati sentimenti.
Eppure Ginevra da quel giorno in cui ci eravamo scambiati le borse, era stata in grado di stimolare il mio cuore freddo ed impassibile. Era riuscita a farmi provare delle emozioni, dei sentimenti che avevo rinchiuso nel più lontano dei cassetti e che non avrei mai più voluto sentire. Dal primo giorno in cui l’avevo vista avevo combattuto assiduamente per capire cosa fosse ciò che provavo per lei: amore o attrazione. Non ero giunto ad una conclusione malgrado più volte mi fossi illuso di aver trovato una soluzone, eppure quando l’avevo baciata mi era sembrato tutto così giusto, tutto così sensato, ed il mio sì a quella sua domanda sembrava la cosa più vera che io avessi detto in tutta la mia vita.
Gli ultimi tre mesi era stati caratterizzati dalla sua comparsa nella mia vita, la migliore amica della ragazza del mio migliore amico, inevitabilmente i nostri destini si erano intrecciati per non riuscire più a separarsi, malgrado i tentativi di Ginevra.
Sospirai nuovamente, buttando via il bicchiere ormai vuoto dove prima c’era stato il mio moka frappuccino e, nonostante fossi abbastanza distante ancora dal mio palazzo, decisi di attraversare la strada ma, a mia grandissima sorpresa, vidi venire proprio nella mia direzione Ginevra. Camminava veloce, con gli occhi ben puntati su di me. Era bella Ginevra di una bellezza tutta sua, particolare. Aveva quei lunghi boccoli ramati, la pelle quasi diafana e quelle migliaia di lentiggini ed infine i suoi occhi, i suoi bellissimi occhi azzurri. Erano dello stesso colore del cielo quando non c’era aria di tempesta, così grandi, sinceri, che sembravano offrirti la possibilità di entrare in lei, comprenderla e che lasciavano sfuggire quella leggera paura di affezionarsi troppo, quella paura che lei aveva sempre nei miei confronti.
Accennai un sorriso ma l’espressione sul suo volto mi fece intendere che non stava decisamente venendo in pace. Le opzioni erano poche: o si ricordava perfettamente della notte precedente o aveva voglia di riscuotere il suo ‘perché’.
-Sei un coglione!- Mi urlò quando fu ad un metro di distanza, dandomi uno schiaffo sulla guancia che probabilmente mi lasciò metà del viso rossa. –Sei uno stronzo!- Cominciò a darmi insistenti pugni sul petto. Inizialmente non compresi tutto ciò che stava accadendo e solo dopo che la mia mente ebbe realizzato ciò che stava accadendo, la afferrai per i polsi e la bloccai.
-Che succede?- Le domandai con la maggior calma possibile. Lei alzò lo sguardo e notai che i suoi occhi erano leggermente gonfi, con delle occhiaie un po’ accennate: aveva forse piano? Deglutii, mentre lei si liberava dalla mia presa e si toglieva velocemente la sciarpa che portava al collo.
-Cosa succede, maiale?- Urlò, facendo girare qualche newyorkese incuriosito a guardarci. Indicò il suo collo. –Ecco cosa succede! Come me lo spieghi!- Guardai il suo collo teso e notai che sulla pelle chiara risaltava un grosso livido violaceo: maledizione.
-Io..- Provai a dire ma lei mi azzittì in fretta, dandomi una spintarella.
-Tu sei un porco, hai capito? Ti sei approfittato del fatto che fossi ubriaca! Mi hai usata per i tuoi sporchi comodi e poi te ne sei fregato!- Si fermò, abbassando le mani e guardandomi con aria tradita, ferita. Il mio cuore si strinse.
-Eravamo ubriachi, abbiamo cominciato a baciarci e..- Provai a spiegarmi, ma lei scuoteva già la testa.
-E hai ben pensato di prenderti tutto no, visto che c’eri!- Spalancai gli occhi: davvero pensava che io avessi continuato, avessi superato quel limite.
-Ginni, no.. Ci siamo solamente baciati in un modo un po’ più spinto, ma non è successo nulla!- Anche io alzai la voce: da un lato indignato per ciò che stava pensando di me, dall’altro perché non volevo, non volevo assolutamente litigare con lei.. Non dopo ciò che era successo, non dopo che avessi capito che a lei ci tenevo davvero.
-E perché dovrei crederti?- Domandò con la voce leggermente tremante. –Perché dovrei crederti, Emanuele! Non hai fatto nulla per meritarti la mia fiducia, mi hai semplicemente fatta sempre soffrire!- I suoi occhi si riempirono di lacrime ed ebbi il forte impulso di abbracciarla, stringerla al mio petto, baciarla. Eppure lei era lontana chilometri, aveva innalzato un muro fra di noi che non riuscivo a superare.
-Credimi e basta. Non avrei mai potuto farti una cosa del genere.- Ero stato io che l’avevo fermata, che l’avevo preso in braccio, l’avevo portata a letto e l’avevo fatta dormire: non riuscivo a sopportare di sentirmi trattato come un mostro.
-Ero ubriaca persa! Avresti dovuto portarmi a letto subito, non avresti dovuto farmi più bere!-
-Ti ho portata a letto!- Urlai esasperato, mentre lei mi guardava pronta ad incenerirmi. –Ti ho messa a letto, ti ho coperta con il piumone, l’ho fatto!-
-Ma prima ti sei approfittato un po’ della situazione, no? Cosa mi sarei mai potuta aspettare da uno come te? Da uno che bacia le ragazze in discoteca così per fare e poi le prende anche in giro! Come mi posso aspettare da uno che per tre mesi ha giocato con il mio cuore: l’ha preso, l’ha illuso e poi l’ha schiacciato!- Mentre gridava quelle parole le lacrime uscivano violentemente, scendendo sulle sulle sue guance. Il mio cuore si paralizzò: l’avevo davvero illusa? L’avevo davvero fatta soffrire? Inarcai un sopracciglio e lei notò evidentemente la mia sorpresa nel sentirmi dire quelle cose. –Cosa pensavi che mi aveva fatto piacere vederti baciare Giulia? Che non mi piacessi? Ti sei sbagliato! Perché..- E si fermò un attimo, abbassando lo sguardo, respirando profondamente. -..Perché ti amo! Ti amo e non dovrei farlo! Non posso amare una persona schifosa come te, non posso amare uno che a me non ci tiene neanche minimamente, che mi fa star male per mesi, che prima non mi calcola, che poi mi sorride e fa il gentile.. Non posso amare uno che non mi rivolge la parola per due mesi e poi mi porta a New York come se nulla fosse!- Singhiozzava violentemente davanti a me, mentre io ero fermo, non riuscendo a muovere un singolo muscolo.
Ti amo. Quelle due parole rimbombavano nella mia mente e le mie ginocchia sembravano essersi fatte improvvisamente molle come non mai.
Ti amo. E pensavo a Ginevra che soffriva a causa mia, a quanta forza aveva avuto ad affrontare il mio sguardo tutte quelle volte che il suo cuore invece moriva a causa mia.
Ti amo.
–Ti voglio fuori dalla mia vita, per sempre! E non m’importa più di sentire i tuoi perché! Non mi dirai mai perché mi vuoi nella tua vita per il semplice fatto che tu neanche sai se mi vuoi o meno..Perché sei fatto così, Emanuele! Vuoi tutto e non vuoi niente! Io non sono merce di scambio, un giocattolo, sono una persona con un cuore, che sta male a causa tua e non ci sta più a stare ai tuoi stupidi, infantili giochetti!- Prese fiato, asciugandosi con la manica del cappotto le lacrime. Tremava tutta. Poi alzò lo sguardo e mi guardò seriamente. –La cosa più ridicola sai qual’è? Immaginavo che avresti detto qualcosa, almeno, invece sei così codardo da non riuscire neanche a commentare.- Scosse la testa mentre io venivo pugnalato da ognuna di quelle parole. –Me ne vado a Roma, ho già chiamato ed ho cambiato il biglietto.- Concluse così quel suo lungo discorso e si girò, correndo via da me.
La guardai allontanarsi, velocemente, ed io non riuscii a muovermi. Perché? Perché non la seguivo e non la fermavo? Per dirle poi cosa?
Ti amo.
Anche io l’amavo, l’amavo dal primo momento, l’amavo dalla prima volta che mi aveva sorriso.
Ti amo.
Il suo sorriso, i suoi occhi, la sua risata. Tutto era impresso dentro di me, stampato per non essere più cancellato, come se fosse inchiostro indelebile.
Ti amo.
L’amavo perché quando stavo con lei tutto il resto del mondo poteva anche scomparire, perché quei due giorni a New York erano stati i migliori di tutta la mia vita.
Ti amo.
-Ti amo anche io..- Mormorai al vento, mentre dei bambini correvano davanti a me, facendomi svegliare di colpo. Eppure ero arrivato troppo tardi, anche quella volta.. Avevo pensato che sarebbe stato tutto facile, che tutto si sarebbe piegato ai miei piedi, anche lei.. Avevo pensato che quando avrei voluto, lei ci sarebbe stata, ed invece Ginevra era differente e se ne era andata. Mi aveva aspettato, mi aveva dato la possibilità di averla, di stare con lei, ed io l’avevo presa alla larga, pensando che ci sarebbe stato il tempo. Era stata chiara: avevamo chiuso definitivamente perché io non riuscivo a decidermi ed aveva fatto bene.
Me ne vado a Roma.
Non appena ricordai quelle sue ultime parole qualcosa riuscì finalmente a scattare nella mia testa e presi in fretta il cellulare dalle mie tasche con le dita che tremavano. Tremavo. Digitai il numero di mia zia che lavorava al check-in della Delta Airlines lì a New York. Non poteva finire così, non doveva finire così, non quando avevo capito che era lei che volevo, che senza di lei non potevo starci, che senza di lei non potevo farcela.
-Ema! Ciao!- La voce di mia zia suonò estremamente gioiosa alle mie orecchie.
-Ciao, zia.. Senti, ti chiamavo per chiederti un favore..- Cominciai, deglutendo.
-Sì certo, dimmi, va tutto bene lì al centro no?- Mi domandò. No, andava tutto a rotoli, andava tutto male, malissimo.
-Sì, va tutto bene. Ginevra Sforza a che ora ha l’aereo oggi?- Domandai mentre ogni singola parte del mio cuore moriva al suono del suo nome.
-All’una e mezza.- Guardai l’orologio: erano le undici. Probabilmente già stava in taxi. –Sei sicuro che vada tutto bene?-
-Sì, grazie mille zia.- Attaccai senza aspettare risposta e corsi con tutta la velocità che avevo fuori dal Central Park. Probabilmente quella mattina lei aveva organizzato tutto: si era svegliata, aveva visto il succhiotto, aveva chiamato la Delta Airlines, fatto la valigia ed era venuta da me..  Mi aveva trovato nonostante non le avessi detto dove fossi.
Arrivai con il fiatone davanti al mio palazzo e, non vedendo Mark da nessuna parte, alzai prontamente il braccio per fermare un taxi.
-All’aeroporto!- Dissi senza neanche curarmi di parlare in inglese. Ma quello parve capire alla perfezione e diede gas, allontanandosi in fredda dal Central Park, dal centro di New York.
Cosa mi era preso? Ero rimasto lì immobile ad ascoltare le sue parole senza riuscire a parlare. Codardo. Possibile che non me ne fossi mai reso conto prima di quanto fossero i miei sentimenti nei suoi confronti? Avevo voluto fare quel viaggio a New York con lei per chiarire, certo, per accennarle che forse da parte mia ci fosse qualcosa in più di  un’amicizia. Ingenuo! Non mi ero mai accorto del fatto che lei mi amasse? Non ci avevo mai fatto caso? Mi ero curato solamente di non perdere il rapporto con lei perché da parte mia pensavo che non ce l’avrei mai fatta senza di lei, mentre ero convinto che io a lei non interessassi ormai da quel cinque febbraio in cui mi aveva dato il suo ultimatum.
Idiota.
Il taxi si fermò ed io lasciai in mano dell’uomo una banconota da cento dollari senza nemmero procurarmi di riscuotere il resto. Scesi giù dall’automobile e corsi all’interno dell’aeroporto, venendo travolto dalla marea di gente che doveva partire e che affollava ogni singolo metro quadrato di quel posto.
Decisi di agire seguento il mio istinto e corsi istintivamente verso i controlli situati fuori dalla dogana, spingendo via tutti coloro che si trovavano in mezzo dicendo “excuse me” ogni tre passi. Non potevo lasciarla partire, non potevo rovinare tutto con lei definitivamente, non prima di averle detto che l’amavo anche io, che non poteva lasciarmi lì perché avevo bisogno di lei, come la sera precedente: avevo bisogno della morbidezza delle sue labbra, delle sue braccia strette intorno a me, dei suoi sorrisi, dei suoi sguardi così allegri, furbi, sinceri.
-Ginevra!- Urlai sbracciandomi quando individuai la sua chioma rossa in coda per fare il controllo. Lei si girò e spalancò gli occhi, domandando poi qualcosa alla signora che stava in fila davanti a me: stava cercando di passare avanti. In quel momento allora me ne fregai altamente di tutto e di tutti e scavalcando tutta la fila che mi separava da lei l’afferrai per un braccio e la avvicinai a me con tanta forza che lasciò cadere la propria borsa a terra, guardandomi poi spaventata negli occhi.
-Lasciami, abbiamo già concluso il nostro discorso.- Disse gelida, divincolandosi. Ma io non avrei lasciato quella presa, non l’avrei più lasciata andare via.
-No, non abbiamo concluso nulla perché io devo ancora parlare.- Ribattei determinato. Lei fece un sorriso ironico, voltandosi a guardarsi intorno. La gente ci fissava leggermente dubbiosa.
-Hai avuto la tua occasione per parlare. Hai avuto tre mesi per parlare.- Mi guardò fisso negli occhi ed io deglutii. No, dovevo assolutamente continuare, portare a termine quel nostro discorso.
-Mi sono svegliato troppo tardi. Ma non negarmi la possibilità di chiarire, ti prego.- La supplicai, mentre il mio cuore accellerava i battiti.
-Non le voglio sentire le tue solite frasi fatte.- Sembrava rassegnata mentre scuoteva con poca energia la testa. –Te l’ho già detto una volta: non sono la prima troietta che ti porti a letto con un paio di battutine.- La prima volta che avevo sentito quelle parole avevo riso, invece in quel momento mi faceva ancora più male al cuore.
 -Io ti amo.- Presi il suo viso fra le mie mani, costringendola a guardarmi negli occhi. –Ti amo ed è per questo motivo che non posso pensare ad una mia sola giornata senza averti più nella mia vita. Ti voglio nella mia vita perché sei riuscita a farmi provare nuovamente dei sentimenti che avevo rimosso disilluso e ferito dopo una storia finita male. Ti amo perché mi basta un tuo sorriso per stare bene, mi basta un tuo sguardo, una tua risata..una tua presa in giro.- Abbassai lo sguardo e fissai il pavimento. –Non avrei mai voluto farti del male, ma come hai detto tu sono uno stronzo, sono un deficiente egoista che ha messo sempre se stesso davanti a tutto.. Sono stata così impegnato a cercare di capire ciò che provavo io nei tuoi confronti da non pensare minimamente a ciò che potessi provare tu, in quei momenti..- Affrontai il suo sguardo acquoso.
-Perché mi evitavi inizialmente?- La sua serietà fu tradita dal tremolìo della sua voce.
-Ti evitavo perché dalla prima volta,- carezzai con il pollice le sue guanca, deglutendo. –dalla prima volta che ti ho visto ho provato qualcosa di diverso, di forte nei tuoi confronti. Chiamalo colpo di fulmine, chiamalo come ti pare, ma ne avevo paura..Ne avevo paura perché io mi ero ripromesso di non innamorarmi più, di non legarmi più ad una ragazza come mi ero legato a lei.- Chiusi gli occhi un attimo, mentre l’immagine di Michela si insinuava prepotentemente nella mia mente, venendo poi sostituita da quella di Ginevra, in piedi davanti a me, con le labbra leggermente schiuse e la voglia di capire, di essere convinta. –Ti evitavo quando ero con i miei amici, mascherandomi dietro la mia fama di “montato che si isola dal mondo con Della Valle”..ma poi quando ero davanti a te non riuscivo a non.. a non innamorarmi giorno dopo giorno di te.-
-Ma se eri..se eri innamorato di me..- Capii che pronunciare quelle parole per lei era incredibilmente difficile. -..Perché? Perché..Giulia?-
-Perché sono uno stronzo..Un puttaniere.- Deglutii, allontanando le mani dal suo viso. –Un puttaniere che in quella discoteca tanto per cambiare ha fatto uscire fuori la sua natura..Perché sono così in realtà, o almeno ero così prima di conoscere te.- Sospirai, mentre lei fissava un po’ il soffitto, un po’ per terra. –Io voglio sono te, adesso.. E non ti voglio come un premio di cui vantarmi, non ti voglio perché non sei caduta ai miei piedi ed allora voglio mostrare al mondo  che io posso averti.-
-Anche perché io sono caduta ai suoi piedi.- Mi guardò con un mezzo sorriso sulle labbra.
-Scusami, Ginni, ti prego.. Ieri sera, malgrado tu sia convinta che io ti abbia usato, non sai come sono stato quando ti ho baciato, mi sono sentito felice.. Quando ti ho allontanato, quando ti ho portato a letto, ho combattuto con ogni mia forza, con ogni mio muscolo contro il mio desiderio.. Avrei desiderato dartene altre mille di baci, sentire le tue mani su di me.. Scusami..- Lei però era ancora dubbiosa: rincuorata sicuramente, ma anche incerta.
-P-perdona i miei..silenzi?- Balbettò. Io ricordai come in un flashback il coma etilico di Sara, l’ospedale, quel pomeriggio del risveglio. –Avevi sentito il mio monologo a Sara?- Domandò, ricominciando debolmente a tremare, guardandomi.
-No.- Risposi fermamente. Di cosa parlava ora? Aggrottai la fronte e lei sbiancò. –Io quel giorno mi ero reso solamente conto che non volevo più evitarti, che volevo conoscerti, che volevo lasciarti la possibilità di entrare nel mio cuore..- Le spiegai con calma.
-Quel giorno dissi a Sara che  mi piacevi da morire.- Disse seriamente, scuotendo poi la testa. –E che tu non mi calcolavi, che eri strano..-
-E’ cominciato l’imbarco per il volo DL 921 diretto a Roma Fiumicino.-
Ginevra si voltò di scatto: era il suo volo.
-Non andare, ti prego.- La implorai prendendo nuovamente il suo viso fra le mie mani.
-Ho paura di fidarmi.- Mormorò ricambiando il mio sguardo.
Mi chinai sul suo viso e la baciai, finalmente da sobrio, finalmente con tutte le carte in tavolo e nessun dubbio, nessuna cosa tenuta dentro il mio animo nascosta. Inizialmente lei ricambiò il mio bacio con indecisione, con timidezza. La strinsi con delicatezza a me, mettendo tutta la dolcezza di cui ero capace in quel bacio. Non ero una qualsiasi ragazza che baciavo per raggiungere il mio scopo, no, lei era diversa e tutto con lei doveva essere differente. Lei ricambiò il mio bacio portando le braccia ad intrecciarsi dietro il mio collo. Lasciai le mie mani scendere lungo la sua schiena, esplorandola con delicatezza, quasi avendo paura di farle del male. E fu un bacio diverso da quello che ci eravamo scambiati la sera precedente: riversammo in quel bacio tutti i nostri sentimenti, le nostre emozioni e le mescolammo, mentre il tempo sembrava essersi interrotto intorno a noi. Quando ci separammo aprii piano gli occhi, quasi con la paura di svegliarmi da quel sogno. Lei fece evidentemente lo stesso e quando ci guardammo le sue guance divennero rosse.
-Scusami..- Scosse la testa, allontanandosi poi da me e prendendo da terra la borsa che le era cascata. Non capivo: la guardavo negli occhi e cercavo di comprendere cose le stesse passando per la mente. La presi per una mano, ma lei si allontanò continuando a scuotere la testa. -..Devo andare.- Mormorò, alzandosi poi sulle punte per baciarmi dolcemente le labbra un’ultima volta.
E mi lasciò così, con gli occhi spalancati in mezzo ad una folla di gente che faceva il controllo dei bagagli e passò attraverso il metal detector senza più girarsi nella mia direzione.
Se ne era andata.
Non riuscivo ancora a realizzare che alla fine avesse scelto di.. andarsene. Possibile che era finita così? Possibile che appena avevo riaperto il mio cuore, questo era stato immediatamente
spezzato?
Ed io la volevo dannatamente.
La amavo e la volevo con me.
Osservai i suoi capelli rossi allontanarsi sempre più dal mio campo visivo e sospirai, mentre le mie mani si stringevano in dei pugni in cui tentavo di sfogare tutta la mia rabbia, la mia frustrazione. Se ne era andata.
Restai per qualche altro istante fermo lì con la gente che passava scansandomi, facendo di me ciò che voleva. Solo dopo qualche minuti mi mossi, uscendo dall’aeroporto. Muovevo ogni singolo passo senza realmente accorgermi di dove fossi, dove stessi andando. Uscii dall’aeroporto con nella testa voci su voci che si accavallavano, intrecciandosi con le parole di Ginevra, con le immagini di Ginevra.
-Hey, ragazzo, hai bisogno di un taxi?-
Alzai lo sguardo e mi accorsi di essere uscito dall’aeroporto e mi ritrovai davanti ad un ragazzo di colore che mi fissava insistentemente. Battei un paio di volte le palpebre, cercando di riprendere un po’ di controllo.
-Allora?- Domandò spazientito, battendo il piede a terra.
-Sì, grazie, devo andare a Central Park.- Risposi, finalmente riuscendo a mettere insieme delle parole in inglese. Lui annuì e mi fece cenno di seguirlo. Salimmo nel taxi e partimmo in totale silenzio. Guardavo fuori dal finestrino e ricordavo il giorno in cui ero arrivato lì con Ginni: la sua faccia sorpresa in aereo, il suo sorriso ironico, la sua risata isterica e la sua voglia di autonomia da me finita male. Sorrisi fra me e me, scuotendo leggermente la testa: non potevo aver mandato a puttane tutto in quella maniera.

 Scesi dal taxi dopo aver pagato e mi incamminai con le mani affondate nelle tasche all’interno del polmone verde di New York. E così mi ritrovai per l’ennesima domenica a vagare come un senzatetto per quell’enorme parco, amareggiato e ferito.
La mia meta fu inevitabilmente il lago dove avevo affogato tutte le volte il mio dispiacere e che quello impassibile aveva assorbito, liberandomi di un peso che premeva forte sul mio cuore. Mentre camminavo guardavo le persone che ridevano, si abbracciavano, si rincontravano e mi sentivo un po’ come mi sentivo da piccolo quando vedevo i bambini felici con il loro padre che li stringeva forte al proprio petto e poi li aiutava con le barchette. Sospirai, sedendomi sulla riva, portando le ginocchia al petto e posando la testa su di esse, guardando delle anatre in lontananza.
Probabilmente lei in quel momento era già sull’aereo, magari stava già decollando e forse stava pensando a me. Magari rideva della situazione, dandomi dell’idiota, magari piangeva, magari sospirava.. Me la immaginai in ogni situazione ed infine premetti i palmi delle mani sui miei occhi con forza, come a voler cancellare tutto, come a voler tornare indietro alla sera precedente, non farla ubriacare, baciarla da sobria..
Avevo organizzato il suo compleanno punto per punto, accuratamente, perché alla fine di quella serata volevo confessarle che la volevo nella mia vita perché sapeva farmi battere il cuore come nessun’altra, che ero gelosa di quel suo nuovo amichetto..Marco, o come diamine si chiamava, che volevo poter godere del suo sorriso ogni volta che ne volevo. Mi passai una mano fra i capelli infine, alzandomi e sistemandomi la camicia ed il maglione, stringendomi poi maggiormente nel mio giubbotto.
Così mi voltai, stanco di stare lì a fissare quelle maledette barche in miniatura, ben deciso ad andarmene a casa. A fare cosa poi? Scossi la testa scacciando via quella domanda e quando alzai lo sguardo mi ritrovai davanti Ginevra.
Era una visione? Sognavo o ero desto?
Lei mi sorrise debolmente, facendo un passo verso di me e non capivo ancora, la mia mente si rifiutava di funzionare correttamente. Boccheggiai un po’ e lei ridacchiò, allungando le sue braccia nella mia direzione.
Solo allora mi accorsi che stringeva fra le mani una barca a vela bellissima: costruita di un legno scuro, con le vele grandi, bianchissime, e tutti i dettagli rifiniti con cura. Era una barca a vela da mettere in acqua e controllare con il telecomando. Era la barca a vela che da bambino avevo desiderato, la barca vela che avrei voluto mettere nell’acqua di quel lago insieme a mio padre..e me l’aveva regalata Ginevra. Ma il regalo più bello non era quel dannato giocattolo, ma lei.
Lei che stava in piedi davanti a me sorridente, lei che mi guardava negli occhi, lei con i suoi bellissimi boccoli ramati e la voglia di vivere dipinta sul volto. Era lei in carne ed ossa. Si schiarì la voce ed io mi decisi a chiudere la bocca.
-Ho pensato che infondo,- Cominciò, facendomi capire che dovevo prendere la barca. –ti sei guadagnato una domenica da ricordare con felicità.- Pendevo dalle sue labbra e quando terminò, tenendo con una sola mano la barca, poggiai l’altra sulla sua guancia e l’avvicinai a me, baciandola con dolcezza.
Sì, era quello ciò che volevo, era lei che mancava nella mia vita, e nulla di più giusto avrei mai potuto fare.
Le mie labbra sulle sue leggermente fredde ebbero l’effetto di scaldarmi non solo tutto il corpo ma anche il cuore. Tornò ad essere un cuore che batteva sinceramente, che batteva per una ragazza, che batteva innamorato.
Quando ci allontanammo mi parve di essere bruscamente riportato alla realtà dopo degli attimi puramente paradisiaci. Lei mi sorrise, lasciandomi un altro delicato bacio a fiordilabbra. Poi si allontanò, oltrepassandomi e dirigendosi alla riva del lago.
-La proviamo questa barca?- Mi domandò facendomi l’occhiolino.
Allungai il braccio per riuscire a prendere la sua mano, facendola voltare. Le sorrisi, carezzando con dolcezza le sue piccole dita.
-Ti amo, Ginni.- Le dissi con voce chiara, seriamente, e provai emozioni indescrivibili quando lei si sciolse in un ampio sorriso, chinando leggermente la testa.
-Ti amo anche io, Emanuele.- Rispose, tornando poi sui suoi passi, verso il lago, sorridente. La seguii e la affiancai, piegandomi poi sulle ginocchia a posare la barca sull’acqua, spingendola con delicatezza e prendendo il telecomando che Ginni mi offriva. Mi alzai e la guardai, sorridendo.
Come potevo non sorridere? Non avrei più smesso di sorridere con lei insieme a me. Mi aveva regalato la capacità di amare ed essere felice con una ragazza di nuovo, dopo un lungo periodo di tempo.

 

 

 

 

 

**Autrice**
Ecco finalmente questo soffertissimo capitolo.. E’ stata un’impresa scriverlo, concluderlo, perché avevo sempre paura di cadere nella banalità. Sì, lo so che ho fatto le due classiche scene da film, come finale, ma non sono riuscita a trattenermi perché erano dannatamente belle!
Come vedete ho finalmente risposto a tutte (credo!) le domande ed ho delineato un po’ meglio il carattere di Emanuele (credo!) individuando anche le cause che l’hanno portato ad assumere determinati atteggiamenti! Per il resto.. Quanto sono belli con Ginni! Ho pensato fino all’ultimo se far partire Ginevra o meno ma, alla fine, ho deciso che tirarla per le lunghe era davvero esagerato e quindi, nel prossimo capitolo, vedremo perché ha deciso di tornare da lui.
Non mi dilungo troppo con i commenti e passo a ringraziare tutti coloro che anche questa volta hanno recensito (amo le recensioniii!):

sonietta: ecco le risposte alle tue curiosità! ;) Thank u per la recensione!
DarkViolet92: eheheh..al loro risveglio: tanti problemi!
Vero15star: Ha strisciato abbastanza? Dai che è tenero.. Gianluca tornerà nel prossimo capitolo come anche Marco! Non ti preoccupare, le tue recensioni in prima crisi mi fanno sempre sorridere e tanto piacere! Un bacio e grazie!
__Yuki__: Questa volta sono stata un po’ meno veloce ma ammetto che veramente rispetto ad altri autori sono un fulmine. Il punto è che siccome ho molta ispirazione scrivo molto velocemente.. non mi piace far aspettare i lettori perché io stessa ODIO aspettare! Grazie mille per i complimenti e per la recensione.. Spero che ti piaccia questo fondamentalissimo capitolo xD
Ombrosa: Certo che è organizzato, deve farsi perdonare il ragazzo! Come vedi sono arrivate le risposte a tutte le domande! Un bacio e grazie!
Anthy: Uh una nuova lettrice! Grazie mille, cara, per tutti i bei complimenti! J Spero continuerai a seguirmi! Un bacio
ChasingTheSun: Ciao, Vale non che mia nuova lettrice! Come vedi mi sono sbrigata a concludere di scrivere questo capitolo per non farvi stare troppo sulle spine.. Spero ti piaccia! Un bacio e grazie!
X_MoKoNa: Ti do ragione su ciò che hai detto perché io, al posto di Ginni, me ne sarei proprio che andata. Però Emanuele alla fine Ginevra la conosce visto che fra alti e bassi sono passati tre mesi e sono “legati” dall’amore che lega Federico e Sara e dall’amicizia (che vedremo ben definita più tardi) fra Emanuele e Gianluca. Spero che ti piaccia questo capitolo in cui ho focalizzato solo ed esclusivamente Emanuele e spero, e qui mi affido alla tua critica, di non averlo vittimizzato troppo perché era la cosa che temevo maggiormente!! Grazie come sempre per la tua recensione.. Un bacio!
Swettlove:
Eh si che ha organizzato tutto..Finalmente lui e Ginni parlano e si relazionano senza muri ed ostacoli fra di loro. Credo che oggi sarai piuttosto felice di leggere gli avvenimenti di questo capitolo.. xD un bacio e grazie grazie grazie!

  
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