Through it
all, I made my mistakes
I stumble and fall, but I mean these words
I want you to know
With everything I won't let this go,
these words are my heart and
soul
I'll hold on to this moment you know,
'cause I'll bleed my heart
out to show
That I won't let go
With Me – Sum 41
Eppure quella mattina quando mi svegliai con la testa ancora pesante
per la
sbornia e le palpebre che non ne volevano sapere di stare alzate, mi
feci una
doccia velocemente ed uscii, ben deciso a schiarirmi le idee, a capire
qualcosa
di tutto ciò che mi era successo ultimamente.
Da quella mattina di gennaio la mia vita era cambiata decisamente con
l’ingresso di Ginevra Sforza nella mia
quotidianità. In un modo o nell’altro
aveva conquistato la mia testa ed il mio cuore e mentre camminavo le
immagini
di quei tre mesi si presentavano una dopo l’altra nella mia
mente.
Era un modo particolare quello in cui avevo conosciuto Ginevra,
effettivamente.
Quel giorno ero arrivato a scuola un po’ prima del mio solito
e siccome mia
madre e mio padre erano partiti per andare a trovare i miei zii ad
Ancona,
avevo deciso di fare colazione al confusionario baretto della mia
scuola. Non
lo frequentavo quasi mai visto che odiavo il rumore di prima mattina e
quando
vi entrai per poco non mi prese un colpo. Ragazzi e ragazze mai visti
erano
affollati a chiaccherare, a pagare alla cassa.. e spingevano, ridevano,
cantavano:
uno zoo. Dopo aver pagato il mio cappuccino mi avvicinai al bancone e
la vidi
per la primi volta: Ginni era al bancone e stava bevendo il
caffé e mangiando
un moretto, guardandosi distrattamente intorno. Mi fermai accanto a lei
e diedi
lo scontrino alla barista. Lei tornò dopo pochissimi istanti
con un largo
sorriso sulle labbra ed il mio cappuccino fra le mani. Quella mattina
ne avevo
di cose da fare: avevo il compito di matematica in terza ora e di
conseguenza
io e Federico avevamo deciso molto saggiamente di non andare a scuola,
per
farci un giro in centro: tanto mio padre era convinto che avessi una
partita di
pallavolo e, a dircela tutta, non gliene importava più di
tanto.
Alzai lo sguardo dal cappuccino e mi guardai intorno, incrociando
quello di
Ginevra che stava al mio lato. Lei per un attimo spalancò
gli occhi e poi tornò
a concentrarsi sul suo caffé: beccata. Non la conoscevo ma
non mi posi
minimamente la domanda sul perché mi stesse fissando.. ormai
non mi interessava
più. Decine su decine di ragazzine urlanti si affollavano
durante la
ricreazione casualmente davanti la
mia classe per guardarmi ed una in più o una in meno che mi
faceva il filo
ormai non mi faceva nessuna differenza.
Ginevra finì la sua colazione e se ne andò
velocemente dopo aver salutato
la barista. Io mi limitai a finire di bere il mio cappuccino ed uscii a
cercare
Federico.
-Guarda quant’è figa!- Sì, lo avevo
decisamente trovato. Mi girai e lo vidi
tutto adorante guardare nella direzione di una ragazza dai lunghi
capelli
biondi che correva il più velocemente possibile: Sara
Rossetti, l’amore della
sua vita.
-Sì, invece di imbambolarti muoviti che qui passano un sacco
di
professoresse.- Lo tirai via a forza dalla visione celestiale della sua
Lei e
ridacchiando ci avviammo verso la fermata dell’autobus.
Molto francamente non mi ero mai interessato attivamente di far
sbocciare
l’amore fra Federico e Sara.. Non si erano nemmeno mai
parlati e,soprattutto,
non avevo la minima voglia di fare da Cupido. Me ne fregavo altamente
dei discorsi
amoreggianti di lui, anche se non era un comportamento esattamente
degno del
migliore amico di sempre.. Ma ero fatto così e Federico mi
accettava anche in
quel modo.
-Com’è andata a finire allora la storia con i tuoi
zii?- Domandò Federico
mentre ci sedevamo sul primo autobus che portava alla metro. Sospirai
pesantemente, sistemandomi la borsa dell’Eastpack sulle
ginocchia.
-A quanto pare mio padre e lo zio Giorgio hanno litigato davvero per
bene
questa volta.- Dissi, cercando di parlare con la maggiore noncuranza
possibile.
–Sembravano moglie e marito che urlavano chi avrebbe usato a
giugno e chi a
luglio la casa a Porto Cervo..- Mi strinsi nelle spalle.
-E tutto ciò perché sei riuscito a farti anche la
tua stessa cugina!-
Federico mi diede una pacca sulla spalla, sorridendo. Risposi a quella
pacca
con un leggero pugnetto mentre scendevamo dal 778, scendendo lungo gli
scalini
che portavano alla metro, di fronte a cui vi era la parte meno
frequentata del
“Laghetto dell’EUR”.
-Almeno io sono riuscita a farmela.- Sentenziai infine, ridacchiando,
mentre ci sedevamo sull’erba e distendevamo le gambe.
–Sei venuto con me in
Calabria per anni, provandoci, ma lei non c’è mai
stata..-
-Ha un debole per i troll, evidentemente.- Scoppiammo entrambi a ridere
per
un po’, finché Federico non riuscì a
riprendere il controllo di sé, calmandosi.
–Parlando di cose serie.. fumiamo?- Domandò,
indicando eloquentemente con lo
sguardo la borsa. Io annuii, cominciando ad aprire la mia borsa.
Guardai dentro
sempre con un sorrisetto sulle labbra e quest’ultimo si
spense immediatamente.
–Allora?- Chiese Federico più insistentemente. Io
scossi la testa, alzando lo
sguardo.
-Non è la mia borsa!- Balbettai. Federico scoppiò
a ridere, dandomi una
leggera bottarella. Io deglutii. –Federico, non è
la mia borsa questa! Guarda!-
Cominciai a tirare fuori tutti i libri, velocemente, uno dopo
l’altro e li
fissavo stupefatto.
-C’erano quaranta euro d’erba lì
dentro!- Federico parve finalmente
realizzare mentre sfogliava furiosamente i libri ed i quaderni che io
estraevo.
–Prendi il libretto!- Mi strappò praticamente la
borsa dalle mani e dieci
secondi dopo sventolava il libretto davanti al mio naso. Lo afferrai e
guardai
la foto ed i dati personali.
-Ginevra Sforza,- Cominciai a leggere, mentre Federico guardava i
quaderni
con gli occhi ancora fuori dalle orbite. –nata il quattro
aprile del
novantuno.. frequenta il II E, conosciamo qualcuno in II E?- Federico
parve
illuminarsi.
-Sara..- Disse con aria sognante, prendendo il libretto e guardando la
foto.
-E’ la migliore amica! E’ la rappresentante
d’istituto.. Non l’hai mai vista?-
Io scossi la testa, guardando la foto attentamente. –Anche
lei è una gran figa.
Sono una coppia di fighe.- Diedi una botta in testa a Federico.
-La smetti di fare il pervertito!- Sbottai, poggiando il libretto
indietro
nella borsa.
-Parla quello che si scopa la cugina!- Lanciai
un’occhiataccia a Federico e
questo guardò altrove. Per passare il tempo allora presi un
quaderno di Ginevra. Era nero, con
le pagine verdi:
particolare la ragazza. Lo aprii e per poco che non persi la mandibola:
versi
su versi del Purgatorio dantesco parafrasati con ordine e diligenza.
-Ce l’ha un diario questa?- Domandai mentre Federico fissava
con la mia
stessa espressione un altro quaderno della sconosciuta.
-Ma hai visto quant’è ordinata, fa paura!- Mi
sventolò davanti al naso un
altro quaderno. –Comunque sì, tieni.- Posai il
quaderno di italiano per terra e
presi il diario.
-Guarda questo qui.. C’è il Purgatorio trascritto
e commentato.- Gli dissi
mentre cominciavo a sfogliare il diario: una smemoranda interamente
nera. Ogni
pagina che giravo incontravo una frase di una canzone sempre differente
dei
gruppi più svariati: Led Zeppelin, Guns and Roses, Nirvana,
Ramones, Sex
Pistols, Simple Plan, Negramaro, Negramaro, Negrita.. –Fede,
mi passi i
post-it?- Domandai alzando lo sguardo da quelle pagine. Federico era
fissato
con i post-it e se ne portava sempre un bel mazzetto con sé.
Lui annuì,
cercando nel proprio zaino per poi passarmeli. Dopo aver rimediato
anche una
penna decisi di lasciare un segno del mio passaggio a quella
famosissima ma per
me sconosciutissima Ginevra Sforza.
Ginevra Sforza.
Ginni.
L’avevo lasciata sul letto che dormiva ancora profondamente,
un braccio
sotto il cuscino e l’altro lasciato cadere morbidamente lungo
il suo fianco. Si
era addormentata così la sera precedente quando
l’avevo portata in camera
ubriaca, si era lamentata come sempre dimendandosi con forza dalla mia
presa ma
appena l’avevo coperta con il piumone era crollata in un
sonno profondo.
Dimenandosi era riuscita a dirmene di tutti i colori, che ero uno
stronzo,
che l’avevo usata per
poi metterla a
letto come una bambina, che me l’avrebbe fatta pagare.. Ma
non capiva che
fatica era stata per me staccarmi dalle sue labbra, dai suoi baci, dal
suo
corpo e riportarla a letto.
Era cominciato tutto per festeggiare i suoi diciotto anni: eravamo
andati
al Bellavita, avevamo bevuto un bel po’, ci eravamo fatti
regalare una
bottiglia dal proprietario e ce ne eravamo tornati a casa. Saliti in
terrazza
avevamo acceso la musica ed avevamo dato via a quel gioco che avevo
ideato
teoricamente per farla bere di meno, visto che il ricordo di Sara,
dell’ospedale era piuttosto fresco e vederla finire nella
stessa situazione non
era il mio desiderio più forte. Un sorso, un altro e le
domande erano diventate
più a bruciapelo, più intime.
-Sei vergine?- Le domandai ridacchiando, tenendo la bottiglia in alto
in
modo che lei cercasse di allungare le sue braccia per prenderla, senza
però
riuscirci.
-Che cazzo te ne frega?- Mi rispose subitò, riservandomi
quello sguardo
assassino che non fece altro che aumentare le mie risate.
-Stai al gioco o non vuoi bere?- La tentai, facendo oscillare davanti
al
suo naso la bottiglia. Lei si arrese, sospirando.
-No.- Rispose secca e mi rubò la bottiglia dalle mani con
avidità,
perdendosi mentre beveva nei suoi pensieri. –E tu?-
-No.- Le risposi tranquillamente. La mia prima volta non me la
ricordavo..
Le uniche cose di cui ero certo erano che era accaduto tutto in
spiaggia a
Sabaudia durante il ferragosto di tre anni prima con una ragazza
più grande di
me. La classica storiella che racconterebbe il figo di turno agli amici
ma di
cui io non avevo nulla di cui vantarmi, visto che infondo, certi
ricordi sono
preziosi e si vorrebbero avere.
Scossi la testa mentre portavo la bottiglia alle mie labbra senza bere
però. Se avessi continuato la mia memoria si sarebbe
azzerata ed infondo erano
molte le immagini di quella sbornia che mi volevo conservare.
Ginni che ballava a piedi nudi, con le braccia alte verso il cielo, i
lunghi capelli rossi che oscillavano da una parte all’altra e
quel suo sorriso.
Quel sorriso così sincero, così ampio,
così vero.. Quel sorriso che illuminava,
contagiava chiunque e di cui io ero totalmente dipendente dalla prima
volta che
me ne aveva rivolto uno.
Poi c’era Ginni che ballava con me, tenendo le braccia
incrociate dietro il
mio collo, guardandomi con i suoi occhi azzurrissimi leggermente
arrossati da
tutte le ore che eravamo svegli e dall’alcol.
-Ti sei divertita oggi?- Le domandai infine curiosamente.
-Sì.- Rispose ed il mio cuore parve fare un salto di gioia.
Ci tenevo
davvero così tanto a farla felice?
-E tu?- Mi domandò prontamente lei, bevendo la vodka.
-Sì..- Mormorai, ormai disperso nei ricordi, nei pensieri,
anche se
offuscati e confusi dall’alcol. Sì, ero stato
benissimo con lei, ero stato con
lei così come avevo desiderato starci da tempo.
-Ginni,- Incominciai, passando la bottiglia da una mano
all’altra, guardando
un po’ questa ed un po’ la ragazza seduta davanti a
lei. –Sei innamorata?- Le
domandai guardandola dritta negli occhi. Lei per un attimo parve
confusa,
stupita, imbarazzata da quella mia domanda, ma poi si sciolse in un
dolce
sorriso.
-Sì- Mi rispose tranquilla, affrontando coraggiosamente il
mio sguardo. Il
mio cuore parve fermarsi un istante per poi riprendere a battere
furiosamente.
Era innamorata? Di chi? Di me ?
Riusciva ancora ad essere innamorata di me dopo tutto ciò
che era successo da
febbraio?
-E tu sei innamorato, Emanuele?- Alzai lo sguardo ed incrociai il suo
che
mi fissava insistentemente: voleva delle risposte, Ginevra, voleva i
suoi
perché lei.
-Sì.- Risposi infine, sospirando.
Era stato così difficile dire quell’unica,
brevissima parola, ma ora il mio
cuore era lì che saltava di gioia mentre io ero come
paralizzato, incollato
alla sedia. Ero innamorato davvero? Ero innamorato di lei? O era
solamente
l’effetto dell’alcol?
Impossibile saperlo, almeno finché sarei stato in quelle
condizioni, ma
l’unica cosa di cui ero certo era che più volte,
negli ultimi due mesi, dopo
che lei mi aveva dato il suo ultimatum, avevo pensato a lei, alla
possibilità
di noi due insieme.
Presi la bottiglia che lei mi porgeva e la posai sul tavolo accanto a
noi,
scuotendo la testa. Non volevo più giocare a quel gioco. Lei
fece per
riprendersela ma istintivamente posai la mia mano sulla sua e la fermai
così a
mezz’aria. Ginni mi guardò perplessa: forse ancora
rimurginando sulle mie
parole, forse ormai troppo ubriaca per ragionare come una persona
normale.
Mi alzai e la tirai verso di me, lasciando che il suo corpo aderisse
perfettamente contro il mio, godendo dei brividi che mi percorsero
completamente al contatto con lei. La guardai un’ultima volta
negli occhi prima
di poggiare le mie labbra sulle sue. Erano morbide, accaldate, e
sapevano
incredibilmente di vodka. Una mia mano scivolò fra i suoi
capelli, scendendo
poi sulla sua nuca e stringendola con forza a me in quel bacio.
Inizialmente la sentii stupita sotto i miei tocchi, poi entrambi ci
dimenticammo di cosa stessimo facendo, dove fossimo, e quel bacio si
approfondì
velocemente. Mi lasciai rubare dal suo profumo, dalle sue mani delicate
che
carezzavano prima il mio viso, poi la mia schiena, che mi tenevano
stretto a
lei. Ma non ce n’era bisogno che mi stringesse per non
lasciarmi andare via,
non me ne sarei mai andato. Le mie mani scesero lungo la sua schiena,
carezzandola intensamente, mentre le nostre labbra si staccavano ed io
scendevo
lungo il suo collo in una calda scia di baci.
-Ho freddo..- Mormorò lei contro le mie labbra quando tornai
a posarle
sulla sua bocca. Io mi allontanai da lei e la guardai un attimo,
chiedendomi se
stessi facendo la cosa giusta: ero ubriaco, lei era ubriaca. Ma gli
istinti del
proprio corpo sono duri da tenere a freno. Così la condussi
per mano nel
superattico, e scivolai insieme a lei sul divano che era situato
lì.
-Va meglio?- Le domandai mentre lei si stendeva su di me, facendo fare
un
balzo al mio stomaco. Lei si limitò ad annuire, tornando a
baciarmi. Ed io
risposi a quel bacio lasciando che le nostre lingue si intrecciassero
in quel
gioco, in quella danza che stavano conoscendo, scoprendo. Le mie mani
esplorarono il suo corpo prima con indecisione, lentezza e poi con
più
intensità, con più desiderio. Scoprii che il suo
collo era un’attrazione
formidabile per me alla quale non riuscivo più a resistere e
che ogni volta che
la baciavo avevo voglia di farlo ancora, ancora, senza fermarmi mai.
I baci che seguirono fecero alzare mano a mano la temperatura in quella
stanza. Le mie mani avevano abbassato le spalline del suo vestito,
lasciando
intravedere la pelle nuda del suo petto ed il reggiseno nero, mentre
lei si era
impadronita dei bottoni della mia camicia. Scendeva lenta su quei
bottoni,
mentre io non riuscivo a privarmi di un suo solo sospiro, di un suo
solo bacio,
e solo quando ormai giunse al quinto e la mia pelle arse al contatto
con quella
del suo petto, ebbi non so quale forza di allontanarla da me.
-Stiamo esagerando.- Dissi serio, cercando di non guardare quei suoi
dannati occhi che avrebbero piegato ai suoi piedi chiunque. Lei
aggrottò le
sopracciglia, provando ad avvicinarsi nuovamente, ma io la riuscii a
tenere
lontano, alzandomi poi velocemente con lei dal divano. –Hai
bevuto troppo, Ginni,
ti porto a letto.- Lei mugolò, posando le sue mani sulle mie
spalle, per
reggersi in piedi senza cadere e poi, dopo avere realizzato il senso
delle
parole mi guardò male.
-Sei uno stronzo.- Disse, allontanandosi di scatto da me. La presi in
braccio, riuscendo con non so quale fortuna a non prendermi uno degli
schiaffi
che cercava in continuazione di tirarmi. Come ho già detto,
me ne disse di
tutti i colori, mi minacciò in tutti i modi possibili e
quando la posai
soddisfatto sul mio letto mi aveva detto le parole che mi avevano
tormentato il
cuore per tutta la notte seguente.
-Fai tutto come ti pare a te! Mi baci quando vuoi tu, ti approfitti
della
mia sbornia, mi usi e poi mi porti a letto come una bambina! Cantami
anche la
buonanotte ora!- Mi urlò, mentre io le carezzavo i capelli
cercando di farla
stendere. –E non mi toccare!- Mi schiaffeggiò la
mano ed io la allontanai, non
riuscendo comunque a sorridere.
Davvero pensava quelle cose?
Pensava che non m’importava di lei?
Pensava che mi fossi approfittato di
lei?
Scossi la testa, portando le mani sul viso costringendomi a guardarmi.
Si
ammutolì all’istante ed io la guardai: piena di
lentiggini, confusa, non mi
capiva, non capiva quella situazione.
-Baciarti era la cosa che desideravo di più.- Le sussurrai,
mentre lei
lasciava passare sul suo viso decine e decine di espressioni
differenti:
sorpresa, curiosità, sorpresa, odio, sorpresa.
-Lasciami stare, ti prego- Mormorò scuotendo la testa.
–Non ci voglio
restare male- Aggiunse, sdraiandosi e sospirando. Io cercai di trovare
una
spiegazione ragionevole a quelle parole, ma Ginevra non era
l’unica sotto
l’effetto dell’alcol e la mia testa girava
insistentemente. Mi limitai a
sistemarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio e a
coprirla con il piumone.
-Buonanotte.- Le dissi infine, piegandomi sul suo viso per lasciarle un
dolce bacio sulle labbra. Lei annuì debolmente mantenendo
gli occhi chiusi.
-Notte.- Rispose, girandosi poi sull’altro fianco. Mi alzai
dal letto e
socchiusi la porta alle mie spalle. Chiusi e riaprii gli occhi,
rendendomi
conto che la mia testa girava decisamente più velocemente di
qualche istante
prima e che avevo l’impellente bisogno di stendermi.
Raggiunsi un po’ traballante il divano in salone e mi sdraiai
a pancia in
su, sospirando sonoramente. Quando chiusi gli occhi non riuscii a
dormire
immediatamente: forse per la sensazione che il mondo stesse girando,
forse
perché la mia testa non riusciva a trovare la pace, a
liberarsi dai ricordi,
dagli avvenimenti di quella serata. Quando varcai la soglia del mondo
dei
sogni, lo feci però con l’immagine di Ginevra ben
stampata nella mia mente.
-Un moka-frappuccino piccolo,
perfavore.- Ordinai educatamente, stupendomi poi della mia
stessa voce: più roca e
più profonda del solito.
-Arriva subito!- Mi disse la
ragazza con un sorriso, rivolgendosi poi al prossimo cliente: una
signora
anziana con i suoi due nipotini. Sorrisi con amarezza, prendendo poi il
mio
frappuccino ed uscendo dallo Starbucks, incamminanandomi lungo
Considerai più volte l’idea di andare al Central
Park ma l’erba bagnata non
faceva altro che allontanarmi da quell’idea.
Più pensavo a ciò che era successo la sera
precedente e più mi ponevo la
domanda che mi aveva rivolto Ginevra: “sei innamorato,
Emanuele?” Ero
innamorato io, Emanuele Benassi?
Avevo deciso di chiudere definitivamente con l’amore, avevo
deciso che non
ne valeva la pena di soffrire, di passare ore infernali a causa di una
ragazza.
Ero stato fidanzato un anno e tre mesi con Michela. Quindici mesi in
cui io
avevo dato tutto me stesso giorno dopo giorno, mese dopo mese,
perché lei era
la mia prima vera ragazza, la
prima
con cui non stavo solo così per starci durante una vacanza
estiva, ma ci stavo
perché io l’amavo e lei amava me. Ci eravamo
conosciuti alla festa di diciotto
anni della cugina di Federico, andava a scuola in un liceo scientifico
del
centro di Roma ed era più grande di me di un anno. Mi
presentai, chiaccherammo
un po’ e poi ci scambiammo i numeri, cominciando a sentirci,
a frequentarci. Un
mese dopo ci mettemmo insieme e cominciammo quella che aveva tutti i
caratteri
della storia che doveva durare per sempre.
Sfortunatamente quell’eternità fu violentemente
spezzata dal suo ex, con il
quale si frequentò per gli ultimi quattro mesi della nostra
storia. Lo scoprii
da solo, casualmente, nel modo probabilmente peggiore, il giorno che
preceva il
nostro sedicesimo mesiversario. Ricordavo ancora quel pomeriggio
perfettamente
in ogni suo dettaglio: ero uscito da scuola e l’avevo
chiamata, chiedendole se
aveva voglia di uscire quel pomeriggio, lei mi aveva risposto che aveva
da fare
ed allora ero uscito a farmi un giro con Federico, accompagnandolo a
comprare
dei libri per scuola a Piazza della Repubblica; arrivammo e prima di
entrare
Federico mi domandò di aspettarlo perché voleva
fumare una sigaretta e fu in
quell’istante che il destino si pronunciò: se
fossimo entrati non avrei mai
potuto notare una coppia che si baciava appassionatamente in una mini
cooper
rossa parcheggiata a pochi metri dalla libreria, non avrei mai scoperto
Michela
ed il suo tradimento.
Sospirai e mi accorsi che in preda ai ricordi mi ero fermato a guardare
una
famigliola che giocava a football nel parco, ridendo e gridando a gran
voce.
Scossi la testa, riprendendo a camminare con la testa, invece,
totalmente
altrove. Fra le nuvole.
Fatto stava che dopo la mia rottura con Michela mi ero ripromesso
solennemente che non mi sarei mai più andato a buttare in
delle storie d’amore
ed avevo cominciato così a stilare la mia lunga lista da Don
Giovanni. Federico
mi aveva rimproverato più volte il fatto che non mi
comportavo bene, che
cambiare ragazze come se nulla fosse non mi faceva apparire migliore e
non
faceva soprattutto onore. Avevamo litigato più volte
insistentemente
sull’argomento e la volta che la nostra amicizia per poco non
si chiuse
seriamente successe che ci prendemmo a pugni e deviai il suo setto
nasale e lui
mi ruppe uno zigomo. Dopo quel giorno mi calmai sicuramente ma
restò il fatto
che ero diventato estremamente cinico e poco disponibile nei confronti
dell’amore,
delle ragazze, della possibilità di provare nuovamente
determinati sentimenti.
Eppure Ginevra da quel giorno in cui ci eravamo scambiati le borse, era
stata in grado di stimolare il mio cuore freddo ed impassibile. Era
riuscita a
farmi provare delle emozioni, dei sentimenti che avevo rinchiuso nel
più
lontano dei cassetti e che non avrei mai più voluto sentire.
Dal primo giorno
in cui l’avevo vista avevo combattuto assiduamente per capire
cosa fosse ciò
che provavo per lei: amore o attrazione. Non ero giunto ad una
conclusione
malgrado più volte mi fossi illuso di aver trovato una
soluzone, eppure quando
l’avevo baciata mi era sembrato tutto così giusto,
tutto così sensato, ed il
mio sì a quella sua domanda sembrava la cosa più
vera che io avessi detto in
tutta la mia vita.
Gli ultimi tre mesi era stati caratterizzati dalla sua comparsa nella
mia
vita, la migliore amica della ragazza del mio migliore amico,
inevitabilmente i
nostri destini si erano intrecciati per non riuscire più a
separarsi, malgrado
i tentativi di Ginevra.
Sospirai nuovamente, buttando via il bicchiere ormai vuoto dove prima
c’era
stato il mio moka frappuccino e, nonostante fossi abbastanza distante
ancora
dal mio palazzo, decisi di attraversare la strada ma, a mia grandissima
sorpresa,
vidi venire proprio nella mia direzione Ginevra. Camminava veloce, con
gli
occhi ben puntati su di me. Era bella Ginevra di una bellezza tutta
sua,
particolare. Aveva quei lunghi boccoli ramati, la pelle quasi diafana e
quelle
migliaia di lentiggini ed infine i suoi occhi, i suoi bellissimi occhi
azzurri.
Erano dello stesso colore del cielo quando non c’era aria di
tempesta, così
grandi, sinceri, che sembravano offrirti la possibilità di
entrare in lei,
comprenderla e che lasciavano sfuggire quella leggera paura di
affezionarsi
troppo, quella paura che lei aveva sempre nei miei confronti.
Accennai un sorriso ma l’espressione sul suo volto mi fece
intendere che
non stava decisamente venendo in pace. Le opzioni erano poche: o si
ricordava
perfettamente della notte precedente o aveva voglia di riscuotere il
suo
‘perché’.
-Sei un coglione!- Mi urlò quando fu ad un metro di
distanza, dandomi uno
schiaffo sulla guancia che probabilmente mi lasciò
metà del viso rossa. –Sei
uno stronzo!- Cominciò a darmi insistenti pugni sul petto.
Inizialmente non
compresi tutto ciò che stava accadendo e solo dopo che la
mia mente ebbe
realizzato ciò che stava accadendo, la afferrai per i polsi
e la bloccai.
-Che succede?- Le domandai con la maggior calma possibile. Lei
alzò lo sguardo
e notai che i suoi occhi erano leggermente gonfi, con delle occhiaie un
po’
accennate: aveva forse piano? Deglutii, mentre lei si liberava dalla
mia presa
e si toglieva velocemente la sciarpa che portava al collo.
-Cosa succede, maiale?- Urlò, facendo girare qualche
newyorkese incuriosito
a guardarci. Indicò il suo collo. –Ecco cosa
succede! Come me lo spieghi!-
Guardai il suo collo teso e notai che sulla pelle chiara risaltava un
grosso
livido violaceo: maledizione.
-Io..- Provai a dire ma lei mi azzittì in fretta, dandomi
una spintarella.
-Tu sei un porco, hai capito? Ti sei approfittato del fatto che fossi
ubriaca! Mi hai usata per i tuoi sporchi comodi e poi te ne sei
fregato!- Si
fermò, abbassando le mani e guardandomi con aria tradita,
ferita. Il mio cuore
si strinse.
-Eravamo ubriachi, abbiamo cominciato a baciarci e..- Provai a
spiegarmi,
ma lei scuoteva già la testa.
-E hai ben pensato di prenderti tutto no, visto che c’eri!-
Spalancai gli
occhi: davvero pensava che io avessi continuato, avessi superato quel limite.
-Ginni, no.. Ci siamo solamente baciati in un modo un po’
più spinto, ma non
è successo nulla!- Anche
io alzai la voce: da un lato indignato per ciò che stava
pensando di me,
dall’altro perché non volevo, non volevo
assolutamente litigare con lei.. Non
dopo ciò che era successo, non dopo che avessi capito che a
lei ci tenevo
davvero.
-E perché dovrei crederti?- Domandò con la voce
leggermente tremante.
–Perché dovrei crederti, Emanuele! Non hai fatto
nulla per meritarti la mia
fiducia, mi hai semplicemente fatta sempre soffrire!- I suoi occhi si
riempirono di lacrime ed ebbi il forte impulso di abbracciarla,
stringerla al
mio petto, baciarla. Eppure lei era lontana chilometri, aveva innalzato
un muro
fra di noi che non riuscivo a superare.
-Credimi e basta. Non avrei mai potuto farti una cosa del genere.- Ero
stato io che l’avevo fermata, che l’avevo preso in
braccio, l’avevo portata a
letto e l’avevo fatta dormire: non riuscivo a sopportare di
sentirmi trattato
come un mostro.
-Ero ubriaca persa! Avresti dovuto portarmi a letto subito, non avresti
dovuto farmi più bere!-
-Ti ho portata a letto!- Urlai esasperato, mentre lei mi guardava
pronta ad
incenerirmi. –Ti ho messa a letto, ti ho coperta con il
piumone, l’ho fatto!-
-Ma prima ti sei approfittato un po’ della situazione, no?
Cosa mi sarei
mai potuta aspettare da uno come te? Da uno che bacia le ragazze in
discoteca
così per fare e poi le prende anche in giro! Come mi posso
aspettare da uno che
per tre mesi ha giocato con il mio cuore: l’ha preso,
l’ha illuso e poi l’ha
schiacciato!- Mentre gridava quelle parole le lacrime uscivano
violentemente,
scendendo sulle sulle sue guance. Il mio cuore si paralizzò:
l’avevo davvero
illusa? L’avevo davvero fatta soffrire? Inarcai un
sopracciglio e lei notò
evidentemente la mia sorpresa nel sentirmi dire quelle cose.
–Cosa pensavi che
mi aveva fatto piacere vederti baciare Giulia? Che non mi piacessi? Ti
sei
sbagliato! Perché..- E si fermò un attimo,
abbassando lo sguardo, respirando
profondamente. -..Perché ti amo! Ti amo e non dovrei farlo!
Non posso amare una
persona schifosa come te, non posso amare uno che a me non ci tiene
neanche
minimamente, che mi fa star male per mesi, che prima non mi calcola,
che poi mi
sorride e fa il gentile.. Non posso amare uno che non mi rivolge la
parola per
due mesi e poi mi porta a New York come se nulla fosse!- Singhiozzava
violentemente davanti a me, mentre io ero fermo, non riuscendo a
muovere un
singolo muscolo.
Ti amo. Quelle due parole
rimbombavano nella mia mente e le mie ginocchia sembravano essersi
fatte
improvvisamente molle come non mai.
Ti amo. E pensavo a Ginevra che
soffriva a causa mia, a quanta forza aveva avuto ad affrontare il mio
sguardo
tutte quelle volte che il suo cuore invece moriva a causa mia.
Ti amo.
–Ti voglio fuori dalla mia vita, per sempre! E non
m’importa più di sentire
i tuoi perché! Non mi
dirai mai
perché mi vuoi nella tua vita per il semplice fatto che tu
neanche sai se mi
vuoi o meno..Perché sei fatto così, Emanuele!
Vuoi tutto e non vuoi niente! Io
non sono merce di scambio, un giocattolo, sono una persona con un
cuore, che
sta male a causa tua e non ci sta più a stare ai tuoi
stupidi, infantili
giochetti!- Prese fiato, asciugandosi con la manica del cappotto le
lacrime. Tremava
tutta. Poi alzò lo sguardo e mi guardò
seriamente. –La cosa più ridicola sai
qual’è? Immaginavo che avresti detto qualcosa,
almeno, invece sei così codardo
da non riuscire neanche a commentare.- Scosse la testa mentre io venivo
pugnalato da ognuna di quelle parole. –Me ne vado a Roma, ho
già chiamato ed ho
cambiato il biglietto.- Concluse così quel suo lungo
discorso e si girò,
correndo via da me.
La guardai allontanarsi, velocemente, ed io non riuscii a muovermi.
Perché?
Perché non la seguivo e non la fermavo? Per dirle poi cosa?
Ti amo.
Anche io l’amavo, l’amavo dal primo momento,
l’amavo dalla prima volta che
mi aveva sorriso.
Ti amo.
Il suo sorriso, i suoi occhi, la sua risata. Tutto era impresso dentro
di
me, stampato per non essere più cancellato, come se fosse
inchiostro
indelebile.
Ti amo.
L’amavo perché quando stavo con lei tutto il resto
del mondo poteva anche
scomparire, perché quei due giorni a New York erano stati i
migliori di tutta
la mia vita.
Ti amo.
-Ti amo anche io..- Mormorai al vento, mentre dei bambini correvano
davanti
a me, facendomi svegliare di colpo. Eppure ero arrivato troppo tardi,
anche
quella volta.. Avevo pensato che sarebbe stato tutto facile, che tutto
si
sarebbe piegato ai miei piedi, anche lei.. Avevo pensato che quando
avrei
voluto, lei ci sarebbe stata, ed invece Ginevra era differente e se ne
era
andata. Mi aveva aspettato, mi aveva dato la possibilità di
averla, di stare
con lei, ed io l’avevo presa alla larga, pensando che ci
sarebbe stato il
tempo. Era stata chiara: avevamo chiuso definitivamente
perché io non riuscivo
a decidermi ed aveva fatto bene.
Me ne vado a Roma.
Non appena ricordai quelle sue ultime parole qualcosa riuscì
finalmente a
scattare nella mia testa e presi in fretta il cellulare dalle mie
tasche con le
dita che tremavano. Tremavo.
Digitai
il numero di mia zia che lavorava al check-in della Delta Airlines
lì a New
York. Non poteva finire così, non doveva finire
così, non quando avevo capito
che era lei che volevo, che senza di lei non potevo starci, che senza
di lei
non potevo farcela.
-Ema! Ciao!- La voce di mia zia suonò estremamente gioiosa
alle mie
orecchie.
-Ciao, zia.. Senti, ti chiamavo per chiederti un favore..- Cominciai,
deglutendo.
-Sì certo, dimmi, va tutto bene lì al centro no?-
Mi domandò. No, andava
tutto a rotoli, andava tutto male, malissimo.
-Sì, va tutto bene. Ginevra Sforza a che ora ha
l’aereo oggi?- Domandai
mentre ogni singola parte del mio cuore moriva al suono del suo nome.
-All’una e mezza.- Guardai l’orologio: erano le
undici. Probabilmente già
stava in taxi. –Sei sicuro che vada tutto bene?-
-Sì, grazie mille zia.- Attaccai senza aspettare risposta e
corsi con tutta
la velocità che avevo fuori dal Central Park. Probabilmente
quella mattina lei
aveva organizzato tutto: si era svegliata, aveva visto il succhiotto,
aveva
chiamato
Arrivai con il fiatone davanti al mio palazzo e, non vedendo Mark da
nessuna parte, alzai prontamente il braccio per fermare un taxi.
-All’aeroporto!- Dissi senza neanche curarmi di parlare in
inglese. Ma
quello parve capire alla perfezione e diede gas, allontanandosi in
fredda dal
Central Park, dal centro di New York.
Cosa mi era preso? Ero rimasto lì immobile ad ascoltare le
sue parole senza
riuscire a parlare. Codardo.
Possibile che non me ne fossi mai reso conto prima di quanto fossero i
miei
sentimenti nei suoi confronti? Avevo voluto fare quel viaggio a New
York con
lei per chiarire, certo, per accennarle che forse da parte mia ci fosse
qualcosa in più di un’amicizia.
Ingenuo!
Non mi ero mai accorto del fatto che lei mi amasse? Non ci avevo mai
fatto
caso? Mi ero curato solamente di non perdere il rapporto con lei
perché da parte mia
pensavo che non ce l’avrei mai
fatta senza di lei, mentre ero convinto che io a lei non interessassi
ormai da
quel cinque febbraio in cui mi aveva dato il suo ultimatum.
Idiota.
Il taxi si fermò ed io lasciai in mano dell’uomo
una banconota da cento
dollari senza nemmero procurarmi di riscuotere il resto. Scesi
giù
dall’automobile e corsi all’interno
dell’aeroporto, venendo travolto dalla
marea di gente che doveva partire e che affollava ogni singolo metro
quadrato
di quel posto.
Decisi di agire seguento il mio istinto e corsi istintivamente verso i
controlli situati fuori dalla dogana, spingendo via tutti coloro che si
trovavano in mezzo dicendo “excuse me” ogni tre
passi. Non potevo lasciarla
partire, non potevo rovinare tutto con lei definitivamente, non prima
di averle
detto che l’amavo anche io, che non poteva lasciarmi
lì perché avevo bisogno di
lei, come la sera precedente: avevo bisogno della morbidezza delle sue
labbra,
delle sue braccia strette intorno a me, dei suoi sorrisi, dei suoi
sguardi così
allegri, furbi, sinceri.
-Ginevra!- Urlai sbracciandomi quando individuai la sua chioma rossa in
coda per fare il controllo. Lei si girò e
spalancò gli occhi, domandando poi
qualcosa alla signora che stava in fila davanti a me: stava cercando di
passare
avanti. In quel momento allora me ne fregai altamente di tutto e di
tutti e
scavalcando tutta la fila che mi separava da lei l’afferrai
per un braccio e la
avvicinai a me con tanta forza che lasciò cadere la propria
borsa a terra,
guardandomi poi spaventata negli occhi.
-Lasciami, abbiamo già concluso il nostro discorso.- Disse
gelida,
divincolandosi. Ma io non avrei lasciato quella presa, non
l’avrei più lasciata
andare via.
-No, non abbiamo concluso nulla perché io devo ancora
parlare.- Ribattei determinato.
Lei fece un sorriso ironico, voltandosi a guardarsi intorno. La gente
ci
fissava leggermente dubbiosa.
-Hai avuto la tua occasione per parlare. Hai avuto tre mesi per
parlare.-
Mi guardò fisso negli occhi ed io deglutii. No, dovevo
assolutamente
continuare, portare a termine quel nostro discorso.
-Mi sono svegliato troppo tardi. Ma non negarmi la
possibilità di chiarire,
ti prego.- La supplicai, mentre il mio cuore accellerava i battiti.
-Non le voglio sentire le tue solite frasi fatte.- Sembrava rassegnata
mentre scuoteva con poca energia la testa. –Te l’ho
già detto una volta: non
sono la prima troietta che ti porti a letto con un paio di battutine.-
La prima
volta che avevo sentito quelle parole avevo riso, invece in quel
momento mi
faceva ancora più male al cuore.
-Io ti amo.- Presi
il suo viso fra
le mie mani, costringendola a guardarmi negli occhi. –Ti amo
ed è per questo
motivo che non posso pensare ad una mia sola giornata senza averti
più nella
mia vita. Ti voglio nella mia vita perché sei riuscita a
farmi provare
nuovamente dei sentimenti che avevo rimosso disilluso e ferito dopo una
storia
finita male. Ti amo perché mi basta un tuo sorriso per stare
bene, mi basta un
tuo sguardo, una tua risata..una tua presa in giro.- Abbassai lo
sguardo e
fissai il pavimento. –Non avrei mai voluto farti del male, ma
come hai detto tu
sono uno stronzo, sono un deficiente egoista che ha messo sempre se
stesso
davanti a tutto.. Sono stata così impegnato a cercare di
capire ciò che provavo
io nei tuoi confronti da non pensare minimamente a ciò che
potessi provare tu,
in quei momenti..- Affrontai il suo sguardo acquoso.
-Perché mi evitavi inizialmente?- La sua serietà
fu tradita dal tremolìo
della sua voce.
-Ti evitavo perché dalla prima volta,- carezzai con il
pollice le sue
guanca, deglutendo. –dalla prima volta che ti ho visto ho
provato qualcosa di diverso, di
forte nei tuoi confronti.
Chiamalo colpo di fulmine, chiamalo come ti pare, ma ne avevo paura..Ne
avevo
paura perché io mi ero ripromesso di non innamorarmi
più, di non legarmi più ad
una ragazza come mi ero legato a lei.-
Chiusi gli occhi un attimo, mentre l’immagine di Michela si
insinuava
prepotentemente nella mia mente, venendo poi sostituita da quella di
Ginevra,
in piedi davanti a me, con le labbra leggermente schiuse e la voglia di
capire,
di essere convinta. –Ti evitavo quando ero con i miei amici,
mascherandomi
dietro la mia fama di “montato che si isola dal mondo con
Della Valle”..ma poi
quando ero davanti a te non riuscivo a non.. a non innamorarmi giorno
dopo
giorno di te.-
-Ma se eri..se eri innamorato di me..- Capii che pronunciare quelle
parole
per lei era incredibilmente difficile. -..Perché?
Perché..Giulia?-
-Perché sono uno stronzo..Un puttaniere.- Deglutii,
allontanando le mani dal
suo viso. –Un puttaniere che in quella discoteca tanto per
cambiare ha fatto
uscire fuori la sua natura..Perché sono così in
realtà, o almeno ero così
prima di conoscere te.-
Sospirai, mentre lei fissava un po’ il soffitto, un
po’ per terra. –Io voglio sono
te, adesso.. E non ti voglio come un premio di cui vantarmi, non ti
voglio
perché non sei caduta ai miei piedi ed allora voglio
mostrare al mondo che
io posso averti.-
-Anche perché io sono
caduta ai
suoi piedi.- Mi guardò con un mezzo sorriso sulle labbra.
-Scusami, Ginni, ti prego.. Ieri sera, malgrado tu sia convinta che io
ti
abbia usato, non sai come sono
stato
quando ti ho baciato, mi sono sentito felice..
Quando ti ho allontanato, quando ti ho portato a letto, ho combattuto
con ogni
mia forza, con ogni mio muscolo contro il mio desiderio.. Avrei
desiderato
dartene altre mille di baci, sentire le tue mani su di me.. Scusami..-
Lei però
era ancora dubbiosa: rincuorata sicuramente, ma anche incerta.
-P-perdona i miei..silenzi?- Balbettò. Io ricordai come in
un flashback il
coma etilico di Sara, l’ospedale, quel pomeriggio del
risveglio. –Avevi sentito
il mio monologo a Sara?- Domandò, ricominciando debolmente a
tremare,
guardandomi.
-No.- Risposi fermamente. Di cosa parlava ora? Aggrottai la fronte e
lei
sbiancò. –Io quel giorno mi ero reso solamente
conto che non volevo più
evitarti, che volevo conoscerti, che volevo lasciarti la
possibilità di entrare
nel mio cuore..- Le spiegai con calma.
-Quel giorno dissi a Sara che mi
piacevi da morire.- Disse seriamente, scuotendo poi la testa.
–E che tu non mi
calcolavi, che eri strano..-
-E’ cominciato l’imbarco
per il
volo DL 921 diretto a Roma Fiumicino.-
Ginevra si voltò di scatto: era il suo volo.
-Non andare, ti prego.- La implorai prendendo nuovamente il suo viso
fra le
mie mani.
-Ho paura di fidarmi.- Mormorò ricambiando il mio sguardo.
Mi chinai sul suo viso e la baciai, finalmente da sobrio, finalmente
con
tutte le carte in tavolo e nessun dubbio, nessuna cosa tenuta dentro il
mio
animo nascosta. Inizialmente lei ricambiò il mio bacio con
indecisione, con
timidezza. La strinsi con delicatezza a me, mettendo tutta la dolcezza
di cui
ero capace in quel bacio. Non ero una qualsiasi ragazza che baciavo per
raggiungere il mio scopo, no, lei era diversa e tutto con lei doveva
essere
differente. Lei ricambiò il mio bacio portando le braccia ad
intrecciarsi
dietro il mio collo. Lasciai le mie mani scendere lungo la sua schiena,
esplorandola con delicatezza, quasi avendo paura di farle del male. E
fu un bacio
diverso da quello che ci eravamo scambiati la sera precedente:
riversammo in
quel bacio tutti i nostri sentimenti, le nostre emozioni e le
mescolammo,
mentre il tempo sembrava essersi interrotto intorno a noi. Quando ci
separammo
aprii piano gli occhi, quasi con la paura di svegliarmi da quel sogno.
Lei fece
evidentemente lo stesso e quando ci guardammo le sue guance divennero
rosse.
-Scusami..- Scosse la testa, allontanandosi poi da me e prendendo da
terra
la borsa che le era cascata. Non capivo: la guardavo negli occhi e
cercavo di
comprendere cose le stesse passando per la mente. La presi per una
mano, ma lei
si allontanò continuando a scuotere la testa. -..Devo
andare.- Mormorò,
alzandosi poi sulle punte per baciarmi dolcemente le labbra
un’ultima volta.
E mi lasciò così, con gli occhi spalancati in
mezzo ad una folla di gente
che faceva il controllo dei bagagli e passò attraverso il
metal detector senza
più girarsi nella mia direzione.
Se ne era andata.
Non riuscivo ancora a realizzare che alla fine avesse scelto di..
andarsene. Possibile che era finita così? Possibile che
appena avevo riaperto
il mio cuore, questo era stato immediatamente
spezzato?
Ed io la volevo dannatamente.
La amavo e la volevo con me.
Osservai i suoi capelli rossi allontanarsi sempre più dal
mio campo visivo
e sospirai, mentre le mie mani si stringevano in dei pugni in cui
tentavo di
sfogare tutta la mia rabbia, la mia frustrazione. Se ne era andata.
Restai per qualche altro istante fermo lì con la gente che
passava
scansandomi, facendo di me ciò che voleva. Solo dopo qualche
minuti mi mossi,
uscendo dall’aeroporto. Muovevo ogni singolo passo senza
realmente accorgermi
di dove fossi, dove stessi andando. Uscii dall’aeroporto con
nella testa voci
su voci che si accavallavano, intrecciandosi con le parole di Ginevra,
con le
immagini di Ginevra.
-Hey, ragazzo, hai bisogno di un
taxi?-
Alzai lo sguardo e mi accorsi di essere uscito dall’aeroporto
e mi ritrovai
davanti ad un ragazzo di colore che mi fissava insistentemente. Battei
un paio
di volte le palpebre, cercando di riprendere un po’ di
controllo.
-Allora?- Domandò
spazientito,
battendo il piede a terra.
-Sì, grazie, devo andare a
Central Park.- Risposi, finalmente riuscendo a mettere
insieme delle parole in inglese.
Lui annuì e mi fece cenno di seguirlo. Salimmo nel taxi e
partimmo in totale
silenzio. Guardavo fuori dal finestrino e ricordavo il giorno in cui
ero
arrivato lì con Ginni: la sua faccia sorpresa in aereo, il
suo sorriso ironico,
la sua risata isterica e la sua voglia di autonomia da me finita male.
Sorrisi
fra me e me, scuotendo leggermente la testa: non potevo aver mandato a
puttane
tutto in quella maniera.
La mia meta fu inevitabilmente il lago dove avevo affogato tutte le
volte
il mio dispiacere e che quello impassibile aveva assorbito, liberandomi
di un
peso che premeva forte sul mio cuore. Mentre camminavo guardavo le
persone che
ridevano, si abbracciavano, si rincontravano e mi sentivo un
po’ come mi
sentivo da piccolo quando vedevo i bambini felici con il loro padre che
li
stringeva forte al proprio petto e poi li aiutava con le barchette.
Sospirai,
sedendomi sulla riva, portando le ginocchia al petto e posando la testa
su di
esse, guardando delle anatre in lontananza.
Probabilmente lei in quel momento era già
sull’aereo, magari stava già
decollando e forse stava pensando a me. Magari rideva della situazione,
dandomi
dell’idiota, magari piangeva, magari sospirava.. Me la
immaginai in ogni
situazione ed infine premetti i palmi delle mani sui miei occhi con
forza, come
a voler cancellare tutto, come a voler tornare indietro alla sera
precedente,
non farla ubriacare, baciarla da sobria..
Avevo organizzato il suo compleanno punto per punto, accuratamente,
perché
alla fine di quella serata volevo confessarle che la volevo nella mia
vita
perché sapeva farmi battere il cuore come
nessun’altra, che ero gelosa di quel
suo nuovo amichetto..Marco, o come diamine si chiamava, che volevo
poter godere
del suo sorriso ogni volta che ne volevo. Mi passai una mano fra i
capelli
infine, alzandomi e sistemandomi la camicia ed il maglione,
stringendomi poi
maggiormente nel mio giubbotto.
Così mi voltai, stanco di stare lì a fissare
quelle maledette barche in
miniatura, ben deciso ad andarmene a casa. A fare cosa poi? Scossi la
testa
scacciando via quella domanda e quando alzai lo sguardo mi ritrovai
davanti
Ginevra.
Era una visione? Sognavo o ero desto?
Lei mi sorrise debolmente, facendo un passo verso di me e non capivo
ancora, la mia mente si rifiutava di funzionare correttamente.
Boccheggiai un
po’ e lei ridacchiò, allungando le sue braccia
nella mia direzione.
Solo allora mi accorsi che stringeva fra le mani una barca a vela
bellissima: costruita di un legno scuro, con le vele grandi,
bianchissime, e
tutti i dettagli rifiniti con cura. Era una barca a vela da mettere in
acqua e
controllare con il telecomando. Era la barca a vela che da bambino
avevo
desiderato, la barca vela che avrei voluto mettere nell’acqua
di quel lago
insieme a mio padre..e me l’aveva regalata Ginevra. Ma il
regalo più bello non
era quel dannato giocattolo, ma lei.
Lei che stava in piedi davanti a me sorridente, lei che mi guardava
negli
occhi, lei con i suoi bellissimi boccoli ramati e la voglia di vivere
dipinta
sul volto. Era lei in carne ed ossa. Si schiarì la voce ed
io mi decisi a
chiudere la bocca.
-Ho pensato che infondo,- Cominciò, facendomi capire che
dovevo prendere la
barca. –ti sei guadagnato una domenica da ricordare con
felicità.- Pendevo
dalle sue labbra e quando terminò, tenendo con una sola mano
la barca, poggiai
l’altra sulla sua guancia e l’avvicinai a me,
baciandola con dolcezza.
Sì, era quello ciò che volevo, era lei che
mancava nella mia vita, e nulla
di più giusto avrei mai potuto fare.
Le mie labbra sulle sue leggermente fredde ebbero l’effetto
di scaldarmi
non solo tutto il corpo ma anche il cuore. Tornò ad essere
un cuore che batteva
sinceramente, che batteva per una ragazza, che batteva innamorato.
Quando ci allontanammo mi parve di essere bruscamente riportato alla
realtà
dopo degli attimi puramente paradisiaci. Lei mi sorrise, lasciandomi un
altro
delicato bacio a fiordilabbra. Poi si allontanò,
oltrepassandomi e dirigendosi
alla riva del lago.
-La proviamo questa barca?- Mi domandò facendomi
l’occhiolino.
Allungai il braccio per riuscire a prendere la sua mano, facendola
voltare.
Le sorrisi, carezzando con dolcezza le sue piccole dita.
-Ti amo, Ginni.- Le dissi con voce chiara, seriamente, e provai
emozioni
indescrivibili quando lei si sciolse in un ampio sorriso, chinando
leggermente
la testa.
-Ti amo anche io, Emanuele.- Rispose, tornando poi sui suoi passi,
verso il
lago, sorridente. La seguii e la affiancai, piegandomi poi sulle
ginocchia a
posare la barca sull’acqua, spingendola con delicatezza e
prendendo il
telecomando che Ginni mi offriva. Mi alzai e la guardai, sorridendo.
Come potevo non sorridere? Non avrei più smesso di sorridere
con lei
insieme a me. Mi aveva regalato la capacità di amare ed essere felice con una ragazza di nuovo,
dopo un lungo periodo di
tempo.
**Autrice**
Ecco finalmente questo soffertissimo capitolo.. E’ stata
un’impresa
scriverlo, concluderlo, perché avevo sempre paura di cadere
nella banalità. Sì,
lo so che ho fatto le due classiche scene da film, come finale, ma non
sono
riuscita a trattenermi perché erano dannatamente belle!
Come vedete ho finalmente risposto a tutte (credo!) le domande ed ho
delineato un po’ meglio il carattere di Emanuele (credo!)
individuando anche le
cause che l’hanno portato ad assumere determinati
atteggiamenti! Per il resto..
Quanto sono belli con Ginni! Ho pensato fino all’ultimo se
far partire Ginevra
o meno ma, alla fine, ho deciso che tirarla per le lunghe era davvero
esagerato
e quindi, nel prossimo capitolo, vedremo perché ha deciso di
tornare da lui.
Non mi dilungo troppo con i commenti e passo a ringraziare tutti coloro
che
anche questa volta hanno recensito (amo le recensioniii!):
sonietta: ecco
le risposte alle
tue curiosità! ;) Thank u per la recensione!
DarkViolet92: eheheh..al
loro
risveglio: tanti problemi!
Vero15star: Ha
strisciato
abbastanza? Dai che è tenero.. Gianluca tornerà
nel prossimo capitolo come
anche Marco! Non ti preoccupare, le tue recensioni in prima crisi mi
fanno
sempre sorridere e tanto piacere! Un bacio e grazie!
__Yuki__: Questa
volta sono stata
un po’ meno veloce ma ammetto che veramente rispetto ad altri
autori sono un
fulmine. Il punto è che siccome ho molta ispirazione scrivo
molto velocemente..
non mi piace far aspettare i lettori perché io stessa ODIO
aspettare! Grazie
mille per i complimenti e per la recensione.. Spero che ti piaccia
questo
fondamentalissimo capitolo xD
Ombrosa: Certo
che è
organizzato, deve farsi perdonare il ragazzo! Come vedi sono arrivate
le
risposte a tutte le domande! Un bacio e grazie!
Anthy: Uh
una nuova lettrice!
Grazie mille, cara, per tutti i bei complimenti! J
Spero continuerai a seguirmi! Un bacio
ChasingTheSun: Ciao,
Vale non che mia
nuova lettrice! Come vedi mi sono sbrigata a concludere di scrivere
questo
capitolo per non farvi stare troppo sulle spine.. Spero ti piaccia! Un
bacio e
grazie!
X_MoKoNa: Ti do
ragione su ciò
che hai detto perché io, al posto di Ginni, me ne sarei
proprio che andata.
Però Emanuele alla fine Ginevra la conosce visto che fra
alti e bassi sono
passati tre mesi e sono “legati”
dall’amore che lega Federico e Sara e dall’amicizia
(che vedremo ben definita più tardi) fra Emanuele e
Gianluca. Spero che ti
piaccia questo capitolo in cui ho focalizzato solo ed esclusivamente
Emanuele e
spero, e qui mi affido alla tua critica, di non averlo vittimizzato
troppo
perché era la cosa che temevo maggiormente!! Grazie come
sempre per la tua
recensione.. Un bacio!
Swettlove: Eh si che ha
organizzato tutto..Finalmente lui e Ginni parlano e si relazionano
senza muri
ed ostacoli fra di loro. Credo che oggi sarai piuttosto felice di
leggere gli
avvenimenti di questo capitolo.. xD un bacio e grazie grazie grazie!