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Autore: Rosmary    28/06/2021    4 recensioni
Raccolta disomogenea di poesie e racconti dedicati a James e Rose.
1. Apnea
2. Sospesi
3. Infinito
4. Tra granelli di sabbia
5. Vuoti pieni
6. Foschia
7. Siete riva di un fiume in piena
8. Without you (never)
9. Senza fiato
10. Abbattendo i vuoti
11. Sei onde, sono riva
12. Siamo, e lo sai
13. Tremori
14. Irripetibile
15. Senza più dighe
16. Un giorno qualunque
Genere: Drammatico, Introspettivo, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Sirius Potter, Rose Weasley | Coppie: James Sirius/Rose
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Visionari'
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Without you (never)
 
 
Andiamo a casa tua?”
Sì.”
 
~
 
La pioggia battente anneriva tutto in quella serata invernale, eppure stretti l’uno all’altra avevano la sensazione che a percuotere il soffitto fossero i raggi di un sole caldissimo e non gocce insistenti.
Rose s’era sdraiata sul letto non appena s’erano smaterializzati nel piccolo appartamento di James – una camera per dormire, una per mangiare, un bagno pratico, troppe finestre – e aveva sorriso quando lui s’era sistemato accanto a lei, coinvolgendola in un abbraccio che l’aveva spinta a poggiare la testa sul suo petto e a carezzargli il viso, mentre le sue mani le massaggiavano la schiena – s’erano cullati in quella stretta per un tempo indefinito.
“Non voglio tornare a Hogwarts.”
“Neanch’io voglio vederti partire.”
A quelle parole, Rose si strinse a lui una volta ancora, alitandogli sullo sterno coperto dal maglione.
“Mi sei mancato troppo, e mi mancherai ancora.”
James socchiuse gli occhi e le carezzò silenzioso i capelli in cui amava affondare le dita.
“Anche tu, non immagini quanto.”
Non erano abituati a vivere separati, lontani, non era mai accaduto se non al primo anno a Hogwarts di lui, quando era partito lasciando lei e Godric’s Hollow – ma allora era stata una mancanza diversa, capace di generare nostalgia, non dolore.
“Avrei voluto passare le vacanze solo con te, qui, non c’era nessun altro che volessi vedere.”
James si mosse, punto dalla piccola confessione, guidato da un istinto che gli suggerì di voltarsi quanto possibile verso di lei e incrociarne gli occhi – si chiese, per un solo e fugace istante, se fossero un cielo limpido in cui svanire.
“Se me l’avessi detto, l’avremmo fatto.”
“Sai che non era possibile.”
“Sì che lo era,” insisté. “Io voglio stare solo con te, ho sempre voluto stare solo con te.”
Solo con te.
Se l’erano ripetuto così tante volte nel corso degli anni che era finito col sembrare normale parlarsi in quel modo, promettersi un’esclusività assoluta dove non c’era e non ci sarebbe mai stato spazio per altri.
Rose aveva accantonato ogni dubbio insinuante sul loro rapporto, ogni sensazione capace di mozzarle il respiro quando era con lui, ripetendosi a oltranza che fossero cugini, amici, forse qualcosa di più – altro, ma pur sempre senza malizia.
Poi.
Poi era subentrata la mancanza di quei mesi appena trascorsi e qualcosa dentro di lei si era incrinata sino a spezzarsi. James non le mancava solo idealmente, le mancava proprio la presenza – vederlo sentirlo toccarlo –, le mancava così tanto che avrebbe voluto rinunciare a completare il ciclo di istruzione, precipitarsi da lui, dirgli che la sua assenza era piena e assordante, capace di scacciare via chiunque altro avesse camminato o camminasse accanto a lei.
“Domani mi accompagni tu al Binario?”
“Se non vuoi salutare i tuoi, sì.”
“Li ho già salutati.”
James sorrise sghembo e le baciò casto la punta del naso, osservandola mordersi le labbra per non ridere e guardarlo poi dritto negli occhi – non seppe perché, ma ripeté il gesto una, due, tre volte, sino a indurla a ridere e solleticargli il collo con le labbra pur di nascondere il viso.
“Sai perché ho scelto questo appartamento?”
“È vicino all’ingresso del Ministero, è comodo.”
“Non l’ho neanche arredato, però.”
“Lo era già, no?”
“Sì, ma secondo te perché ho scelto una casa così transitoria?”
“Dove vuoi arrivare, James?”
“Voglio vivere con te, già da quest’estate, dopo i tuoi MAGO. Voglio sceglierla con te una casa, una che ti piaccia, che arrediamo insieme.”
Vivere insieme.
Ne avevano parlato innumerevoli volte, era stato sufficiente che nell’estate precedente al suo settimo anno James le proponesse questa finestra sul futuro – vieni a vivere con me, dopo Hogwarts le aveva detto anche allora – perché l’argomento sbucasse di tanto in tanto, tra una risata e una confidenza, tra un litigio e uno scherzo.
Vivere insieme.
Ora che era stretta a lui, impantanata in emozioni non nuove, ma comprese, Rose si chiese quanto fosse saggio accettare di vivere ore, mesi, anni? assieme a lui, condividendone la quotidianità, rischiando di vederlo con altre persone, donne, che lei non avrebbe saputo sopportare.
Risaliva ormai a mesi addietro la scelta di interrompere una relazione che le era parsa tutto – tutto davvero – e ne aveva sofferto più di quanto avesse osato raccontare finanche a se stessa. Ma non avrebbe potuto fare diversamente, non quando s’era trovata tra le mani due mancanze: una accettata e tollerata, l’altra capace di farla ammattire.
Aveva dovuto capire, l’aveva dovuto fare, di aver confuso innamoramento e amore, di essersi ingannata rifiutando giorno dopo giorno di rispondere alla domanda più semplice del mondo: chi è lui per te?
“Rosie.”
“Vuoi che ti risponda.”
“Sì, anche se conosco già la risposta.”
“Sul serio?”
“Sul serio.”
James si aprì in un sorriso così luminoso che anche i suoi occhi blu parvero rischiararsi e la incitò a poggiare la testa sul cuscino per guardarlo di nuovo in viso.
Quando si calò a baciarle una volta ancora la punta del naso, Rose non rise né l’arricciò, ma sussultò, perché le aveva avvertite schiuse le labbra di lui – come non erano mai –, labbra che ripeterono il gesto e che lente scivolarono oltre le narici, oltre il piccolo incavo tra naso e bocca, sino a posarsi dove mancavano da troppo tempo – dove avevano promesso di non tornare mai più.
James la baciò di un bacio casto, morbido, con lo sguardo di lei allacciato al proprio e le mani strette nei suoi capelli.
“James...”
“Sono stanco di mentire, e lo sei anche tu.”
S’erano ingannati.
S’era ingannata lei e s’era ingannato lui, l’avevano fatto insieme in nome di qualcosa che più tempo passava più non aveva alcun senso.
James ricordava come fosse stato ieri quel giorno vecchio di quasi un anno, quando s’era rimangiato i sentimenti che le aveva urlato contro. L’aveva vista così persa, impaurita e fragile da convincerlo a fare passi indietro, dirle di aver confuso bene immenso e amore, di essere stato in errore nel credere di vedere in lei qualcosa di diverso da una cugina, un’amica, una confidente – sei la mia migliore amica, solo questo, scusa, ho frainteso tutto non erano state semplici parole da pronunciare, ma fardelli capaci di spaccargli il cuore.
E ricordava con estrema nitidezza anche una perplessità tradita affacciarsi nei suoi occhi azzurri alla confessione sporca di menzogna, soppiantata però in fretta in furia da un sollievo che di ipocrita aveva ogni cosa, ma sapeva essere rassicurante e certo in un momento della loro vita in cui avevano un disperato bisogno di rassicurazioni e certezze.
Poi.
Poi era subentrata la gelosia – di lei –, così palese da indurlo a frequentare una sconosciuta dopo l’altra solo per vedere Rose mordersi le labbra di rabbia e cercare pretesti per litigare, lamentarsi, accusarlo di qualsiasi cosa. Nei mesi che li avevano visti divisi – lui al Quartier Generale degli Auror, lei a Hogwarts per l’ultimo anno –, s’era impegnato a scriverle raccontandole ogni dettaglio di quelle frequentazioni senza senso né importanza, amava troppo vedersi restituire risposte piccate, dalla grafia disordinata e l’inchiostro tutto pasticciato.
Quando gli aveva scritto di aver lasciato l’altro, di aver chiuso la relazione che aveva costretto lui, loro insieme, in un angolo, era stato sul punto di raggiungerla a Hogwarts e dichiararsi ovunque lei fosse, anche in presenza dell’intero popolo studentesco, pur di non lasciar scorrere altro tempo separati.
Ma.
La razionalità gli aveva suggerito di aspettare, darle tempo di capire sino in fondo, di sentire sin dentro le ossa il gelo della loro mancanza – in fondo lo sapeva ed era convinto lo sapesse anche Rose, che non era possibile dimenticare chi fosse la propria felicità, era possibile fingere di non saperlo, ma quella prima o poi riprendeva sempre a bussare alla porta.
E rivederla per le vacanze natalizie, avvertire il suo profumo sottopelle, perdersi in un abbraccio sfacciato era stata la giusta ricompensa di un’attesa estenuante – la porta finalmente spalancata.
Ma ora, ora voleva di più.
Lei.
La guardò senza dir nulla una volta ancora, carezzandole le labbra con le proprie, eccitato da una vicinanza mai rifiutata e dalle dita di lei ad artigliare improvvise i capelli neri e disordinati.
Di lì a un istante, senza neanche riuscire a capacitarsene, si ritrovò coinvolto in un bacio esigente, umido, che lo premeva su e contro di lei.
Rose lo strinse a sé con tutta la forza che aveva e lo baciò nella maniera più coivolta possibile, con la voglia matta di urlargli un amore che aveva represso a oltranza, accumulando sbagli su sbagli e inducendo lui a fare altrettanto.
Nessuno dei due seppe come si ritrovarono seduti al centro di un letto cigolante, Rose sapeva solo di aver sentito le mani di James fasciarla impudenti e sollevarla per trascinarla su di lui, incastrarla tra le sue gambe, costringerla a respirare dentro la sua bocca.
S’allontanarono solo quando il respiro s’era mozzato sino a scomparire, ansimandosi contro – le mani di lei a graffiargli il viso, quelle di lui a stringerle i fianchi.
Quando Rose sollevò le palpebre incrociò due occhi blu vivi di una luminosità inedita, ma così invasiva da invogliarla a sorridere.
“Io ti amo.”
James sbarrò quegli occhi che da luminosi divennero euforici, a Rose sembrò di vedervi riflesso il mondo intero oltre a se stessa.
Io ti amo.
Si rese conto solo lì, a un respiro da lui, di averlo amato al primo sguardo, nella maniera più totalizzante e invasiva possibile – si rese conto che James era sempre stato al di là di qualsiasi definizione perché era al di là di qualsiasi affetto: qualunque sentimento potesse provare per altre persone, se dall’altra parte c’era lui era sempre di più.
“Sei parte di me.”
“No,” negò James. “Noi siamo la stessa cosa,” aggiunse sorridendo, scacciando la neonata perplessità di lei – il terrore di un passo indietro. “Siamo una sola cosa, noi, lo siamo sempre stati.”
“E non è come dire che sei parte di me?”
“No, così sembrerei una cosa estranea, invece noi siamo noi, non io e te.”
“Una sola cosa.”
“Ti amo.”
Rose serrò le palpebre per alcuni istanti, colta da un capogiro che fece ghignare James e lo convinse ad avventarsi di nuovo sulle sue labbra, a farla sdraiare sotto di sé, a denudarsi insieme di tutto – indumenti paure bugie –, strofinandosi contro per la prima volta, oltrepassando le ultime barriere rimaste, vivendo quel noi che s’erano promessi venendo al mondo, un sempre che li aveva allacciati l’uno all’altra.
 
*
 
C’è la tempesta, fuori, Rosie.”
Non m’importa, non più.”





 
 

Note dell’autrice: questa storia è nata qualche tempo fa come regalo di compleanno di un’amica visionaria (❤) ed è giunto il momento di includerla in questa raccolta; il titolo è ancora una volta un rimando alla canzone che accompagna la raccolta. Approfitto di questa pubblicazione per ringraziare voi che mi seguite in questa avventura un po’ prosa, un po’ poesia, un po’ qualcosa con letture e recensioni (e scusatemi se sono in ritardo con le risposte alle recensioni, ma sapete che leggo tutto e che con i miei passi da lumaca rispondo sempre).
Spero che la lettura sia valsa il vostro tempo, un abbraccio!

 
   
 
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