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Autore: BabaYagaIsBack    13/07/2021    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo Ventunesimo

La linea sottile tra alleati e nemici
parte seconda

 

"It's so hard to find the truth

When the other side wants to bury you, to bury you
And it's so hard to find a way"

 

Common Ground, Our Last Night

 

Alexandria annaspò.
Aggrappandosi al bordo del letto di Noah, quasi sopraffatta da un conato di vomito, cercò di sostenersi al meglio perché, volente o nolente, doveva ammettere di non essere affatto uscita indenne da quel loro secondo contatto. Se la prima volta, sulle scale dell'università, lo aveva afferrato sentendo una piacevole vampata scaldarle le membra, poco prima, nel salotto, si era sì sentita ardere, ma per venir poi bruciata viva. Più le mani di lui l'avevano stretta a sé, più lei aveva avvertito il corpo diventare cenere.
E poi lo aveva visto.
Il suo volto le era apparso davanti come una visione, un fantasma. Sulla sua faccia era comparso ancora quel sorriso dolce e al contempo stanco, negli occhi era tornata la preoccupazione che lei tanto aveva odiato scorgere quella notte - ed era stato come venir schiacciata al suolo. Salomone, o meglio l'Hagufah che lei aveva conosciuto, era tornato di fronte a lei, l'aveva presa tra le braccia e con quell'espressione così ambigua le aveva chiesto ancora una volta: "Willst du leben, Gräfin? Möchtest du für immer bei mir bleiben, kleine Alexandria?" e come allora lei aveva pronunciato la medesima risposta. "Ich will leben, diesmal wirklich". Per davvero, questa volta.

Pigiando i denti nella carne del labbro Z'èv tentò di trattenere le lacrime, le stesse di quella volta, e spostando lo sguardo altrove si perse a osservare la stanza, a studiarla. Il profumo di Noah era ovunque, dalle lenzuola sotto cui si era rintanata fino alle pareti. L'aveva cullata durante il suo breve riposo fin quasi a diventare familiare, un po' come quello di lui. Su una sedia adiacente l'armadio aveva notato alcuni dei suoi vestiti, ben piegati e immacolati, mentre libri di ogni dimensione, genere e colore riempivano le mensole, il pavimento e anche il davanzale della finestra accanto a lei in ordine nettamente più casuale. Una manciata di locandine di film d'epoca riempivano le pareti chiare e, soffermandocisi appena, Alexandria si accorse di conoscerli tutti. In particolare però, si rese conto di non essere affatto stupita di vedere in bella mostra quei poster: per ognuno poteva capire il motivo per cui era stato scelto, quasi conoscesse i gusti del padrone di casa al pari dei suoi. Un paio erano stati messi lì per la grafica accattivante, altri per la bellezza della pellicola in sè - e nel rendersene conto per poco non le sfuggì un sorriso che, prontamente, provò a coprire con il dorso della mano, quasi qualcuno potesse vederla. Se avesse chiuso gli occhi in quel momento, ebbra della sua presenza, e avesse trattenuto il respiro, di certo il viso di Noah le sarebbe apparso davanti con estrema vividezza, come se la stesse ancora stringendo tra le proprie mani, e a quel punto dissipare l'imbarazzo sarebbe stato impossibile. Sapeva che se avesse cercato di allontanare la sua immagine dalla mente non avrebbe ottenuto alcun risultato, così come era altrettanto consapevole che, ad ogni tentativo, i connotati di quel corpo sarebbero sempre più mutati sino a diventare quelli del Salomone che aveva conosciuto molto tempo prima; e a quel pensiero una morsa le strinse lo stomaco. Più provava a non pensarlo, più il ricordo delle loro ultime ore insieme si faceva assillante, arrivando a trasformare dell'innocente imbarazzo in un soffocante senso di colpa.
«Dannazione!» Mugolò d'improvviso stringendo la presa sul bordo del materasso e liberando la bocca; di quel passo il suo peccato sarebbe tornata a ghermirla e il dolore e il vuoto provati allora l'avrebbero fiaccata seriamente - e con che coraggio avrebbe nuovamente incrociato gli sguardi delle persone al di là della porta di quella stanza? Spostò lo sguardo: non ne aveva idea. Anzi, nemmeno voleva immaginarlo. Dopo ciò che era successo poco prima non poteva permettersi un crollo, non poteva lasciare ai ricordi il potere di soggiogarla; e per essere certa di poter scampare a quella sorta di auto-condanna, per quel che sapeva, il rimedio perfetto stava solo a una stanza di distanza.
Guardinga tese le orecchie in direzione della porta. Ma che male c'era, infondo? Non aveva forse rubato le ɛvɛn di Zenas per situazioni come quelle? Beh, a dire il vero no, ma perché non sfruttarle in un momento di tale bisogno? Dopotutto il suo corpo era comunque stato provato dal contatto con Noah, non si trattava certo di un mero capriccio, no? Così, digrignando i denti, Alexandria fece leva sul braccio che l'ancorava al letto e issandosi in fretta si ritrovò presto a barcollare sulle proprie gambe - e per un attimo, dovette ammetterlo, temette persino di cadere. Nonostante fosse rimasta in quel letto per più di un'ora si scoprì ancora terribilmente debole e, nel prenderne coscienza, non poté impedire a un sapore amaro di riempirle la bocca: dove era finita la sua forza? Possibile che Noah fosse riuscito a destabilizzarla fino a quel punto? Alzando nuovamente lo sguardo sulla porta di fronte a sé si convinse che ciò che stava per fare fosse davvero la cosa migliore e, un passo dopo l'altro, si spinse sino alla maniglia dove, chinandosi, provò a spiare dal buco della serratura. Nessuno doveva vederla in quello stato, o meglio, Levi non doveva farlo, perché certamente avrebbe notato il suo lieve claudicare, il pallore evidente, avrebbe udito il respiro grosso e, a quel punto, nascondere il deterioramento del proprio corpo le sarebbe stato impossibile. Inoltre, ora che avevano tra le mani Salomone, seppur in quelle condizioni particolari, non poteva permettersi il lusso di essere messa in disparte; cosa che, visti i pericoli, era certa sarebbe successa.

Mordendosi il labbro, Z'èv aguzzò la vista. Nakhaš sembrava non essere nei paraggi, mentre Zenas e Noah erano entrambi seduti in cucina, di spalle, intenti a parlare di chissà cosa. Se fosse stata abbastanza svelta e silenziosa forse sarebbe persino riuscita a passare inosservata e raggiungere il bagno senza doversi fermare a parlare, valutò, così, prendendo un grosso respiro, la Chimera abbassò lenta la maniglia. Il click della serratura parve riecheggiare ovunque, tuonare fino alle orecchie dei due presenti nell'altra stanza, eppure nessuno, oltre a lei, parve accorgersene. Con un movimento continuo e ponderato, Alexandria aprì la porta fino a creare uno spazio abbastanza grande in cui passare, ma al posto di scattare in avanti e correre verso il bagno come aveva pensato all'inizio, viste le proprie condizioni, si ritrovò a scivolare lungo la parete del salotto lanciando, di tanto in tanto, qualche occhiata in direzione dei due. Avrebbero potuto scoprirla in qualsiasi momento, lo sapeva fin troppo bene, ma nemmeno per un istante smise di pregare perché non accadesse.
Un piede dopo l'altro, quindi, si spinse fino alla porta del bagno e quando fu certa di aver evitato il peggio, il suo piano svanì al pari del vapore che le colpì il viso. Le sue dita non avevano fatto in tempo a stringersi intorno al pomello di metallo che l'anta si era spalancata con un movimento deciso, facendo spuntare insieme alle folate bianche e bollenti anche un Levi dai capelli gocciolanti e un asciugamano a coprirgli le spalle.

«Rahat!» uscì dalle labbra di Alex insieme a un sussulto, attirando così la tanto indesiderata attenzione collettiva. Gli sguardi dei presenti le calarono addosso con estrema rapidità e, nel venir colta alla sprovvista, il cuore prese a batterle veloce nel petto, tanto da darle fastidio. Era stata talmente occupata a preoccuparsi dell'Hagufah e Akràv da non accorgersi di alcun rumore insolito, finendo alla fine di fronte alla persona che meno avrebbe voluto incontrare in un simile momento.

In un angolo recondito di sé aveva sperato che lui non si trovasse in casa, che fosse uscito per sbollire la rabbia, che si fosse concesso una sigaretta lontano da quello che era stato il palcoscenico della sua morte scampata, ma invece le era sempre rimasto sotto al naso e non si era accorta di nulla; e per questo si maledì. Possibile che più tempo passava, più diventava impacciata e incosciente? O che, a differenza sua, Nakhaš fosse rimasto la stessa creatura meravigliosa e letale di una volta?
Digrignò i denti, sentendosi in fallo. Già immaginava quale rimprovero suo fratello le avrebbe fatto, con che tono le si sarebbe rivolto. Lo aveva visto comportarsi da generale talmente tante volte nella propria seconda vita da riuscire a prevedere buona parte dei suoi atteggiamenti, così si strinse nelle spalle ripetendo tra sé e sé la stessa imprecazione di poco prima. L'avrebbe sgridata, lo sapeva, ed ecco che come una bambina scoperta a infrangere le regole abbassò lo sguardo per non incrociare quello di lui, eppure, nell'attesa dell'ammonimento, ciò che accadde le dimostrò di non poter ancora immaginare tutte le reazioni di Levi. In punta di dita il ragazzo le scostò una ciocca dal viso e, in un sussurro che forse non avrebbe voluto pronunciare ad alta voce, constatò: «Riesci a stare in piedi, bene.» E a quel contatto il respiro le si mozzò, ma fu questione giusto di pochi istanti. Quando si rese conto che nulla avrebbe seguito quelle parole e che sia lui sia i suoi polpastrelli si erano già allontanati, l'ossigeno parve ricominciare a riempirle i polmoni e la mente a funzionare. Cercando la sua schiena con lo sguardo, si chiese per quale ragione non l'aveva rimproverata; perché non le avesse ricordato quanto stupida era stata a sfidare una bomba ad orologeria come... ma nemmeno il tempo di spostare il pensiero su di lui che la sedia su cui era seduto strisciò a terra, facendola rinsavire.
Come richiamato dai suoi pensieri Noah si accorse di lei e, in un sussurro, provò a chiamare il suo nome, peccato che prima ancora che dalle sue labbra potesse uscire una sillaba Z'èv si fiondò in bagno, richiudendosi la porta dietro la schiena. Vi si appoggiò sopra con tutto il peso, vi si pigiò tanto da sentire le scapole dolere a ridosso del legno e, tutto, nella speranza di bloccare qualsiasi cosa al di là di quella stanza. Con il cuore bloccato in gola si rese conto di non essere ancora pronta a guardare quel ragazzo in viso. Non voleva scorgere nel suo sguardo la bramosia di prima, men che meno il terrore che l'aveva seguita e, soprattutto, non voleva rivedere Salomone in lui.

Dannazione.

Ogni qualvolta il suo fantasma faceva capolino tra i pensieri si scopriva indifesa, impreparata, quasi tremante - e ricordarsi il perché non faceva altro che peggiorare la situazione.

Portando le dita alla serratura fece girare la chiave, chiudendosi dentro al bagno in cui, infastidita, d'un tratto si accorse permeare ancora il profumo di bagnoschiuma e Levi - e più aveva cercato di evitarlo, più lui la stava prendendo in contropiede.
Fece per prendere un grosso respiro, ma prontamente si fermò a metà dell'azione. Non le pareva il caso; era già sufficiente avvertire la sensazione delle sue dita addosso per farle stringere lo stomaco, riempirsi i polmoni con il suo profumo avrebbe solo accentuato l'impressione che fosse ancora nei paraggi, con gli occhi fissi su di lei - e con che coraggio avrebbe ingurgitato le ɛvɛn trafugate a Venezia? Con quale sfacciataggine sarebbe uscita da quella stanza facendo finta di nulla? Non ne aveva alcuna idea in quel momento, eppure fu certa di doversi sbrigare e, soprattutto, di trovare poi un modo per nascondere a tutti il cambiamento del suo corpo; così, accertatasi che non vi fosse alcun rumore al di là della porta, vi si staccò per gettarsi ai piedi del lavandino. Le ginocchia sbatterono con forza sul pavimento, ma il dolore arrivò ben più ovattato di quanto si sarebbe aspettata. Forse fu l'ansia, la foga o il desiderio di allontanare la sensazione che suo fratello fosse ancora lì,  Alexandria non seppe dirselo, eppure dentro al mobile, ancorato tra i tubi di scarico, trovò ciò che aveva sapientemente nascosto. La sua mano destra si strinse al sacchetto in cui aveva travisato la refurtiva, poi lo tirò a sé. Il suono lieve delle ɛvɛn che cozzavano tra di loro la fece piacevolmente rabbrividire e quando i suoi occhi ne incontrarono il riflesso rossastro l'acquolina le pervase la bocca.

Aici sunt ei, pensò stringendosele al petto. Erano tutte lì, non ne mancava nessuna - ed esattamente come una tossica di fronte alla nuova dose, Z'èv se ne sentì sollevata.
 


 

ɛvɛn: pietre
Aici sunt ei (rumeno): Eccole qui


 
   
 
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