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Autore: Verfall    20/07/2021    4 recensioni
Sappiamo bene come si siano svolti i due incontri del 26 marzo, ma cosa è avvenuto subito dopo entrambi? In questa serie di missing moments cercheremo di ripercorrere i pensieri e le azioni non solo di Ryo e Kaori, ma anche di altri personaggi che nell’opera non hanno avuto modo di esprimersi tanto quanto avrei desiderato. Un intimo viaggio corale alle origini della storia che tanto amiamo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hideyuki Makimura, Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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8. 13 Novembre 1983 – Saeko Hideyuki
 
Saeko osservò per l’ennesima volta l’orologio alla parete e iniziò a tamburellare nervosamente la penna sulla superfice della scrivania. Mancava ancora mezz’ora alle otto, il tempo sembrava essersi fermato per quanto si ostinava a scorrere lentamente. Sbuffò mentre continuava pigramente a leggere le pagine dell’ultimo rapporto; non era proprio così che si era immaginato il periodo successivo alla sua promozione, ma in fin dei conti doveva aspettarselo che maggiori responsabilità comportavano un graduale aumento del lavoro d’ufficio. Le dispiaceva molto non poter essere più in prima linea come un tempo, e faticava non poco per poter partecipare a qualche missione, seppur in modo sporadico. Le piaceva il lavoro pericoloso, sentire l’adrenalina fluire nelle vene, ma era anche vero che, senza un buon partner, anche quella parte del lavoro aveva perso parte del suo fascino. Dopo Makimura aveva rifiutato qualsiasi partner fisso e, quelli assegnati per le singole missioni, non arrivavano minimamente a raggiungere l’abilità dell’ex detective; alcuni, poi, avevano cercato anche di approfittare della situazione per allungare le mani, ma lei li aveva prontamente rimessi al loro posto con un lancio di coltelli vicino all’inguine. Alla fine, per lei era meglio trascorrere più tempo in ufficio, almeno lì poteva lavorare in autonomia e senza ulteriori disturbi. Con un gesto meccanico sollevò nuovamente la testa in direzione dell’orologio.
“Sono passati meno di cinque minuti?!” si chiese spazientita e non riuscì a trattenere uno sbuffo.

«Qualche problema Nogami?» gli domandò gentile il sergente Kumori, che sedeva alla scrivania alla sua destra.

«Ah nulla» si affrettò a rispondere, irritata con se stessa per essersi fatta scoprire «Mi chiedevo quando potrò leggere un rapporto privo di errori ortografici» disse rivolgendo all’uomo un sorriso tirato.

Non era davvero quella la causa della sua inquietudine, ma era riuscita a trovare un motivo convincente, anche perché era reale.

«Ah, devi essere comprensiva, non tutti sono al tuo livello» commentò l’uomo bonariamente.

Saeko si limitò a reclinare il capo in cenno di assenso e si costrinse a concentrarsi seriamente su quei fogli, che si ostinava a guardare da tempo senza riuscire davvero a leggerli. Si sentiva una stupida per essere così distratta, non era da lei perdere il suo sangue freddo, ma quella serata le sembrava diversa dalle altre. Avvertiva dentro di sé una tensione nuova che non riusciva a spiegarsi.
“Tutta colpa tua Maki, spero davvero che tu mi abbia chiamata per un buon motivo” si disse un’ultima volta prima di fiondarsi nella lettura, iniziando a segnare e correggere i kanji sbagliati.
 
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Dopo aver fatto due volte il giro dell’isolato, Hideyuki riuscì finalmente a trovare un posto libero per poter parcheggiare lungo la Iwaida-dori Avenue, proprio accanto l’entrata Kasumi dell’Hibiya Park. Era da diverso tempo che non tornava in quel parco – più o meno poco dopo aver lasciato la polizia – ma, una volta mossi i primi passi e varcato il cancello, gli sembrò di essere mancato solo per pochi giorni. Nonostante il freddo e il tardo orario, diverse persone si avventuravano all’interno del grande ed elegante parco per poter godere di una passeggiata più intima e discreta. Spostò la manica del soprabito, scoprendo così il quadrante dell’orologio: mezz’ora alle otto. Era in buon anticipo, perciò decise che, per ingannare l’attesa, ne avrebbe approfittato per allungare la strada e perdersi un po’ tra i bei sentieri prima di raggiungere il luogo dell’incontro. Non riusciva ancora a spiegarsi perché, tra i tanti posti di Tōkyō, avesse menzionato proprio quello più carico di ricordi e a lui più caro, ma era stato un impulso spontaneo, uno di quelli che gli risultava sempre più difficile reprimere quando parlava con lei. Gli sembravano così lontani, eppure così vicini i tempi in cui, approfittando della pausa pranzo, si rifugiavano in quell’oasi di verde e pace; in realtà quello era in origine il suo posto, ma Saeko era riuscito a scoprirlo.
 
«Ehi Maki, finalmente ti ho trovato!»
Hideyuki si girò di scatto al suono di quella voce e fu particolarmente sorpreso nel vedere la ragazza, col volto raggiante di chi è riuscito a raggiungere il proprio obiettivo.
«Saeko che ci fai qui?!» le domandò alzandosi dalla panchina.
Lei gli si avvicinò e lo guardò con aria furba «Allora è qui che sparisci durante ogni pausa pranzo, e pensare che gli altri alla centrale sono convinti che incontri la tua fidanzata segreta»
«COSA?!» il ragazzo strabuzzò gli occhi, diventando paonazzo all’istante.
Saeko si lasciò andare a una fragorosa risata; Hideyuki la osservò mentre si teneva la pancia, cercando a stento di contenersi, e la trovò più bella che mai.
«Ah Maki, avresti dovuto vedere la tua faccia!» e una volta ritrovato il controllo disse, poi, più seria «Scusami, ti ho disturbato»
«No, assolutamente, e poi non stavo facendo niente di che» rispose prontamente, sorridendole.
«Non hai mangiato nulla?» gli chiese mentre si sistemava sulla panchina.
«Non proprio, avevo solo un onigiri… Non ho molto appetito a pranzo» rispose, sedendole accanto.
«Lo so, me lo ricordo bene»
«E tu? Già finito?»
«Sì, un sandwich si fa presto a finirlo. Non sono tipo da bentō troppo complicati…»
«Perché non ti piace cucinare solo per te, lo so» concluse lui.
«Già…»
Per qualche istante si guardarono con occhi ridenti; si conoscevano ormai così bene e si capivano con una facilità che non li sorprendeva più. Hideyuki si perse in quelle perle scure, pensando che avrebbe potuto fissarle ogni giorno senza mai stancarsi; quel pensiero, però, lo riportò alla realtà, facendogli distogliere lo sguardo che si rifugiò sulle acque scintillanti del laghetto. Si chiese come mai lei lo avesse raggiunto, alla fine lui si eclissava per poco meno di mezz’ora e la sua mancanza non era certo sofferta da nessuno.
Quello era il loro secondo mese in centrale e stavano ultimando l’addestramento affiancando detective esperti sul campo. Lui e Saeko stavano lavorando insieme a un caso che, se si fosse concluso positivamente, li avrebbe portati a terminare l’accademia non solo col massimo del punteggio, ma anche con un inserimento prioritario in sede. L’ambiente non era male, tuttavia lui aveva fiutato da subito molta falsità e alcune dinamiche sospette che, però, non poteva palesare in quanto non contava ancora nulla lì dentro. A parte un paio di poliziotti che ricordavano ancora con affetto suo padre, e lo trattavano con molto riguardo, gli altri sembrano a malapena tollerarlo. Saeko, invece, aveva destato subito grande interesse, a partire dal suo cognome per poi concludere con il suo aspetto. Ricordava bene gli occhi di quei poliziotti al momento del loro ingresso: li aveva detestati fin da subito, poiché quegli sguardi sottintendevano un certo scetticismo e un non troppo velato desiderio. Lei, però, grazie alla sua freddezza e indubbia bravura era riuscita in pochissimo tempo a mettere tutti al proprio posto, aumentando, se possibile, la sua popolarità all’interno della centrale. In quel breve periodo si era ritrovato a capire davvero quanta fatica costasse alla donna doversi affermare nel suo campo, quanto dovesse essere snervante sentirsi costantemente sotto esame, dover dimostrare sempre più degli altri, e provò per lei un’ammirazione sconfinata. Anche l’affetto che nutriva nei suoi confronti aveva subìto una crescita esponenziale, ma doveva tenerlo ben rinchiuso nel suo cuore; lei lo considerava come un fratello e con lui si lasciava andare, si confidava, mostrando quella parte di sé che era costretta a nascondere durante la quotidianità. Un lato più allegro e gioviale, spensierato e sensibile; un piccolo tesoro che sapeva essere riservato soltanto a lui.
Un colpo di vento fece muovere lievemente i rami del grande ciliegio sopra di loro, e alcuni fiori piovvero sulle loro teste. Saeko ridacchiò mentre gli passava una mano sulla testa per togliere quella ghirlanda improvvisata, poi si rigirò verso le placide acque del laghetto.
«È davvero un posto incantevole Maki... Ora capisco perché preferisci stare qui piuttosto che tra quelle vecchie quattro mura1»
«Sì» e, guardando la statua della gru che zampillava acqua, aggiunse «Più passano le settimane e più realizzo che nessuna teoria accademica può preparare al marcio che c’è nella società. Per questo ho bisogno in qualche modo di riprendere le forze, di ricaricarmi, in modo da affrontare il lavoro con maggior impegno ed energia. Passare qualche minuto qui ogni giorno mi aiuta a ripulirmi in un certo senso»
«Ti capisco… In effetti questo luogo trasmette un senso di pace»
Hideyuki si voltò e la vide con gli occhi chiusi, il capo leggermente reclinato con i capelli che si muovevano pigramente sotto gli sbuffi del vento. Il sole, che filtrava attraverso le foglie del porticato, rifletteva un disegno di luci e ombre sul suo viso che la faceva apparire ancor più giovane. Non sembrava più la temibile e algida Nogami tutta di un pezzo, ma una ragazza libera e serena; sentì il cuore stringersi ulteriormente.
«Senti Maki» disse lei in un sussurrò, continuando ad avere gli occhi chiusi «Per te sarebbe un problema se da domani venissi qui con te? Ammetto che la tua pausa pranzo mi piace molto più della mia» concluse guardandolo negli occhi felice.
«Beh» balbettò arrossendo lievemente «No… Nessun problema» disse imbarazzato mentre si passava una mano sulla nuca.
«Bene, grazie» e guardando l’orologio continuò «Purtroppo è già ora di andare, peccato si sta così bene qui» e alzandosi concluse «Ti precedo, così potrò dire a quel gruppetto di pettegole di averti trovato in dolce compagnia» disse facendogli l’occhiolino.
«Che?! Non mettere in giro voci false!» le urlò vedendola allontanarsi.
«In fin dei conti dalla prossima volta sarai in compagnia di una donna, quindi non è del tutto falso» gli rispose senza voltarsi.
 
Sovrappensiero raggiunse il laghetto della gru, il punto d’incontro, ma decise di non sedersi alla loro panchina, preferendo restare in piedi. Si avvicinò alla riva, appoggiandosi con la schiena al tronco di un maestoso ginkgo. L’aria era pungente, l’oscurità quasi completa se non fosse stato per i sporadici lampioni che illuminavano lievemente i dintorni, ma lui si sentiva finalmente tranquillo, libero dalla tensione che lo aveva attanagliato da quando le aveva telefonato. Quel luogo era davvero capace di rasserenare il suo animo. Lì aveva sempre pranzato con lei quasi tutti i giorni, anche durante il periodo più freddo del loro rapporto; lo avevano nominato “il loro posto” proprio perché, nonostante tutto, non lo avevano condiviso con nessun’altro, diventando così il loro personale rifugio. Guardò distrattamente l’orologio e vide la lancette segnare le otto in punto.

«Bene, manca poco ormai» emise in un soffio; era calmo ma non poté impedire al suo cuore di iniziare a battere più veloce.
 
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Si massaggiò le tempie, avvertendo quel lieve pulsare che preannunciava l’arrivo del mal di testa. Percepiva la tensione pesare su ogni muscolo del suo corpo e mai come in quel momento sentì il bisogno di un bel bagno caldo. Finalmente soddisfatta, impilò ordinatamente i fogli del rapporto e li inserì nell’apposita cartella; aveva faticato moltissimo per trovare la giusta concentrazione e aveva impiegato più tempo del normale per terminare il lavoro, ma alla fine era riuscita a tener a bada l’agitazione che l’aveva colta dopo quella telefonata. Mosse le spalle, sgranchendole un po’, e lanciò un’occhiata all’orologio da parete che segnava le otto e dieci. Senza pensarci due volte scattò in piedi e, con una calma calcolata, si avvicinò alla scrivania del collega.

«Ho apportato alcune modifiche, puoi dare un’occhiata se vuoi prima di mandare tutto ai piani alti» disse allungandogli il fascicolo.

«Non credo ce ne sarà bisogno, non ho mai nulla da ridire su ciò che scrivi» le rispose l’uomo abbozzando un mezzo sorriso «Se non c’è altro, direi che possiamo anche andar via»

«Sì, stavo giusto pensando di tornare a casa Kumori» e così dicendo tornò alla sua scrivania, iniziando a raccogliere le sue cose.

«Fai bene, saresti dovuta andar via almeno due ore fa. Lavori troppo Nogami, dovresti prendere una pausa ogni tanto»

«Non ne sento la necessità. Grazie comunque per la tua premura» rispose gentile.

Kumori era un brav’uomo di mezza età, molto serio e disponibile e non le dispiaceva averlo come compagno d’ufficio; lo aveva conosciuto appena arrivata alla centrale ed era stato il suo tutor nei primi mesi. In un certo senso l’aveva vista crescere e affermarsi in quell’ambiente all’inizio così ostile e pieno di pregiudizi, e in quel momento era la persona di cui aveva più fiducia in centrale. L’uomo si alzò, lanciandole un sorriso bonario mentre iniziava a preparare la sua borsa. Si apprestò a raggiungere la porta ma, mettendo la mano sulla maniglia, si fermò.

«Hai notizie di Makimura?»

Saeko ebbe un attimo di turbamento e ringraziò di essere di spalle al collega «Non lo sento da un po’, comunque l’ultima volta stava bene» rispose sforzandosi di mantenere un tono più neutro possibile.

«Mi fa piacere» commentò l’uomo «Sento molto la mancanza del ragazzo, era davvero uno dei migliori e facevate una bella squadra…» e aprendo la porta aggiunse «Porgigli i miei saluti la prossima volta che lo senti. Buona serata»

«Grazie, buona serata a te»

La donna chiuse velocemente la borsa e, dopo aver dato un’ultima occhiata alla scrivania per assicurarsi di aver preso tutto, si diresse con passo deciso verso l’uscita. Si sentiva un po’ in colpa nei confronti di Kumori, in fin dei conti era uno dei pochi ad avere ancora in mente il defilato detective Makimura e l’unico che le chiedeva notizie su di lui. Lei si era mantenuta sempre sul vago, non sognandosi minimamente di metterlo al corrente del lavoro del suo ex partner, ma l’uomo era un tipo discreto e si accontentava di saperlo in salute e tutto intero. Una volta fuori l’imponente Sakurada Mon2, si avviò velocemente verso il parco, percorrendo l’alberata Sakurada-dori Avenue su cui scorrevano le auto senza fretta, dando l’impressione di un fiume puntellato da una miriade di luci bianche e rosse. Lei, però, non si curò troppo di ciò che le stava attorno; non si vedevano da un paio di mesi e il battito alterato del suo cuore tradiva una certa impazienza. Non vedeva l’ora di incontrarlo, di parlare con lui, di stare seduta al suo fianco semplicemente per poter godere della sua compagnia. Si era impegnata in quei mesi per far chiarezza nel suo animo e, per quanto fosse ancora lontana dal prendere una decisione definitiva, era giunta alla conclusione che non poteva fare a meno di Makimura nella sua vita. Con quella certezza aveva riallacciato i rapporti con lui, mostrandosi molto più disponibile al dialogo e, quando necessario, preferendo parlare con lui piuttosto che con Ryo. Era stata felice di constatare che Hideyuki non provava alcun risentimento nei suoi confronti e, dopo i primi tentennamenti, avevano ritrovato quella sintonia e quella complicità che lei volontariamente aveva raffreddato negli anni precedenti. Sospirò mentre impaziente attendeva il semaforo farsi verde: perché, però, si sentiva più tesa del solito? Non era certo la prima volta che lui la chiamava in ufficio per lavoro, però… Lo aveva sentito diverso, aveva avvertito una sfumatura particolare nella sua voce che l’aveva fatta fremere per qualche istante. Non sapeva descriverla, sapeva solo che qualunque cosa fosse si era trasmessa in lei e aveva iniziato a tormentarla. La scelta del punto d’incontro, poi, l’aveva colta di sorpresa. Il vecchio posto, il “loro posto”: da quanto tempo non ci metteva piede? Aveva continuato a frequentare il parco durante le pause lavorative ma non era più riuscita ad avvicinarsi al laghetto della gru, non dopo il loro l’ultimo incontro.
 
«Maki!» lo chiamò con apprensione vedendolo seduto sul prato, accanto al solitario ciliegio che si specchiava nel lago.
Era l’imbrunire e i rami spogli dell’albero, uniti al grigiore del cielo plumbeo, conferivano all’ambiente un’atmosfera spettale. L’uomo non si mosse e lei si avvicinò, avvertendo un senso di oppressione all’altezza del petto. Era finita, la missione era stata un fiasco, Ōmori era stata ritrovata morta nei sotterranei della base criminale dopo che erano stati impegnati a lungo in un attacco che, in realtà, si era dimostrato essere uno specchietto per allodole, e i criminali si erano dileguati senza lasciar traccia. Erano ventiquattro ore che non si concedeva un minuto per chiudere gli occhi e le sembrava di vivere un incubo infinito; era stata lei a spingere Hideyuki a velocizzare i tempi e compiere la retata, sentendosi sicura delle sue valutazioni, e invece era stata gabbata come la matricola più inesperta. Aveva sbagliato. Per la prima volta lei, che era sempre stata infallibile, impeccabile, aveva fallito una missione e, ciò che era peggio, aveva indirettamente causato la morte di una fidata collega. Da quella sera aveva avvertito un gelo inestinguibile nel profondo del suo animo, ma il comportamento del suo partner l’aveva sconfortata a livelli indicibili. Non aveva emesso un fiato, trincerandosi in un ostinato mutismo fin quando avevano fatto ritorno alla centrale dove, dopo aver fatto un breve rapporto, si era dileguato. Aveva sbrigato lei la parte burocratica, impaziente di poterlo raggiungere; sapeva dove trovarlo.
Cautamente gli arrivò accanto e con un lieve movimento si sedette; l’erba era bagnata per via della pioggia recete e avvertì la gonna farsi fastidiosamente umida, ma non si scompose. Il suo, in fondo, era un disagio da poco in confronto alla tragedia che si era svolta in quelle ventiquattr’ore maledette. Girò il volto cercando il suo sguardo, ma Makimura sembrava irraggiungibile, con gli occhi fissi davanti a lui.
«Ti prego Maki, di’ qualcosa…» emise in un sussurro.
L’uomo sembrò riscuotersi solo in quel momento e si limitò a fare un pesante sospiro e ad abbassare la testa «Cosa vuoi che dica?» disse con voce spenta.
Lei non seppe cosa rispondere e si limitò a guardarlo addolorata; non lo aveva mai visto così provato, sembrava aver accusato un colpo quasi mortale. Si fece coraggio e appoggiò la mano sulla sua, che era stretta in un pugno: un piccolo gesto per comunicarli tutta la sua vicinanza e fargli capire che non era il solo a soffrire. In quell’istante il detective rialzò il capo, voltandosi nella sua direzione, e Saeko sentì un dolore acuto trapassarle il petto quando vide i suoi occhi cerchiati e carichi di una sofferenza che non aveva mai visto. Non riuscì a restare oltre in silenzio.
«Mi prenderò la responsabilità di quanto avvenuto, ho iniziato ad abbozzare il verbale e domani…»
«Domani non presenterai nulla» la interruppe bruscamente «Non prenderti tu la responsabilità. Parlerò io con il commissario Kobayashi domani, è colpa mia…»
«Lo sai che non è vero»
«Ero d’accordo quanto te»
«Sì, ma solo perché ero riuscita a convincerti!»
Makimura sorrise triste «Pensi davvero che io abbia così poca capacità decisionale?»
Saeko lo guardò smarrita; il suo partner le sembrava un pezzo di ghiaccio.
«Se ho acconsentito a procedere è perché ritenevo fosse la cosa giusta. Non mi hai convinto a fare proprio niente, o credi che sia debole a tal punto da non essere in grado di decidere autonomamente?» domandò con una punta di amara ironia.
«No!» esclamò alzando la voce «Non ho mai pensato questo e non potrei mai farlo!»
Non era stupida, aveva intuito la frecciatina verso la sua infelice affermazione sul “non ammettere alcuna debolezza”, ma non pensava di averlo ferito così tanto. Non era mai stata quella la sua intenzione.
«Ad ogni modo faremo come ho detto. Lascia parlare prima me e poi, se vuoi, puoi dare la tua versione dei fatti» emise risoluto e lei non ebbe modo di ribattere.
Lo vide così inarrivabile, così chiuso… Cosa poteva fare per placare il suo dolore se la lasciava volontariamente fuori dal suo mondo?
«Non preoccuparti, io sto bene» le disse in un soffio, come se avesse letto nei suoi pensieri «Ho solo bisogno di un po’ di tempo per riflettere» e, guardandola eloquente, aggiunse «Da solo»
«Va bene» disse nascondendo la delusione che quelle ultime parole le avevano provocato.
Come un automa si rialzò e non riuscendo ad emettere fiato si allontanò lentamente da lui, sforzandosi di non voltarsi altrimenti gli sarebbe corsa contro, schiaffeggiandolo per obbligarlo a reagire in qualche modo.
 
Entrò nel parco ormai poco affollato e avvertì la tensione aumentare ulteriormente. Pochi minuti e si sarebbero rivisti, e poi? In fin dei conti era solo per lavoro, doveva mantenersi neutrale, doveva calmarsi per ritrovare la lucidità. Imboccò il sentiero che aveva percorso così tante volte e le sembrò di vederlo con occhi nuovi: era sempre stato così bello? Non sapeva spiegarsi il perché ma, con il buio e le luci dei lampioni, il parco sembrava aver acquistato una nuova atmosfera, più suggestiva e, in un certo senso, più intima. Arrossì internamente a quelle sue sciocche sensazioni, ma il flusso dei pensieri fu interrotto appena riuscì a scorgere quella sagoma così familiare, avvolta nell’inconfondibile soprabito, leggermente illuminata dalle tenui luci artificiali. Fece qualche passo, consapevole che lui l’avesse già sentita e, appena lo vide girarsi e rivolgerle un timido sorriso, sentì il cuore tamburellarle in testa. Che cose le stava succedendo? Perché quella sera lei si sentiva così diversa? Era per via del luogo in cui si trovavano o per il tono con cui le aveva parlato prima? Non si era resa conto di essersi fermata a un paio di metri da lui, non riuscendo a interrompere il contatto con quegli occhi magnetici; gradualmente, però, sentì l’agitazione farsi più blanda per lasciar il posto a una inquietudine più lieta. Non capì cosa Makimura fu in grado di leggere nei suoi occhi ma, appena lo vide allargare le braccia verso di lei, non ebbe esitazione e gli andò incontro veloce, stringendosi a lui con forza. In un attimo il tumulto interiore si placò per lasciarle un senso di benessere dolcissimo. Quel posto era davvero la sua oasi di pace.

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Aveva smesso di osservare l’orologio da tempo e si era perso nella contemplazione delle acque placide del laghetto. Non pensava a nulla, aveva sgomberato la mente da ogni preoccupazione e aspettava sereno il suo arrivo. I rumori della città gli giungevano ovattati ma ciò non gli impedì di concentrarsi su un suono di passi secco e cadenzato che avrebbe riconosciuto tra mille. Sentendola più incerta si girò verso di lei e, alla felicità del momento, si sovrappose una certa preoccupazione appena incrociò i suoi occhi. Gli sembrava così esausta, poteva leggere chiaramente la stanchezza sui suoi lineamenti tirati; d’altronde lei era solita non risparmiassi mai sul lavoro e sapeva che, da quando non c’era più lui, aveva considerevolmente aumentato il ritmo. Oltre questo, però, non gli sfuggì una certa tensione nel suo sguardo e si chiese cosa potesse turbarla in quel modo. La vide tentennare, incapace di avvicinarsi a lui sicura come sempre, e avvertì una profonda tenerezza nei suoi confronti. Forse perché era una serata diversa dal solito, o perché il luogo era così carico di significato, Hideyuki avvertì con nitidezza che lei necessitava di rassicurazione e si rese conto che solo lui poteva dargliela. Come aveva già fatto in quella giornata, agì senza riflettere e, tolte le mani dalle tasche del soprabito, allargò le braccia leggermente ma in modo inequivocabile. Voleva darle il supporto che le mancava, essere la spalla su cui poter trovare ristoro. In quell’istante si accorse davvero del suo gesto e ne rimase stupito e allo stesso tempo imbarazzato; ancora una volta si era lasciato andare all’istinto e sentì il rossore inondargli alle guance. Non ebbe, però, molto tempo per imbarazzarsi poiché la vide muoversi rapida verso di lui, uno strano sorriso sulle labbra, e con slancio si buttò tra le sue braccia. Sentì il cuore esplodergli nel petto appena avvertì il suo calore; si erano abbracciati poche volte e mai in quel modo.

«Scusami, ho fatto tardi» gli disse con un filo di voce.

Hideyuki sorrise: sembrava davvero una giovane donna indifesa quella che stava abbracciando e si rese conto di volerla vedere più spesso così bisognosa di lui. Lui che, normalmente, non poteva darle niente a parte il suo infinito amore e supporto.

«Non preoccuparti» le soffiò tra i capelli, stringendola un po’ di più «Anzi, per colpa mia ora stai facendo gli straordinari invece di essere a casa a riposare»

Saeko scosse lievemente il capo «Non mi dispiace essere qui»

In quell’istante Hideyuki si sentì perfettamente felice.

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Con il capo appoggiato sul suo petto, Saeko avvertiva distintamente i battiti ritmici e veloci dell’uomo, che la tranquillizzavano come una tenera ninna nanna. Si ritrovò a sorridere, pensando a come il suo caro amico sicuramente fosse arrossito e, per evitargli ulteriore imbarazzo, lentamente si allontanò da lui; le sembrò strano, ma di colpo avvertì una fastidiosa sensazione di freddo attorno a sé.

«È da un po’ che non ci si vede» disse per riportare la conversazione a un tono più neutro.

«Già»

Lo sguardo di lui era così carico di dolcezza che fece un enorme sforzo per non fiondarsi nuovamente tra le sue braccia; sentì le gambe farsi più deboli, ma riuscì a mascherare il tutto con un sorriso.

«Ah, prima che me ne dimentichi, ti manda i suoi saluti Kumori»

Hideyuki sorrise sorpreso «Grazie, ricambio con affetto i saluti. Come sta?»

«Adesso molto meglio; sua moglie è stata ricoverata per un mesetto in ospedale e sembrava il fantasma di se stesso. Per fortuna è andato tutto bene e anche lui è tornato l’uomo di sempre»

«Mi fa piacere, lo ricordo con affetto. È un uomo integerrimo, l’ho sempre rispettato e ammirato per questo» disse volgendo lo sguardo verso destra.

«Sai, mi ha detto che sente la tua mancanza. Ti ritiene uno dei migliori ed è ancora dispiaciuto della tua scelta» e prendendo un profondo respiro, aggiunse piano «E lo sono anch’io»

L’uomo portò i suoi occhi rapidamente su di lei, mantenendo un’espressione indecifrabile.

«Non ci hai mai pensato… A ritornare nella polizia?»

«Saeko…»

«Uomini come te sono necessari, dovresti riconsiderare la tua scelta! Sono certa che ti riprenderebbero senza problemi e-»

«No»

La donna nascose a stento la delusione causata da quel monosillabo; una parte di lei aveva sempre sperato nel ritorno di Makimura in polizia. Avrebbe potuto contare nuovamente sulla sua preziosa presenza e collaborazione. Sarebbero potuti tornati a essere una squadra.

«Mi rende felice che qualcuno abbia una così buona considerazione di me, ma mi trovo bene con il mio nuovo lavoro. Non ho le limitazioni che la legge inevitabilmente impone e sto perseguendo il mio obiettivo di essere utile a questa società» e, sistemandosi nervosamente gli occhiali con l’indice, aggiunse «Non ti nascondo che qualche volta mi è capitato di pensarci, ma posso dirti che per ora non rientra assolutamente nei miei piani… Però, se in futuro alcune cose dovessero cambiare, allora potrei davvero riconsiderare l’idea di tornare in polizia»

«Davvero?» domandò, leggermente curiosa di sapere quale potesse essere il motivo che lo avrebbe riportato al vecchio lavoro.

«Sì… Anche se una parte di me crede che ciò non succederà mai» le rispose, guardandola fattosi schivo d’un tratto.

Saeko avrebbe voluto chiedergli altro ma lui la anticipò, cambiando radicalmente discorso.

«Comunque non mi sono dimenticato di ciò che ti ho detto al telefono. Ho bisogno del tuo aiuto per terminare un lavoro che non posso fare da solo, visto che mi mancano gli uomini e i mezzi»

La donna si fece di colpo più attenta; era raro che fosse lui a richiedere il suo aiuto, solitamente era lei che cercava la collaborazione dei due City Hunter.

«L’ultimo caso ci è stato affidato da un padre che aveva trovato sua figlia morta… Non entro nei dettagli della vicenda, ma immagino che tu possa intuire il contesto se ti dico che loro sono coreani e vivono a Shin-Ōkubo»

Saeko si limitò ad annuire; non si era informata personalmente, ma sapeva bene come quella zona fosse diventata di colpo popolosa di immigrati, per lo più irregolari, e di come la criminalità iniziasse a contendersi il dominio del quartiere. Hideyuki, notando la sua comprensione, proseguì lasciandosi cadere sulla panchina vicina.

«Il nostro lavoro si è limitato a individuare i responsabili dell’omicidio però, durante l’indagine, abbiamo scoperto che c’è un clan coreano che si sta imponendo nel quartiere, gestendo alcuni night club e, allo stesso tempo, controllando anche il traffico di droga e donne…» emise abbassando il capo.

La detective iniziò a intuire dove l’uomo volesse arrivare.

«Maki, pensi ancora a-»

«Certo che ci penso, non c’è giorno in cui non speri di riuscire a prendere quei criminali!» esclamò risoluto «Nell’attesa di riuscirci, però, non posso permettere di lasciare in libertà bastardi che si arricchiscono sulla pelle di giovani donne. La ragazza del nostro caso era una di quelle, l’hanno uccisa perché aveva cercato di scappare, di sottrarsi alle violenze, capisci?»

«Sì» mormorò triste.

Makimura continuava a pensare al loro ultimo lavoro, il suo più grande fallimento, e non la meravigliò constatare come casi simili a quello non lo lasciassero indifferente. Aveva sempre notato nel suo ex partner una certa sensibilità per le tematiche che includevano il traffico di donne con tutti gli annessi e connessi. Lui stesso le aveva confessato, anni prima, di come gli fosse impossibile concepire la violenza nei confronti delle donne. Era la sua grande sensibilità a farlo parlare così, anche se lei intuiva che, un’altra motivazione, fosse il suo amore fraterno: quelle giovani vittime, così simili alla sua cara sorellina, sicuramente influivano in buona misura a corroborare la sua rabbia e il suo impegno nella crociata contro quei spregevoli criminali.

«Ecco perché ho registrato il colloquio con i due responsabili del pachinko che collaboravano con quel clan; nel retro della sala da gioco si occupavano di gestire gli incontri tra le ragazze e i clienti inviati dai night club» e così dicendo estrasse dalla tasca interna del soprabito una piccola cassetta «Non sarà un ascolto piacevole, ad ogni modo all’interno della custodia ho inserito un biglietto con i minutaggi importanti. Viene fatto il nome del clan e dei locali da loro gestiti, puoi usarla come eventuale prova in un futuro processo»

«Ho capito» gli disse, prendendo la piccola cassetta e mettendola subito in borsa «Non preoccuparti, dirò di aver avuto una segnalazione anonima circa attività sospette nel quartiere, e manderò casualmente due uomini in quei locali in modo da infiltrarsi e scoprire qualcosa di più»

Hideyuki sorrise soddisfatto «Ti ringrazio Saeko. Purtroppo so già che, anche se hanno perso quel pachinko, avranno trovato un modo per non perdere quell’entrata facile. È importante non perdere tempo»

Dopo qualche secondo di pausa, venne presa da una certa curiosità «A proposito, che ne avete fatto degli uomini della registrazione?» domandò, sebbene intuisse già la risposta.

«Beh, diciamo pure che Ryo li ha messi fuori gioco a tempo indeterminato. Poi abbiamo distrutto un po’ la struttura – ho dovuto contenere quel pazzo, voleva bruciare tutto – e i soldi che abbiamo trovato li abbiamo dati alle ragazze che ci aspettavano fuori; avrebbero provveduto a distribuirseli tra di loro, come risarcimento»

Saeko si prese qualche istante per osservare il profilo dell’uomo, lievemente illuminato dalle luci fredde della città e, nel vedere la sua espressione seria, la mascella contratta, avvertì una sensazione strana allo stomaco. Le piaceva il Maki dolce e un po’ impacciato, ma il suo lato più serio e professionale la affascinava terribilmente. Quella sera si sentiva attratta da lui come non le era mai capitato ma, appena si rese conto della deriva che avevano preso i suoi pensieri, si ricompose, limitandosi a schiarire la voce e si sedette accanto a lui.

«Ascolterò il nastro stasera e domani vedrò di iniziare a imbastire le indagini» con la coda dell’occhio lo vide annuire e poi proseguì «Vorrei sapere se questo clan ha qualche appoggio con delle famiglie yakuza. Sai, ciò complicherebbe non poco la situazione…»

«No» rispose calmo, non smettendo di fissare un punto indefinito davanti a lui «Abbiamo parlato con l’informatore migliore di Shinjuku e lui ci ha assicurato che il clan non ha alcun collegamento con la mafia giapponese»

Saeko lanciò nuovamente uno sguardo fugace nella sua direzione e le dispiacque vederlo in quell’istante così distante. Decise di riscuoterlo da quel momento di torpore, provando a stuzzicarlo un po’.

«E Ryo, gli hai detto che avresti chiesto il mio aiuto?»

A quelle parole vide Hideyuki girarsi di scatto, un’espressione indecifrabile sul viso.

«No, è stata un’idea mia. Quello che ti ho chiesto va oltre il caso affidatoci» rispose un po’ secco.

La donna non si fece scoraggiare e continuò «Ah peccato, con questo lavoro avrei potuto smarcare un po’ di debiti da quell’assurda lista che sventola ogni volta in mia presenza» disse eccessivamente afflitta.

«Te ne dispiace davvero?»

Saeko a quelle parole trasalì leggermente; il tono era stato freddo, non era affatto quello il risultato che aveva sperato. Aveva intuito da tempo che Makimura provava una certa gelosia nei confronti di Ryo – e con il suo atteggiamento ambiguo lei non l’aveva di certo aiutato – e solitamente lui rispondeva alle sue provocazioni. Le piaceva vederlo visibilmente teso e imbarazzato, e avrebbe voluto vederlo così piuttosto che in preda all’apatia che sembrava averlo colto improvvisamente. Eppure lui l’aveva nuovamente sorpresa: non era più apatico ma sembrava che quella piccola allusione lo avesse reso scostante.

«Che intendi?»

«Sii onesta con me Saeko. Anche se ho gli occhiali, ci vedo bene abbastanza bene per capire che tu piaci davvero molto a Ryo e anche tu…» lasciò in sospeso abbassando il volto.

«Io cosa?» domandò non riuscendo a reprimere una certa ansia nella sua voce.

Era la prima volta che lui affrontava in modo così diretto quell’argomento e la cosa le mise addosso una certa inquietudine, ben diversa da quella che l’aveva attanagliata fino a una mezz’oretta prima.

«Anche tu dovresti ricambiarlo. Non mi meraviglia ciò, d’altronde so che Ryo è un uomo eccezionale, perciò…» si interruppe per prendere fiato, a testimonianza di come gli pesasse pronunciare quelle parole «Perciò non credo che per te sia davvero una fatica ripagare i debiti che hai con lui, anzi il contrario»

Saeko sgranò gli occhi a seguito di quella dichiarazione; l’uomo sicuro di sé aveva lasciato il posto a uno fattosi più piccolo, schiacciato da una consapevolezza di inferiorità che lo rendeva ai suoi occhi vulnerabile come non mai. Era quindi questo quello che pensava? Si era convinto che lei provasse dei sentimenti nei confronti dello sweeper? E allora tutto ciò che aveva fatto nei mesi precedenti, il modo in cui aveva diminuito le loro solite pantomime e aveva cercato il modo di passare più tempo con lui, l’abbraccio che si erano scambiati solo poco prima… Possibile che il suo intuito infallibile avesse preso un abbaglio e pensasse che lei potesse essere così frivola?

«No!» esclamò con un tono di voce più alto di quanto volesse, sorprendendo Makimura e lei stessa «Non è vero!»

Lo guardò intensamente, sperando che lui riuscisse a leggerle dentro, come aveva sempre fatto del resto, ma lui fuggì quel confronto, alzandosi velocemente e dandole le spalle.

«Maki perché adesso mi eviti?»

L’uomo sembrò irremovibile e in quel momento Saeko iniziò a essere esasperata da quella situazione. Gli avrebbe fatto capire che lo sweeper non era nel suo cuore.

«Insomma Maki, non è da te!» sbottò leggermente irritata, alzandosi di scatto dalla panchina, ma il suo gesto non fece che farlo allontanare ulteriormente di un passo.

Una parte di lei avrebbe voluto prenderlo per un braccio e scuoterlo con violenza, spronarlo a parlare per impedirgli di restare nel suo stato catatonico, ma alla fine prevalsero i sensi di colpa; in fin dei conti era stata lei a far uscire il discorso di Ryo. Sapeva che lui l’amava e ne era geloso, ma non aveva capito fino a che punto fosse fragile. Abbassò il viso costernata, limitandosi a rivolgergli un sussurro.

«Ti prego… Hideyuki…»

Lo aveva fatto. Per la prima volta lo aveva chiamato per nome e le era sembrato come se lo avesse fatto da sempre. Aveva sempre preferito chiamarlo con il diminutivo del cognome, non sapeva neanche lei il perché, ma in quel momento aveva voluto accorciare le distanze tra loro. Glielo doveva, soprattutto dopo aver intuito l’entità del dolore che provava per causa sua; decise in quell’istante di essere il più onesta possibile con lui visto che, quando doveva gestire i propri sentimenti, Makimura smetteva di essere infallibile come suo solito. Le sue parole sembrarono avere l’effetto sperato e l’uomo si girò finalmente verso di lei, con un’espressione sorpresa.

«Non potrei mai andare a letto con Ryo» gli disse decisa, avanzando verso di lui «Indubbiamente è un uomo virile e gli sono affezionata…» si bloccò appena fu a un passo di distanza da lui, che non smetteva di fissarla leggermente confuso; sapeva di farlo stare sulle spine.

«Però non lo amo. Non potrei mai concedermi a un uomo che non abbia il mio cuore» concluse sorridendo debolmente.

Alla fine lo aveva detto. Gli aveva confessato la verità in modo inequivocabile e, appena vide i suoi tratti distendersi e gli occhi ritrovare il loro usuale bagliore, si disse di aver fatto la scelta giusta. Le sorrise teneramente e, in quell’istante, sentì il cuore mancarle un battito. Per la seconda volta lo trovò bello e desiderabile in un modo tale da farle male, sentendosi allo stesso tempo attratta e atterrita da lui. Sarebbe riuscita a dirgli che, l’uomo che deteneva gran parte del suo cuore era proprio lui? Sarebbe mai riuscita a dirgli che lo amava quando lei stessa era spaventata dai suoi stessi sentimenti e dalle conseguenze che un eventuale rapporto avrebbe apportato inevitabilmente alla sua vita? Per quanto in quel momento provasse a sforzarsi, non sarebbe riuscita a dirgli che lo amava, sebbene avvertisse un affetto smisurato nei suoi confronti. Lei non era mai stata legata a nessuno ed era stata sempre un tipo fin troppo razionale per poter credere che l’amore fosse un sentimento totalizzante, capace di annientare la ragione. C’erano così tante incognite, così tanti fattori nella vita e nel rapporto di coppia, sarebbe stata capace di superarle? Sarebbe riuscita un giorno a lasciarsi andare e permettere di farsi amare? La sua parte più fragile temeva di deludere lui e l’idea che si era fatta di se stessa.
Mentre era persa nelle sue riflessioni, non smise un attimo di fissare quegli occhi caldi e buoni, che sembravano seguirla nei suoi pensieri, come se li avesse espressi a voce e ciò la rincuorò; testimoniava che Maki era tornato presente a se stesso. Lui, l’unica persona capace di capirla e vederla nella sua vera essenza.
Hideyuki in quel momento le prese la mano destra e la strinse con calore, portandola vicino al suo cuore.

«Non preoccuparti, io aspetterò per tutto il tempo che vorrai» le disse con un sorriso amorevole, come se volesse rispondere ai suoi dubbi inespressi «Avrei, però, una richiesta che spero potrai esaudire da oggi stesso» e dopo una brevissima pausa concluse «Vorresti chiamarmi sempre per nome quando siamo soli? Sai, mi piace sentirtelo dire»

Saeko fremette a quelle parole e si limitò ad annuire, troppo emozionata per dire qualcosa. Cos’era quella, una dichiarazione? Lui non era mai stato così esplicito e ciò, in un certo senso, non le dispiacque affatto. Per loro quella era si era mostrata davvero una serata magica e, l’essersi scoperti nel loro posto speciale, non fece che accrescere in lei una forte emozione. Quel momento d’incanto, però, fu interrotto quando Makimura lanciò un’occhiata all’orologio da polso.

«Purtroppo devo andare, si è fatto tardi e Kaori sicuramente si starà chiedendo che fine abbia fatto» e, accarezzandole dolcemente il dorso della mano con il pollice, aggiunse «E anche tu Saeko, meglio che torni a casa a riposare e cerca di non strapazzarti troppo, mi raccomando»

«Mi fai la ramanzina come se fossi una ragazzina irresponsabile»

«Forse perché certe volte lo sei»

Si sorrisero liberamente, di quei sorrisi sinceri che vibrano negli occhi, e Saeko per la prima volta avvertì il doloroso desiderio di trattenerlo, di non farlo andare via da lei.

«Ah, me ne stavo dimenticando…» e così dicendo prese dalla tasca esterna del soprabito un piccolo sacchetto argentato «Immagino che tu non lo dica troppo in giro, ma per tua sfortuna ho una buona memoria. Anche se in ritardo, buon compleanno»

Sentì il cuore fermarsi per un secondo: lui si era ricordato anche del suo compleanno e aveva avuto il tempo di farle un regalo. A parte la fondina per i coltelli non le aveva mai regalato nient’altro, perciò prese il sacchetto leggermente commossa.

«Grazie mille Hideyuki, non dovevi»

«Ah, è davvero una sciocchezza! Diciamo che ti sarà utile per quando comprerai la macchina dei tuoi sogni» le disse passandosi la mano dietro la nuca, con fare imbarazzato.

Eccolo lì, il suo caro Maki timido e un po’ impacciato, tanto da non saper gestire i ringraziamenti. Dopo averle lanciato un’ultima occhiata ricolma di affetto, le sussurrò “buona notte” per poi allontanarsi velocemente. Saeko restò qualche istante a fissare il sacchetto ma poi, vinta dalla curiosità, decise di aprilo subito non volendo aspettare di tornare a casa. All’interno della piccola confezione trovò un semplice portachiavi con un pendente circolare di legno laccato nero, lucidissimo; appena ruotò il lato, però, vide disegnati un fiore di ciliegio e una foglia di ginkgo dorata che si incrociavano.
“Allora non dimentichi proprio niente…” disse passando delicatamente un dito sul disegno.
 
«Perché non hai detto agli altri che oggi è il tuo compleanno?»
Makimura la guardò con aria sorniona mentre lei stava aprendo il suo scarno bentō. Se lo aspettava che avrebbe tirato fuori quella storia.
«Non mi andava» rispose facendo spallucce.
«Ammettilo: non ti va di offrire perciò sei stata zitta»
«Maki!» esclamò dandogli uno schiaffetto sul braccio «Mi dipingi come un mostro»
«No, solo come una vecchia taccagna» commentò divertito, facendole un occhiolino.
«Chi sarebbe la vecchia? Attento, potrei romperti gli occhiali e condannarti a morte certa» gli soffiò tagliente.
«Ah, allora come non detto» emise con tono falsamente colpevole, piegandosi contrito «Mi scusi Saeko-dono3
La ragazza gli sorrise prima di iniziare a mangiare. Il suo caro amico riusciva sempre a metterla di buon’umore, anche durante le giornate in cui si sentiva più malinconica come quella del suo compleanno. Non le piaceva festeggiarlo, le ricordava solo dell’inesorabile trascorrere del tempo e delle pressioni che suo padre iniziava a farle ogni volta che la sua età aumentava di numero. A lui, però, aveva confidato tutto già da un anno; Maki non face testo, era l’unica persona ad avere la sua totale fiducia.
«Festeggerai con la tua famiglia?» le domandò Hideyuki dopo qualche minuto di silenzio.
«Non proprio. Mi vedrò in serata con mia sorella Reika, mangiamo qualcosa fuori e fine. Ho finito di sorbirmi quelle snervanti cene familiari» e lanciando un’occhiata al laghetto continuò «Per questo non l’ho detto in centrale, anche le cene tra colleghi sono terribili, anzi direi anche peggiori; lì la falsità si taglia col coltello» spostò gli occhi verso il suo amico, che non sembrava affatto sorpreso da ciò che stesse dicendo «Preferisco che lo sappia pochissima gente, quella che mi è più vicina e di cui sento di potermi fidare. Festeggiarlo, poi, è un altro discorso. Per ora non mi sento ancora in vena ma, se con il tempo la mia visione cambierà, vorrò sicuramente trascorrere una bella serata solo in loro compagnia» concluse lanciandogli un fugace sorriso.
I due restarono per un po’ di tempo in silenzio, godendo della reciproca compagnia in quel posto che rappresentava un piccolo rifugio pacifico dal loro mondo. Aveva appena smesso di piovere e le nubi si stavano diradando, per lasciar il posto a un timido sole che illuminò la chioma rigogliosa dell’imponente ginkgo che si trovava sulla sponda del lago.
«È davvero bellissimo» si lasciò sfuggire la ragazza in un sussurro, mentre osservava l’albero.
Hideyuki si girò verso di lei, guardandola con fare interrogativo.
«In questa stagione i ginkgo sono i miei alberi preferiti… Guarda quelle foglie dorate, non sono uno spettacolo?»
«Beh, sì…» rispose il ragazzo non molto convinto.
«Ah, ma che te lo dico a fare! Ho capito, ti sto annoiando» disse subito piccata.
«Non fare così Saeko» disse girandosi verso di lei «Solo che non mi entusiasmano i ginkgo, tutto qui»
«Ah, e cosa preferisci? Per caso i ciliegi?» gli chiese indicando i rami spogli sopra di loro.
«Non ho una vera passione per le piante, però sì, tra i due preferisco i ciliegi in fiore»
«Davvero? Beh sì, non sono male ma mi piacciono di gran lunga i ginkgo dorati. In fin dei conti, i fiori di ciliegio hanno anche troppi estimatori, specialmente tra le ragazze»
«E tu cerchi di andare sempre dove non va la massa, vero?» domandò guardandola sorridente.
Saeko rispose al sorriso, sentendo un piacevole calore all’altezza del petto: Maki non si smentiva mai, riusciva sempre ad andare dritto al punto, a capirla come nessuno era riuscito mai a fare. Si sentì felice di averlo nella sua vita, con un amico così sentiva di non avere nulla da temere.
«Però» proseguì lui, volgendo lo sguardo verso il laghetto «È un peccato che il periodo della fioritura non coincida con quando le foglie dei ginkgo cambiano colore. Sarebbero uno spettacolo molto interessante»
«Mmh… Ora che mi ci fai pensare, sì, sarebbero meravigliosi insieme; già me li immagino uno accanto all’altro con quel bel contrasto di colori... Peccato, però, che siano un’accoppiata impossibile» rispose, riprendendo il suo pasto.
«Un’accoppiata impossibile… Già…» commentò Makimura leggermente rabbuiato.
 
 Saeko, commossa, strinse tra le mani il portachiavi; era stato un episodio insignificante quello, risalente a diversi anni prima, ma lui non solo lo aveva ricordato, ma aveva anche cercato di realizzare in parte il suo desiderio. Un fiore di ciliegio assieme a una foglia di ginkgo dorata; osservandoli sul ciondolo erano davvero una bella accoppiata. I fiori preferiti da Maki insieme al suo amato ginkgo. Una coppia impossibile. In quell’istante venne colta da un dubbio: che quel regalo nascondesse un messaggio velato? Che quelle piante potessero simbolicamente indicare loro due? Poteva Hideyuki aver voluto comunicarle, in modo indiretto, che anche loro avevano una possibilità di stare insieme, di formare una coppia all’apparenza impossibile, con lei, giovane e affascinante detective in carriera, e lui, defilato ex detective ormai collega di un fuorilegge? Forse era semplicemente un’invenzione della sua fantasia e non c’era nessun significato particolare dietro quel dono, ciò nonostante ebbe la consapevolezza che quella serata aveva cambiato in modo significativo il loro rapporto: si erano scoperti entrambi più di quanto avessero fatto in tutti quegli anni. Risultava ormai palese come provassero un reciproco affetto, che andava ben oltre l’amicizia ma che non era ancora sufficientemente chiaro per potersi definire amore. Una parte di lei, in realtà, avrebbe desiderato già lasciarsi andare ma, l’altra, era come presa da un senso di oppressione al pensiero di essere unita a qualcuno, di far coppia nella vita con un’altra persona, e tutti i dubbi che l’avevano colta prima le facevano dubitare della forza del sentimento che nutriva per lui. Si convinse di aver bisogno solo di altro tempo. Tempo per poter chiarire in modo definitivo le sue priorità, i suoi desideri, e testare l’effettiva portata del suo amore; non voleva in nessun modo illudere il caro Maki dandogli una falsa speranza. Non se lo sarebbe mai perdonato, ma lui sembrava aver già capito tutto.
“Aspetterò per tutto il tempo che vorrai”: quella promessa le ritornò in mente, facendole riaffiorare un timido sorriso sulle labbra.
“Spero di non farti aspettare troppo” pensò mentre, a passi lenti, usciva dal parco dirigendosi verso casa.

__________________
 
1 Il quartier generale della polizia metropolitana di Tōkyō, ben rappresentato più volte dallo stesso Hōjō, è stato costruito dal 1977 al 1980. Precedentemente, sempre sullo stesso posto (e con una forma più o meno simile) vi era il vecchio quartier generale, risalente al 1937 e demolito poiché considerato antiquato e troppo piccolo. Tenendo conto che Hideyuki è del 1956 – come Saeko, che ritengo essere sua coetanea – mi sembra probabile che i due abbiano lavorato almeno un anno nella vecchio palazzo prima che venisse dismesso. Durante la costruzione del nuovo quartier generale, la sede della polizia metropolitana venne spostata al Bussankan, edificio anch’esso risalente ai primi anni Trenta, che aveva ospitato negli anni diversi uffici istituzionali e situato a Nishi-Shinbashi, non molto distante dal quartier generale. A sua volta, il Bussankan venne demolito nel 1980 e al suo posto è stato edificato l’Hibiya Central Building.
 
2 Letteralmente “Porta Sakurada” è l’altro nome con cui è chiamato in modo informale il palazzo della polizia metropolitana, in quanto posizionato di fronte all’omonima porta d’accesso del Palazzo Imperiale (fenomeno simile lo si osserva per New Scotland Yard, che prende il nome appunto dalla via della prima sede).
 
3 –dono (殿) è un suffisso formale, utilizzato oggi principalmente nel linguaggio scritto. Il kanji ha altri significati, quali signore feudale, e lo si usa per comporre le parole dimora/palazzo, vostra altezza, ecc. Per chi conosce l’opera Rurōni Kenshin, sa che Kenshin si rivolge a Kaoru chiamandola “Kaoru-dono” proprio per sottolineare un rapporto non solo di rispetto ma anche di inferiorità. Nel contesto del dialogo, l’accezione è volutamente esagerata e quindi scherzosa.
   
 
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