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Autore: Enchalott    16/08/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Al cospetto del re
 
Elkira esaminò minuzioso il perimetro delle mura di Minkar: le vestigia dell’aura di Belker risalivano a qualche tempo prima ed erano ormai indistinguibili.
All’interno della piega dimensionale, Eenilal strinse le palpebre e seguì in fiducioso silenzio le mosse del compagno, che di solito non necessitava di uno spazio-tempo alternativo. La situazione induceva a una cautela supplementare che si traduceva nella barriera energetica volta ad ammantare entrambi.
«Per essere un impulsivo è dannatamente scaltro!» sbottò il primo «Senza contare la compagine di epharat che gli guarda le spalle e rimescola le carte!»
Il dio della Luce assentì, condividendone la frustrazione.
«Questo esistente è intriso di negatività e violenza. Ha nascosto l’ago tra gli aghi, non mi stupirei se ci trascinasse su una falsa pista. Suggerisco di non tallonarlo.»
«Cosa dovremmo fare? Precederlo?»
«Sì» sorrise Eenilal.
«Né tu né io possediamo la chiaroveggenza.»
«Già, ma abbiamo sbagliato tattica, non batteremo sul suo terreno uno stratega quale Belker. Invero non è importante il dove bensì il cosa. Più il traguardo che il percorso.»
Elkira aggrottò la fronte.
«Sappiamo che mira a impadronirsi dei mondi inferiori per trasformarli in un dominio personale. Valarde sostiene che ciò si verificherà all’eclissi totale del Sole Trigemino. Non manca molto se è così.»
«Dunque il regno dei Khai è il centro della questione» ricavò Eenilal, materializzando in piccolo la struttura dell’universo.
«Tsk! Arroganti guerrafondai, non è bastata la lezione dieci millenni orsono!»
Tra le dita del dio della Luce il luogo appena nominato iniziò a brillare.
«Negli ultimi secoli i Khai hanno protratto le ostilità in modo inspiegabile. Sostenere che sia avvenuto perché adorano versare il sangue sarebbe sciocco. Nemmeno il generale più sadico sprecherebbe uomini e risorse in un conflitto risolvibile in poche battute. Prenderebbe acqua, schiavi e passerebbe all’obiettivo successivo.»
«Sono certo che dipenda dalla sete di Belker, ma non vedo perché stia attingendo a un’unica sorgente quando potrebbe trarre i poteri da più fonti.»
«Mi trovi d’accordo. Le campagne militari in questione sono quella contro Jandali e quella contro i Salki. I prasma non si sono richiusi, il primo in particolare è stato mascherato ad arte: se non avessimo controllato ci sarebbe sfuggito.»
I due mondi indicati baluginarono vicini a quello dei loro assalitori.
«Un momento, diciamo tre! La guerra contro l’Irravin è in corso da molti anni e non accenna a concludersi.»
Il regno del defunto Namta scintillò tra i palmi a coppa del dio della Luce e una sottile linea rossa congiunse i punti presi in considerazione.
I due Immortali guardarono increduli la piramide perfetta che aveva Mardan come vertice e replicava la posizione del Sole Trigemino.
«Per tutte le ere, una perissologia energetica!»
Eenilal ritrasse le mani e la proiezione si dissolse. Si passò le dita tra i capelli castani, manifestando la propria apprensione.
«Dobbiamo impedirlo.»
«E come, se non disarmiamo Belker? Neppure il sommo Kalemi può porvi rimedio!»
Il dio della Luce si trovò d’accordo: per quanto stimasse il fratello, il potere del Tempo non sarebbe stato risolutivo. Nessun Superiore era in grado di arginare la sciagura.
«È necessario convocare Irkalla.»
«Il sovrano celeste lo ha vietato.»
«Allora resta un’unica alternativa. Minkar non deve cadere.»
 

 
Naiše prese a intrecciare la lunga chioma di Yozora, studiando un’acconciatura adatta all’occasione. Il castano scuro, sulla scia di una memoria improvvisa, mutò in arancio luminoso: erano i capelli di sua figlia nell’attimo indimenticato in cui li aveva chiusi in una treccia, il giorno in cui si era votata a Belker.
Il prima.
L’orgoglio di madre ebbe un guizzo alla struggente reminiscenza. Il sorriso fiero della nuova guerriera in uniforme scarlatta, l’approvazione di suo marito, la solidarietà dei figli maschi, l’acclamante festosità del clan. Un quadro lontano, sbiadito, perduto per sempre. Le mani ebbero un tremito.
Una privazione che forse era possibile vendicare.
 
L’hanran l’aveva avvicinata quando era scesa alle sartorie per ritirare l’abito della principessa. Era bastato il sahin, tre dita sul cuore a simboleggiare la redenzione di Mardan e Naiše aveva avvertito un tuffo al petto.
Si era dissolto tra gli scaffali, assuefatto a confondersi tra le ombre. L’aveva seguito restituendo il segno e solo allora aveva abbassato il cappuccio: era giovane, l’età del suo primogenito se fosse stato vivo, di sangue Khai, l’interno delle braccia segnato dai fregi di guerra. Forse aveva rinunciato al clan o, come lei, aveva perso i privilegi. Forse non gli era stata lasciata scelta.
«Ho un messaggio di Elefter» aveva bisbigliato senza preamboli
Naiše aveva spalancato gli occhi: la leggendaria esistenza dell’uomo che agiva in segreto per la libertà degli oppressi aveva acquisito corpo e con essa la speranza.  Al suo assenso, quello aveva continuato.
«È usanza Salki non rendere shitai i prigionieri di guerra o i nemici del regno. Elefter ritiene che la principessa aborrisca quanto noi la schiavitù e possa intercedere a nostro favore presso sua altezza Mahati.»
Lei aveva subito compreso dove volesse arrivare.
«Possiede un’anima nobile e generosa, detesta le differenze di rango e tratta le dorei con rispetto. Ci chiama per nome, domanda con gentilezza, non desidera riverenze e talvolta fatichiamo a svolgere i compiti che ci spettano, poiché li ritiene eccessivi. Ma non è che una bambina, le nostre tradizioni non le sono familiari e il suo futuro marito accoglie richieste e obiezioni come capricci. Non credo le si possa ascrivere un ascendente tale da influenzare il sommo Kharnot
«Non per il momento. Se l’attenzione che già rivolge ai sottomessi si rinforzasse, sarebbe un appoggio insostituibile. La reputi in grado di assumersi l’onere?»
Lei aveva scosso la testa, incerta. Yozora era la persona più generosa che avesse incontrato, avrebbe fatto sue le sofferenze degli schiavi, ma avrebbe corso un pericolo mortale. Avrebbe dovuto mentire, sorpassare la scaltrezza di Mahati e quella più allenata dell’Ojikumaar. Non aveva cuore di domandarle di rischiare la vita, di incrinare la sua già scomoda posizione a corte. D’altra parte un alleato insospettabile sarebbe stato un passo avanti.
«Ho sentito raccontare che ha messo in discussione le decisioni del Šarkumaar» era intervenuto il ribelle «E che il principe Rhenn apprezza la sua compagnia.»
«Un equivoco, pur risolto in modo sorprendente. Quanto all’erede al trono, che svolge le veci del fratello, non gradirebbe neppure la vicinanza di Belker, da quanto è arrogante.»
Il giovane aveva sorriso e i suoi occhi erano scintillati nel buio.
«Comprendo le tue perplessità, ma il tempo a disposizione è scarso. Elefter ha trovato un alleato esterno e sta cercando di coordinare le azioni. Ci sarà una rivolta, migliaia le vite sul piatto della bilancia. Se la ragazza ci appoggiasse, le probabilità di successo incrementerebbero, mentre i sacrifici si ridurrebbero al minimo. Elefter è certo che troverai il modo consono a comunicarle la nostra proposta.»
«È così ingenua, così fragile, non ha idea di come si viva a Mardan.»
«Dovrà crescere in fretta. Mi dispiace.»
«Siete in grado di proteggerla? Se accetterà, dovrà guardarsi da chiunque.»
«Ogni dorei veglierà sulla sua vita. Non sarà mai sola.»
L’hanran si era tirato il mantello sulla testa, pronto a dileguarsi, lasciandola in uno stato di estrema prostrazione. Poi si era fermato.
«Sei la moglie di Kloda, vero? Lo conoscevo. Un guerriero valoroso, che nessuno ha dimenticato. Quando saremo liberi, il suo spirito riposerà tra le braccia del celeste Reshkigal.»
 
Naiše rinfocolò le speranze: quella del marito, le anime dei suoi figli avrebbero trovato pace. Il dio della Morte ne avrebbe avuto cura fino al momento del riscatto.
Tornò a concentrarsi sul lavoro e notò il volto teso della principessa. Avvertì una stretta al petto: se era in preda all’angoscia per di un incontro con il re, come avrebbe reagito alla prospettiva di appoggiare gli hanran?
«Siete splendida, altezza, non crucciatevi.»
Yozora spostò una delle ciocche arricciate che si allungavano sul collo e sulla schiena, impreziosite dai fermagli. L’abito leggero ne replicava la tinta verde ed era trattenuto da una fascia d’argento: non aveva mai indossato nulla di più bello e… scabroso! Avvampò al pensiero di presentarsi così al sovrano dei Khai e cercò di consolarsi in base alle rassicurazioni che le erano state fornite.
«Siete gentile, Naiše. Mi inquieta incontrare sua maestà con addosso il bagaglio di descrizioni agghiaccianti effettuate dalla mia gente. Spero di darmi della sciocca.»
«Non ditelo, mia signora. Il nostro eccelso sovrano ha espresso il desiderio di conoscervi e il principe vi accompagnerà.»
Yozora pensò che, a giudicare dalla gioia che Mahati aveva sprizzato nel metterla a parte dell’invito, si trattasse più di un ordine perentorio che di un benvenuto.
«Ha speso il poco tempo a rimproverarmi» borbottò strappando un sorriso alla dorei «Non so nulla del re, tantomeno della regina. Lei com’è?»
L’espressione di Naiše si trasformò in dolore.
«La nobile Hamari non è qui.»
«Ho posto una domanda sconveniente?»
«No, altezza.»
La negazione apparve frettolosa, come se nominare la consorte del sovrano costituisse un tabù. Riflettendoci, Rhenn non aveva mai fatto cenno alla madre, solo qualche modica frecciata alla pignoleria di Kaniša o al fastidio per gli affari di Stato.
Il rumore della porta che si apriva troncò il ragionamento.
Il secondo principe attraversò la stanza con indosso la tenuta di battaglia e le schiave si prostrarono al suo passaggio. Vederlo in armi le causava angoscia, ma fu sollevata dalla certezza che l’avrebbe affiancata all’udienza.
Lo sguardo penetrante di Mahati cadde sulle sue spalle scoperte, poi sulle piegature del vestito, che marcava le forme e scendeva in spacchi d’organza che si sarebbero aperti a ogni passo.
«Vi dona molto» pronunciò con algida cortesia.
Sfilò il diadema e prese a liberarsi della corazza di cuoio, indifferente alla sua presenza. Yozora avvampò in modo inversamente proporzionale agli indumenti che cadevano sul pavimento: diresse lo sguardo all’esterno, fissando il cielo giallo finché non lo sentì entrare nella vasca infossata al centro della camera.
Non mi abituerò mai al suo inesistente senso del pudore!
Il Šarkumaar inalò l’aria, seccato dal perdurare della ritrosia e congedò brusco le dorei pronte ad assisterlo nel bagno.
«Avvicinatevi. Mostratemi il braccio.»
La ragazza obbedì suo malgrado. Il disagio calò quando notò che era appoggiato al bordo di pietra e che non avrebbe dovuto chiudere gli occhi per interagire senza vedere le sue nudità.
Il tocco delle dita bagnate che le sfilarono il bracciale fu delicato e sensuale. Nelle iridi nocciola scintillò la malizia, a indicare che stava mostrando come sarebbe stato abbandonarsi a lui con tutto il resto del corpo. Una proposta indiretta ma efficace, degna di uno stratega consumato.
C-che sto pensando!?
«I lividi sono spariti. Perché portate il mio gioiello?»
«È un vostro regalo.»
«Davvero? Ho pensato a un semplice prestito.»
«Oh. Errore mio, vi domando scusa.»
Il principe sogghignò e le restituì il monile.
«È maschile, ma se vi piace potete tenerlo. La pietra viene dalle miniere di Nessryn, i Jandalini sostengono che sia caduta dal pantheon e protegga dal male.»
Yozora ascoltò a bocca aperta: le leggende esercitavano un fascino potente, era convinta che in ogni antico racconto si celasse una misteriosa verità.
«Allora non posso accettare. È un unicum, non voglio privarvi di un talismano.»
Mahati la osservò divertito. Si staccò dal margine della piscina e prese a ripulirsi, sciacquandosi la chioma corvina sotto il getto d’acqua.
«Non credo alle superstizioni nostrane, figuriamoci a quelle di un regno sconfitto. L’unica difesa in cui confido è il mio valore di guerriero.»
«Come darvi torto» sospirò lei amara, distogliendo lo sguardo dalla schiena scolpita «Tuttavia è scortese da parte mia ricevere senza corrispondere.»
«Se alludete a uno scambio di materiali, non datevi pena. Non è necessario.»
«Mi riferisco a qualcosa di spontaneo, come il vostro dono.»
Mahati gradì che avesse raccolto la provocazione e fornì la propria saltando fuori dalla vasca.
«Apprezzo la spontaneità, è una sfaccettatura dell’istinto. Il regalo più gradito sarebbe se ascoltaste il vostro, invece vi nascondete tra presunte decenze che qui non sono che sciocchezze. Guardandomi al naturale scoprireste che ciò che è partito come obbligo può trasformarsi in desiderio. Avermi dentro potrebbe piacervi.»
All’osservazione scevra di eufemismi Yozora stabilì che era troppo: celò il viso in fiamme e si rifugiò oltre la tenda che separava la vasca dal talamo. Le gocce d’acqua che scivolavano lungo il thyr del principe rifiutarono di cancellarsi dalla retina.
Rhenn aveva garantito che le asheat l’avrebbero aiutata. Pregò che fosse così o non sarebbe riuscita ad affrontare la prossimità fisica del futuro marito, non nei brevi tempi richiesti e non in serenità. Aveva superato indenne la prima prova, avrebbe chiesto di tentare subito le rimanenti, così non avrebbe ottenuto l’ennesima figura della sciocca. E non avrebbe fatto naufragare le trattative di pace.
Sedette sul letto e cercò di regolarizzare il respiro: se l’imbarazzo veniva scagionato dall’inesperienza, lo sgarbo non possedeva appigli di sorta. Tastò la fascia a sbalzo del bracciale e passò il dito sulla superficie azzurra della gemma: aveva ricevuto un dono e per tutta risposta era scappata. Certo lui avrebbe potuto evitare il prosieguo.
Celeste Kalemi, assistetemi!
In verità possedeva qualcosa con cui ripagarlo, separarsene avrebbe infranto un’altra barriera, così la sua presenza a Mardan avrebbe trovato una solida ragion d’essere. Tornò sui propri passi,
«P-permettete?»
Mahati sollevò il viso, terminando di appuntare i fermagli tra i capelli, un telo annodato ai fianchi in segno di rispetto.
«Senza chiedere» rispose.
«Ecco… anch’io ho un dono, perdonate se non ci ho pensato subito.»
Gli occhi del Kharnot scesero sul suo palmo, ove brillava un cerchietto d’oro privo di decorazioni, fuso in una singolare forma annodata.
Materiale.
Evitò di esprimere la considerazione scortese, sforzandosi di apprezzare il fatto che non si fosse chiusa in un baule.
«Mia madre me lo ha lasciato affinché lo portassi il giorno delle nozze, ma i Khai non scambiano anelli sponsali. Sarei felice se lo indossaste, sebbene non sia di pregio.»
«È l’unico oggetto che avete condotto da Seera, non occorre che ve ne priviate.»
«Con gioia. Se vorrete portarlo durante il rito, rappresenterà la presenza della mia famiglia. Altrimenti rimarrà un omaggio privato.»
Il principe la osservò in silenzio, poi s’infilò l’anello al mignolo sinistro. Gli artigli balenarono appuntiti, eppure non le parvero in grado di uccidere a sangue freddo.
«Spero non vi dia noia.»
Mahati liberò la mano con la sensazione che quel genuino sfiorarsi costituisse un traguardo.
«Brandisco la prima spada con la destra.»
 
L’agitazione di Yozora increbbe quando accedette al salone principale, oltre il quale sarebbe avvenuto l’incontro con il re. Cercò di concentrarsi sui drappi cremisi con il Sole Trigemino di Mardan e sulle poderose colonne di marmo rosso.
«Mio padre non vi mangerà» bisbigliò Mahati, fiutando la sua inquietudine.
«N-non so come comportarmi, temo di mettervi in imbarazzo.»
«È quello che tutti si aspettano dopo i trascorsi. Potete solo migliorare.»
La principessa incassò la stoccata, ma comprese che era un rigirare il coltello nella piaga: tentava di liberarla dalla paura, cioè dall’unica posa da evitare.
I Khai lo ripetono come un mantra, dovrei metterlo in pratica.
«Consolante» replicò, strappandogli un sorriso involontario.
Con gli abiti formali avorio, che accentuavano l’ambra dell’incarnato, Mahati era ancora più affascinante. La cintura di seta argento metteva in risalto il fisico prestante e ne accentuava l’autorevolezza. Accanto a lui, tanto minuta da non raggiungere la sua spalla e in preda alle palpitazioni, Yozora si sentì insignificante. Ovvio che le giovani donne presenti non gli staccassero gli occhi di dosso e rovesciassero su di lei un disprezzo più greve di quello riservato a una sconfitta.
Sto per sposare il secondo erede del re, privandole della possibilità.
«Fatela finita!» sibilò lui.
«C-che?»
«Di armeggiare con la scollatura! È il sistema migliore per attirare l’attenzione dove suppongo non desiderate!»
La trascinò dietro un pilastro, staccò dal lobo un orecchino e infilò il gancio nella seta del corpetto, riducendone l’apertura.
«Mi state innervosendo per riflesso!»
La principessa si focalizzò sull’immagine del sommo stratega che smarriva la calma a causa di una stoffa svolazzante e non trattenne una risatina.
«Fate divertire anche me!» restituì lui seccato.
Le sollevò il viso, le passò l’indice sulle labbra e lo portò alle proprie, lasciandovi una visibile traccia rosa. Tutti avrebbero pensato a un gesto passionale, nessuno avrebbe discusso l’apprezzamento del figlio del re e i presenti avrebbero archiviato lo sdegno. Ammirò il riguardo: avrebbe potuto baciarla sul serio. Riconoscerlo nel mostro che aveva massacrato la sua gente diveniva sempre più arduo. Ma dimenticare lo era altrettanto.
 
Il sovrano di tutti i Khai era assiso sullo scranno in cima alla scalinata, lungo la quale era schierata la guardia reale: il Šarkumaar ricevette il presentatarm e salì.
Prima di inginocchiarsi accanto al promesso sposo, Yozora scorse Rhenn ritto alla destra del re e saperlo lì contribuì a placare l’agitazione. Ancora una volta si domandò il motivo.
«Alzati, figlio, presentami la tua futura moglie.»
La voce autoritaria di Kaniša fornì il consenso all’interruzione dell’omaggio.
Benché non giovanissimo, era un bell’uomo e la somiglianza con i principi risaltava di primo acchito. Gli occhi nocciola erano identici a quelli del secondogenito: glaciali, privi di sentimento, duri come schegge di roccia. La chioma argentata, spruzzata di grigio, era acconciata in una coda di cavallo trattenuta da uno spillone gemmato. La bocca aveva una piega severa, amara, come fosse insoddisfatto: l’espressione granitica esprimeva assolutismo, incontestabilità e la corona d’oro luccicava sulla fronte aggrottata a ribadirlo. Un’immagine di potenza e crudeltà che avrebbe atterrito chiunque.
Eppure le guance mostravano un pallore innaturale, sproporzionato rispetto all’incarnato chiaro, gli abiti sontuosi non celavano la magrezza insana del corpo. Anche le mani erano consunte, appoggiate con eccessiva stanchezza ai braccioli laccati di nero. Le voci erano vere: Kaniša era infermo, per quella ragione non aveva partecipato alla fase finale della guerra contro i Salki e le sue apparizioni si erano rarefatte.
Yozora si sentì trapassare dallo sguardo tagliente. Non sprofondò perché Rhenn le rivolse un sorriso furbesco.
«Le descrizioni non ti rendono giustizia. Sei una rara bellezza, se avessi un centinaio d’anni in meno, ti reclamerei per me. Avvicinati, lascia che ti guardi.»
Lei obbedì. Nell’abbandonare il braccio di Mahati avvertì il suo fremito rabbioso. Si stupì.
Non è certo geloso di me e non può esserlo di suo padre, perché tale reazione?
Nello sguardo di Rhenn vibrò la stessa collera e di nuovo non la comprese. Osservò il sedile destinato alla regina e dedusse che era venuta a mancare: forse i principi si erano incupiti per i complimenti che ne disonoravano la memoria.
«V-vi ringrazio, erkhem» mormorò umile.
«Assomigli a tua madre. Kelya, se non m’inganno. È in salute?» seguitò il re.
La principessa chinò il capo per non rammaricarlo.
«Il divino Reshkigal l’ha accolta dieci anni orsono, maestà. Sarebbe felice di sapere che la ricordate.»
Mahati sussultò. Saggiò con le dita l’anello che aveva ricevuto e ne realizzò l’effettiva portata. Non era materiale, come lo aveva definito con dileggio. Per Yozora era inestimabile, considerando il modo di pensare dei Salki. Si diede dell’idiota per non aver compreso che, quando aveva detto “me lo ha lasciato”, significava in eredità.
«Mi dolgo per la perdita» asserì Kaniša in mero pro forma «Conoscendo la sua aspirazione alla concordia e scorgendo che ne sei il ritratto, il fatto che sia tu a sposare mio figlio è indizio della benevolenza degli Immortali. E tu, Mahati, affrettati a ufficializzare il fidanzamento.»
«Sì, padre.»
«Il piacere di prendere moglie non dovrà distoglierti dalla battaglia. Il mio disappunto si è accresciuto, sebbene tu sia riuscito a riparare all’ignobile pareggio di pochi giorni fa. Non osare scontentare il celeste Belker con un altro insuccesso!»
«Non vi deluderò, padre.»
Yozora osservò la rabbia contenuta a stento ribollire nello sguardo abbassato di Mahati. Il rimprovero era ingiustificato, considerando che aveva appena stroncato la resistenza Salki. Era rientrato a Mardan per la presentazione ufficiale e non si era concesso un attimo riposo. Intuì il motivo per cui fosse scontroso e taciturno.
«Rhenn» chiamò il re, allungando il braccio.
Questi lo aiutò ad alzarsi, lasciando che si sostenesse alla sua spalla.
«I guaritori hanno visitato Rasalaje?»
«Sì, padre. Non hanno riscontrato anomalie.»
«Assurdità! Accettare una simile diagnosi è intollerabile! Ti sottoporrai a un accurato esame! Non indurmi a pensare che la responsabilità dell’assenza di un erede sia tua! Hai il mio sangue, non puoi fallire!»
«Obbedisco, padre.»
In contrasto con la risposta dimessa, le iridi viola scintillarono di odio profondo. Per la prima volta Yozora ebbe paura di lui.
   
 
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