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Autore: FrancescaPenna    10/09/2021    0 recensioni
Possono cinque ragazzi non ordinari sperare di trovare il loro posto in una società dove l'essenza viene spesso sottomessa all'apparenza, dove le persone rincorrono una perfezione che non esiste per sottrarsi ai pregiudizi?
Casey e Satèle Johns sono due gemelli albini.
Markus Lancaster ama la lettura e odia le persone.
Johnnie Bailey è silenzioso.
Angel Hassler è un maschiaccio.
Cinque ragazzini diversi con cinque vissuti diversi, che si affacciano al contesto delle scuole medie diventando i protagonisti del primo atto di una storia che parla di diversità, accettazione, amicizie e primi amori, ma anche di bullismo, famiglie disfunzionali, autolesionismo e disturbi mentali.
Una storia in cui impareranno a conoscersi per come appaiono agli occhi di tutti, ma anche e soprattutto per come loro stessi si sentono dentro: strani.
Genere: Drammatico, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: De-Aging, Kidfic | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 4 – Vorrei che fossi qui

 

Chiusa in camera e seduta davanti al suo specchio, Satèle versò un po' d’alcol sul batuffolo di cotone con cui disinfettò la punta dell’ago da cucito che trapassò il suo lobo destro, dal quale fuoriuscì una goccia di sangue che pulì con un altro batuffolo intinto di acqua ossigenata, la stessa con cui sterilizzò l’orecchino che andò a inserire nel foro che si era creato. Ripeté il procedimento sull’orecchio sinistro e ammirò soddisfatta le sue orecchie che adesso avevano due buchi ciascuna. Alla faccia dei suoi genitori!

Fatto ciò, nascose il kit in un cassetto della scrivania e si buttò sul letto. Come al solito non aveva voglia di studiare, perciò infilò gli auricolari e schiacciò il tasto play del lettore mp3, facendo partire la riproduzione casuale.

Di casuale, però, non c’era niente, perché la canzone appena iniziata, Wish You Were Here di Avril Lavigne, era capitata nel momento giusto: già il titolo non faceva che ricordarle quanto le mancasse Casey.

Perché nonostante avesse trovato degli amici con cui andava d’accordo (soprattutto con Markus), nonostante sapesse di poterli telefonare perché gliel’avevano detto quando le avevano lasciato i loro numeri di cellulare, parlare con loro non sarebbe mai stato come parlare con Casey, perché Casey era il suo gemello, la sua metà; Casey era insostituibile.

Con lui Satèle divideva la stanza nonostante le opposizioni iniziali dei genitori, i quali avrebbero voluto che lei dormisse da femmina a femmina con Coco.

Anche se, visti i caratteri e i gusti diametralmente opposti delle due ragazze, visto il fatto che non riuscivano a resistere senza litigare, Hannah e Brad erano stati i primi a rendersi conto di quanto si sarebbe rivelato fallimentare il tentativo di farle dormire insieme.

Così, Coco aveva ottenuto una stanza tutta per sé, che aveva arredato come voleva, con i mobili e le pareti rosa su cui aveva attaccato poster di Justin Bieber e dei One Direction, mentre Casey e Satèle avevano ottenuto la stanza che lo zio Luke aveva pitturato seguendo le loro indicazioni: tre pareti bianche – la destra dove c’era l’armadio, la centrale dove c’era la scrivania con sopra le mensole piene di CD e biografie di artisti musicali e la sinistra che avevano tappezzato di poster delle loro rock band preferite e disegni fatti da Casey – e una nera, di fronte alla scrivania, contro la quale avevano posizionato i letti.

La stessa stanza che, da quando Casey frequentava l’Hamilton, a Satèle pareva ogni giorno più vuota. Molti degli oggetti di suo fratello erano stati chiusi in una valigia e portati in collegio, a ricordarle di lui era la sua chitarra sul suo letto e la voce di Avril che aveva appena iniziato a cantare.

 

I can be tough, I can be strong
But with you, it's not like that at all
There's a girl that gives a shit
Behind this wall, you just walk through
it

 

Satèle si ritrovò improvvisamente a piangere abbracciata al cuscino. Mai come allora quella canzone le sembrò essere stata scritta apposta per lei, che magari agli occhi degli altri appariva tanto dura e forte quando in realtà bastava che ci fosse Casey al suo fianco e niente

di tutto ciò era più vero.

 

And I remember all those crazy things you said
You left them running through my head
You're always there, you're everywhere
But right now, I wish you were here

 

Ricordava ogni singola parola che Casey le aveva detto, lui era sempre e ovunque nei suoi pensieri, ma non le bastava. Desiderava che fosse lì con lei fisicamente, in quel momento.

 

All those crazy things we did
Didn't think about it, just went with it
You're always there, you're everywhere
But right now, I wish you were here

 

Pensò a tutti i momenti belli e brutti che avevano condiviso, tutte le piccole pazzie che avevano commesso senza pensarci prima, lasciandosi semplicemente trasportare, e tirò fuori la sua voce che accompagnò quella di Avril Lavigne mentre cantava il ritornello.

 

Damn, damn, damn
What I'd do to have you here, here, here
I wish you were here

 

Damn, damn, damn
What I'd do to have you near, near, near
I wish you were here

 

Satèle alzò il volume e continuò a cantare fino alla fine della canzone, nonostante le mancasse il respiro, nonostante sapesse che i suoi genitori la stavano ascoltando, ma non le importava. Non le importava di niente se non poteva avere Casey al suo fianco, nemmeno di Coco che se ne stava ferma davanti alla porta e mimava con il labiale qualcosa che lei non riusciva a sentire per via del volume troppo alto della musica.

“Satèle, parlo con te!”, gridò nuovamente Coco. Sua sorella continuava a ignorarla, allora lei avanzò dritta verso il suo letto e le tolse gli auricolari dalle orecchie.

“Ehi!”, protestò Satèle. “Cosa c’è di tanto importante?”

“La cena è quasi pronta, mamma vuole che apparecchi la tavola.”

“Mmh, okay.” Satèle si stiracchiò e si alzò dal letto. “Una volta tanto potresti anche farlo tu”, borbottò scocciata.

“Cosa?”

“Niente, lascia perdere.”

“Certo che sei diventata ancora più strana da quando Casey se n’è andato”, commentò Coco, intenzionata come sempre a provocarla.

La reazione di Satèle non tardò ad arrivare. Quelle parole – “Casey se n’è andato”, come se il suo gemello fosse addirittura finito – la fecero infuriare. Afferrò Coco per una manica della maglietta e disse: “Prima cosa: Casey è anche tuo fratello, e se gli volessi almeno un po' di bene mancherebbe anche a te. Seconda: ti proibisco di dire “se n’è andato” come se fosse morto! Adesso non è qui, ma tornerà sempre per i fine settimana.”

Coco ridacchiò, snobbandola anziché chiederle scusa. “Muoviti, su!”, si limitò a ordinare prima di uscire dalla stanza.

 

In cucina regnava un silenzio tombale, a spezzarlo di tanto in tanto erano solo i ronfi di Akuma che dormiva acciambellata sul tappeto davanti al lavello.

Hannah e Brad non si parlavano quasi mai a tavola, lavoravano nella stessa azienda e per questo non avevano bisogno di aggiornarsi a vicenda sulle novità. Di solito, dopo cena, loro due andavano in salotto a guardare la televisione, Coco si chiudeva nella sua stanza e Satèle restava in cucina a lavare i piatti. Quella sera, invece, ci fu un’eccezione.

“Ditemi, ragazze, come sta andando a scuola?”, chiese Hannah alle figlie.

Fu Coco a parlare per prima, recitando la parte della figlia modello entusiasta dei nuovi professori, delle nuove materie, dei vecchi compagni e dei nuovi arrivati – ragazzi molto carini e cool.

Non ottenendo alcuna risposta da Satèle, Hannah la sollecitò e lei mugugnò soltanto: “Bene.”

“Tranquilla, è semplicemente depressa perché Casey se n’è andato”, si intromise Coco.

Ecco la goccia che fece traboccare il vaso. Mentre la rabbia si impossessava prepotentemente della sua poca pazienza, Satèle strinse i pugni e li batté sul tavolo, facendo tintinnare le posate e rizzare il pelo della povera Akuma. “BASTA!”, inveì. “FICCATI IN QUELLA CAZZO DI TESTA CHE CASEY NON È MORTO!”

L’aveva fatta grossa? Sì, ma era pronta ad assumersi le conseguenze. Sapeva cosa aspettarsi: i suoi genitori l’avrebbero rimproverata usando termini ancora più pesanti di quelli usati da lei e l’avrebbero messa in castigo fino a nuovo ordine. Niente di diverso dal solito.

Il primo a intervenire fu Brad, che le chiese se fosse necessaria una sfuriata del genere.

“Ma Coco dice solo stronzate!”, protestò Satèle, additando sua sorella.

“Ascolta, signorina, ti conviene abbassare i toni e moderare il linguaggio, altrimenti per te finisce male!” la avvertì lui, lanciandole uno sguardo minatorio che, però, non sortì alcun effetto. Intanto Akuma si era nascosta sotto il tavolo.

Gli occhi inferociti della ragazza divennero due fessure, due fessure ricoperte di una spessa riga di eyeliner che Hannah non tardò a notare. “Ferma qui,” le disse, protraendosi in avanti, allora sì che Satèle cominciò a temere seriamente. Come una stupida aveva dimenticato di lavarsi il viso, in più si era forata le orecchie senza permesso. Se sua madre avesse notato anche gli orecchini, per lei sarebbe stata la fine.

Hannah si sollevò bruscamente dalla sedia e le mollò un ceffone. “Satèle”, gridò, “non dirmi che stamattina sei andata a scuola truccata così!”

“Sì…”

Hannah rimase col braccio sollevato come se volesse colpirla di nuovo, ma non lo fece. “Sei pazza?! Quante volte ti ho detto che sei troppo piccola per metterti tutto questo nero sugli occhi, eh? Dimmi subito chi ti ha insegnato!”

“L’ho visto fare in tivù”, mentì Satèle. Non avrebbe mai tradito la fiducia di sua zia.

“Oh, quindi adesso guardi pure quello che non dovresti guardare? D’accordo, significa che non toccherai il telecomando per una settimana!”

“Sapessi quanto me ne importa…”

Stavolta fu Brad ad alzarsi. “Adesso basta! Satèle, fila subito in camera tua e restaci!” le ordinò, puntando il dito verso la porta.

Satèle lo guardò torva e respinse il piatto. “Vaffanculo!”, sibilò a denti stretti mentre attraversava il corridoio.

“Dio mio, non so più che fare con quella peste!”, si lamentò Hannah, massaggiandosi le tempie come faceva sua madre quando discuteva con Diana negli anni ’90.

 

Satèle aprì la porta della sua stanza e si sdraiò di nuovo sul letto. Non le era andata così male, tutto sommato: era abituata sia alle liti che alle punizioni, e non poter guardare la televisione non era di certo una delle peggiori che le fossero state inflitte; nessuno si era accorto dei suoi nuovi orecchini e aveva anche risparmiato di lavare i piatti.

Però era di nuovo sola.

Recuperò il cellulare e iniziò a scorrere i numeri segnati in rubrica. Escluse a prescindere sia quello di Casey che quello di sua zia pensando che quest’ultima fosse indaffarata, perché lei, a differenza di Hannah, non poteva permettersi di chiedere a una delle figlie di svolgere le faccende domestiche al suo posto. Dia era sterile e di figli non ne aveva proprio.

Poi provò con Markus, ma il suo cellulare risultava irraggiungibile.

A quel punto pensò ad Angel, voleva chiederle se avesse saputo qualcosa in merito ai provini per la squadra di basket. Compose il numero e attese.

 

La foto che Angel teneva in mano raffigurava una donna dai capelli biondi che teneva in braccio una neonata. Quella neonata era lei, la donna invece si chiamava Kathryn e aveva l’aspetto con cui lei l’avrebbe ricordata negli anni a venire.

“Quanto vorrei che fossi qui”, sospirò Angel, ma nessuno era lì per rispondere e la cornice diventava sempre più fredda nelle sue mani.

La suoneria del cellulare scacciò via tutti i pensieri che avevano preso a tormentarla nel momento esatto in cui avvicinò il dispositivo all’orecchio per rispondere.

“Pronto?”

“Angel, sono io.”

“Oh, Satèle, ciao! Come va?”

“Benino…”

“È successo qualcosa?”

“Solite liti in famiglia.”

“C’entra Coco?”

“Ovvio! È lei che le scatena!”

“Caspita! Permettimi di dire che tua sorella è proprio una vipera.”

“Eccome se lo è! A te, invece, come va?”

“Tutto okay…”

“Sicura? Dalla tua voce non sembrerebbe.”

“Sono solo un po' sovrappensiero, tutto qui. Nulla di cui preoccuparsi.”

“Capisco. Comunque sia, hai saputo novità sui provini?”

“Sì. Indovina un po'? Si terranno agli inizi di novembre!”

“Addirittura! Perché così tardi?”

“A quanto pare i vecchi componenti della squadra sono rimasti senza allenatore, perciò non solo devono aspettare che ne arrivi un altro, ma devono anche rifare il provino per essere riconfermati da quello nuovo. Giustamente hanno la precedenza rispetto agli aspiranti.”

“Capito. Be’, guarda il lato positivo: hai più tempo per prepararti”, notò Satèle.

“Giusto”, rispose Angel. “A proposito, Sat, parlando di questo mi sono ricordata di qualcosa che invece potrebbe interessare te. Ho scoperto che la nostra scuola ha anche un glee club, e le audizioni sono già iniziate. Sapendo che ti piace cantare ho pensato di dirtelo.”

Satèle sorrise. “Sei stata gentilissima, grazie… ma non penso che andrò a tentare. È già tanto che i miei permettano a mia zia di pagarmi le lezioni private.”

“Ma a scuola è gratis.”

“Lo so, infatti il problema non sono i soldi. Diciamo che i miei non appoggiano questa passione, per questo è mia zia a pagarmi le lezioni. Se sapessero che, oltre ad andare dall’insegnate privata, canto anche con il glee club della scuola, mi vieterebbero entrambe le cose per ripicca”, spiegò.

“Oh”, fece Angel, “è davvero un peccato. Tu hai una voce stupenda, saresti un ottimo acquisto per il gruppo.”

“Ah, mi lusinghi troppo! Comunque anch’io sono ansiosa di vederti giocare a basket.”

“Aspetta fino a novembre!”, rise Angel. Non ebbe modo di sentire la risposta di Satèle perché nel frattempo Shane l’aveva chiamata dalla cucina per dirle che la cena era pronta, quindi la salutò con la promessa che si sarebbero viste l’indomani a scuola.

Satèle riagganciò e subito ricevette un’altra chiamata, stavolta da Markus.

Non seppe spiegarsi perché, ma si sentì arrossire appena lesse il suo numero sullo schermo prima di rispondere.

“Ehi, mi fa piacere sentirti!”, esordì lui con la sua solita voce un po' rauca, che Satèle trovava però carinissima. “Ho notato una tua chiamata persa. Scusa se non ho risposto, avevo il cellulare spento perché era in carica.”

“Non preoccuparti”, lo tranquillizzò lei. “Che stai facendo?”

“Sono sul letto, prima stavo leggendo ma mi sono fermato un po' perché mi bruciano gli occhi. Tu, invece?”

“Ho appena finito di parlare con Angel.”

“Capisco. Che mi dici, tutto okay?”

Satèle ci rifletté su e rispose con un’altra domanda. “Markus, posso chiederti una cosa?”

“Certo.”

“Ti è mai capitato di sentirti come se la tua vita avesse preso un risvolto del tutto inaspettato a causa di una persona a te molto vicina?”

Markus si sentì sbiancare. La ragazza dagli occhi di ghiaccio dentro cui aveva promesso di leggere stava provando a leggere lui, che avrebbe voluto urlare sì con tutta la rabbia che aveva represso per quattro lunghi e dolorosissimi anni, partendo da quel maledetto 2007 in cui quel verme dalle mani pesanti aveva rubato la sua infanzia con freddezza, insegnandogli a trattenere le lacrime davanti al dolore e davanti ai poliziotti che un giorno bussarono alla porta con un paio di manette, davanti ai documenti in tribunale, davanti a una sedia vuota.

Ricordò tutto, tacque a lungo. Fece un respiro profondo prima di rispondere: “Sì, so come ci si sente.”

 

   
 
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