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Autore: Dorabella27    18/09/2021    9 recensioni
"Torniamo al passato, e sarà per tutti un progresso", disse qualcuno una volta. Archiviato il tono umbratile e malinconico della mia ultima ff, che, a dispetto del titolo, proiettava i personaggi di Madame Ikeda nel futuro, addirittura in età napoleonica, torniamo ora in pieno Ancien Régime. Nelle righe iniziali, il Generale comunica a Oscar e André che a palazzo Jarjayes arriverà un ospite molto, molto noto, e molto particolare. Dedicata a tutti gli amanti della musica - del XVIII secolo, e non solo -, e a tutti coloro che, qualche volta, hanno trovato un po' di ristoro e, perché no, di consolazione, nelle sette note.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, André Grandier, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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2 - Arriva l’ospite
 
        Farsi prendere le misure dalla sarta e dalle sue lavoranti non era mai piacevole, per Oscar, che provava un istintivo fastidio nel farsi toccare da mani che non fossero quelle di Nanny, quando le spazzolava i capelli, o di André, quando giocavano alla lotta o si spintonavano.
 
        Naturalmente, il Generale non aveva ritenuto opportuno dettagliare a un servitore undicenne e alla figlia di un anno più giovane che genere di vestiti avesse concordato di fare realizzare; Oscar, molto meno docile e paziente di André, aveva resistito per pochi minuti e poi, dopo essersi fatta prendere le misure, si era ritirata senza dire una parola, e adesso aspettava, seduta sull'ultimo gradino dello scalone d'onore. André, invece, con la sua aria dolce e tranquilla, ben diversa dalla maschera immota di Oscar, autentico cherubino dall'espressione freddamente impenetrabile, suscitava l'ammirazione delle lavoranti: "Oh! Quel bel enfant! Quels yeux verts! Ce sont absolument magnifiques!". Oscar ascoltava, picchiettando rimicamente il piede destro sul gradino e reggendosi il mento con la mano, le voci provenienti dal piano di sopra, dalla camera della sorella Clothilde, dove la sarta aveva piazzato il suo quartier generale momentaneo.
 
"Avete finito?", gli aveva chiesto, senza girarsi, quando aveva sentito i suoi passi scendere i gradini dietro le sue spalle.
 
"Sì, Oscar".
 
        Mentre si avviavano verso le scuderie, ad André venne spontaneo, fregandosi un dito sotto il naso, dire, ridacchiando: "Pensa se fra una settimana ti recapitassero un bel vestito rosa, con tanto di sottogonna e panier!"
 
"André, non dire sciocchezze!"
 
"Tua sorella Sylvie,,,"
 
"Mia sorella Sylvie non è l'erede del casato, André. Adesso vieni: devo farti vedere il nuovo puledro di mio padre".
 
        Ogni tanto,  - e sapeva quanto inutilmente, ma non poteva resistere - , André provava ancora a provocare Oscar su quell'argomento, ma sempre Oscar rispondeva con il quieto sdegno di chi sa che non mette conto nemmeno prender fuoco contro certe enormità, palesemente impossibili e irrealizzabili. Eppure, André, ogni tanto, si chiedeva, vedendo di scorcio Clothilde, e Sylvie, le due sorelle di Oscar ancora residenti a palazzo Jarjayes, come sarebbe stata la sua Oscar vestita, pettinata, acconciata come loro ... ingabbiata come loro nel guardinfante, nella crinolina e in quei corsetti  scomodissimi, con il rosso sulle guance e le forcine nei capelli ... ma era solo un momento, perché, in coscienza, riteneva Oscar bellissima così com'era, e quando la vedeva, durante la lezione di violino, così concentrata, con i ciuffi biondi che sobbalzavano in corrispondenza degli scatti della testa e delle spalle, e i polpacci snelli e le caviglie sottilli nelle stesse calze bianche che portava lui, sentiva che non avrebbe potuto essere più bella, più viva, più Oscar di così; anche se, ovviamente, non si prendeva mai la briga di dirglielo.
 
        Meno di una settimana dopo, la sarta ritornò a Palazzo Jarjayes con due lavoranti per consegnare gli abiti finiti e per una prova, dopo la quale si era concordato che avrebbe apportato gli eventuali ritocchi e le modifiche opportune. Madame de Lubin era però una artigiana impeccabile, e, a parte l'inserzione delle maniche dell'abito della contessa Marguerite e il colore del fiocco di raso sulla scollatura di Clothilde ("Non rosso sangue di bue, maman, io lo preferirei rosso India"), le restanti creazioni erano perfette.
 
        Oscar e André andarono così, a mostrarsi al Generale vestiti dei loro abiti da cerimonina, identici, sed non per il colore, in velluto di seta verde smeraldo quello di André, e dello stesso tessuto, ma color fiordaliso quello di Oscar. Il Generale li aspettava seduto nella sua poltrona preferita in biblioteca: chiuse il libro di Vegezio con un colpo secco e, senza modificare di un millimetro la rigida postura, con le gambe elegantemente accavallate, squadrò i due bambini con un'occhiata attenta che li percorse tutti, da capo a piedi".
 
"Benissimo. Devo dire, che l'idea della contessa Marguerite di due abiti della stessa tonalità dei vostri occhi è stata molto elegante ed appropriata. Ora, Nanny", disse, posando di nuovo gli occhi sul libro che aveva riaperto, "fa' togliere loro i vestiti da cerimonia e conducili alla lezione di matematica".
 
        "Sì, signor Generale", rispose, ossequiosa, Nanny, toccando lievemente sulla spalla il nipote e madamigella Oscar e sospingendoli con delicatezza verso la porta, ché il Generale odiava aver gente attorno per un attimo in più del necessario quando riusciva a ritirarsi in beata solitudine in biblioteca a leggere i suoi amati autori latini. Ormai Nanny si sorprendeva sempre più spesso a chiedersi, incredula, se davvero quell'uomo imperioso e dalla linea della bocca dura e rigida, che sembrava non conoscere mai il sorriso, fosse lo stesso bambino che aveva svezzato e cui aveva fatto il bagno, e che aveva coccolato e consolato quando piangeva disperato perché la madre pretendeva che si avvezzasse a dormire al buio.
 
        "Ah, un attimo solo: Oscar, torna qui!". André non osò nemmeno varcare nuovamente la soglia della stanza che aveva appena superato, ma si fermò, un passo indietro, per osservare la sua amica che era subito rientrata in biblioteca e che ora era ritta davanti al Generale.
"Eccomi, padre. Che cosa desiderate?".
 
"Stavo dimenticando una cosa molto importante". Il Generale si alzò, e da una custodia in cuoio rosso percorsa da borchie di argento, che stava sul tavolino intarsiato accanto alla poltrona, trasse una spilla con una pietra azzura di forma ovale, splendidamente rilucente, circondata da un motivo di decorazioni dorate appuntite, simili a petali di una margherita metallica.
 
"Ecco, Oscar: questa acquamarina, dono di re Enrico IV al tuo antenato, primo conte Jarjayes, appartiene da oltre un secolo e mezzo alla nostra famiglia. Mio padre la diede a me, e io la consegno a te: tu la indosserai sempre sulla tua uniforme, quando sarai comandante delle guardie reali, e la indosserai quando il signor Farinelli sarà nostro ospite su questo abito da cerimonia"; e così dicendo gliela appuntò sul petto, chinandosi su di lei con una insolita delicatezza, e dall'espressione del Generale, che André ricavava dal suo profilo, da cui non riusciva a staccare gli occhi, trapelava una strana commozione.
 
         Oscar, da parte sua, era raggiante: quella, per lei, era una autentica investitura.
 
        E André non poteva che ammirare il suo sorriso perfetto, e sospirare.
 
 
 
 
 
 
        E, finalmente, l'ospite di riguardò arrivò. Dalla carrozza, proveniente da Versailles, scese un uomo di circa sessant'anni, diritto, magro, elegante nella sua marsina damascata nelle sfumature dell'oro e dell'argento, le mani lunghe, lisce e delicate e un sorriso malinconico e buono sul bel volto glabro. A dargli il benvenuto, nell'ampio ingresso ai piedi dello scalone d'onore, la famiglia Jarjayes al completo, comprese le sorelle maritate con i loro consorti e i figli, due anziane cugine della contessa Marguerite, alcuni parenti alla lontana, il cappellano e l'amministratore con la moglie, e poi il generale Bouillet con la moglie, l'anziana suocera, la sorella zitella, il figlio e la nuora, e, due passi indietro, tutta la servitù.
 
        Il Generale, affiancato dalla contessa consorte, accolse l'ospite di riguardo, che, appena sceso dalla carrozza, si tolse il tricorno piumato in segno di rispetto per il padrone di casa, e se lo mise sotto al braccio, con la grazia consumata di chi era abituato a muoversi dentro costumi e a maneggiare apparati teatrali ben più complicati. Poi il Generale presentò i suoi familiari al signor Farinelli, che a tutti espresse un saluto e un apprezzamento, con un grazioso cenno del capo frutto di decenni di consumata arte scenica. Alla fine, il Generale indicò i due bambini che erano rimasti, silenziosi, accanto alla contessa Marguerite, e glieli presentò con un cenno della mano, aperta nella loro direzione: "Ed infine, Signor Farinelli, Vi presento il mio erede, Oscar François, e il giovane André Grandier".
 
        Di fronte a quei due bambini di una bellezza così rara e imprevista, uno incantevole nel suo vestito da cerimonia di velluto verde, un bambino dall'espressione quieta e matura che prometteva di diventare uno splendido uomo; un uomo alto, possente, bruno e dagli occhi di smeraldo come già era; un uomo che avrebbe indossato magnificamente la divisa di alto ufficiale; e l'altro, certo il suo giovane attendente, slanciato, efebico e biondissimo, con un che di femmineo, dagli occhi color fiordaliso, in un abito della stessa sfumatura delle sue iridi, che avrebbe potuto esser il paggio d'onore di una regina delle favole, Farinelli si intenerì; e allora pensò che il giovane erede Jarjayes, così bello e già così virile, e di cui gli era stato fra l'altro magnificato il talento musicale, meritasse un inchino come quello che riservava a re Filippo nelle sue giornate migliori.
 
        Dunque, con un largo gesto, ed esibendosi nella migliore delle sue riverenze, Farinelli disse: "Onoratissimo di fare la vostra conoscenza, signor contino de Jarjayes", e si inchinò davanti ad André. Un silenzio imbarazzato calò sulla famiglia e sulla servitù; Farinelli si rese conto, rialzandosi, che oltre quaranta paia di occhi lo fissavano sbigottiti. Allarmato, si guardò intorno, e intercettò lo sguardo azzurrissimo del bambino biondo, che, sorridendo con grazia inimitabile, sciolse il gelo del momento dicendogli, la vocina morbida e dolcissima: "Non avete sbagliato di molto, Monsieur Farinelli: in fondo, anche lui è un po' Oscar!"; e, detto questo, si inchinò.
 
        Una leggera risata, quasi civettuola, dell'ospite, e un sorriso tirato del Generale, seguito immediatamente dalla contessa e da Clothilde, stemperarono definitivamente l'incidente; ma ancora, mentre il Generale guidava Farinelli verso la sala da musica, dove si sarebbe esibito dopo la cena, il cantante, affiancato dai due bambini, osservava, con la coda dell'occhio, Oscar che camminava alla sua destra, domandandosi come potesse essere accaduto che un uomo d'armi, un Generale avesse potuto fare questo al figlio, riservandogli la stessa sorte che più di cinquant'anni prima la sua famiglia aveva disposto per lui: desiderio di garantirgli una carriera musicale sfolgorante, forte delle aderenze e delle relazioni della famiglia Jarjayes? Oppure, era il caso di un talento così spiccato che, nella valutazione del signor Generale, valeva la pena sacrificargli la felicità del figlio, e la sua discendenza, facendolo inerpicare per una strada impervia, funestata dalle insidie delle invidie e delle inimicizie artistiche, dai complotti meschini e terribili della gente di teatro?
 
        Farinelli avrebbe voluto prendere da parte quel bambino, e dirgli quello che avrebbe sempre voluto che qualcuno dicesse a lui quando aveva cominciato a rendersi conto della sua disgrazia ... ma come poteva? Scacciò il pensiero, scuotendo la testa: adesso doveva pensare a restare concentrato per l'esibizione della sera.
 
        Poi, ancora, nella sua camera, che pena gli faceva, quel povero contino Oscar, così bello e così efebico, dalle guance tenere e delicate come quelle di una bambina, avviato a diventare un cantante lirico, fors'anche di successo, e destinato a vestire, a trent'anni, i panni di Arianna o di Cleopatra, mentre il suo amico André sarebbe diventato un uomo, un uomo dalle spalle ampie e dalla voce profonda, che avrebbe avuto una moglie, una famiglia, dei figli...non come lui...."Adesso basta con questi pensieri!", si impose, davanti allo specchio, e si annodò il fazzoletto da collo nella foggia più elegante che conoscesse.
 
(Fan art “Dopo la lezione di musica” per gentile concessione di Elektra Betty Tempest)
 
   
 
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