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Autore: IwonLyme    19/09/2021    0 recensioni
Avel Domar ha un solo obiettivo: diventare una persona qualunque. Tuttavia, cresciuto dallo zio a seguito dell'abbandono della madre, si trova davanti una società intollerante e poco disposta a dimenticare le sue origini atipiche.
Munito di poche e collaudate regole, Avel cerca di superare l'ultimo anno di Liceo destreggiandosi tra le aspettative del suo insegnante che lo vorrebbe futuro membro del Cerchio. Gli resta, però, ancora un ostacolo e cioè l'Ultima Separazione, dove si viene esaminati per scoprire se si possegga o meno il Vuoto. Come potrebbe mai qualcuno senza origini come Avel avere quell'oscuro potere?
ULTAR - Il Cerchio è un racconto ambientato in una società fantastica dove le persone posseggono il potere di controllare il Vuoto della materia. La storia è narrata proprio da Avel Domar che si troverà ad affrontare tutte le difficoltà di un inaspettato neofito.
Genere: Azione, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3 - L'Ultima Separazione
 
Il giorno del Test piombò sui diciassettenni del Liceo Est alla periferia di Numalia così come ci si aspetterebbe dall’evento più eccezionale delle loro vite di Marginati. La Commissione del Cerchio si presentò alla scuola alle otto del mattino a bordo di nere auto lucide. Si riunì nella sala, che io ed i miei compagni avevamo predisposto, intenti ad organizzare il Test. Gli studenti avevano l’ordine di presentarsi nelle aule prima delle nove e mezza del mattino, orario in cui avrebbe avuto inizio l’Ultima Separazione. I professori erano stati molto chiari: non doveva esserci alcun tipo di errore, la reputazione dell’intera scuola era in gioco.
Era così in ogni situazione ufficiale che il Cerchio teneva. Sebbene vi fossero sparsi membri dell’Organizzazione un po’ ovunque, dediti al mantenimento dell’ordine quotidiano in ogni angolo di Ultar, non appena si parlava di Ufficiali tutti impazzivano. Solo i migliori tra la Gente del Vuoto potevano aspirare ad alte cariche e questo si rifletteva nel rispetto che la popolazione aveva per ognuno di loro.
L’Ultima Separazione, a differenza delle precedenti, vedeva la presenza del Sovrintendente dell’Accademia di Numalia. Essendo obbligatoria per ogni abitante di Ultar, qualsiasi fosse il suo legame con il Vuoto, la rendeva l’occasione perfetta per ostentare tutta l’importanza e la disciplina dei Numerati, gli Agenti racchiusi nel Cerchio.
Quella mattina non fu diversa dalle altre che trascorsi nella Periferia Est di Numalia. Sulla strada verso il Liceo trovai Kemar, e, così come avveniva in alcune sfortunate giornate, camminammo fino al cancello dell’edificio scolastico insieme. Eravamo in un rincuorante anticipo, quel tanto da permetterci una leggera attesa nelle aule preparate per noi.
– Vedremo i baffetti di Valio vibrare tutto il giorno oggi. – Ridacchiò Kemar pensando al professore agitato ed affannato per fare bella figura con quelli del Cerchio. Notai dal confronto tra Kemar e me che io ero un poco agitato. Era strano, ma la tensione era cresciuta d’improvviso sulla strada verso la scuola. – Non vedo l’ora che tutto questo sia finito, almeno poi potremo pensare al diploma.
– Non sei un po’ curioso di sapere in cosa consista il Test? – Domandai. In quei giorni mi ero ritrovato a fare qualche ipotesi, ma in maniera sommaria, come prima di fare una visita medica.
– Non molto. Perché tu sei agitato?
Non risposi, pareva assurdo anche a me fosse così. – Ho sentito dire che dieci anni fa è stato registrato un Rientrato qui al Liceo Est.
– Ho sentito anche io, ma mia madre non si ricorda minimamente della cosa. Credo sia una frottola bella e buona. – Rispose Kemar. – Chissà, magari il nostro Calz spezzerà la sfortunata catena nefasta del nostro Liceo!
– Credo sia l’unico ad avere qualche speranza. – Sospirai.
– Tanta fatica per nulla, credo io. – Borbottò Kemar.
Accompagnati da queste semplici chiacchiere, arrivammo alla scuola. Fuori dall’ingresso erano sistemate due auto nere. Il cancello era aperto e si vedevano almeno altre tre autovetture nel cortile della scuola, ripulito e sistemato da alcuni alunni di un’altra sezione. Davanti all’entrata trovammo due Numerati stretti nella loro scura divisa che accompagnavano uno dei professori del nostro Liceo. – Recatevi nell’aula adibita durante le preparazioni e prendete posto. Verrete chiamati in ordine alfabetico. – Ripeteva meccanicamente il docente. Era teso e cercava di scandire con precisione le parole terrorizzato dall’impappinarsi.
Seguimmo la massa. Con disciplina gli studenti si posizionavano nell’aula sistemata per la loro classe. Kemar fu raggiunto da alcuni suoi amici e ci separammo per un tratto arrivando comunque a destinazione più o meno nello stesso momento. Ogni alunno doveva prendere posto su una sedia che portava il suo nome. Tutte le sedute erano già state sistemate in ordine alfabetico, schierate in alcune file al centro dell’aula, così da rendere l’appello molto più veloce ed ordinato.
L’aula preparata per la mia classe era la prima del lungo corridoio. Vi entrai. Avel Domar era seduto accanto a Hud Calz con i suoi capelli castani tirati indietro con del gel, già rigidamente in attesa del suo turno. L’agitazione tendeva ogni muscolo del suo viso in una seria espressione di riflessione. Aveva molto in gioco, tutte le aspettative della sua famiglia dipendevano dal risultato di quel giorno. Lui era il più preoccupato di tutta la nostra classe.
– Sei arrivato presto? – Domandai. Forse, se avesse parlato un po’, si sarebbe sciolto.
– Sto cercando di concentrarmi, Domar, lasciami stare. – Rispose acidamente.
– Sai da quale classe cominceranno? – Chiesi. Sicuramente lui sarebbe stato informato in merito.
– Ho sentito inizieranno dalla nostra. – Sillabò lasciandosi sfuggire tutta la sua ansia. Mi limitai a pensare Lida sarebbe stata felice di tornare a casa presto e non disturbai oltre Hud Calz. Lo lasciai attendere in silenzio fino al momento fosse pronunciato il suo nome, poco prima del mio.
Osservai l’ingresso rigoroso e controllato del resto dei miei compagni. Tutti avevano, chi più chi meno, una stretta a occludergli la gola. Le divise, così come le loro chiome, non erano mai state così ordinate. La soggezione: ecco cosa spingeva tutti a quel comportamento esemplare.
Nel giro di pochi minuti la classe fu al completo. Nessuno era in ritardo. Alle nove e mezza il Cerchio avrebbe potuto cominciare.
Rivolsi un debole sguardo a Kemar che fingeva di essersi appisolato sulla sedia per far ridere alcuni suoi amici. A lui importava ben poco del Test, ma così non era per la maggior parte degli alunni raccolti lì. In tutta la scuola vi era un denso silenzio, la stessa tensione precedente alla consegna di un esame, prima della scoperta di un voto, prima di sapere se qualcuno avrebbe passato la Separazione.
Lentamente l’agitazione riuscì ad insinuarsi maggiormente dentro di me. L’aria che si respirava insieme alla presenza di Numerati all’ingresso, alle istruzioni rigide, al silenzio … tutti quei dettagli riuscirono a mettermi in subbuglio lo stomaco. Cominciai ad avvertire l’unicità di quell’evento insieme alla serietà richiesta ad ognuno di noi nello svolgere il Test. Non era un semplice esame, era un tassello fondamentale di Ultar e noi eravamo chiamati a prendervi parte come persone di quella Società. Non eravamo più bambini, da quel giorno saremmo stati valutati per quello che potevamo dare, Ultar lì a raccogliere gli esiti del proprio investimento.
Furono i passi dal corridoio a farmi stringere le dita tra loro ed iniziare a sudare freddo. Eravamo la prima classe che avrebbe affrontato l’Ultima Separazione. Avrebbero cominciato proprio da noi e non avremmo avuto nemmeno un minuto per rilassarci. Erano gli stivali di Numerati quelli che si muovevano sulle piastrelle del Liceo Est.
La porta dell’aula permise l’ingresso di tre uomini. Due Numerati indossavano le divise scure tipiche dell’Organizzazione composte da una giacca lunga fino alle ginocchia con bordature argentate. Sotto di essa, una maglia in cotone nera arrivava a girargli intorno al collo. Le gambe erano strette in pantaloni affusolati, perfettamente stirati.
Il terzo uomo, invece, era chiaramente un Ufficiale. Aveva una divisa simile, ma la sua giacca era grigia, non nera, con bordature scure e sul capo portava un cappello con visiera di un rosso folgorante. Appuntato al centro del cappello c’era un medaglione sul quale non riuscii a leggervi nulla dal mio posto. Tutto ciò che notai sbucare da sotto il suo cappello era il suo algido viso, con un’espressione raggelante e due occhi ferocemente azzurri.
L’Ufficiale si sistemò dietro la cattedra e i due Numerati ai suoi lati, vicini alla lavagna. Si preparava a fornirci tutte le istruzioni necessarie.
– Buongiorno, studenti del Liceo Est di Numalia, io sono Lucar Moravis, Sovrintendente dell’Accademia di Numalia. Sarò io a tenere le vostre interviste prima del Test. – Si presentò con voce risoluta. – Provvederò ad illustrarvi brevemente le regole che dovranno essere rispettate durante lo svolgimento dell’Esame. Qualsiasi trasgressione verrà severamente punita, dunque pretendo da voi la massima serietà in merito. Questa è un’operazione di Ultar e come tale dovrete trattarla.
Si mosse leggermente più avanti facendoci trattenere il fiato. – Il Test si svolgerà in questo modo. Per prima cosa verrete chiamati dagli Agenti alle mie spalle. Uno alla volta verrete condotti nell’aula dove si terrà un breve colloquio. Vi porrò alcune domande. Non vi è consentito mentire e, qualora lo facciate, ne pagherete tutte le conseguenze. – Si portò una mano dietro la schiena. – A seguito di questo verrete condotti nella stanza del Test vero e proprio. Lì incontrerete l’Esaminatore. Sarà lui a fornirvi direttamente il resto delle indicazioni.
– La spiegazione della Separazione sarà molto semplice. Nel caso il Test sarà da ritenersi superato noi ne saremo consapevoli. Siamo noi a decidere se l’esame abbia esito positivo o negativo, è impossibile per voi fingere o imbrogliare. Questo deve esservi molto chiaro. Non vi saranno contestazioni di alcun tipo in merito né molteplici tentativi. – Avvisò come se fosse abituato a fastidiosi piagnistei.
– Quello che potrebbe succedere durante il Test si divide in due opzioni. – Continuò sollevando due dita. Aveva le mani avvolte da guanti scuri. – La prima opzione è che non vi succeda nulla. Entrerete nella stanza del Test e uscirete da essa senza che abbiate percepito alcunché di strano. La seconda opzione è che percepiate qualcosa. Qualsiasi cosa sentirete o percepirete è estremamente importante voi non la condividiate con nessuno. Quello che proverete durante il Test è per voi soli.
– Nel caso qualcuno superasse la Separazione vi sarà spiegato il seguito. Detto questo, con ordine, possiamo cominciare. – Concluse. Non fu dato il permesso di fare alcuna domanda. Il Sovrintendente prese la porta senza perdere altro tempo. Ci lasciò avvolti da una nube di gelido terrore. Nessuno sarebbe volentieri andato per primo a parlare con quell’uomo, ma la capolista veniva già individuata dai suoi sottoposti.
Uno dei due Numerati si fece avanti. Sulla cattedra era stato posto il registro della classe. Lo aprì. – Alai Dana, lei sarà la prima. La prego di alzarsi. Uno di noi la scorterà dal Sovrintendente. – Dana, tesa come una corda, si sollevò dalla sedia.
La fecero attendere solo alcuni istanti e quindi il secondo Numerato si fece avanti. – Prego, mi segua. – Ordinò. La prima di noi uscì marciando rigidamente dietro all’Agente del Cerchio.
Lo svolgersi del Test, che a parole poteva sembrare lungo e dispersivo, si concludeva in pochi istanti. Nel giro di cinque minuti veniva chiamato lo studente successivo. Uno dopo l’altro i componenti della classe sostennero il Test e lo fallirono. Questo poté abbassare la mia ansia, ma aumentò di contrappeso quella del mio vicino di sedia. Quando chiamarono la persona prima di Hud Calz, la sua tensione schizzò alle stelle. Stringeva tra loro le mani e si tormentava il labbro ragionando su qualcosa che io non potevo comprendere. Di certo, avendo già sostenuto per due volte quella prova, aveva molto su cui riflettere.
Arrivò il suo turno e Hud Calz, consapevole quella fosse la sua ultima possibilità per riuscire, si alzò dalla sedia. Si sistemò composto, con la sua divisa in ordine e perfettamente pulita, i suoi capelli ben acconciati e il suo rotondo viso in attesa degli ordini. Aveva determinazione mista a paura negli occhi. Seguì rigidamente il Numerato verso il proprio destino quando questo gliene diede il permesso.
La visione di Calz così agitato mi turbò. L’attesa divenne snervante. Sentivo lo stomaco contorcersi all’idea avrebbero pronunciato il mio nome dopo il suo. Mi tirai più dritto sulla sedia cercando di tornare calmo. L’ostacolo più grande ai miei occhi era l’incontro con il Sovrintendente, quello che avrebbe detto trovandosi davanti il mio modulo compilato a metà.
Quando venni chiamato dubitai di riuscire a reggermi in piedi. Una volta sollevatomi dalla sedia, però, mi trovai stranamente lucido. Subentrò uno spirito di sopravvivenza che non sapevo di possedere. Ritrovai il sangue freddo. Fui pronto ad affrontare il Test.
– Prego, Avel Domar, da questa parte. – Indicò il Numerato che dovevo seguire fuori dall’aula. Camminai, un metro dietro i suoi stivali lucidi, fino alla classe che io e gli altri avevamo sistemato. – Prego. – Mi fece cenno di entrare.
– Grazie. – Risposi.
Non appena superai la porta la voce di Lucar Moravis mi istruì: – Si sistemi sul simbolo disegnato sul pavimento.
A terra, tracciato al centro del ferro di cavallo formato dai tavoli, c’era un cerchio di colore nero. Dovevano averlo disegnato i Numerati, dato che il giorno prima non c’era. Il Sovrintendente era seduto al banco esattamente davanti a quel simbolo. Titubante mi sistemai nel cerchio in attesa delle domande che il Numerato mi avrebbe rivolto. Non tardarono ad arrivare.
– Lei è Avel Domar?
– Sì, signore. – Replicai. Certo la condizione in cui venivi messo era ben intimidatoria: da solo, con i piedi dentro un dannatissimo cerchio e davanti un importante Ufficiale del Cerchio intento ad interrogarti. Dubitavo vi fosse un diciassettenne in grado di mentire apertamente in quella situazione. Io faticavo perfino a parlare a voce alta.
– A quanto vedo è lo studente con il miglior punteggio dell’ultimo anno. – Commentò l’uomo. Aveva poggiato il suo capello rosso accanto a sé rivelando dei brillanti capelli biondi. I suoi occhi azzurri erano assorti nelle lettere dei fogli che consultava. La testa la teneva stancamente appoggiata alla mano sinistra avvolta ancora nei guanti neri. – Desidera fare domanda per le selezioni del Cerchio? – Chiese sollevando il suo sguardo su di me. Non mi aveva guardato, non fino a quel momento e nulla della mia persona parve destare stupore in lui. Mi osservava come fossi uno qualunque e questo non poté che incuriosirmi.
– No, signore. – Replicai sinteticamente. La mia lingua era diventata secca d’improvviso.
– Capisco. – Disse debolmente l’Ufficiale. Sollevò ancora qualche carta. – Vedo che non conosce l’identità di suo padre, è corretto?
– Corretto.
– Mentre sua madre risulta … deceduta. – Aggiunse senza l’ombra del minimo tatto.
– Mio zio ha chiesto venisse dichiarata morta dato che nessuno ha sue notizie da quindici anni. – Spiegai. Non desideravo che l’imprecisione in merito venisse interpretata come una bugia.
– Vedo che la famiglia di sua madre è estranea al Vuoto. – Commentò l’ufficiale proseguendo senza scomporsi. Sospirò. – Immagino che, viste le circostanze di sua madre, non si possa sapere nulla riguardo all’altro ramo della sua famiglia.
– Io credo …
– D’accordo. È tutto. – Mi interruppe. – Può procedere al Test. Esca, un Numerato la guiderà nell’aula per la Separazione.
Avevamo già finito? Sembrava mi fossi preoccupato per nulla. – Grazie, Sovrintendente. – Dissi pronto a uscire dalla classe.
– Avel Domar. – Mi fermò Moravis. Mi voltai nuovamente verso di lui. – È mio compito correggere i comportamenti sbagliati. Non credo di aver detto qualcosa per cui lei debba ringraziarmi. – L’Ufficiale si raddrizzò sulla sedia sollevando la testa e richiudendo il fascicolo davanti a sé. – Detto questo, spero di averla corretta. Può andare.
Senza avere il coraggio di dire alcunché davanti al suo fastidio, mi portai fuori dall’aula. – Prego, di qua. – Mi invitò un altro Numerato all’esterno. – Non sia agitato, sarà solo questione di qualche attimo. – Mi confortò, ma dopo le parole scambiate con Moravis ero troppo teso anche solo per sillabare un consenso. Certo il Sovrintendente non era riuscito per niente a mettermi a mio agio, era sciocco illudersi quello fosse il suo scopo.
Con la mente piena di quell’ultima scena mi ritrovai davanti alla porta del Test. Il Numerato la spalancò e mi fece cenno di procedere all’interno. Seguii le sue indicazioni.
– Avel Domar? – Domandò un ennesimo Agente in piedi nell’aula. La stanza era completamente vuota, erano stati tolti banchi e sedie. Perfino le mensole e gli armadi erano stati svitati e portati fuori. Dentro l’aula del Test c’era solo un Numerato dalla divisa grigia, senza cappello, circondato da finestre chiuse con le persiane serrate.
– Sì. – Mormorai confermando il mio nome.
– Non avere alcun timore. Tutto finirà molto velocemente. – Mi rassicurò il secondo Ufficiale incontrato quella mattina. Era un uomo di mezza età dai lunghi capelli scuri e un poco spettinati. Aveva un viso gentile, ma nel petto mi parve come di percepire non avesse buone intenzioni. Mi sentivo minacciato da lui, il perché stentavo a comprenderlo. Ero bombardato da tante emozioni. Non ero in grado di decifrarne con precisione nemmeno una.
– Ora procederò a darti le istruzioni. Per qualsiasi perplessità chiedi pure. – Iniziò. – Questo è quello che farò: mi scoprirò il braccio e conterò fino a tre. Quando lo coprirò nuovamente il Test sarà concluso. Tutto chiaro?
– Chiaro, signore. – Replicai deglutendo un poco di saliva. A quella conferma la porta fu chiusa e serrata dall’esterno con un sinistro scatto. Ero intrappolato lì dentro.
– Allora posso cominciare. – Espose subito dopo l’Esaminatore. Tutto era così veloce tanto da non permettermi di realizzare alcunché.
Slacciò il polsino della giacca che portava. La sollevò fino al gomito e poi, proprio prima che mostrasse il braccio, tutto intorno a me divenne buio. Cosa stava succedendo?
– Uno. – Udii spargersi nell’oscurità. La voce dell’Esaminatore si diffuse nello spazio e mi parve di vederne la forma. Fu solo per qualche istante. Quella si spense quasi immediatamente, divenne lontana. Al suo posto, però, prese vita un latrato spaventoso che riempì il più denso silenzio avessi mai udito occludermi le orecchie. Un ringhio intenso, una minaccia, qualcosa voleva farmi del male. Mi sentivo sotto attacco e non potevo che guardarmi attorno sperando di scorgere qualcosa nell’intenso buio che mi circondava da ogni parte.
Il ringhio prese ad abbaiare. Il terribile verso cercava di pronunciare qualcosa, ma non poteva che produrre suoni sconnessi. Non era in grado di articolare nella lingua di un uomo. Era chiaro che quello che sentivo non aveva origine umana.
Una violenta luce mi accecò improvvisamente. Un giallo pallido tanto famigliare da farmi tremare lo stomaco. Una verde coperta si sollevò sopra di me, mi sommerse. Mi tirai indietro, chiusi gli occhi davanti a quella vista. Era il mio ricordo più caro, il più bello e l’unico che possedessi di mia madre. Era qualcosa che per me aveva quasi una valenza sacra e, insieme a quel demoniaco suono, non potevo che temere quella memoria venisse profanata.
Mostro … – Rantolò una voce vicino al mio orecchio sollevandomi tutti i peli delle braccia con un unico brivido. Il ringhio era diventato più simile ad una voce, ma non potevo ingannarmi, era proprio quella cosa che parlava. – Un debole mostro.
Mi rigirai cercando di comprendere la sorgente di quel suono. Un’ombra si scagliò verso il mio viso e sentii dei graffi, delle unghie aguzze colpirmi. Mi ferì all’occhio destro ed oscillai indietro. Mi riparai con le braccia.
Le immagini, intanto, prendevano più volume e forma. I capelli di mia madre, così simili alle albicocche mature. La sua mano. Il calore. Un insieme di emozioni mi tormentava. Il luccichio della sua collana oscillò davanti a me.
Quel ricordo così simile ad un balsamo era volto in tortura mentre l’ignoto si espandeva implacabile. Cosa succedeva? Dove mi trovavo?
Hai paura? Se hai paura non potrai mai raggiungerla. – Gracchiò ancora la voce. – Accetta la tua natura e ti porterò ovunque il tuo cuore desideri.
– Tre. – Esplose la voce dell’Esaminatore nella visione. Riemersi con forza dalle immagini e dalle sensazioni. Senza capire cosa avvenisse al mio corpo mi trovai con le ginocchia a terra. Un enorme senso di nausea mi strinse lo stomaco. Ebbi un forte conato a vuoto e cercai di trattenermi dall’averne un secondo. Mi piegai in avanti a quattro zampe e con le dita tremanti mi toccai l’occhio per scoprire che, sebbene pulsasse, fosse totalmente sano. Strinsi le mani al pavimento riprendendo fiato.
– Come ti senti, ragazzo? – Domandò l’Esaminatore chinandosi su di me. Il suo tono di voce era concitato. Fece per toccarmi, ma si rizzò in piedi. Bussò con forza alla porta. – Chiamate Moravis! Chiamatelo subito! – Ordinò all’esterno.
La serratura scattò rumorosamente. Sentii i passi del Numerato correre a chiamare l’Ufficiale. Non ci vollero che pochi istanti a Lucar Moravis per piombare nella classe del Test. Si chinò vicino a me. Ero ancora scosso dal senso di vomito. – Avel Domar, come ti senti? – Domandò iniziando a sfilarsi un guanto. – Avel Domar, rispondi. – Chiese ancora.
– O parlo o tento di non vomitare. – Sillabai premendo la lingua contro i denti.
La mano di Moravis si poggiò sulla mia fronte indelicatamente. – Si è alzata la febbre. Facciamo in modo di farlo stendere. Chiama il medico dell’istituto. – Ordinò voltandosi verso un Numerato dietro di lui. – Ottimo autocontrollo, ragazzo. – Commentò alzandosi in piedi e rimettendosi il guanto.
L’Esaminatore si sporse su di me e mi aiutò a rimettermi in piedi. Mi girò forte la testa e chinai il capo mentre la lingua si muoveva al senso di rigetto. Comunque tenni salde le gambe senza cadere per le vertigli.
– Riesce anche a reggersi in piedi. Forse basterà farlo stare comodo qualche ora. – Si compiacque Moravis insieme all’uomo che mi reggeva.
– Io … Io ho visto … Cosa è … – Strinsi una mano sul viso. – Il buio e … – Balbettai cercando di togliere quelle folli immagini dalla mia testa.
Il Sovrintendente mi afferrò una spalla e mi scosse bruscamente. – Ricorda le regole del Test. – Mi fermò. – Non parlerai con nessuno di quello che hai visto oggi, sono stato chiaro? – Ripeté severamente. – Per il tuo bene sarà opportuno te ne ricordi. – Moravis si avvicinò ancora e mi sollevò il viso fino a guardarmi dritto negli occhi. – Se non fosse ancora sufficientemente palese, Avel Domar, tu risulti essere un’Anomalia. Benvenuto tra la Gente del Vuoto.


Fui condotto, ancora totalmente in stato confusionale, al piano terra, nell’infermeria. L’Esaminatore venne con me e il Test fu brevemente sospeso. Mi provarono la temperatura, la pressione e si accertarono del mio stato di salute, dei miei riflessi. Quando il Numerato disse che non vi era alcun pericolo, tornò nella sala della Separazione e l’iter riprese secondo le regole.
Con me restò un Agente e il medico della scuola. Mi fu ordinato di restare sdraiato. Mi dissero che avrei potuto vomitare, che la febbre sarebbe perfino durata qualche giorno. Mi consigliarono di dormire. Probabilmente mi sentivo stanco.
Stanco? No, non era così. Nella mia mente quello che era appena successo era tanto assurdo da avermi lasciato senza il minimo pensiero. Avevo la testa ovattata. Era come se d’un tratto fossi stato trasportato in corpo che non era il mio ed io non fossi più Avel Domar. Qualcun altro aveva superato il Test e assurdamente mi trovavo nei suoi panni.
Senza riuscire a formulare una decisione di senso compiuto, cercai di seguire le loro disposizioni. Non fu facile rilassarsi avendo i loro occhi addosso. Non mi lasciarono nemmeno per un istante. Se il Numerato usciva un altro si sostituiva velocemente a lui. Il medico, poi, era rigidamente incollato alla sedia. Il mio corpo, così come prevedeva la Legge, fu posto sotto la protezione del Cerchio.
Quando il senso di vomito scomparve era trascorsa circa un’ora e dopo poco mi trovai addormentato. Caddi in un apatico limbo, in quei sonni di cui non si ricorda nulla e ci si risveglia dopo pochi istanti.
Avel Domar era un’Anomalia. Il ragazzo senza genitori era entrato di diritto nella società della Gente del Vuoto. Quel pensiero tormentò i miei sogni. Mi agitai senza riuscire a comprendere cosa sarebbe successo da quel momento in avanti. Credo sudai, forse percorso dai brividi della febbre. Percepii il tempo scorrermi addosso in un lampo mentre nel nero delle palpebre temevo un’ignota voce.
Fui risvegliato dal medico, dietro di lui torreggiava l’algida figura di Lucar Moravis. Avevo un mezzo spavento bloccato in gola, ma la mia mente era tornata lucida. Ripresi a ragionare. Calzai le mani e i piedi e ripresi il controllo dei miei organi vitali.
I Test erano sicuramente terminati, la sera entrava dalle finestre dell’infermeria. Avevo dormito per diverse ore. Il Sovrintendente doveva essere venuto per illustrarmi con più dovizia di particolari l’inatteso futuro che mi avrebbe riguardato da quel momento in avanti. Così aveva annunciato sarebbe successo quella stessa mattina.
– Prego, gli prenda la temperatura. – Ordinò l’Ufficiale all’infermiere mentre si slacciava i bottoni della sua giacca grigia. Aveva appoggiato il proprio cappello su una seda accanto al lettino da me occupato. Il viso suo viso era stanco e svogliato.
– Come ti senti? – Domandò il dottore avvicinandosi con il termometro.
– Sto bene. Il senso di vomito è scomparso. – Spiegai.
– Anche la febbre si è abbassata. – Commentò leggendo il numero.
– Non ha più la febbre? – Si inserì Moravis nella conversazione.
– Sì, signore. – Replicò in un sussulto l’uomo.
– Bene, allora può lasciarci soli. – Gli ordinò l’Ufficiale. Il sanitario obbedì alle indicazioni e uscì seguito dal Numerato che mi aveva sorvegliato fino a quel momento. Moravis si sfilò la giacca e la poggiò sulla sedia – Sei fortunato, ad alcuni servono un paio di giorni prima che si abbassi. – Commentò. – Immagino tu abbia molte domande, ma per ora ti spiegherò cosa succederà da questo momento in poi. Il resto dovrà attendere. – Cominciò con il suo tono calmo ma che non ammetteva repliche.
– Dato che ti sei ripreso in fretta non dovremo attendere molto, potremo svolgere tutto questa sera. Ti porteremo a casa tua. Potrai preparare un bagaglio mediamente grande con i tuoi effetti personali. Saluterai la tua famiglia e i tuoi amici e verrai condotto all’Accademia di Numalia. Lì ti verrà dato un numero di Matricola. Da domani farai parte della Gente del Vuoto e seguirai l’addestramento riservato a tutti loro. Sosterrai il diploma, così come avresti dovuto fare nella tua scuola e, a seguito di questo, potrai scegliere se diventare un Tesserato o un Numerato.
– La prego, rallenti. – Lo interruppi mentre quella serie di informazioni si accavallava nella mia testa. – Dovrò lasciare casa mia questa sera?
– Preparerai il bagaglio e partiremo appena avrai finito. – Replicò Moravis.
– Ma … perché? – Chiesi totalmente impreparato a quel veloce volgersi degli eventi. Non avevo nemmeno compreso chiaramente cosa fosse successo e dovevo abbandonare la mia casa?
– Perché è necessario tu venga registrato il prima possibile. Ti deve essere assegnato un numero dal momento che rientri a tutti gli effetti tra la Gente del Vuoto. Questo deve succedere prima di settantadue ore dalla scoperta del tuo potere, così dice la Legge. – Illustrò l’Ufficiale. – Nostro è il compito di portare a termine questo aspetto, dunque non vi saranno ritardi. Se fossi stato ancora male sarebbe stato un altro discorso, ma sei ben in grado di prendere le tue cose e seguirci in Accademia.
– Dunque verrò registrato come … Gente del Vuoto?
– Certamente, hai superato la Separazione. – Replico con tono d’ovvio. – Come dicevo, ti verrà dato un numero di Matricola con cui entrerai a far parte dell’Accademia. Gli studenti di Vuoto che ancora non hanno deciso come impiegheranno il loro potenziale devono essere istruiti. Le varie opzioni ti verranno illustrate una volta giunto all’Accademia, ma per il momento ti basti sapere che, a seguito del diploma e di un periodo di apprendistato, potrai decidere se entrare a far parte del Cerchio oppure diventare un Tesserato.
– E sono obbligato a seguirvi in Accademia? – Non ero sicuro di voler far parte della Gente del Vuoto, se ci fosse stata un’alternativa l’avrei felicemente accolta.
– Coloro che non vengono numerati sono fuorilegge, gli Esterni. È un crimine per la Gente del Vuoto non possedere un numero, quindi sì, sei obbligato a riceverlo e a frequentare l’Accademia. – Replicò perentorio. – Però tu sei un’Anomalia. Tua madre non ha alcuna famigliarità con il Vuoto e questo diminuisce di molto il tuo Potenziale. È certo tu abbia ereditato il potere dal tuo ignoto padre. Solitamente le Anomalie con un solo genitore legato al Vuoto sono molto rare e piuttosto deboli. Quale sia l’entità del tuo potere, però, lo comprenderai meglio seguendo le lezioni a riguardo.
– In base al tuo potenziale potrai accedere a diversi tipi di impiego. Se lo desideri la tua vita non cambierà molto rispetto al futuro che avevi immaginato qui. Anche la Gente del Vuoto ricopre lavori normali, come i Marginati. Potrai proseguire i tuoi studi come Tesserato e trovare un buon impiego nella Società. L’unica differenza sarà la tua appartenenza alla Gente del Vuoto. – Illustrò Moravis.
– Potrò tornare qui in periferia una volta ricevuto il mio numero? – Domandai. Non credevo avrei vissuto la stessa vita di prima dopo quel giorno, ma speravo di non dover per forza seguire una strada a me sgradita, un percorso obbligato che gente del Cerchio o del Vuoto avrebbe deciso per me. Il tranquillo futuro che avevo in mente era in pericolo.
– La Gente del Vuoto ha dei doveri, Domar. Puoi fare ciò che desideri, ma il tuo potere non può andare perduto. La Società desidera tenerne traccia e usarlo nel migliore dei modi. – Spiegò il soldato. – È per via del tuo tutore che desideri restare qui? – Domandò sedendosi al bordo del mio letto.
– Mio zio? Lui se la caverebbe anche senza di me, ma …
– Il tuo professore, Valio, è venuto a parlarmi dopo il tuo Test. – Proseguì l’Ufficiale interrompendo le mie parole. – Ha detto che nell’ultimo periodo hai riflettuto molto sull’iscrizione al Cerchio. Dice che vi hai rinunciato per restare accanto al tuo tutore. Certo i tuoi risultati potevano porti in una posizione privilegiata per l’accesso alle borse di studio per i Marginati, ma ora, come Anomalia, tu hai il diritto di essere parte del Cerchio. Potresti vedere l’evento come l’esaudirsi dei tuoi desideri.
I miei desideri? – Boccheggiai attonito dalla lingua lunga di Guram Valio. Non avrei favorito quel genere di fraintendimento. – Ricorda, Sovrintendente, prima del Test lei ha detto di non mentirle per alcuna ragione.
– Certo, lo ricordo. – Replicò stringendo le sue dita guantate tra loro.
– Lei mi ha chiesto se fosse mio desiderio essere parte del Cerchio ed io le ho risposto di no. Non le ho mentito. Non ho alcun desiderio di diventare uno del Cerchio. Le aspirazioni del professor Valio sono solo sue. – Replicai nel modo più gentile che riuscii a trovare. – Sono stato un’anomalia fin da quando sono nato, l’unica cosa che desidero è non esserlo.
Lucar Moravis si raddrizzò sul lettino ed incrociò le gambe avvolte nella sua lucida divisa. – Capisco. – Commentò rigidamente. – Allora, dato che tu sei stato così onesto, lo sarò anche io. – Aggiunse. – Essere un’Anomalia, con le tue origini, inoltre, ti porrà sicuramente in una situazione di svantaggio. Non avrai il potere per competere con la comune Gente del Vuoto, ma dovrai comunque fare parte di questa Società e seguirne le leggi. Il nostro mondo è basato sulla Familiarità e sulla discendenza, non è difficile credere sarai visto come l’ultimo tra gli ultimi.
– Quello che puoi fare è presto detto. Rispetta le regole. Renditi parte della Società. I tuoi voti manifestano tu abbia la capacità per riuscirci. Se prima di oggi non era tuo desiderio fare parte del Cerchio, ti consiglio di pensarci nuovamente. Questo ti darebbe il prestigio che la tua nascita ti ha sottratto. – Si alzò pronto a rimettersi la divisa.
– Ho mandato due Numerati al tuo indirizzo. Il tuo tutore è stato informato sull’esito del Test. Gli stiamo facendo alcune domande in merito a tua madre. – Spiegò infilando le maniche e riallacciando i bottoni. – Non appena il Professor Kynam darà il suo consenso potremo andare.
– Professor Kynam? – Domandai.
– Il Numerato che ha tenuto il tuo esame è un Professore dell’Accademia. Lo conoscerai meglio con il tempo. – Prese il cappello in mano e si voltò per rivolgermi una singola breve occhiata. Aveva l’espressione di chi ti ha dedicato tutto il tempo che desidera perdere con te. Non era la prima volta che vedevo quegli occhi e mi fu chiaro come Moravis avesse parlato con me per semplice e raggelante dovere. Quello era il suo ruolo, ma lui stesso, a volte, non lo sopportava. Doveva certamente essere una di quelle volte.
Uscì senza aggiungere nient’altro. Non mi chiese se avessi delle perplessità. Tutte le domande che avevo avuto in animo di fare morirono sul retro della mia gola. Ero in baia degli ordini, comprenderli non era esplicitamente richiesto.
Tuttavia non restai solo a lungo. Subito dopo l’uscita di scena del Sovrintendente, entrò l’uomo del Test, il Professore di nome Kynam. Portava con sé alcuni abiti e li sistemò su un tavolo dell’infermeria. – Intensa chiacchierata, eh? – Sorrise gentile. Lui era molto più abituato di Moravis a gestire gli studenti. – Vuoi provare ad alzarti in piedi? – Domandò avvicinandosi e porgendomi una mano.
– Grazie, credo di riuscirci da solo. – Risposi portando i piedi fuori dal letto.
– Non devi sforzarti. – Mi rassicurò.
Pensai che forse a lui avrei potuto chiedere. – Durante il Test, cosa ha fatto? – Domandai sollevando i miei occhi su di lui. Avevo così scarse informazioni riguardo al potere che teoricamente possedevo. Dovevo saperne di più. Conoscere “il nemico”.
– Ti ho esposto. – Spiegò banalmente. Il suo sguardo si colmò di una certa pietà. Era rammaricato per la mia situazione, ma delle sue preoccupazioni mi importava poco, potevano solo rendermi più inquieto sul futuro che mi attendeva. – Quello che ho fatto è stato aprire il Vuoto davanti a te.
– Semplicemente questo? – Insistetti.
– Se vuoi metterla in questo modo … Sì, semplicemente questo. – Proseguì. Si avvicinò ancora per darmi una mano a sollevarmi in piedi, ma non l’accettai. Mi alzai da solo e lui ne parve colpito. – La prima volta che si viene esposti al Vuoto, è così che si manifestano i poteri. Ognuno percepisce qualcosa di diverso e quello che si vede è un segreto da custodire gelosamente. – Spiegò.
– Perché un segreto?
– Perché in quello che si vede e si sente è celata la forza e la debolezza del potere che si possiede. Ognuno ha una diversa attitudine. Sfrutta il Vuoto in modo singolare o quasi. Ci sono delle Nature Ancestrali, ma lascerò le lezioni per l’Accademia. – Continuò. – Soprattutto la prima parola che si sente nel Vuoto, quella devi ricordarla e mai condividerla. Essa è la natura più intima del tuo potere.
Kynam si voltò verso il tavolo dell’infermeria dove aveva lasciato i panni. Li prese e me li porse. – Ecco, ora cambiati con questi.
– Cambiarmi? – Domandai. Lo trovavo superfluo dato che indossavo la divisa della scuola.
– Moravis deve essersi dimenticato di alcuni dettagli. – Sospirò. – Ti ha detto che ora andremo a casa tua per recuperare le tue cose?
– Sì, l’ha detto.
– Puoi portare con te quello che desideri all’Accademia, tutto, tranne i vestiti. Da oggi indosserai gli abiti del Cerchio, questo fino a quando non supererai il periodo da Matricola. – Spiegò. – Ora cambiati. Ti attendo fuori dato che riesci a stare in piedi così bene. – Poggiò i vestiti sul lettino e tornò all’esterno.
Di primo impatto trovai fosse una scelta curiosa farmi cambiare gli abiti, ora credo sia totalmente scontata. Quello che il Cerchio desiderava era che ogni Matricola si ritenesse parte di loro, partecipe alla Società e sottostante alla Legge. Indossare unicamente i vestiti del Cerchio era simbolo di quella appartenenza e di quella sottomissione. Un altro modo individuato dall’Organizzazione per attuare il controllo e imbastire il senso di elitarismo. Poter infilare quegli abiti per me fu senza molta importanza, per alcuni era una ragione di vita.
Mi spogliai della divisa del Liceo da Marginato ed indossai gli abiti di una Matricola per la prima volta. Non erano molto diversi dall’uniforme di un comune Numerato. La giacca non era lunga fino alle ginocchia, ma si fermava ai fianchi. Non c’erano bordature. Tutta la divisa era di un piatto nero con una maglietta di cotone grigia sotto la casacca. Quando allacciai gli ultimi bottoni realizzai la verità: ero uno del Vuoto. Quei vestiti avrebbero testimoniato a tutti la mia Anomalia.
Osservai la porta che mi avrebbe condotto all’esterno. Per un attimo pensai di fuggire attraverso la grande finestra dell’infermeria. Sarebbe stato facile uscire da là, non era che un piccolo balzo. Nella sala non c’era nessuno con me e mi trovavo al piano terra, non mi sarei fatto alcun male.
Vi pensai per un solo istante … desistetti quasi subito.
Con il Cerchio non si poteva fare quel genere di scherzi e, se anche fossi riuscito davvero a fuggire, sarei diventato un Esterno. Ecco come aveva chiamato Moravis coloro che non passavano sotto la lente dell’Organizzazione, quelli che vivevano lontani dalla Legge. Sarei stato un emarginato e un fuorilegge per il resto della vita. Non desideravo quel genere di futuro. Forse fui un codardo, ma non credo vi sia alcuna vergogna nell’ammettere di non voler essere un escluso.
Presi la porta sottomettendomi a Ultar. Da quel momento il mio destino avrebbe seguito il volere della Società.
– Molto bene, Avel, seguimi da questa parte. – Mi indico il Professor Kynam rimasto ad aspettarmi fuori dalla porta. Aveva un atteggiamento accomodante, ero sicuro fosse un docente benvoluto. – Ci attende un’auto fuori. Ci porterà a casa tua.
– D’accordo. – Risposi debolmente. – Professore, posso porle un'altra domanda? – Con lui era più facile chiedere.
– Certo, chiedi pure.
– Chi altro ha superato il Test? – Speravo, in un angolo del mio animo, Hud Calz fosse condotto con me all’Accademia.
Kynam parve confuso, come se non vedesse alcuna ragione per quella domanda. – Nessun altro. In realtà non ci si aspettava di trovare nessun Padrone del Vuoto. – Sorrise e mi pose una mano sulla spalla, come blando incoraggiamento. – Questo non deve stupirti, è molto raro qualcuno passi la Separazione nei Licei dei Marginati. I Rientrati sono pochi e le Anomalie … ancora meno.
– Quante poche sono le Anomalie? – Domandai scrutando la sua espressione.
– Non saprei risponderti con precisione. Però posso dartene un’idea. – Proseguì guidandomi per il corridoio. – Sono quindici anni che ricopro il ruolo di Esaminatore. Ho tenuto la Separazione di moltissimi ragazzi, però, non mi era mai capitato di incontrarne una. Ho davvero avuto un colpo quando tu … – Rise debolmente, ma il silenzio che tenevo lo fece smettere.
Trovandosi a disagio, riprese a parlare. – Non te ne preoccupare, sono cose che con il tempo perdono di importanza. – Mi confortò, ma vedevo una lieve bugia in quelle parole. – Parte dei Numerati venuti per il Test sono stati congedati. Saremo io, Moravis e un paio di Agenti ad accompagnarti a casa. Due Numerati ci hanno già preceduti. – Illustrò. Si voltò con un piacevole sorriso. – Consideralo un privilegio. Un Ternario come Moravis non ha tempo di dedicarsi alle nuove Maricole, ma tu sei il solo trovato qui e, dato che ti sei ripreso così in fretta, puoi godere di una scorta eccezionale.
Ternario … ricordavo quello che mi avevano detto sulla gerarchia del Cerchio. Ogni Numerato veniva identificato attraverso una serie di numeri, più eri importante e meno numeri possedevi. Se Moravis era un Ternario aveva solo tre numeri … doveva davvero essere un pezzo grosso di Ultar.
Mi trovai nel cortile della scuola, dove un’auto nera attendeva il mio arrivo. Il Professor Kynam aprì una portiera posteriore e si infilò nell’auto. Lo imitai e presi posto accanto a lui. – Puoi partire. – Ordinò al Numerato alla guida. L’auto fece manovra e uscì dal complesso scolastico. All’esterno, accostata, c’era un’altra macchina nera in attesa della nostra. Si posizionò dietro di noi e in quel modo percorremmo la strada che solitamente facevo a piedi.
Fu strano guardare quelle vie così famigliari dai vetri scuri delle auto del Cerchio. Quel filtro mi divideva così nettamente dall’esterno da farmi soffocare. Le case non avevano quasi lo stesso aspetto, come quando si guarda una vecchia fotografia e ci si domanda se il mondo un tempo fosse davvero così. Quando ci si accorge di come sia cambiato e non si riesce a ricordare le sensazioni che un tempo ci provocava.
Facevo parte del Vuoto, quella verità diventava ogni momento più alienante. Non sarebbe stato più possibile tornare alla mia vita. Ero una proprietà di Ultar ed il mio potere sarebbe stato sfruttato secondo la Legge. Percepivo con chiarezza era la mia vecchia vita scivolare dietro di me, come sudore lavato da una doccia, come se fossi un serpente che abbandona la sua muta. Ero ancora io, eppure tutto sarebbe stato diverso.
– Quanto potrò stare con mio zio? – Domandai a Kynam mentre stringevo le mani colto dalla paura.
– Avrai tutto il tempo per preparare i bagagli e salutarlo. – Rispose. – Potrai salutare anche i tuoi amici se si troveranno a casa tua. Purtroppo non abbiamo tempo per altre deviazioni. – Spiegò.
Voltai ancora il viso verso l’esterno. Mancavano solo un altro paio di svolte.
Quando l’insegna verde del negozio di mio zio apparve offuscata oltre il vetro, mi si strinse il cuore. La gola si serrò e un paio di battiti mi percossero il petto. L’auto accostò. Ero arrivato a casa.
Il Professore scese dalla macchina ed io, a metà tra la coscienza e l’incoscienza, ricopiai meccanicamente i suoi movimenti. Mi trovai nell’asfalto e da quel momento mi impegnai a memorizzare ogni singolo particolare del mondo che stavo abbandonando.
Mi portai davanti alla vettura e la macchina dietro di noi aprì uno sportello. Lucar Moravis scese indossando il suo cappello rosso. Mi guardo con un’espressione che domandava velocità ed efficienza. Era chiaro non desiderasse trovarsi lì o perdere ulteriore tempo, ma, purtroppo, si era verificata un’Anomalia.
Dal negozio di mio zio uscirono due Numerati. Dietro di loro Boron si portò nella strada. Senza attendere le indicazioni del Cerchio mi avvicinai. Avevo bisogno di sentire una voce famigliare. – Zio, il Test …
– Me l’hanno già spiegato. – Mi fermò quando tentai di raccontare. – Hanno detto che devi prendere le tue cose, giusto? Saliamo in casa. Ti aiuto a fare i bagagli. – Mi avvolse un braccio intorno alle spalle e mi portò dentro il negozio. Prendemmo la porta sul retro che dava sulle scale dell’appartamento.
Mio zio varcò la soglia con la porta rossa per primo. Mi trovai davanti la mia casa d’infanzia riempita della sua figura. Non avevo idea di quando avrei potuto rivederlo. Non sapevo cosa avrebbero preteso da me quelli del Cerchio per farmi tornare lì. Dovevo abbandonarlo e l’ombra di mio zio in quell’appartamento vuoto mi fece sentire dannatamente colpevole.
– Zio … mi dispiace. – Mormorai senza avere la forza di respirare.
Boron si voltò verso di me. Mi sorrise con volto pieno di rassegnazione. Non si opponeva perché sapeva che non era permesso farlo. – Non è colpa tua. Me lo sentivo che non avrei potuto tenerti con me ancora per molto. – Disse stringendomi una spalla con le sue calde dita. – Vieni, ho già iniziato a sistemare alcune cose. – Mi incoraggiò verso la mia stanza. Lo seguii stringendomi nei vestiti della Gente del Vuoto.
– Ho trovato un borsone abbastanza grande. Credo ci staranno dentro tutti i tuoi libri. Hanno detto che per i vestiti e il resto ci penseranno loro. – Ripeté quello che il Cerchio gli aveva illustrato.
Mi avvicinai alla borsa aperta sul mio letto, era di seconda mano, come la gran parte delle cose nel nostro appartamento. Mi chinai sui volumi di scuola e presi ad inserirli nella valigia insieme a tutti i miei appunti. Quando ebbi finito non era piena che per metà. – Non hai certo tante cose, ragazzo mio. – Si rammaricò mio zio. Dalla sua voce percepii come quella realizzazione lo facesse sentire estremamente in debito.
– Ho tutto ciò che serve. – Lo rassicurai.
– Aspetta, ti darò qualcosa che ti ricordi del tuo vecchio Boron. – Disse ed uscì dalla mia stanza per andare nella sua camera. Tornò indietro tenendo in mano un portafoglio. – Ecco qui, figliolo, questo lo potrai portare sicuramente. Ci metterai dentro il tuo numero quando te lo daranno e insieme quel denaro che riuscirai a fare.
Lo presi e lo aprii. All’interno vi erano alcune banconote, una cifra importante per le tasche della nostra famiglia. – Ma zio …
– Non devi mica supplicare tutto ai Numerati. Questi li userai per te, per quello che desideri. – Mi rassicurò. – Nel porta monete ho anche messo un mio vecchio portafortuna.
Aprii lo scomparto delle monete e ne uscì un tondino di metallo del diametro di circa tre centimetri. Aveva un foro poco prima del bordo leggermente in rilievo e una delle due facce era stata grattata con una punta. Pensai vi fosse scritto qualcosa, ma non si riusciva più a leggervi nulla. – Che cos’è? – Chiesi.
– Qualcosa che portavi quando tua madre ti lasciò alla mia porta. – Rispose. – Non è nulla di prezioso, ma io l’ho tenuto da allora e mi ha sempre portato fortuna. Ora penso serva a te.
Richiusi il portafoglio. – Grazie, zio. – Mormorai.
Boron rise con la sua cupa voce e mi prese tra le braccia. – Ragazzo mio, ho fatto del mio meglio a crescerti e, anche se ora dobbiamo salutarci, voglio tu sappia che, fin dove ho potuto, ho fatto del mio meglio per proteggerti.
– Grazie. – Sussurrai stringendomi a lui. Mi mancavano le parole. Faticavo a dire tutto quello che serbavo nel cuore. Se non fosse stato per lui io non avrei avuto alcun futuro. Se non fosse stato per le braccia di mio zio, per la sua bontà, il mio destino sarebbe stato molto più nero. Era grazie ai suoi sforzi che ero riuscito ad andare a scuola, a vivere, tutto sommato, serenamente. Era per ripagarlo di tutta quella bontà che gli sarei rimasto accanto, diventando uno tra i molti.
Ci voltammo ancora verso il bagaglio. – Zio, farò quello che posso. Mi impegnerò a superare le loro prove e farò in modo di tornare. – Promisi.
– So che riuscirai a farcela. – Disse Boron. – Vado a preparare gli ultimi documenti. Tu vedi di non dimenticare qualcosa di importante. – Mi consigliò uscendo dalla stanza.
Mi guardai attorno nella camera e, poggiato sulla scrivania, c’era il volantino del Cerchio consegnatomi da Guram Valio. Ora aveva tutto l’aspetto di un orrendo talismano. Era una maledizione, qualcosa che era stato scagliato su di me. Se solo anche Hud Calz … Non volevo andare in un luogo dove sarei stato solo.
Chiusi la cerniera lampo della borsa e la sollevai dal letto. Tornai nella sala principale dell’appartamento. In piedi accanto alla soglia c’era un Numerato. Non ci lasciavano soli. Mio zio trafficava con alcuni fogli sul tavolo da pranzo. – Che documenti ti hanno chiesto? – Domandai avvicinandomi.
– Quelli sanitari e della famiglia. – Spiegò Boron. – Dovrei averli tutti qui. – Chiuse una cartellina.
Dalle scale provenne un rumore di passi e, attraverso la porta aperta, entrò Lucar Moravis con il suo rosso cappello in testa. I suoi gelidi occhi squadrarono l’intero appartamento e non ebbi dubbio fosse in grado di individuarne ogni imperfezione.
– Buonasera, signor Domar. – Salutò togliendosi il copricapo.
Mio zio sollevò lo sguardo sull’uomo e lo vidi serrare i denti. L’Ufficiale certo non aveva un modo di fare accomodante e Boron parve non tollerare la sua presenza. – Buonasera.
– Sono Lucar Moravis, Sovrintendente dell’Accademia di Numalia. – Si presentò facendosi più avanti nella stanza. – Mi occuperò personalmente di condurre suo nipote all’Accademia. Il Cerchio si prenderà buona cura di lui, non deve preoccuparsi.
– Non me ne preoccupo. – Lo confortò Boron.
– Un esito inaspettato quello del giovane Domar. – Proseguì Moravis. – Immagino non sarà facile per lei adattarsi a questa nuova condizione.
Mio zio ignorò l’osservazione e mi allungò la cartella con i documenti. Io la presi dalle sue mani.
– Quella puoi pure consegnarla a me, Domar. – Si intromise Moravis. Senza negarmi gliela porsi. Lui la afferrò e la tenne sottobraccio. – Quando sei pronto possiamo partire. – Aggiunse. Era venuto a mettermi fretta. Sorrise, infilò ancora il cappello e uscì.
Guardai Boron che teneva gli occhi puntati fuori dalla porta. – Mi hanno detto che è un alto Ufficiale, un Ternario. – Spiegai.
– Lo è. – Confermò mio zio. – Forse non ci hai fatto caso, ma sulla targhetta sul suo cappello ci sono tre numeri. Cerca di non essere nemico di persone potenti come lui. – Mi mise in guardia.
– Starò al mio posto. – Rassicurai e, lasciando cadere a terra la borsa, abbracciai ancora mio zio. – Mi comporterò bene, vedrai. Non darò problemi.
– Oh, ragazzo. – Bofonchiò. – Sono sicuro troverai il modo di farti valere. Hai sempre avuto un buon giudizio ed anche questa volta sarà così. – Aggiunse accarezzandomi il viso con le sue grandi mani callose.
– Farò del mio meglio.
Quando mi divisi da lui arrivò il momento di partire. Sollevai la borsa piena di tutti i miei pochi averi. Osservai la mia casa e la lasciai dietro di me. Fu come sentirla svanire e quella leggerezza mi scavò il cuore.
In compagnia di mio zio, preceduti dal Numerato, scendemmo le scale dall’appartamento al negozio. Uscimmo dalla rivendita e fuori, sistemati accanto alle auto, trovai alcuni miei compagni di scuola insieme a gente dei dintorni. Tra loro vidi Kemar vicino ai suoi genitori. Aveva un’espressione incredula, come se avessi compiuto un qualche crimine e lui non riuscisse a crederci. Notai anche Hud Calz. I nostri sguardi si incrociarono. Mi sorrise e notai come fosse felice.
Non ci fu modo di dire nulla a nessuno di loro. Il mio tempo era concluso.
– Tutto pronto? – Domandò il Professor Kynam.
– Sì. – Confermai.
– Dammi pure la borsa, la sistemerò nell’auto. – Disse prendendomi la valigia dalle mani.
Mi voltai ancora verso Boron. – Spero di riuscire a contattarti presto. – Sillabai senza sapere cosa aggiungere di preciso a quello che già ci eravamo detti.
Boron si avvicinò. Mi pose una mano sulla spalla. – Buona fortuna, ragazzo mio. – Disse semplicemente.
Mi strinsi nella giacca del Cerchio. Mi tirai dritto e mi voltai verso l’auto. Il Professore mi attendeva accanto allo sportello. Salii prima di lui.
Kynam si abbassò e prese posto. – Molto bene. Possiamo andare. – Concesse con ovattata voce. Serrai le dita e mi rilassai sullo schienale dell’auto. La macchina partì.
Ricordo di essere riuscito a guardare fuori dal finestrino solo fino a quando fui in grado di riconoscere le strade.


______
La vita di Avel tra i Marginati ha subito una repentina conclusione. Si troverà catapultato tra la Gende del Vuoto. Spero vorrai proseguire il racconto. Per ora grazie di essere arrivato fino a qui!
Iwon Lyme

 
   
 
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