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Autore: Clementine84    20/09/2021    0 recensioni
Quando Becky viene mandata a intervistare Craig, musicista di una band sulla cresta dell'onda, sa esattamente che le dichiarazioni rilasciate verranno usate per spargere calunnie sul suo conto. Ha due possibilità: mettere a tacere la sua coscienza e consegnare la registrazione al suo capo, oppure rifiutarsi e perdere il lavoro. Non esita nemmeno un istante. E, forse, quella decisione presa d'impulso farà capire a Craig che, di persone così, se ne trova una su un milione e porterà a Becky molti più benefici che danni.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Ero seduta a un tavolo della piccola sala da pranzo del grazioso B&B di Glasgow dove alloggiavo e mi stavo godendo un’ottima colazione a base di the, pane tostato e marmellata di fragole fatta in casa dalla proprietaria, la signora Mary. Finalmente ero riuscita a prendermi una settimana di ferie e ne avevo approfittato per usufruire della famosa vacanza in Scozia che mi aveva regalato Joey a Natale. Avevo visto posti bellissimi, tanto che ormai Londra mi sembrava grigia e soffocante e la voglia di tornare era pari a zero, però dovevo rassegnarmi perché il mattino dopo avrei preso l’aereo che mi avrebbe riportata alla normalità. Sogno finito, bentornata alla realtà, Becky.
Sbuffai e, cercando di non pensarci, presi distrattamente un quotidiano che era posato sulla poltrona. In fondo avevo ancora tutta una giornata a disposizione e l’avrei passata a sbizzarrirmi con lo shopping in giro per Glasgow. Proprio in quel momento, la mia attenzione fu attirata da un titolone che occupava quasi tutta la prima pagina ‘Paul Dunn lascia i Drummers’.
Stavo cercando di riordinare i pensieri quando il mio cellulare iniziò a squillare insistentemente e fui costretta a rispondere.
“Pronto” feci con voce piatta, senza nemmeno guardare chi fosse.
“Becky, ciao” riconobbi la voce di Jo.
“Ciao”.
“Senti, lo so che sei in vacanza e mi dispiace disturbarti, ma ho disperatamente bisogno del tuo aiuto” esordì il mio capo.
“Dimmi pure” lo spronai, cercando di tornare in me.
“Non so se per caso hai letto i giornali, ma a quanto pare uno dei Drummers molla il gruppo” mi annunciò.
“Sì, l’ho appena saputo” confessai.
“Bene, terranno una conferenza per dare l’annuncio ufficiale oggi all’1:00 all’Hilton. A cose normali non ci avrei mandato nessuno ma, dato che ti trovi nei paraggi, non è che potresti farci un salto e buttare giù qualcosa?” azzardò.
Restai un attimo in silenzio, mentre davanti ai miei occhi prendeva forma l’immagine di un Craig piuttosto sconvolto e bisognoso di consolazione, dopodiché risposi, senza riflettere “D’accordo”.
“Davvero?” chiese Jo, incredulo.
“Sì” confermai.
“Sei sicura che non sia un problema?” insistette lui.
“No, nessun problema. Ti mando il pezzo via e-mail, okay?”
“Benissimo! Allora telefono e dico che avremo un’inviata. Ah, Becky? Grazie”.
“Grazie a te” mi sentii rispondere, appena prima di sbattergli il telefono in faccia.
Guardai l’ora. Le 11:00. Giusto il tempo di farmi una doccia e presentarmi sul posto. Craig avrebbe avuto bisogno di me.

 

Craig”.
Sentendo pronunciare il mio nome, alzai la testa dal tavolo e aprii gli occhi. Erano stati giorni d’inferno. Discussioni, dubbi, paure. Eravamo stati sballottati di qua e di là, senza nemmeno avere il tempo di riflettere sui cambiamenti e le conseguenze reali che la decisone di Paul avrebbe portato nella nostra vita. La notte scorsa non avevo chiuso occhio. E nemmeno quella precedente. E quella prima ancora. Ormai, andavo avanti solo per inerzia.
“Tra pochissimo iniziamo” mi disse Michael e, dando un’occhiata alla mia faccia, aggiunse “Fossi in te andrei a darmi una rinfrescata. Sembra che sia morto qualcuno”.
Cercai di sorridere e mi alzai per seguire il suo consiglio. In bagno, mi fermai a studiare la mia immagine allo specchio. Avevo un po’ di occhiaie e i capelli nemmeno troppo pettinati. Mi bagnai le mani e me le passai sulla testa. Il risultato non era comunque dei migliori, ma almeno sembrava gel. Tornai in sala e presi posto, pronto all’estrema tortura. Tutti quei giornalisti ci avrebbero massacrati, me lo sentivo. Per quanto mi sforzassi a scrutare, non riuscivo a individuare neanche un’espressione gentile su quei volti che riempivano la sala. Avevo appena finito queste considerazione quando la vidi. Dapprima credetti di avere le allucinazioni. Forse le nottate insonni avevano danneggiato la mia salute più di quanto credessi. Becky non poteva trovarsi lì, doveva essere a Londra. Eppure, più guardavo e più mi convincevo che fosse lei. Indossava un paio di jeans scuri e una maglia di cotone gialla, e si guardava intorno, con aria spaesata, dal fondo della sala. In quel momento alzò lo sguardo e i nostri occhi si incontrarono. Mi sorrise e io non potei fare a meno di ricambiare. Quel sorriso fu per me come un faro nella notte per un pescatore che si è perso. Presi un respiro profondo e mi voltai a guardare i miei amici con rinnovato entusiasmo. Forse non sarebbe andata poi così male.

La conferenza era finita, i ragazzi erano usciti per farsi scattare alcune foto e la maggior parte dei giornalisti se ne stava andando, ma io continuavo ad aspettare in fondo alla sala. Prima dell’inizio, Craig mi aveva sorriso, ma quel sorriso non mi aveva convinta. Era stanco, tirato, e avevo notato una strana luce nei suoi occhi, come di paura. Volevo parlargli. Era stupido, non sapevo nemmeno cosa gli avrei detto esattamente, ma volevo farlo. Le parole sarebbero venute da sole. Li vidi rientrare e disperdersi per la sala, alla ricerca di amici, famigliari e conoscenti. Lentamente mi avvicinai al tavolo, dove Craig si era trattenuto a cercare qualcosa nella tasca della giacca.
“Ciao” lo salutai, una volta arrivatagli vicina.
Lui alzò lo sguardo e, vedendomi, sorrise. “Ciao. Non speravo di trovarti ancora qui”.
“Mi sono fermata a salutarti” confessai “e a dirti che, se hai bisogno, io ci sono”.
Craig abbassò gli occhi.
“Grazie” sussurrò, triste e io, senza riflettere, allungai una mano sul tavolo, fino ad afferrare la sua.
Come prevedibile, il suo sguardo fu nuovamente su di me che, per cercare di cavarmi d’impaccio e salvare il salvabile, tentai di ritirare la mano, ma Craig me lo impedì, stringendomela nella sua.
Restammo per un attimo così, a fissarci. Il mio cuore batteva a mille e mi diceva che avevo fatto la cosa giusta, mentre il mio cervello continuava a insultarmi per essere stata così sciocca e impulsiva. Perché gli avevo preso la mano? Che giustificazione potevo trovare adesso? Fortunatamente, non fu necessaria nessuna giustificazione perché fu Craig a parlare “Grazie per essere venuta. Cioè, so che sei qui per lavoro, ma significa molto per me”.
“Ho pensato che potessi aver bisogno di un’amica” farfugliai e poi, realizzando che, in ogni caso, non sarebbe stato solo, precisai “Voglio dire, una in più”.
“Non ho bisogno di un’amica” disse lui, serio, e io mi sentii come se avessi appena fatto una doccia gelata. Che stupida ero stata. Ovvio che in un momento del genere non mi volesse intorno.
“Ho bisogno di te” concluse, stringendomi ancora di più la mano.
Sorrisi. Era incredibile come Craig riuscisse sempre a trovare le parole giuste per farmi felice. Forse era proprio questo che mi aveva fatto innamorare di lui.
“Andiamo a bere qualcosa al bar, ti va?” propose, e io annuii, seguendolo, con la mano ancora stretta nella sua.

Davanti a un drink, le cose diventarono immediatamente più facili.
“Che ci fai qui?” mi chiese, sorridendo.
“Mi sembra di avertelo già spiegato”.
“No,” Craig scosse la testa “intendevo che ci fai qui a Glasgow” mi spiegò.
“Sono qui in vacanza” risposi.
“Davvero?” chiese lui, sorpreso.
Annuii.
“Quando sei arrivata?” domandò ancora.
“Una settimana fa. Sono stata a Edimburgo e ad Aberdeen, e ora sono tornata a Glasgow perché domani ho l’aereo per Londra. Vacanza finita, si torna alla realtà” sospirai.
“Quindi te ne vai subito” osservò il mio amico.
“Purtroppo sì”.
“Peccato. Mi sarebbe piaciuto passare un po’ di tempo con te” ammise.
“Sarebbe piaciuto anche a me, lo sai” confessai. “E, fosse per me, resterei”.
“Avrei potuto portarti fuori a cena” disse, quasi stesse riflettendo ad alta voce.
“Se proprio ci tieni così tanto, stasera sono ancora qui e, guarda caso, non ho impegni” scherzai, con l’intento di farlo ridere.
“Mi piacerebbe, ma purtroppo devo partire subito per Inverness. I miei mi aspettano a casa, pensano che mi faccia bene staccare la spina per un paio di giorni, uscire da questo casino e tornare un po’ alla normalità” si giustificò.
“Hanno ragione, ti farà bene” concordai.
“Però mi dispiace. Voglio dire, sei in Scozia, a casa mia, e io non posso nemmeno portarti fuori. Quando ricapita?”
“Non c’è problema, dai. Ci rivedremo quando torni a Londra” lo rassicurai, ma Craig non mi stava già più ascoltando, era perso nei suoi pensieri. Ne ebbi la conferma quando tornò in sé e mi fissò con gli occhi luccicanti. Ero certa di non sbagliarmi dicendo che aveva appena avuto un’idea di cui andava fiero.
“Cosa c’è? Mi fai paura quando fai così” dissi.
“Senti, devi tornare subito al lavoro, domani?” mi chiese.
“No, ho preso dieci giorni di ferie, riprendo lunedì”.
“Benissimo! Allora, che ne dici di venire a Inverness con me per un paio di giorni?”.
Restai spiazzata da quella proposta. “Come, scusa?” farfugliai.
“Vieni a Inverness con me” ripeté lui, pacato.
“A fare che?” domandai.
Craig alzò le spalle. “Nulla di che. Ti faccio vedere la città, passiamo un po’ di tempo insieme…e mi aiuti ad affrontare i miei” confessò.
Gli rivolsi uno sguardo di rimprovero. “Perché dovrei aiutarti ad affrontare i tuoi?”
“Sai, sono persone stupende e mi vogliono veramente un bene infinito, però per loro sono sempre un bambino da proteggere. Non faranno altro che parlare di questa storia di Paul, ripetendo quanto sia terribile e dandomi consigli su come comportarmi e, sinceramente, vorrei evitare l’argomento. Ma non posso dirglielo così, non sarebbe carino. In fondo, loro credono di farlo per il mio bene”.
Istintivamente sorrisi. Non avevo mai avuto una famiglia, ma potevo comunque capire la situazione di Craig. C’erano volte in cui anch’io avrei preferito non discutere di certe questioni con i miei amici, ma loro insistevano, credendo di farmi contenta, e non me la sentivo proprio di farglielo notare.
“Allora, forse non è una grande idea andare a Inverness” osservai.
Craig mi rivolse uno sguardo stupito. “Non hai appena detto che staccare un po’ la spina mi avrebbe fatto bene?” mi fece notare.
“Infatti,” insistetti “ma, forse, non è il caso di farlo proprio a Inverness”.
Il mio amico mi guardò e dalla sua espressione capii che era ancora perplesso.
“Se andare a casa ti mette così in ansia, forse sarebbe meglio che andassi da qualche altra parte”.
“Per esempio?” chiese.
“Non lo so,” iniziai a pensare “per adesso l’unica meta che posso proporti è casa mia”.
“Casa tua?” ripeté lui, stupito.
Annuii. “Sì. Puoi venire a passare il weekend da me, se ti va. Non è una dimora di lusso, ma ho un divano comodissimo e prometto di non cucinare” proposi.
Craig sorrise. “Mi va” annunciò. “Grazie dell’invito”.
“Ma figurati” minimizzai e, abbassando lo sguardo per non fargli vedere che arrossivo nel dirlo, aggiunsi “Lo sai che mi diverto ad averti intorno”.
Il mio amico restò un attimo in silenzio, tanto che io non avevo il coraggio di alzare la testa per paura di aver detto qualcosa di sbagliato, poi appoggiò il bicchiere sul tavolo.
“Comunque, devo andare lo stesso a Inverness dai miei. Gliel’ho promesso” disse.
“Certo. Puoi raggiungermi quando ti va, io ti aspetto”.
“E se, invece di aspettarmi a Londra, venissi a Inverness con me?” tentò, di nuovo.
Scossi la testa. “Non mi sembra il caso”.
“Perché no, scusa?”
“Perché…beh, chissà da quanto tempo non vedi la tua famiglia, non mi va di essere d’impiccio”.
“Ma che impiccio!” sbottò. “Scommetto che saranno entusiasti di conoscerti”.
“Ma…ho l’aereo domani” mi opposi, molto più debolmente.
“Non ti preoccupare per l’aereo, sistemo tutto io, e prenoto anche due posti per andare a Londra sabato”. Restai un attimo in silenzio, mentre Craig mi fissava con aria implorante, dopodiché sorrisi “D’accordo, dato che insisti”.
Il sorriso che si allargò sul viso del mio amico valeva mille voli posticipati.

Chiusi il portatile e lo rimisi nella sua valigetta, dopodiché mi voltai verso Craig, che stava guidando al mio fianco.

“Fatto?” chiese, senza togliere gli occhi dalla strada.
Annuii, sorridendo. “Fatto. Lo invierò al mio capo quando saremo arrivati a casa tua, se non è un problema”.
“Assolutamente nessun problema” mi rassicurò lui.
“Allora,” iniziai, con un sospiro rilassato “c’è qualcosa di particolare che dovrei sapere su Inverness?”
“Mah, non saprei” rispose, pensandoci un po’ su. “È un posto come un altro, ma per me è speciale perché significa casa” confessò.
Sorrisi. Qualcosa mi diceva che sarebbe presto diventato speciale anche per me e soltanto per il fatto che fosse così speciale per lui, il ragazzo di cui mi ero innamorata.
“Ti mancano i tuoi, vero?” domandai, aspettandomi una risposta affermativa che, in effetti, arrivò.
“Beh, credo sia normale, no?” si giustificò.
Annuii. “Normalissimo” concordai e, dopo un istante di esitazione, aggiunsi “Almeno credo”.
Craig si voltò a guardarmi, dispiaciuto. “Dio, Becky, mi dispiace!”
“Ma per cosa?” chiesi, perplessa.
“Scusa, sono un idiota” continuò lui, sempre più desolato.
“Ma non hai fatto niente, Craig” insistetti.
“Parlare così di famiglia, davanti a te”
“La vuoi piantare?” sbottai, guadagnandomi una sua occhiata stupita. “Non ti sei mai fatto problemi con me ed era una delle cose che mi piaceva di più del nostro rapporto. Mi spieghi perché diavolo vuoi iniziare a farteli proprio adesso?”
“Credevo che…insomma…” farfugliò, nervoso.
“Va tutto bene” lo tranquillizzai. “E, tornando al discorso di prima, credo sia normale che ti manchi la tua famiglia. Anche a me mancano i miei amici e Romeo” spiegai, facendolo sorridere.
Restammo in silenzio per un po’, ma non era uno di quei silenzi carichi di tensione, che mettevano a disagio, era un silenzio piacevole e rilassato, semplicemente stavamo godendo uno della presenza dell’altra. Fu Craig a rompere l’incanto.
“A proposito di famiglia,” iniziò “ti chiedo scusa già da ora per la mia”.
“Perché?” domandai, sorpresa.
“So già che, appena arriveremo, ti copriranno di domande. Non sentirti costretta a rispondere se non ti va di farlo” precisò.
Sorrisi, tra me. Ero veramente toccata da tutte le premure che Craig aveva nei miei confronti, ma a volte esagerava. Stavo per ribattere, ma lui mi precedette.
“E i miei fratelli non ti daranno tregua” aggiunse.
“Beh, ma…” iniziai.
“No,” mi interruppe lui “a volte possono diventare veramente insopportabili, credimi. Non sanno tenere la bocca chiusa”.
Non riuscii più a resistere e scoppiai a ridere di gusto, tanto che Craig si voltò a guardarmi, stupito.
“Che c’è? Che hai da ridere?” chiese.
“Niente,” risposi “è che a volte sei proprio buffo, sai?”
“Buffo?” domandò.
Annuii.
“Io?”
Annuii di nuovo.
“E perché?”
“Craig,” dissi, asciugandomi le lacrime con il palmo della mano “ascolta. Sono veramente onorata di tutte queste premure che hai nei miei confronti, ma smettila di preoccuparti. Non credo che i tuoi abbiano mai mangiato qualcuno, o sbaglio? Me la caverò”.
A quel punto, anche Craig si mise a ridere.
“Hai ragione, ho esagerato” si scusò. “È che ho sempre paura che la gente possa sentirsi in imbarazzo” spiegò e, dopo un istante “Devo esserti sembrato un tantino paranoico, vero?”
Scossi la testa.
“Affatto,” confessai “mi sei sembrato solo dolcissimo”.
Craig si voltò a guardarmi e io gli sorrisi. Non sapevo bene come mi erano uscite quelle parole, non era da me dire cose del genere, però avevo semplicemente pensato fosse carino renderlo partecipe dei miei pensieri e non mi ero fermata a riflettere che, forse, almeno dei pensieri che riguardavano lui, sarebbe stato meglio lasciarlo all’oscuro. In ogni caso, non sembrava l’avesse presa troppo male perché ricambiò il mio sorriso e, subito dopo, staccò una mano dal volante e la allungò fino a stringere la mia che, ovviamente, non tirai certo indietro. Distolsi lo sguardo dal suo viso e lo fissai sulla strada davanti a noi, sperando che, così facendo, non si accorgesse che stavo sorridendo. Le cose, tra noi, stavano andando alla grande e qualcosa mi diceva che, presto, ci sarebbe stato un cambiamento positivo nel nostro rapporto. Per la prima volta in quella giornata, mi ritrovai a pensare che non avevo poi tutta questa voglia di conoscere la famiglia di Craig. Non certo per loro, semplicemente perché, se solo fossimo stati soli, sarebbe stato tutto molto più facile.

 

Arrivammo a Inverness in tarda serata e, già mentre stavo scaricando le valige dal baule, la povera Becky fu subissata di domande da parte della mia chiassosissima famiglia. Con grande piacere, notai che se la stava cavando alla grande e non aveva nessun bisogno del mio aiuto, quindi mi dedicai completamente a coccolare il mio cane, che mi stava facendo moltissime feste.

Cosa volete per cena?” chiese mia madre, mentre accompagnava Rebecca in cucina.
“Abbiamo mangiato qualcosa per strada, mamma, grazie” la rassicurai.
“Sicuri?” si accertò lei.
Io e Rebecca annuimmo.
“Tranquilla. Credo che l’unica cosa che vogliamo fare, adesso, sia una bella doccia. E poi di filato a letto, vero?” azzardai, sorridendo alla mia amica.
“Già” convenne lei, ricambiando il sorriso. “È stata una lunga giornata. Specialmente per Craig”.
“Avete ragione, ragazzi. Meglio che vi riposiate. Ci sarà tutto il tempo di parlare domani” concluse mia madre.
“A proposito, mamma” la informai. “Domani avevo intenzione di portare Becky a fare un giretto in paese. Magari potremmo pranzare fuori. Che ne dici?”
Rebecca annuì. “Perfetto”.
“Fatti portare a Loch Ness!” esclamò mio fratello Larry.
“Loch Ness?” ripetè lei. “Quello di Nessie?”
“Leggende a parte, è un posto fantastico per passeggiare” spiegò mio padre. “I ragazzi lo adorano”.
“Il lago è bellissimo. C’è un’atmosfera magica” aggiunse James, il mio fratellino più piccolo.
Becky annuì. “D’accordo, me lo segno. Grazie ragazzi!”.
Sorrisi, tra me, e notai che Larry mi stava sorridendo a sua volta. Loch Ness era il posto perfetto per le coppie di innamorati. Possibile che i miei fratelli avessero già capito tutto? In ogni caso, dovevo ricordarmi di ringraziarli, un giorno o l’altro.

Accompagnai Becky in camera mia, portandole la valigia.

“Eccoci qua. Questa è la mia stanza. Non è una reggia, ma il letto è piuttosto comodo”.
“È perfetta” disse lei, guardandosi intorno. “Grazie Craig”. “Tu dove dormi?” mi chiese, dopo un istante.
“Con Larry” risposi.
“Sicuro che non ti dispiaccia lasciarmi la camera? Posso dormire sul divano” si offrì.
Scossi la testa. “Non se ne parla. Sei un’ospite. E poi Larry deve raccontarmi di una certa Michelle, la sua ultima conquista”.
Becky rise. “Ah beh, in questo caso”.
“Ci vediamo domani e grazie di avermi accompagnato” la salutai.
“Figurati. Grazie a te per avermi convinta a prolungare la vacanza”.

 

Salutai Craig e chiusi la porta, appoggiandomici con la schiena. Chiusi gli occhi e sospirai. Che giornata! Avrei dovuto essere a Glasgow, alle prese con i preparativi per il rientro, invece mi trovavo nella camera di Craig e davanti a me si prospettava una giornata ricca di eventi. Loch Ness. Un posto dall’atmosfera magica. L’idea mi elettrizzava. Ad essere onesti, però, non era tanto il lago in sé ad entusiasmarmi, quanto l’idea di quello che poteva succedere. Sapevo che Craig non stava attraversando un bel momento, l’addio di Paul era stato un brutto colpo per lui, però non riuscivo a togliermi dalla testa quella sera, al Levantine, quando ci eravamo quasi baciati. Certo, poteva benissimo aver cambiato idea, ma oggi, dopo la conferenza, mi aveva detto che aveva bisogno di me. Di me. Non di un’amica. Di me. Riaprii gli occhi e sbuffai. Dovevo smetterla di fantasticare, magari non sarebbe successo proprio un bel niente. Però…. In quel momento, il mio cellulare iniziò a suonare e io corsi a rispondere, per paura che svegliasse qualcuno dei MacLuis.
“Pronto” bisbigliai, senza nemmeno guardare chi fosse.
“Allora?” era la voce di Joey.
“Ciao”.
“Dove sei?” mi chiese, subito.
“Da Craig, te l’ho detto” risposi, alludendo al messaggio che gli avevo mandato durante il viaggio verso Inverness, spiegandogli che avrei prolungato la mia vacanza di un paio di giorni.
“Che vuol dire ‘da Craig’?” insistette lui.
“Vuol dire a casa sua, Joey. Anzi, a dire il vero in camera sua”.
“E…c’è anche lui?”
“Ma sei scemo?” lo rimproverai. “Certo che no. Craig è un galantuomo. Dorme con suo fratello”.
“Che c’è di male, scusa? Vi piacete, non vedo perché non possiate dormire insieme”.
“Ti elenco giusto un paio di motivi” iniziai.
“Lascia perdere” mi bloccò lui. “Non mi interessano. Piuttosto, è successo qualcosa?”
“Cosa dovrebbe succedere, scusa?”
“Mah, non so, l’ultima volta che vi siete visti ha tentato di baciarti, se ti ricordi”.
“Mi ricordo” lo liquidai. “Quindi?”
“Quindi mi aspetto che ci riprovi. Tu no, scusa?”
“Beh, io…sì, diciamo di sì” ammisi.
“Ci sono state premesse favorevoli?”
“Ancora no, non direi” confessai. “Anche se, forse, domani mi porta a fare un giro in paese e poi una passeggiata lungo il lago”.
“Lago? Fantastico! Allora è sicuro” esclamò il mio amico.
“Cosa c’è di così sicuro in un lago, scusa?” mi informai.
“Andiamo, Becky! Se un ragazzo porta una ragazza a passeggiare lungo un lago, c’è sempre un secondo fine”.
“No. Sei tu che sei pervertito Joey” sbottai, facendolo ridere.
“Beh, mi saprai poi dire” concluse. “Adesso vai a nanna, altrimenti domattina ti sveglierai con delle occhiaie terribili e Craig avrà ribrezzo ad avvicinarsi”.
“Grazie Joey, tu sì che sai rassicurare una ragazza” lo canzonai, ma ormai il mio amico aveva riattaccato, lasciandomi lì come un’idiota, con il telefono in mano, a sperare ardentemente che avesse ragione riguardo ai ragazzi e alle passeggiate lungo il lago.

“Craig, aspettami!” ansimai, cercando di stare dietro al mio amico.

“Su, dai pigrona” mi canzonò lui, fermandosi però ad aspettarmi.
Lo raggiunsi e mi aggrappai al suo braccio.
“Ascolta,” iniziai “la prossima volta che vuoi farmi scarpinare per un’ora e mezza, magari evita di portarmi a mangiare messicano a pranzo, okay? Mi piace troppo e ogni volta mi rimpinzo come un maiale. Non ce la posso fare a camminare così tanto” mi lamentai.
Craig scoppiò a ridere. “D’accordo,” annuì “lo terrò a mente per la prossima volta. Ma adesso rilassati, siamo quasi arrivati alla macchina”.
“Sia lodato il Cielo!” esclamai, aumentando il passo.
“Ehi! Ritrovato l’entusiasmo?” chiese lui, perplesso.
“Affatto,” riposi, voltandomi a guardarlo mentre proseguivo “ma quella panchina laggiù è così invitante”.

“Allora, scarpinata a parte, piaciuto Loch Ness?” le domandai, sedendomi accanto a lei su una panchina in riva al lago.

Rebecca annuì. “È un posto veramente magico, Craig. Grazie per avermici portato”.
“Figurati. Sono contento che ti piaccia. Io adoro starmene qui seduto a guardare il lago” confessai. Poi, voltandomi a guardarla, precisai “Certo, sempre che non ci sia qualcosa di più interessante da contemplare”.
Non sapevo esattamente come mi fossero uscite quelle parole. Non ero propriamente un tipo disinibito con le ragazze, tendevo a farmi troppi problemi e mi imbarazzavo facilmente. Con lei, però, era diverso. Mi ero sentito a mio agio sin dal nostro primo incontro e anche corteggiarla era molto più semplice. Inoltre, durante l’ultimo nostro incontro avevamo lasciato qualcosa in sospeso, e sapevo che non ci sarebbe stata occasione migliore per chiarire le cose, una volta per tutte. Becky arrossì, ma non distolse lo sguardo, che teneva puntato su di me.
“Lo prendo come un complimento” sentenziò.
“Assolutamente” concordai.

Distolsi lo sguardo, cercando di concentrarmi sulle leggere increspature che la brezza formava sulla superficie del lago. Sapevo di avere le guance in fiamme e sentivo il cuore martellarmi nel petto. Non avevo idea di cosa fare, o meglio, sapevo esattamente cos’avrei voluto che accadesse ma non avevo il coraggio di muovere un muscolo e mi limitavo ad aspettare che la situazione progredisse in qualche modo. Quanto ci metteva Craig a capire che volevo che mi baciasse? Stavo quasi per perdere le speranze, quando sentii la sua mano cercare la mia e mi voltai, sorpresa.

“Becky, io…” iniziò, avvicinandosi leggermente al mio viso.
“Sì?” farfugliai, tanto per dire qualcosa.
“C’è una cosa che vorrei fare da un po’ di tempo, ma…”
“Falla”.

 

Falla’? Avevo sentito bene? Rebecca mi aveva appena chiesto di baciarla? Perché era questo che volevo fare, mi pareva abbastanza chiaro. La guardai dritta negli occhi e vidi che sorrideva. Non avevo più dubbi. Mi avvicinai e le presi il viso tra le mani. Le mie labbra avevano appena sfiorato le sue, quando….

 

Il cellulare. Non riuscivo a crederci. Questa volta non c’era alcuna favola da rispettare, niente mezzanotte. Perché diavolo si era messo a suonare proprio in quel momento? Spalancai gli occhi e notai che anche Craig aveva fatto lo stesso.

“Scusa” sussurrai, cercando il telefono nella tasca della giacca.
Guardai il display. Era Joey. Giurai a me stessa che gliel’avrei fatta pagare.
“Pronto, Joey” risposi, sfiorando la mano a Craig mentre mi alzavo dalla panchina.
“Becky, aiuto” disse subito il mio amico.
“Che c’è?” domandai.
“Una tragedia”.
“Spera solo che sia veramente grave, Joey, perché mi hai appena rovinato la giornata” sbottai, seccata.
Sentii il mio amico sospirare. “Oh, lo è Becky, credimi”.
“Ok, spara” lo spronai.
“Ecco, domani sera ho una festa di addio al celibato al locale”.
“Fantastico” commentai, acida.
“E il festeggiato ha espressamente richiesto una ‘Serata Coyote Ugly’, altrimenti non se ne fa niente” Joey fece una pausa. “Pensavo di potermela cavare senza di te, ma Bridget si è slogata una caviglia e non può fare granché, poverina. Se non vieni nemmeno tu, resta solo Lizzie e che razza di ‘Serata Coyote Ugly’ sarebbe?”.
Mi voltai a guardare Craig, che mi sorrise, ancora seduto sulla panchina. Sospirai.
“Vedrò di essere a casa prima di domani sera” acconsentii, rassegnata.
Il mio amico si profuse in un torrente di ringraziamenti, che io stroncai con un secco “Ma ricordati che mi devi un favore enorme”.
“Problemi?” chiese Craig, preoccupato, non appena ebbi riattaccato.
“Una specie” risposi e, sedendomi di nuovo sulla panchina, gli spiegai la situazione.
“Mi dispiace, Craig, so quanto ci tenevi a questa mini vacanza qui”.
Il ragazzo scosse la testa e, sorridendo, si alzò. “Non importa. È bello che ti preoccupi così tanto per i tuoi amici”.
Sorrisi a mia volta. “Sì, ma tu…”.
“Io vengo con te, come promesso. Proseguiremo la mini vacanza a Londra” mi rassicurò.
Io annuii e mi avvicinai a lui.
“Grazie” sussurrai, prendendogli la mano.
“E di che?” chiese lui “Dai, andiamo a casa” aggiunse. “Se ci sbrighiamo, forse riusciamo a prendere il primo volo domattina”.

 

Eravamo all’aeroporto di Glasgow e stavamo curiosando tra i negozi del duty-free in attesa dell’imbarco. Becky stava pagando delle caramelle, mentre io ciondolavo per il negozio, pensando a lei e al momento in cui, forse, sarei finalmente riuscito a baciarla. Improvvisamente, la mia attenzione fu attratta da un ciondolo a forma di pianeta: era una piccola sfera rossa, circondata da un cerchio in argento che doveva rappresentare una sorta di anello.
“Capitan Crash e la bella regina di Marte” sussurrai, in contemplazione.
“Allora? Andiamo?” chiese la voce allegra di Becky, facendomi voltare di scatto.

Le sorrisi. “Certo, andiamo” risposi, seguendola verso il gate. La mia testa, però, era altrove. Quel ciondolo era perfetto. Avrei dovuto comprarlo, per lei. Gliel’avrei dato quando…quando? Quando le avrei confessato che mi ero innamorato di lei. Se mai ci fossi riuscito.
“Non hanno ancora iniziato ad imbarcare” mi informò Becky, annoiata.
La guardai, stralunato. “Io…mi sono dimenticato di comprare le sigarette” mentii. “Faccio un salto. Mi aspetti?”.

  
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