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Autore: Lisbeth Salander    12/10/2021    6 recensioni
Raccolta di momenti, frammenti della storia d'amore tra Victoire Weasley e Teddy Lupin.
[Questa storia partecipa al Writober di fanwriter.it]
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Day 12: Circle
Prompt (lista pumpNight): Oro

 
Circle
 
«Te lo ricordi il nostro primo appartamento a Diagon Alley?».
«Uno dei momenti migliori della mia vita».
«Quando ci siamo trasferiti lì, mancava persino il letto».
«Tanto non ci serviva».
 «Stavamo benissimo anche dormendo su un pavimento. Potremmo vedere se è in vendita adesso».
«Non essere egoista, dobbiamo lasciare che porti fortuna ad altre coppie».


25 dicembre 2020
Diagon Alley

 
«Vic, svegliati, è tardissimo. Tua nonna ci ucciderà e anche la mia. Come diavolo abbiamo fatto a non sentire la sveglia?».
Victoire si sente scuotere più volte, prima di aprire gli occhi il tempo giusto per coprirsi la testa con un lenzuolo.
«No, voglio rimanere qui». 
«È Natale ed è già tanto che non ci siano piombati in casa con la Metropolvere. Dovevamo essere lì ore fa».
Victoire sbuffa annoiata. Ama la sua famiglia ma qualche volta, solo qualche volta, vorrebbe vivere senza tutta quella invadenza eccessiva e smodata che li caratterizza.
«Il prossimo anno faremo Natale solo noi due, ti avviso. Andremo da qualche parte nel mondo e li abbandoneremo tutti con le loro folli tradizioni».
«Ma se sei la prima che non resiste a stare lontano da quella banda di pazzi».
Teddy, dal canto suo, è già pronto, avvolto nel maglione bordeaux che nonna Molly gli ha regalato la sera prima, e la guarda seduto a gambe incrociate sul materasso che usano come letto.
Victoire si trascina fuori dal letto, consapevole che, sì, è davvero tardi e che sua nonna sarebbe capace di buttare giù Diagon Alley se lei non dovesse presentarsi al pranzo di Natale. Non ha neanche trattenuto il disappunto per la convivenza, perché ai suoi tempi non si faceva così e senza un anello al dito non si va da nessuna parte, né per il fatto che lei e Teddy abbiano deciso di non dormire alla Tana insieme a tutti i cugini.
«Sbrigati!». 
La voce di Teddy dall’altra stanza arriva forte e chiara non appena lei entra nella doccia.
«Comunque potevi farla anche con me la doccia», ribatte Vic divertita dalle ansie di Teddy, un puntuale cronico.
Quando esce dalla doccia se lo ritrova lì, pronto a porgerle l’asciugamano con un’espressione quasi dolorosa sulla faccia.
«Potevi anche entrare».
«Dai, Vic. Sto facendo violenza a me stesso. Quel camino mi terrorizza».
«Sei proprio un tenero Tassorosso preoccupato», ridacchia alzandosi sulle punte per baciarlo.
«Tu una Grifondoro incosciente», ribatte Teddy approfondendo il bacio. 
Tra le cose a cui non si è ancora abituata in quei giorni di convivenza, è l’idea di avere tutta quella intimità con Teddy, di poter vivere senza pensare a fratelli, genitori, nonni, zii sempre pronti a star loro intorno.
Teddy è ancora terrorizzato da quello che hanno ribattezzato l’incidente del camino, ossia da quando nonna Molly è sbucata dal camino alle sei del mattino perché voleva esser loro utile. 
«C’è qualcosa nel tuo accappatoio», le dice lui sfiorandole il fianco destro.
Victoire lo osserva con sospetto frugando nelle tasche in cui di solito lascia solo il pettine. Le mani rintracciano qualcosa di metallico.
«Teddy, ma…». 
Si ferma ad osservare il braccialetto che Teddy deve aver messo lì e che ha un’aria conosciuta.
«Io non sono ricco, Vic», le dice serio Teddy, «non dico che sia povero o squattrinato, perché, insomma, non è così. Grazie a zia Hermione, ho avuto il risarcimento per la guerra e…».
«Teddy, piantala io…».
«No, Vic, fammi finire. Io non sono ricco, okay? Ho delle risorse e, poi, sì, ci sono gli altri* soldi ma spero di non doverli mai usare perché spero di riuscire a vivere senza…».
«Teddy, lo so ma questo è…».
«Quando sei stata male, mi sono sentito uno schifo per non aver capito, per non essere tornato…».
«Ne abbiamo parlato cento volte, basta parlarne…».
«Sì, ma quello che ho capito è che non sarei mai stato in pace fino a quando non ti avessi vista di nuovo contenta, di nuovo felice, di nuovo piena di vita come sei sempre stata, così travolgente in ogni cosa. Sei la cosa migliore della mia vita, Vic, e non posso pensare…».
Victoire gli riserva uno sguardo carico di tenerezza, perché lo ha visto anche lei perdere il sonno dietro il suo malessere, sforzarsi di trovare ogni giorno qualcosa che le desse uno stimolo. Lo ricorda arrabbiato, disperato, ma mai arrendevole, mai una volta in cui davanti ai suoi muri abbia deciso di voltarsi.
«Ora sto bene, Teddy, sul serio, un giorno alla volta…».
«Non lascerò che ricapiti mai più una cosa del genere. Non dovevo rimanere in Giappone…».
«Ascolta, Teddy, se non fosse successo, forse non saremmo arrivati qui. Dovevo solo capire…».
«Non dovevi stare così», dice lui abbassando lo sguardo.
Victoire gli prende il viso tra le mani prima di baciarlo a lungo, di stringerlo e rassicurarlo.
«Lo sai che cosa mi ha detto quell’amica di zia Audrey, vero? La Guaritrice del San Mungo con cui parlo…».
«Sì, ma, Vic, la sofferenza qualche volta è solo sofferenza inutile. Non c’è bisogno di stare così male per capire e vorrei evitartela».
«Soffrirò ancora, Teddy, credo sia inevitabile. Anzi, forse sono stata così male proprio perché non la conoscevo davvero».
Teddy ha un’espressione scettica dipinta sul volto. Vic sospira perché, tra tanti momenti in cui avrebbe potuto fare quel discorso, la mattina di Natale in accappatoio con mille parenti che li attendono è forse il più sbagliato.
«Io la sofferenza non l’avevo mai provata sulla mia pelle, Teddy. Sono nata il 2 maggio, un giorno in cui tutti hanno perso qualcuno, in cui sono tutti un po’ spezzati ma un giorno che li ha spinti a festeggiarmi sempre. Quindi, sì, l’ho vista, la ricordo la sofferenza di mio padre, di mia madre, dei miei nonni, di tua nonna. Ho visto la tua sofferenza, Teddy, ma non era la mia. So che questo può suonarti terribilmente egoista ma io un dolore mio non lo avevo mai davvero sperimentato e quando mi è toccato non ero pronta. Non mi è mancato nulla, non… Mio padre non aveva abbastanza soldi da piccolo, ha dovuto rinunciare a tantissime cose, ma io? Io ho potuto solo scegliere tra mille opzioni e mi è crollato tutto addosso quando un’opzione giusta per me non riuscivo a vederla. Non sentirti responsabile di nulla, ti prego».
«Non penso che smetterò mai di sentirmi responsabile», dice lui stringendola più forte e sciogliendole i capelli.
«Ma per questo non devi regalarmi costosissimi bracciali!».
«È di mia nonna. Mi ha detto che, quando eri a Rockbourne, l’hai aiutata a fare delle faccende e che lo avevi visto e ti era piaciuto…».
Victoire sgrana gli occhi osservando meglio quel braccialetto. Sforzando la memoria ricorda che Andromeda le ha detto che è d’oro forgiato dai folletti e che era uno dei gioielli cui teneva di più.
«Non posso accettarlo, Teddy. Tua nonna lo adora!».
«È un regalo di mio nonno», continua lui, dando segno di non aver sentito, «Nonna mi ha detto che erano sposati da poco, probabilmente lei non era nemmeno incinta e non avevano tantissimi soldi, perché nonno non era ancora entrato al Ministero e scriveva per una piccola rivista. Un bel giorno nonno si presenta a casa con questo braccialetto per la nonna, per cui aveva speso quasi tutti i suoi risparmi. Lei mi ha detto che non riuscì neanche ad arrabbiarsi perché nonno l’aveva convinta che si potesse vivere anche di solo amore».
Victoire guarda con tenerezza il braccialetto di Ted Tonks, quel nonno di cui Andromeda parla ancora con occhi sognanti e con la voce tremante.
«È una storia bellissima», sussurra.
«Nonna dice che le ricordiamo loro due da giovani e che era giusto che lo dessi a te», conclude stringendole il braccialetto intorno al polso.
«Si sono amati tantissimo, vero?».
«Contro tutti e tutto».
«Come facciamo e faremo noi».
«Fortunatamente, le nostre famiglie non sono la Antichissima e Nobilissima Casata dei Black».
«Sì, ma sono sicura che Hilda Hermann abbia represso il desiderio di Schiantarmi tutte le volte che ci siamo incrociate in corridoio».
«Sono sicuro che avrebbe avuto pane per i suoi denti».
«Certo, sono una Weasley e poi zio Harry ci ha cresciuti a succo di zucca e difesa».
Victoire guarda il bracciale che le cinge il polso, soffermandosi su ogni dettaglio, mentre avverte lo sguardo attento di Teddy su di sé.
«Spero che riusciremo a rimanere sempre innamorati come loro».
«Io ne sono sicuro».

 

*Per questa spiegazione, se dovessi riuscire, ci sarà un’altra storia, non propriamente dedicata a Teddy ma collaterale.

   
 
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