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Autore: Aceaddicted_    12/10/2021    0 recensioni
«Questo profumo dà alla testa…» mormorò Ace quasi infastidito più che ammaliato, mentre si dirigevano verso l’ingresso principale. «È proprio questo l’intento…Per una persona che ha poco auto controllo una volta qui dentro è la fine. Brama e lussuria ti divorano, ed è questo lo scopo del gioco.» continuò Izo. (...)
Sbarcati sull'isola di Wa, i famosi comandanti di Barbabianca: Ace, Marco ed Izo, intraprendono un lungo spionaggio nella Capitale dei Fiori, alla ricerca di informazioni per conto del loro Comandante. I tre giovani si ritroveranno ad affrontare una nuova cultura, avvolta da seta pregiata e incensi profumati, ma che nel buio si macchia di gravi peccati ed ingiustizie.
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Nota: Possibile SPOILER Saga di Wano
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izou, Marco, Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: Lime | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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A Wano, i giorni seguenti all’incontro presso la Casa da Tè, passarono velocemente: caotici, con sempre più informazioni da verificare. Ayame era stata di parola, ed ogni sorgere del sole faceva trovare ad Ace la famosa bustina rossa contente le informazioni scoperte la notte appena trascorsa. Il suo aiuto si stava rivelando molto più proficuo ed utile di quanto si sarebbero aspettati.
 
D’altronde quasi tutte le grandi teste a seguito dello Shogun passavano da quella porta scarlatta.
 
Con tutto il lavoro che c’era da fare, il giovane corvino non aveva più avuto modo di incontrarla, così non appena ebbe un momento di calma decise di andare a trovarla.
Erano circa le prime ore del pomeriggio, come suo solito Ace si infiltrò nella Casa fino a raggiungere il cortile interno nella quale si recava tutte le mattine. Rimase nascosto dietro alla parete. Dalla stanza si librava una melodia che piacevolmente si diffondeva sino in giardino: stava suonando lo Shamisen. Il comandante si sedette, spalle appoggiate al muro e le ginocchia rannicchiate al petto. Chiuse gli occhi, concedendosi un momento di piacere spensierato, cullato dal vento cui gentilmente gli smuoveva i ciuffi ribelli.
 
Gli mancava un po’ tutto questo. La brezza marina e la spensieratezza di concedersi un momento di calma. Sorrise, immaginandosi quella delicata figura suonare. L’aveva vista farlo solo una volta. Il volto coperto da quella maschera e le esili dita muoversi velocemente lungo le corde vibranti.
Era una melodia completamente differente, aveva un non so che di malinconico, dal sapore romantico. L’avrebbe ascoltata per ore, lo rilassava. Prese fiato, inspirò ed espirò alzandosi, spuntandole alle spalle affacciato alla porta scorrevole.
 
«Aw, che bella melodia!» esclamò raggiante, facendola sussultare dallo spavento interrompendo bruscamente la musica. Ace scoppiò a ridere, godendosi la tenera espressine da cucciolo impaurito con cui si tinse il volto roseo della giovane Oiran.
 
«Mi hai fatta spaventare!» esclamò imbarazzata, dopo essere stata presa alla sprovvista. Non era abituata alle visite non annunciate, o meglio, non era proprio abituata alle visite di cortesia. Si trattava quasi sempre di lavoro. «Lo sai che bisognerebbe annunciarsi e non presentarsi così in casa della gente? Potrei farti arrestare, straniero.» lo rimproverò cercando di tenere un tono della voce serio ed impetuoso, ma lo sforzo fu breve vedendo il sorriso sul volto del ragazzo.
 
«Tu non sei la gente, sei Ayame però, no?» le rispose, togliendosi gli zori sulla veranda ed entrando a piedi scalzi nella stanza della giovane.
 
Il profumo di incenso e fiori lo persuase subito, avvolgendolo in una coccola infinita. Ace la raggiunse, sedendosi davanti a lei sul morbido tatami. Gli occhi del corvino osservarono la giovane, era in tenuta informale. Uno yukata leggero ed aderente, dal color verde pastello con dei delicati disegni floreali ad adornarlo. A differenza della prima volta in cui si incontrarono, Ayame portava i lunghi capelli color pesca sciolti, setosi e lisci. La luce del sole donava loro dei riflessi dai colori brillanti. Sembravano così morbidi che ad Ace venne voglia di accarezzarli. Chissà se profumavano anch’essi come tutto quanto intorno a lei.
 
«Che fai qui? Hai bisogno di qualcosa? Ti sto già scrivendo tutto quello che sto scoprendo, non so altro a riguardo…» mormorò la giovane, abbozzando un sorriso amichevole sulle labbra rosee.
Non erano truccate, nessun lineamento del suo viso lo era questa volta. Gli occhi color zaffiro, così luminosi da perdercisi dentro. Vederla alla luce del sole era tutta un’altra esperienza, come se la stesse incontrando per la prima volta. Una bellezza naturale, reale. Ace non era per le cose artefatte ed idealizzate, lo attraeva tutto ciò che era trasparente e tangibile.
 
«Mi piaceva quella melodia…la suoneresti ancora?» domandò il moro con un grande sorriso, camuffando l’imminente imbarazzo. Quasi come un bambino che richiedeva la ninnananna.
 
Una smorfietta comparve sul viso di Ayame, sorrise. Le mani ripresero lo Shamisen e l’esili dita iniziarono a muoversi abilmente sulle corde, avvolgendoli entrambi con una melodia intima e sinuosa. Gli occhi color zaffiro si chiusero, lasciandosi trasportare dalla musica, ed insieme a lei, Ace si accomodò meglio sdraiandosi come solito fare. Le braccia raccolte sotto la testa e le gambe scomposte, mostrandone i muscoli atletici e ben definiti.
 
Ayame suonava ondeggiando flebilmente la testa a ritmo, osservando di tanto in tanto il corvino sdraiato davanti a lei. Era così tranquillo. Il viso rilassato, le lentiggini si notavano maggiormente alla luce del sole. Spruzzate su quel viso dai tratti duri, ma dalle movenze gentili ed amichevoli. I capelli attentamente acconciati erano cullati dal vento. Le venne quasi voglia di accarezzarlo. Fortunatamente le mani erano occupate. Era curiosa, affascinata. Quasi come se davanti a sé avesse una forma di vita mai vista prima.
 
«Da dove vengo io non esiste questo strumento, ce n’è uno simile ma ha una musicalità diversa.» mormorò Ace una volta conclusa la melodia. «Hai imparato qui a suonare?» domandò alzando gli occhi verso quelli della giovane.
 
«Non proprio…» accennò un sorriso Ayame, ricambiando lo sguardo di Ace prima di riprendere a parlare. «La mia famiglia mi vendette all’età di sei anni ad una scuola per Orian, in cui mi insegnarono e prepararono per tutto ciò che avrei dovuto affrontare in questo mestiere. Non avevamo soldi abbastanza per pagare le tasse imposte allo Shogun, così quello fu l’unico modo. Solitamente in giovane età si viene mandate ad affiancare le Cortigiane; quindi suoni, servi da bere e offri aiuto mentre loro intrattengono maggiormente gli ospiti. Poi all’età di diciassette anni venni comprata personalmente da Kyoshiro-sama ed eccoci qui…» spiegò con naturalezza la giovane, posando lo strumento sulle cosce.
 
Lo sguardo di Ace si fece cupo e pensieroso, scostandosi velocemente dalla sua figura al soffitto.
Il passato della giovane gli fece fare un tuffo nel proprio, tornando alla sua infanzia con i fratelli nel bosco insieme a Dadan. Loro non erano stati venduti però, ed avevano avuto la fortuna di ricrearsi una famiglia. Sarà stato così anche per lei? Infondo non erano così diversi forse. Lei una rinomata Oiran di Wa cui tutti desiderano, e lui un pirata con una taglia di 550.000.000 di Berry sopra la testa.
Entrambi non mancavano certo di notorietà, ma Ace sapeva di avere qualcosa in più rispetto a lei: la libertà.
 
«Ace-dono… raccontami qualcosa del tuo paese, delle tue avventure…» chiese posandogli delicatamente una mano sul petto scoperto, richiamando così l’attenzione del corvino.
 
Era così fresca, leggera. Il tocco inaspettato gli fece accapponare la pelle ardente. La temperatura corporea di Ace aveva subito un notevole cambiamento da quando mangiò il frutto Mera Mera anni fa, e quel tocco fresco lo fece rinvenire dai suoi tormentati pensieri.
 
«Solo Ace…» mormorò ridendo, quel onorifico gli metteva soggezione. «Beh, vediamo… da cosa potrei iniziare… Ah sì! Sai cosa sono i frutti del diavolo?» chiese esaltato, scattando per sedersi esattamente davanti a lei. Gambe incrociate e la schiena diritta. I propri occhi vispi si persero in quel blu sconfinato davanti a sé.
 
«Frutti del diavolo?» ripeté perplessa Ayame con un’espressione buffissima sul volto.
 
Era palese non ne avesse mai sentito parlare. D’altronde il Pase di Wa era fortemente isolato dal resto del mondo, e poteva benissimo essere che nessun possessore di poteri innaturali fosse mai approdato o magari non si fosse mai esposto così tanto. Anche loro lo erano tutti, ma solo lui si stava mettendo così a nudo. Sicuramente era un’azione sconsiderata ed imprudente; un classico alla Portgas D. Ace.
 
«Allora te lo spiego io, però promettimi che non ti spaventerai, ok?» Ace scoppiò a ridere divertito, cogliendo tutta la curiosità che traspariva in ogni muscolo del corpo della giovane, che prontamente spostò lontano lo strumento musicale sedendosi più comodamente davanti al comandante.
Annuì alla sua richiesta, e poco dopò la mano destra di Ace si infrappose tra di loro.
 
Il palmo forte, girato verso l’alto, le dita si mossero lievemente creando delle flebili fiammelle.
 
Lo sguardo di Ayame si spalancò incredulo, entusiasta e spaventata contemporaneamente. Stregoneria? Non aveva mai visto nulla del genere nei suoi vent’anni. Ace la guardò dolcemente. Gli occhi stretti in un grande sorriso divertito. Intensificò le fiamme, facendole danzare nella sua mano, stando attendo a non sfiorarla involontariamente. Il calore si diffondeva, tingendo i loro corpi di una lieve luce rossa. Il tepore accresceva, flebile al venticello che entrava nella stanza.
 
«Posso toccarle?» domandò Ayame, guardandolo con gli occhi eccitati di una bambina. Quel blu era iridescente da quant’era entusiasta. Non esitava. Non aveva paura di lui. Come poteva una giovane donna, la quale non avesse mai visto nulla del genere, non temerlo? Non volerlo allontanare, ma anzi, sembrava sempre di più abbattere ogni distanza tra di loro.
 
Ace le annuì. Ovviamente potendo modificarne la natura delle proprie fiamme, quindi se coinvolgere oggetti e persone o meno, annullò totalmente il calore. Quasi fossero degli ologrammi, visibili ma impercettibili. La giovane dai capelli color pesca si rese subito conto dell’assenza di calore. Lo guardò confusa, ma non tornò sui propri passi. Le esili dita gli sfiorarono i polpastrelli, incredula di non scottarsi, proseguendo poi sul palmo sino a posare completamente la propria mano sul quella del corvino; lasciandole entrambe avvolte nelle fiamme. Vive, ardenti.
Rimasero entrambi in silenzio, sorridendosi e giocherellando con esse. Le morbide dita di Ayame si stringevano in quelle di Ace, decisamente più possenti.
 
Il comandante si sentì strano, nemmeno lui riusciva a capirne il motivo. Fin dal primo momento si era sentito a suo agio in compagnia di una sconosciuta ed era pure arrivato ad esporsi così tanto. Sentiva di potersi fidare. Non riusciva a far a meno di volerla proteggere. Sentiva la necessità di quella dolce veemenza.
 
«Com’è possibile tutto questo? La tua mano è calda, come la tua pelle… ma le fiamme non hanno calore, però prima le ho sentite e sono sicura che se le avessi toccate mi sarei scottata.» chiese spiegazione Ayame ritraendo poco dopo la propria mano da quella di Ace, il quale lievemente le fece opposizione quasi a non volerla lasciare.
 
«Non hai paura di me?» domandò serio, nessun sorriso sotto quelle lentiggini.
«No, non me ne hai mai dato modo di averne.» gli rispose reggendo il suo sguardo ed il tono ponderato.
 
«Sai… metà del mondo mi chiama il “Figlio del Demonio” per via del legame di sangue con quello che era mio padre. Mi temono tutti, nonostante io non abbia fatto nulla e da quando ho acquisito questo potere, sono diventato uno dei più grandi ricercati di tutto il mondo…» spiegò Ace, mascherandosi con un’espressione beffarda sul volto. Non gli stava poi così bene.
 
«Perché dovrebbe importarmi del nome della tua famiglia? Infondo tu stesso stai parlando con una Oiran, una donna di piacere. Il tuo nome e il mio lavoro non descrivono realmente chi siamo, Ace…» rispose affabilmente Ayame. Era una donna astuta e brillante per la propria età e negli anni aveva imparato molto bene a leggere le persone. E davanti a sé era certa di non avere nessun Demonio, quelli erano altri.
 
Ace rimase ammutolito. Sorpreso e mortificato nel sentire quel paragone verso loro due. Per la prima volta, oltre alla propria famiglia, aveva trovato qualcuno che non lo giudicasse o desse peso a quel dannato cognome cadutogli addosso da ancor prima di venire al mondo. Allo stesso tempo però, si sentì un miserabile per averla messa nella condizione di dover sottolineare che fosse una prostituta e che con ciò non si sarebbe dovuta meritare la sua compagnia.
 
«Aya-» provò a mormorare Ace, venendo subito interrotto. «Va bene così, piuttosto vedi di rispondere alla mia domanda invece!» lo canzonò prontamente la giovane donna, cercando subito di cambiare il clima di tensione creatosi all’interno della propria stanza.
 
«Hai ragione, hai ragione!» rise al rimprovero, portandosi una mano dietro alla testa imbarazzato.
«Questo potere deriva da un frutto di nome Mera Mera, appunto un frutto del diavolo. Si chiamano così perché conferiscono a chi li mangia dei poteri diversi però ti impediscono, come una punizione, di poter nuotare a contatto con l’acqua. Se io entrassi in mare morirei affogato insomma, porta il corpo ad essere inerme e non muoversi più.» spiegò brevemente Ace.
«Ovviamente quando lo mangiai non sapevo fosse un frutto del genere. Avevo diciassette anni ed ero naufragato su un’isola, senza cibo o acqua. Lo trovai per caso e senza pensarci lo mangia, ovviamente poco dopo me ne resi conto…» continuò la spiegazione scoppiando vistosamente a ridere ricordandosi di quel momento in compagnia di uno dei suoi primi amici, Deuce.
 
La giovane Oiran rise insieme a lui, immaginandosi un giovane Ace allo sbaraglio, anche se con il senno di poi ci sarebbe stato ben poco da ridere. La sua allegria era coinvolgente e lei non era abituata a tutto questo. Viveva in un costante flusso di serietà ed apparenza, decisamente ben lontano dalla realtà dello straniero davanti a sé.
 
«Quindi al mondo ci sono tanti tipi diversi? E se uno non lo vuole più?» domandò ingenuamente la giovane, sempre più curiosa. In un mondo di katane e samurai era difficile immaginarsi una cosa del genere senza averla d’innanzi agli occhi.
 
«Esattamente! Ce ne sono alcuni come il mio che si chiamano Rogia e permettono di modificare il corpo in un elemento, quindi decidere se le fiamme stanno solo su di me o su determinate cose, se bruciano oppure no. Poi altri invece, come quello di mio fratello, si chiaman Paramisha e trasformano il corpo. Sai, lui si può allungare tipo un elastico, fichissimo! E poi quelli Zoo che quindi diventano degli animali…» finì Ace chiudendo il piccolo discorso riguardanti i frutti del diavolo.
 
Ayame rimase in silenzio elaborando le tante informazioni ricevute da Ace, che nel frattempo si divertiva ad intrattenerla giocherellando con le fiamme sul proprio corpo. Era peggio di un giullare quando gli partiva a vena divertente.
 
«Hai detto che alcuni possono trasformarsi in animali, giusto?» domandò seria la giovane, mentre i suoi pensieri erano piuttosto presi a riflettere su qualcosa. «Sì esatto. Tipo… leoni, dinosauri, draghi ecc.» rispose Ace senza darle troppa importanza. «Ace… qui a Wano ce sono altri come te allora!» esclamò la Oiran ad occhi sgranati, come se avesse risolto un enigma impossibile.
 
Ace rimase perplesso, grattandosi la testa non capendo esattamente cosa intendesse. Dalle informazioni in loro possesso, a parte Kaido, non ci sarebbe dovuto essere nessun possessore ma era anche vero che non avevano così tante informazioni per escludere ciecamente.
 
«Ascoltami, non possiamo parlare di questo a voce alta. Te lo dirò all’orecchio, ok?» bisbigliò Ayame con un atteggiamento che destò abbastanza perplessità ad Ace. Le pareti hanno orecchie? O forse era lei ad essere fin troppo prudente.
 
La giovane Oiran si avvicinò ampiamente ad Ace, sfiorando il suo corpo per raggiungergli l’orecchio. Un profumo inebriante avvolse il corvino, dandogli una sensazione stupefacente. Si agitò leggermente nell’averla così vicina. Sentì il seno sinuoso aderire alla sua spalla, ed un nodo alla gola lo avvolse. “Ace, sembri un pivello.” Pensò tra sé e sé finché Ayame non prese a parlare ricatturando la sua attenzione.
 
«Io sono stata nella casa personale dello Shogun e durante una festa in preda all’ira si trasformò in un serpente a otto teste… questa è un’informazione che solo in pochi eletti sappiamo, pena la decapitazione… ma stando con Kyoshiro-sama, più di una volta l’ho sentito parlare dei Pirati di Kaido e tutti loro hanno sembianze anomale.» gli bisbigliò Ayame all’orecchio, con una voce flebile.
 
Ace sembrò ricevere un’iniezione di adrenalina. Lo sguardo vispo si fece sottile e il suo corpo si tese, quanto le corde di uno Shamisen. Aveva trovato un altro tassello del puzzle, e doveva assolutamente informare Marco e Izo delle novità scoperte. Potevano essere un punto di svolta fondamentale e soprattutto da non sottovalutare.
 
«Questa si che è una notizia! Ayame sei mitica!» esclamò Ace voltandosi verso di lei, dimenticandosi che la ragazza si trovasse ad un soffio dalla sua faccia.
 
I due giovani si ritrovarono naso a naso, scongiurando al pelo una testata condivisa. Gli occhi color zaffiro si fecero ancora più grandi. Ace sorrise, senza accennare un minimo spostamento.
 
«Sei uno stupido! Ti ricordo che dovresti pagare per la mia compagnia!» lo ammonì Ayame, cercando di nascondere palesemente il suo imbarazzo presa così alla sprovvista. Lo spinse lievemente su una spalla, scostandolo dal proprio viso fintamente seccato.
 
Ace rise nuovamente, facendola ridere a sua volta. I due rimasero lì, amichevolmente a scrutarsi. Come potevano ridere dopo una rivelazione del genere? Ace si alzò in piedi, allungandole una mano per aiutarla nel fare lo stesso.
 
«Te ne vai?» domandò guardandolo accanto a sé. Avevano circa una spanna di differenza, ed accanto alla sua figura era proprio minuta.
 
«Sì, mi sono trattenuto abbastanza ed è meglio che raggiunga gli altri… Mi accompagni?» rispose Ace incamminandosi verso il giardinetto interno, dalla quale era venuto.
 
Ayame annuì, abbassando poco dopo lo sguardo sul tatami mentre entrambi camminavano in direzione della porta. Era calato il silenzio e con esso anche il sole prese a scendere. Quant’era passato, un paio d’ore? Sembrava il tempo si fosse fermato in quella stanza, colorata e profumata.
 
«Tornerò a trovarti… vedi di fare la brava.» mormorò teneramente Ace, voltandosi verso di lei ed incrociando così il suo sguardo. Quegli zaffiri sembrarono aver ripreso vigore dal momento appena prima.
 
Il comandante si rimise gli zori e le si allontanò, salutandola con un cenno della mano prima di saltare sulle mura attorno alla casa. «Stai attento!» Un urlò si librò timido nell’aria ed Ace si voltò subito nella sua direzione, facendole un occhiolino per poi scomparire dalla sua vista. Sceso in strada si sentì le gambe molli, che stava accadendo? Indietreggiò appena, appoggiandosi con la schiena al muraglione, mettendosi una mano sul petto. Il cuore batteva veloce.
Non potevano due parole averlo reso così vulnerabile.
 
Doveva ammetterlo: il paese di Wa era davvero affascinante, sotto tutte le sue forme.
  
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