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Autore: Martin Eden    16/10/2021    1 recensioni
Ciao a tutti! Dopo anni di latitanza, mi è venuta voglia di tornare su questo Fandom, che ho tanto amato...e lo faccio con una vecchia storia LOTR che ho ripreso in mano ultimamente, dopo aver rivisto i film della trilogia de Lo Hobbit...mi è venuta voglia!
Scommetto che molti di voi, come me si sono posti questa domanda: ma Legolas e Aragorn dove si saranno conosciuti?! :D
Questa fanfiction cercherà di dare una risposta...allora voi leggete e commentate! :)
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aragorn, Legolas, Thranduil
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Compagni di Sventura'
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Thranduil

 

La cerimonia era stata solenne, ma al tempo stesso veloce e frugale. Non volevo in alcun modo che quel dolore ci travolgesse, nel caso ci indugiassimo dentro un minuto di più.

Il corpo di Tauriel era stato deposto in una bara di legno di faggio, riccamente intarsiata, che avevo fatto confezionare appositamente in due giorni. Ciò che restava di lei era stato preparato, lavato con cura, rivestito e abbellito per l’occasione, l’ultima di cui avrebbe potuto godere alla luce del sole.

Non avevo avuto il coraggio di assistere a quella formale cerimonia. Né come re, né come unico familiare a disposizione.

Non condividevamo nemmeno lo stesso sangue, ma la sentivo mia come non mai, specie in un momento come quello.

Una volta pronta, l’avevo accompagnata in un tripudio di iris bianchi fino al luogo che avevo scelto per lei, dove speravo avrebbe potuto trovare un minimo di pace.

Non ci è dato sapere con quali criteri le anime navighino attraverso le aule di Mandos, né con quali prerogative possano essere ammesse a Valinor oppure rimandate sulla terra sotto altra forma. A me non era dato sapere se i miei sforzi sarebbero valsi a qualcosa per cancellare il gesto di Tauriel, che nella nostra cultura equivaleva a una condanna ben oltre la vita terrena.

Il suicidio per amore non era ammesso come degna motivazione per rifiutare il sacro dono della vita.

Speravo che gli Dèi potessero avere pietà di lei.

Il corteo funebre si era fermato ai piedi di due enormi querce, poco lontano dal palazzo. Ricordavo che, nei tempi che furono, quello era stato un luogo di gioia per Tauriel, come anche per Legolas. Lì i miei figli, come me prima di loro, avevano giocato a nascondino, avevano preso in mano le prime spade di legno, avevano costruito la loro roccaforte contro noi adulti, troppo occupati nelle faccende del reame. Legolas e Tauriel erano due figli, per me, almeno prima che cominciasse questa assurda guerra nella Terra-di-Mezzo.

Ripensai a Legolas e a quanto il suo cuore avesse potuto battere forte per Tauriel, da prima di quando io me ne potessi accorgere. Ecco che, in quel momento, avevo cominciato a vedere le cose differentemente.

Non volevo che si frequentassero. Mio figlio doveva rimanere concentrato sui suoi doveri, come ci si sarebbe aspettato da un rampollo della casata reale. Non intendevo concedere alcuna deroga a Legolas, nemmeno per conoscere i piaceri dell’amore.

Inoltre, non era mia intenzione mescolare il nostro sangue con quello di una creatura di rango inferiore. Non era così che doveva funzionare.

Terzo ma non ultimo punto, non potevo concepire l’idea che due fratelli di fatto potessero amarsi così tanto, al punto da mandare all’aria tutti i miei piani.

Quando sono stato messo di fronte alla realtà, ho creduto che i miei incubi potessero avverarsi. Ne avevo parlato prima con Tauriel, poi con Legolas, cercando di allontanarli. Solo Tauriel si era dimostrata ligia alle mie parole.

Soltanto in seguito ne ho compreso il motivo.

La forza della verità aveva aperto una breccia nel mio animo e per la prima volta mi sono chiesto quando, se e dove avevo sbagliato. La mia proverbiale preveggenza non mi aveva salvato dall’abominio a cui stavo assistendo. Tauriel, la mia Tauriel, si metteva contro di me, per amore di un nano di nome Kili. Un senza passato e un senza gloria, ai miei occhi, come tutta la banda dei suoi squinternati amici. Ma lei ci credeva lo stesso, credeva nei loro valori e nel valore della loro impresa, una probabile missione senza ritorno. Mi recriminava il fatto di non volermi sporcare le mani con una guerra che non mi apparteneva, mi tacciava di essere pavido di fronte alla possibilità di aiutare la Terra-di-Mezzo e i suoi abitanti.

L’avevo odiata, in quel momento. Sì, odiata più che mai, mentre sulla mia pelle bruciava il fuoco della vergogna.

Legolas l’aveva difesa contro di me, arrivando al punto di minacciarmi con la spada. Avevo sentito un dolore dentro, micidiale, come se mi avesse trapassato. Persino in quell’assurdo momento, avevo pensato a Tauriel, a quanto era riuscita a portarmi via nonostante io le avessi dato tutto.

Li avevo visti allontanarsi insieme e tutto quello che mi era rimasto era un pugno di cenere nel mio cuore.

Ma adesso, di fronte al suo corpo bianco, mi ritrovavo a sperare che da quelle ceneri potesse germogliare qualcosa di buono e puro come il perdono.

Perdonami, Tauriel

Lo chiedevo a lei, ma forse lo chiedevo di più a me stesso, mentre la mia mente correva a Legolas e a tutto quello che aveva dovuto affrontare, da solo, senza di me al suo fianco. Forse era stato giusto così, forse era proprio questo che da genitore avrei dovuto imparare: lasciare andare.

Ma ero così terrorizzato dall’idea che qualcuno avesse potuto lasciare andare me, che non abdicavo all’idea di concedere alla vita di allontanarsi.

Non prima di potermi accomiatare definitivamente.

Per chiudere ufficialmente la cerimonia, mi restava solo una cosa da fare.

Feci un passo avanti, avvolto nel mio pesante mantello nero. Tutto pesava, in quel momento. Anche l’aria del mio bosco, la mia casa, pareva volersi stringere addosso a me e trascinarmi dove Tauriel mi avrebbe voluto: accanto a lei. Sempre e comunque, come ogni bravo genitore.

Non ero stato all’altezza di quel compito e me ne rendevo conto solo ora. Solo quando non mi era rimasto più niente.

Feci quello che dovevo fare.

Trassi da sotto il mantello la spada del nano Kili. L’avevo gentilmente chiesta in dono a quei maledetti nani, per ripulirmi almeno la coscienza.

Mi ero umiliato di fronte a loro, per chiedere un’assoluzione che non mi meritavo, ma di cui sentivo il bisogno, dopo tutto quello che era successo e che doveva ancora succedere.

Seppur fiaccati dalle perdite ingenti e sopraffatti dalla morte del loro capo Thorin Scudodiquercia, dopo aver confabulato un poco si erano accordati per farmi avere quell’arma. Non ci fu bisogno di ulteriori spiegazioni. All’inizio, speravo di poterla consegnare a Tauriel da viva, perché serbasse un ricordo del suo amore, per permetterle di avere il coraggio di vivere. Non avevo fatto in tempo.

Adesso mi toccava l’ingrato compito di congedarla affinchè se ne andasse dove voleva.

Mi sentivo tradito due volte da lei. La prima, per aver amato non un nostro simile, e per aver sposato la sua causa a discapito della nostra; la seconda, adesso, per non avermi permesso di rimediare alle nostre incomprensioni.

Mi avvicinai con la spada in mano. Quella lama era così nera, come se avesse continuato a bere sangue al di là della battaglia. L’appoggiai delicatamente sul suo petto, stringendo le sue mani fredde sull’elsa. Il buio di quella spada contro la sua carne bianca appariva spettrale. Mi ricordava qualcosa che non volevo ricordare.

La mia guancia prese a bruciare come il fuoco, ma io chiusi gli occhi e non permisi all’odio, né ai brutti ricordi, di entrare.

Mi concentrai solo su Tauriel, sui suoi occhi chiusi e i suoi capelli rossi sparsi sul cuscino all’interno della bara.

L’odore di quei fiori mi dava la nausea.

Ora ti apparterrà per sempre, Kili

Finalmente il bruciore passò. Quando riaprii gli occhi ero di nuovo io, di fronte allo stesso dolore. Un dolore che non mi ero permesso di vivere, perché mi ostinavo a negarlo. Quel corpo di donna ormai macilento, che sapevo essere stato vivo, mi metteva una tristezza infinita nel cuore.

Per fortuna tu non hai dovuto subire anche questo, mia amata

Mi allontanai e feci cenno ai miei servitori di predisporre il tutto per la tumulazione. Poi mi voltai.

Non ero in grado di affrontare anche quell’ultimo calcio del destino.

Inchiodato al mio posto, più per dovere che per volontà, mi sentii mancare la terra sotto i piedi quando la bara passò a filo contro gli architravi della tomba. Aveva un sapore definitivo, che io mai avrei potuto agognare, godendo di eterna vita.

Mi chiesi se il segreto non stesse tutto lì, nel sapersi concedere un riposo forzato, esercitando quel poco di libero arbitrio che ci lascia a disposizione il grande Ilùvatar.

Poi, contro la mia volontà, una lacrima riuscì finalmente a trovare un varco verso il mondo.










**NOTA DELL'AUTORE**
Eccomiii di nuovo, scusatemi, ma  è un periodo veramente incomprensibile! Per quelli che mi hanno chiesto che fine ha fatto Thranduil, ora hanno una risposta. Il prossimo capitolo sarà un po' più impegnativo, abbiate pazienza! Farò del mio meglio!
Aspetto come sempre le vostre recensioni, un bacione e a presto

 

  
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