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Autore: FreddyOllow    08/11/2021    0 recensioni
Una raccolta di racconti horror, che spaziano tra l'antico e il moderno. Mostri, presenze, ombre, entità demoniache e pazzi psicopatici infesteranno queste pagine. Le storie sono scritte in prima o in terza persona, al presente o al passato.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1


Arrivai nel porto di New Amsterdam al crepuscolo. Era una giornata afosa e un leggero venticello soffiava da oriente. Il cocchiere fermò la carrozza davanti alla taverna Due Streghe, un singolare e insolito edificio di legno abbarbicato sul fianco di una collina brulla, cinta da un basso muretto di pietra. Era poco distante dall'agglomerato di casette di legno putrescenti e malandate che proseguivano a perdita d'occhio all'orizzonte. Quando posai il piede sui ciottoli, un acre odore di feci e urina mi pervase i polmoni. Repressi un moto di tosse e mi coprii il naso con una mano. Figure ombrate da cappucci e mantelli passavano silenti tutt'attorno. Nessuno di loro mi lanciò un'occhiata. Anzi, pensai che non avessero nemmeno le facce. Strane gente, pensai. Forse ero troppo abituato alla gente di campagna. Gente che aveva occhi e orecchie dappertutto.
Il cocchiere mi salutò con un accenno della testa e, facendo schioccare il frustino sui cavalli, si allontanò lungo la stretta stradina. Aprii la porta di legno ed entrai nella taverna. Un'ondata di calore mi colpii in pieno viso. Un fuoco ardeva al centro della stanza su cui era posto un pentolone fumante e un piacevole odore di stufato mi fece venire l'acquolina in bocca. Mentre sentivo il mio stomaco brontolare, camminai tra i tavoli gremiti di gente maleodorante, i vestiti laceri, sporchi. Non una volta alzarono lo sguardo e nemmeno il taverniere lo fece.
Mi fermai al bancone e lo guardai. Il taverniere zoppicò verso di me. Un uomo tozzo, stempiato, dal viso cadaverico e la barba folta.
«Buonasera, signore» disse con un sorriso di circostanza. «Cosa vi servo?»
«Una boccale di birra e un piatto di quello stufato.»
Il taverniere prese una boccale e lo riempì di birra. «Cosa vi porta da queste parti?»
Feci un sorso e passai la lingua sul labbro superiore. «Si nota molto che sono un forestiero?»
«Questo luogo è frequentato dalla solita gentaglia.» Indicò le persone ai tavoli con un cenno della testa. «Quindi, sì, si nota molto.» Afferrò il coppino e la ciotola di legno e raggiunse il pentolone. Ritornò con dell'ottimo stufato che posò davanti a me. Mise i gomiti sul bancone. «Allora?»
«Sono qui per affari» risposi. «Devo chiudere una trattativa per conto di un mio cliente.»
«Non sembrate un tipo del genere. Voglio dire, non siete poi tanto diverso dalla gente di qui dentro. Lavorate per qualche...» si avvicinò a me per non farsi udire. «Brigante? I Fratelli Lower?»
Non avevo mai sentito quel nome. «Siete fuoristrada. Ho un lavoro rispettabile. I miei affari avvengono alla luce del sole.» Cominciai a mangiare.
Il taverniere mi guardò, accigliato. «Oh, rispettabile, dite. Bene. Immagino che vi siete vestito in quel modo per passare inosservato. Ma lasciatemi dire una cosa. La gente da queste parti capisce sempre chi ha davanti, anche se indossa solo uno straccio.»
Che cosa voleva dire? E poi perché tutta questa confidenza?
Il taverniere mi fissò per un attimo, come se mi stesse leggendo nella mente. Poi si allontanò senza dire niente. Forse lo aveva fatto per davvero?

Pagai il taverniere e lasciai la taverna con un senso di inquietudine. Non sapevo da cosa derivasse, così m'incamminai lungo la strada acciottolata. Il mio contatto, Jimmy Horn, mi aveva trovata una stanza da una vecchia signora di nome Annabelle Monroe, almeno stando alla lettera che mi aveva inviato otto giorni fa. La casa si trovava in fondo alla via, ma non aveva specificato che dovevo serpeggiare tra gli stretti vicoli maleodoranti prima di arrivarci.
Bussai alla porta, non sapendo nemmeno se fosse quella giusta. Poco dopo venne ad aprire una piccola anziana signora dalla faccia solcata da numerose rughe. Aveva degli occhi di un celeste mai visto prima, quasi ipnotico. Si era posizionata dietro la porta. Temeva che mi fiondassi in casa?
«La signora Annabelle Monroe?» domandai con un vago sorriso.
L'anziana mi squadrò, guardinga.
«Sono Edgar Russell, un amico di Jimmy Horn. Sono qui per...»
La vecchia spalancò la porta, mutando l'espressione torva in un sorriso. «Certo, certo. Mi ha detto tutto. Entrate, su, entrate.»
L'anziana donna abitava in una piccola casetta di legno che si apriva sul retro in un piccolo giardino spoglio. Era piccola, confortevole e quasi vuota. Aveva solo una sedia, un tavolo e un letto. Un piccolo fuoco ardeva in un cammino e una manciata di candele di sego illuminavano un ambiente in penombra, gettando ombre inquietanti sulle pareti di legno.
«Seguitemi, seguitemi» disse con un sorriso sdentato.
S'incamminò a piccoli passi nella stanza adiacente, dove c'era un letto di paglia. Credevo di dover dormire qui, invece mi condusse fuori, vicino a un piccolo capanno di legno malandato. Era attorniato da un ceppo, cespugli rinsecchiti e da abitazioni in legno fatiscenti.
Si fermò davanti alla porta poco divelta. «Dormirete qui, signor Russell. Ho già messo una coperta di lana e della paglia.»
«Grazie, signora Monroe.»
L'anziana si coprì il sorriso sdentato con una mano. «Chiamatemi Annabelle. Faccia buoni sogni, signor Russell.»
«Anche lei, signora Monroe. Voglio dire, Annabelle.»
L'anziana donna sgambettò via e sparì nella casetta.
Quando aprii la porta divelta, quella venne giù con un tonfo e una piccola nube di polvere si sollevò in aria. Ecco perché Annabelle non l'aveva aperta, pensai con un sorriso. L'interno era buio, ma la pallida luna illuminava quello che sembrava un giaciglio di paglia. Sollevai la porta e, cercando di non farla cadere, la misi al suo posto. Poi mi distesi sulla paglia e chiusi gli occhi, mentre i latrati dei cani e il vociare litigioso di un uomo e una donna, mi accompagnarono nel mondo dei sogni. Mi sembrava quasi di essere a casa, a Jamestown.



 

2

Mi svegliai puntuale alle prime luci dell'alba. Mi alzai e aprii la porta che cadde a terra con un tonfo. Mi ero dimenticato che non era ben salda. La sollevai e la misi al suo posto. Mentre camminavo verso la casetta dell'anziana, vidi un uomo dai capelli arruffati affacciato alla finestra. Mi fissava, severo. Gli lanciai una rapida occhiata, poi bussai alla porta. Quando mi voltai nuovamente verso di lui, non c'era più, la finestra chiusa dalle imposte. Un moto di inquietudine mi pervase la mente. Prima non c'erano. Che mi fossi immagino tutto? Anche l'aspetto del muro di legno esterno mi era apparso tenuto bene. Meglio delle altre abitazione intorno che avevano il legno corroso e spaccato.
Quando mi voltai, quasi sussultai nel vedermi dinanzi la signora Annabelle che mi guardava con quei suoi occhi ipnotici.
«Oh, buongiorno, signora Monroe» dissi con un vago sorriso.
«Buongiorno a voi, signor Russell. Ma come vi ho detto ieri, chiamatemi solo Annabelle. Niente signora. Solo Annabelle.»
«Certo, Annabelle.»
«Così va meglio» sorrise. «Venite dentro. Ho appena comprato dal fornaio due pagnotte.» Attraversammo la prima stanza e ci fermammo nella seconda, davanti al camino spento. «Non è molto, ma è tutto quello che può offrirvi questa vecchia.»
«Siete gentile, ma debbo rifiutare.»
L'anziana si accigliò, piantando le mani sui fianchi. «È maleducazione non accettare il cibo quando vi viene offerto, signor Russell. Vostra madre non vi ha insegnato le buone maniere?»
«Beh, se devo essere sincero. Non ho mai avuto una madre.»
Annabelle mi fissò per un attimo, come se mi stesse leggendo la mente. «Mi dispiace, signor Russell, ma non ritiro quello che ho detto.» Afferrò una pagnotta ancora calda dal tavolo e me la mise bruscamente in mano. «Mangia, su!»
«Vi ringrazio» Strappai un morso e cominciai a masticare.
«Ora va molto meglio» sorrise la donna.

Dopo aver mangiato, posai tre monete sul tavolo senza farmi vedere e lasciai l'abitazione. Era una giornata cupa, fredda e nebbiosa. Non riuscivo a vedere a non più di sette piedi dal mio naso. Il sole faticava ad aprirsi una breccia tra le possenti nuvole plumbee e il tanfo di urina era insopportabile in quei vicoli stretti e tortuosi.
M'incamminai lungo l'acciottolato, quando per poco non mi cade un secchio di feci in testa. L'uomo anziano affacciato alla finestra mi lanciò un sorriso beffardo, prima di scomparire all'interno. Mi coprii il naso e la bocca con la mano, e aumentai il passo.
Attraversai lo spiazzo con una piccola fontana al centro. Delle donne riempivano secchi d'acqua, mentre un uomo dal viso rossiccio, ubriaco, le importunava. Salii una rampa di scale di pietra e proseguii nella via maleodorante. Due guardie armate di moschetto mi passarono accanto, senza degnarmi di uno sguardo. Quando arrivai vicino a un magazzino abbandonato, scorsi qualcosa nella fessura nel muro di legno del secondo piano. Due bagliori arancioni, forse due occhi. Mi fissavano.
Scomparvero.
Non capivo se me lo fossi immaginato, oppure no. Non ci meditai molto, in quanto Jimmy Horn uscì dal magazzino. Era un uomo molto alto, magrolino, viso quadrato, mascella imponente e naso storto. Aveva sempre lo sguardo inespressivo. Era stato ferito alla gamba sinistra, una brutta caduta, diceva, e adesso zoppicava o strascicava il piede nei giorni di pioggia. Indossava indumenti di lana, camicia e pantaloni logori.
«Pensavo non venissi più» disse, serio. Notai che la sua voce era cambiata dall'ultima volta che gli avevo parlato tre anni prima. Era diventata rauca, quasi un bisbiglio.
«La signora Monroe mi ha trattenuto.»
«Sì? Perché? Cosa è successo?»
«Niente. Non è successo niente. Voleva che mangiassi la pagnotta che aveva appena comprato.»
«Ah, capisco. Ora vieni dentro.»
Spinse la porta di legno e mi fece entrare. L'ambiente era in penombra e solo due candele di sego illuminavano quella che sembrava una cassa da morto. Si trovava in fondo all'edificio, attorniato da altre casse di pari misura o più piccole.
«È quella, giusto?» Indicai la cassa da morto.
Jimmy la raggiunse e spostò di poco il coperchio. «Vieni a guardare.»
«Sì, è proprio lei. Dove l'hai trovato?»
«Ha importanza?»
«Per il mio cliente, sì.»
Jimmy mi guardò per un istante. «Nei pressi della colonia del Maryland. C'è l'aveva un tale di nome Maxim Berrick nella sua capanna. Chi svitato si tiene una bara nella propria abitazione?»
«L'hai ucciso?»
«Secondo te?»
«Bene. Ora rimetti il coperchio.»
«Riguardo ai miei soldi?»
«Li avrai. Ora dovrai aiutarmi a portare la cassa fuori città.»
«Aspetta un attimo» disse Jimmy, stizzito. «Non erano questi i patti. Dovevo solo trovare e consegnarti questa... questa cosa. Se vuoi che ti aiuti, dovrai pagarmi di più.»
Lo fissai per un momento. «Così sia.»



 

3

Lasciai il magazzino e mi diressi da Peter Landman. Lo conoscevo da molti anni e sapevo che si era trasferito qui dopo la morte di sua figlia Betty per febbri. Una bambina di quattro anni, docile, curiosa. Si era aperto una stalla poco distante da qui, ma non sapevo se gli affari gli andavano bene. Ma valeva la pena dare un'occhiata.
Notai che la nebbia si era un poco diradata e l'aria era diventata più calda, anche se il cielo era ancora plumbeo. Attraversai lo spiazzo da cui ero passato prima e mi inoltrai in uno stretto vicolo per un paio di minuti. Poi uscii verso una radura e vidi poco distante la stalla di Peter.
Quando mi avvicinai, scorsi i cavalli nell'edificio. Un uomo dall'aspetto familiare inforcava la paglia. Mi dava le spalle.
«Peter Landman» dissi.
L'uomo si girò verso di me e mi scrutò, guardingo, per un momento. «Chi vuole saperlo?»
«Sono Edgar Russel. Non ti ricordi di me?»
«Dovrei?»
Quella domanda mi spiazzò. «Sei Peter Landman, giusto?» Era lui. Lo sapevo. Sulla cinquantina, carnagione mulatta, gli occhi marroni, i corti capelli castano scuro e il labbro leporino. Aveva la spalla destra più rialzata dell'altra e un naso a patata. Certo che era lui.
«No, avete sbagliato persona» disse, e ritornò a inforcare la paglia.
Rimasi a guardarlo per un momento. Non capivo se mentiva, oppure non si ricordava davvero di me. Come aveva fatto a dimenticarmi? Aveva preso una botta in testa?
«Davvero non ti ricordi, Pete? Sono Edgar, il figlio di Matthew Russell.»
Peter non rispose e continuò a svolgere il suo lavoro.
Quando si spostò verso la stalla, gli andai dietro. «Peter! Fermati un attimo.»
L'uomo entrò nella stalla e, appena varcai l'ingresso, scomparve sotto i miei occhi. Sussultai, spaventato. Cosa diavolo era successo? Mi voltai e notai che anche i cavalli erano spariti. Anzi, l'intera stalla ora sembrava solo un edificio malandato dalle pareti di legno spaccate e corrose.
Uscii fuori, confuso. Mi passai una mano nei capelli e mi guardai intorno. Cosa diamine mi stava accadendo? Mentre mi sedetti su una grossa pietra deforme, una giovane donna mi si avvicinò, un cesto di rape nelle mani.
«Tutto bene, signore?» chiese con voce sottile.
Quando alzai lo sguardo, rimasi incantato dalla sua bellezza. «S-sì, sto bene, grazie.»
Non doveva avere più di trent'anni, esile, viso candido come la neve e occhi di un verde cristallino. Le labbra carnose che non riuscivo a smettere di fissare. Indossava una lunga veste logora di lana azzurra.
Mi sentii un po' un ebete. Non mi era mai capito di infatuarmi così rapidamente e forse era proprio il famoso colpo di fulmine di cui tanto sentivo parlare. Non credevo a queste scemenze, eppure eccomi qui, a fissarla come un perfetto imbecille.
«Sembrate pallido» disse la giovane, preoccupata. «Siete sicuro di stare bene?»
«Certo, signorina. Sto benissimo» risposi con un sorriso di circostanza.
«Va bene, allora. Buona giornata, signore.»
«B-buona giornata a voi, s-signorina» balbettai, sentendomi un completo idiota.
La vidi allontanarsi lungo la strada sterrata e raggiungere le prime casupole in legno dai tetti di paglia. Alcune donne della sua età le si avvicinarono, le parlarono, finché sparirono in uno di quei edifici.
Forse abita lì? No, niente domande. Dovevo togliermela dalla testa. Ero qui per lavoro, non per sistemarmi. Avrei trovato altre ragazze a Jamestown, magari avrei provato la stessa sensazione che... Ma chi voglio prendere in giro. Sono rimasto fulminato, punto. Niente giustificazioni.

Poco dopo arrivai al magazzino abbandonato e trovai Jimmy seduto fuori dalla porta.
«Dove sono i cavalli?» chiese, confuso. «E il carro?»
«A quanto pare il mio amico non è qui.»
«Ora cosa facciamo? Non possiamo mica trascinarcela dietro?» Puntò il pollice dietro alle sue spalle, verso il magazzino.
«Conosci qualcuno che può affittarci dei cavalli e...»
«Sì, ma dovremmo comprarli, non affittarli.»
«E che me ne faccio dei cavalli e di un carro dopo aver svolto il lavoro?»
Jimmy alzò le spalle. «Rivendili. A Jamestown cercano sempre buoni cavalli da tiro.»
Quella affermazioni la trovai un poco strana. «Tu come lo sai?»
«Sono un ladro, Ed. Conosco gente anche al di fuori di questa città. Posso aiutarti con questo problema, ma...»
«Vuoi essere pagato.»
Jimmy sorrise. «Che te ne pare?»
«A quanto puoi venderli?»
«Mmmh... diciamo per duecento fiorini o su di lì.»
«Non vuoi ingannarmi, vero? Sai cosa ti succederebbe.»
«Ehi, Ed. Ti farei mai una cosa del genere?»
«Non saprei.»
«Puoi fidarti. Ti farò avere il miglior prezzo.»
«Sì, certo. Ora pensiamo a comprare il necessario.»
Jimmy sorrise, mellifluo. «Seguimi.»



 

4

Mi condusse tra i vicoli maleodoranti e tortuosi del quartiere, finché uscimmo su una piccola altura. Da là s'intravedeva una chiesa colonica con la facciata bianca e un campanile che svettava sugli edifici di pietra e mattoni. Scendemmo una ripida scalinata e ci incamminammo lungo una strada acciottolata. Mi sentivo un poco a disagio, in quanto i miei indumenti mal si sposavano con quelli della gente del posto. Gente con addosso abiti puliti, raffinati, di broccato. Mi guardarono di sottecchi e le donne si tennero alla larga come se avessimo la peste. Alcuni ci additarono, schifati.
Jimmy non se ne preoccupava o forse non lo dava a vedere.
«Perché stiamo passando di qui?» domandai, un poco irritato da quegli sguardi.
«Come perché?» lanciò un'occhiata dietro le sue spalle. Poi si girò. «A meno che tu non abbia le ali come un angelo del signore, è l'unica strada.»
«Spero per te che questo tipo sia davvero economico.»
Si voltò, mi sorrise. «Il migliore, credimi.»
Percorremmo un lungo vialetto ai cui lati correvano cespugli curati, alberi e alcune panchine di legno. Ebbi l'impressione di vedere Annabelle in lontananza. Sparì dietro un alto arbusto e, quando svoltai l'angolo, lei non c'era più. Forse me l'ero immaginata?
«Siamo arrivati. È là!» disse Jimmy con un accenno della testa.
Osservai una casa di pietra di un piano dal tetto in tegola. Sui due balconi erano agganciati diversi vasi e alle finestre c'erano persino i vetri.
«Ehi, aspetta un attimo» dissi, cauto. «Dove mi hai portato? Non mi sembra l'abitazione di uno stalliere.»
«Dai, non farti pregare. Andiamo.»
Lo guardai con fare indagatorio. «Da chi mi stai portando, Jim?»
«Dallo stalliere.»
«Non mentirmi.»
Jimmy mi fissò per un momento. Poi lanciò uno sguardo all'ingresso della casa e di nuovo verso me. «Ascolta, Ed. Sai che non ti metterei mai in pericolo. Lo sai, vero?»
Mi limitai a fare un debole accenno con la testa.
«Questo qui,» indicò con una mano l'abitazione, «è un uomo dalle mille risorse. Può farti avere praticamente tutto. Basta avere i denari. Conta solo quello. Tu pagalo e lui ti farà avere quello che chiedi.»
Non risposi subito. «Da come ne parli sembra che questo tizio sia... huh, come dire, un malvivente, dico bene?»
Jimmy si portò una mano dietro la nuca, imbarazzato. «È l'unico che può farti avere i cavalli e un carro a basso costo.»
Due donne ci passarono accanto e ci guardarono, inorridite. Afferrai per il braccio Jimmy e lo condussi sotto un albero, fuori dalla vista di tutti i passanti.
«Non mi avevi detto che avrei fatto affari con un farabutto. Non possiamo fidarci di un tipo così. Forse per averli dovrà rubarli a qualcun altro. Non voglio avere nulla a che farci. Andiamo, via!»
«Ehi, no. Aspetta!» Jimmy mi afferrò l'avambraccio. «Come farai a trasportare la cassa?»
«M'inventerò qualcosa.»
Tornammo indietro e, arrivati quasi all'angolo della via, mi fermai. «Maledizione!» dissi, sconfortato. «Portami da quest'uomo. Tanto non ho altra scelta.»



 

5

Jimmy bussò alla porta di legno. Poco dopo venne ad aprire una donna sulla cinquantina, carnagione scura, viso grassoccio, busto robusto e gambe magre. Aveva un fisico decisamente strano.
Ci guardò dall'alto in basso con fare ripugnante. «Qui non vogliamo mendicanti!»
Ma appena fece per sbatterci la porta in faccia, Jimmy la bloccò con un braccio. «Ehi, vecchia strega. Sono Jimmy Horn. Non mi riconosci?»
La donna lo fissò, sprezzante. «Con quella faccia imbrattata, certo che no. E poi ti avevo già detto di passare dal retro, o sbaglio? Il signor Vermont non vuole che degli appestati si facciano vedere alla sua porta. Da queste parti la gente parla e non fa bene alla sua reputazione. Ora venite dal retro.» Ci sbatté la porta in faccia.
«Signor Vermont?» domandai, confuso.
Jimmy mi fece cenno di seguirlo. «Si fa chiamare così. Nessuno conosce il suo nome e, chi lo sapeva, è morto.»
«Oh, beh, questo è molto rassicurante.»
Attraversato un corto vialetto, girammo l'angolo e ci avvicinammo alla signora che ci aspettava sotto la soglia. Ci fece entrare e chiuse la porta alle nostre spalle. Poi ci condusse nell'ampio salone.
«Aspettate qui» disse. «Vado a chiamare il signor Vermont.»
Mi guardai intorno. Scaffali pieni di libri, sedie di legno dallo schienale elaborato, tavoli con sopra l'argenteria, brocche e vasi di fiori. Enormi tappeti persiani, poltrone, divani e tende alle finestre. Tutto profumava di pulito, di fiori, di buono. Non sapeva nemmeno io cosa fosse questo odore.
«Ti piace, eh?» chiese Jimmy con un sorriso, compiaciuto. «Un giorno vorrei possedere un casa così.»
«Più che una casa sembra una reggia» risposi, stupefatto.
«Dovresti vedere la villa in campagna. Questa non è niente. Lì ci sono un sacco di stanze ed è... enorme, credimi. Ci sono andato cinque volte, o forse sei, non ricordo.»
Cominciavo a credere che non fosse un semplice malvivente. Se quello che diceva era vero, avevo a che fare con un uomo potente. Un uomo che aveva agganci dappertutto, anche negli ambienti aristocratici. «Da chi mi hai portato, Jim?»
Ma prima che potesse rispondermi, un uomo entrò nel salone, seguito dalla donna grassoccia. Non doveva avere più di sessant'anni, viso ovale, sporadici ciuffi di capelli bianchi portati all'indietro, un pizzetto grigiastro e una corporatura esile, dalle spalle strette. Il viso liscio, senza una ruga, e degli occhi verde scuro che mi scrutavano, astuti. Indossava un elegante tunica di damasco in ciniglia bordeaux, maniche di velluto dello stesso colore, rifinita con passamaneria oro e merletto. Sopra un'ampia casacca in pelliccia marrone, bordata con passamaneria.
Rimasi intimorito sia dallo sguardo inespressivo e glaciale, sia dalla sua eleganza. Non aveva per niente l'aspetto di un farabutto. Anzi, sembrava un uomo altolocato. Qualcuno che aveva alle spalle una potente famiglia aristocratica.
L'uomo posò lo sguardo su Jimmy. «Signor Horn» disse con una voce rauca, debole. «Cosa vi porta qui da me? E chi è il gentiluomo in vostra compagnia?» Mi fissò negli occhi.
«È Edgar Russell, signore. È qui per affari.»
L'uomo mandò via la signora grassoccia con un debole cenno della mano, poi indicò il divano. Si mosse calmo, quasi a rilento.
Ero sorpreso che ci avesse fatto sedere su un divano che doveva valere più di me e Jimmy messi insieme. In più eravamo sporchi, ma l'uomo non sembrava preoccuparsene. Non ci aveva mai guardato con lo stesso sguardo disgustato dei passanti fuori dall'abitazione, e questo mi fece un gran piacere.
«Sono il signor Vermont» disse con un freddo sorriso, gli occhi apatici. «Lieto di fare la vostra conoscenza.»
«Edgar Russell, piacere mio, vostra signoria.» Gli allungai una mano.
L'uomo la fissò per un momento, poi me la strinse. Il suo toccò gelido, cadaverico, mi fece quasi rabbrividire.
Jimmy mi lanciò una rapida occhiata, ansiosa. Non sapevo perché avesse improvvisamente mutato espressione. La cosa non mi preoccupò molto, in quanto il suo umore era sempre stato altalenante.
«Stretta vigorosa, signor Russell. Ditemi, quali affari vi conducano qui?»
«Ho bisogno di due cavalli e un carro.»
Il signor Vermont mi fissò negli occhi, come se cercasse di leggermi nei pensieri. Da quando ero giunto a New Amsterdam, quasi tutti quelli con cui avevo parlato si erano comportati allo stesso modo. Metteva i brividi.
«Posso farveli avere, ma vi costerà.»
«Quanto?»
Il signor Vermont sembrò meditarci. «Viaggerete per lunghe distanze?»
Come diavolo faceva a saperlo? Lo aveva intuito? «Sì, sarà un viaggio impegnativo.»
«Allora vi serviranno due robusti cavalli, signor Russell.»
Lanciai uno sguardo a Jimmy, pensando alle sue parole. Sì, ma dovremmo comprarli, non affittarli. «È possibile affittarli?»
Come mi aspettavo, Jimmy mi lanciò un'occhiataccia, ma non disse nulla.
Il signor Vermont sorrise, freddo. «Vi conviene comprarli da me e poi rivenderli. Fareste un po' di denari. Affittare cavalli è una pratica, come dire, inutile. Ma se volete affittare una carrozza, allora posso aiutarvi.»
«No, va bene così, signor Vermont. Comprerò i due cavalli e il carro.»
Si alzò lentamente, seguito da me e Jimmy. «Centoquindici fiorini. Accettate?»
Sì, mi andava bene. Non sembrava poi molto. A Jamestown avrei sborsato come minimo centottanta fiorini. Gli strinsi la mano ghiacciata e trasalii un'altra volta.
«Quando intendete partire, signor Russell?»
«Domani, all'alba.»
«Allora vi farò avere quanto richiesto. Buona giornata, signori.»
«A voi, signor Vermont» rispondemmo all'unisono io e Jimmy.
Ci salutò con un cenno della testa e si allontanò con passo lento, sparendo dietro la stanza adiacente.
Subito si fece viva la donna grassoccia da quella stessa camera. «Vi accompagno alla porta.»
Appena uscimmo, quella la sbatté alle nostre spalle.



 

6

«Non ha alluso a una sola minaccia» dissi, turbato. «Quasi tutti fanno vane minacciate se non porto i denari o...»
«Non preoccuparti,» sorrise Jimmy, «il signor Vermont sa sempre quando qualcuno cerca di dargli grane.»
«Che vuoi dire?»
Jimmy alzò le spalle. «Ho svolto molti lavori per lui e credimi se ti dico che sapeva sempre quando mentivo. Una volta dovevo...» Si ammutolì, lanciando un'occhiata spaventata verso la porta. «No, niente. Meglio non dire altro.»
«Perché? Non ci sente nessuno.»
«Non è importante» disse Jimmy con un sorriso di circostanza. Poi s'incamminò verso la strada.
Gli andai dietro. «Hai per caso paura di quell'uomo?»
Jimmy mi lanciò un'occhiata, turbato. «Certo che no. Perché dovrei temerlo?»
«Dalle tue risposte. E poi in sua presenza mi sei sembrato... sei cambiato.»
Mi scrutò per un attimo. «Non è vero. Sei diventato un chiaroveggente, adesso?» scherzò.
Non risposi. C'era qualcosa di strano nel suo comportamento, come era strano che si fosse ammutolito. Jimmy era un gran chiacchierone ed era solito parlare troppo. Certo, c'erano alcuni giorni in cui non diceva una parola, ma erano assai rari. Quindi trovai strano che si fosse interrotto.
Seguimmo la via acciottolata affollata di persone altezzose, che ci giravano alla larga. Ormai mi stavo abituando a quelle occhiate sprezzanti e schifate.

Tornati al magazzino, mi avvicinai alla cassa da morto. Spostai di poco il coperchio e guardai all'interno. Il corpo era avvolto in un lenzuolo bianco, eccettuo per il viso che era scoperto. Una faccia grigiastra, ruvida, putrescente. Un ciuffo di capelli neri sporgeva dal lato destro del cranio. Una benda le copriva gli occhi, e le labbra bluastre sembravano sorridermi tetramente. Non sapevo chi fosse, ma non m'interessava. Il mio lavoro era di portare la cassa al mio cliente, poi quello che ne avrebbe fatto non era un mio problema. Quello che mi incuriosiva era la benda. Che senso aveva coprire gli occhi? Perché farlo?
Avvicinai la mano e, quando feci per toglierla, una folata di vento spalancò la porta del magazzino abbandonato. Sobbalzai e mi voltai. In quell'istante qualcosa di gelido mi sfiorò la mano. Lanciai un grido e indietreggiai, terrorizzato. Fissai la cassa per un lungo momento, ma non vidi niente di strano. Cosa mi aveva toccato? Chi era stato? Quel cadavere? Impossibile. I morti non potevano muoversi. Non l'avevano mai fatto.
Andai verso l'uscita, guardandomi ossessivamente alle spalle. Una volta fuori, mi avvicinai a Jimmy. Se ne stava seduto a fissare le donne che passavano da lì.
«Ehi, Jim. Forse mi sono dimenticato di chiudere il coperchio. Lo faresti tu? Devo andare a sbrigare una commissione.»
Jimmy mi lanciò uno sguardo, turbato. «Stai bene?»
«Sì, certo. Fai quello che ti ho detto. Tornerò tra un'ora.»
«Va bene.» Rispose, e tornò a guardare le donne.

Mi allontanai senza guardarmi indietro. Non avevo nessuna commissione da fare e non conoscevo nessuno a parte Peter Landman, che non era qui. Mentre camminavo lungo la strada sterrata, infinite domande mi attanagliarono la mente. Avevo visto il suo fantasma? Avevo immaginato tutto? Stavo ammattendo? E quel tocco? Quel tocco era stato reale?
Senza rendermene conto, arrivai sul limitare del bosco. Tornai indietro e rividi di nuovo quella bellissima donna. Stava venendo verso di me e mi sorrise nel passarmi accanto. Ricambiai e continuai dritto per un momento, poi mi venne spontaneo voltarmi. La vidi raggiungere di nuovo quell'abitazione dove l'avevo vista sparire e si sedette accanto alla soglia, sotta una finestra. La sua semplice e incantevole vista, aveva scacciato per un momento i miei tormentosi pensieri.
Poi decisi di fare un giro per i tortuosi vicoli che sprigionavano degrado e povertà da ogni angolo e passai accanto all'abitazione di Annabelle. Le imposte chiuse, la porta socchiusa. Bussai. Nessuna risposta. Bussai di nuovo ed entrai. La stanza era vuota e un flebile fumo s'innalzava dai ciocchi spenti ridotti a carbone. Percorsi la camera da letto e uscii nel cortile. Annabelle sedeva su un ceppo intenta a rattoppare un maglione di lana marrone. Quando mi avvicinai, alzò lo sguardo.
«Salve, signor Russell» disse con un sorriso sdentato.
«A voi, Annabelle.»
Mi fissò per un istante, poi sorrise e continuò a filare.
«Per chi è quel maglione?» chiesi, curioso.
«Per me, signor Russell. Anche se è da uomo, non posso lamentarmi. Sono tempi difficili per una donna anziana. Avrete certamente capito in che quartiere vivo?» sospirò. «Sapete, un tempo abitavo in una villa poco fuori da New Amsterdam prima che... beh, ci sono stati problemi. Mio marito, che Dio l'abbia in gloria, si era indebito con un brutto ceffo. Un uomo dalle amicizie molto potenti.» Voltò il maglione. «Vendette tutti i miei gioielli e una parte dei miei indumenti per saldare il debito, ma s'indebitò di nuovo. E questa volta... beh, gli doveva molte più monete. L'unica soluzione fu quella di dargli la nostra abitazione e ci trasferimmo in una casa più piccola, modesta. Poi il mio caro Johnny cominciò a bere, finché... finché lo trovarono morto in un vicolo.»
«Mi dispiace per la vostra perdita...»
L'anziana continuò a filare per un lungo momento. «Lo hanno ucciso. Ho sempre sospettato di quell'uomo. Forse si era indebitato nuovamente, non lo so, ma di certo non fu una rapina. Non aveva un soldo. A mala pena riuscivamo a mettere il pane in tavola. Il mio caro Johnny...» sospirò, affranta. «Le guardie non hanno indagato, non hanno fatto niente. Mi hanno detto che fu una rapina e che dovevo accettare questo fatto. Come poteva accettarlo alla soglia dei trent'anni? Mi ritrovai da sola. Ho dovuto vendere quella casa e trasferirmi qui. Ma ringrazio Iddio di non aver venduto il mio corpo.» Si fece il segno della croce.
Non sapevo cosa dire. Mi aveva raccontato una parte della sua vita senza che gliela avessi chiesto. Cosa dovevo dirle? Come le dovevo rispondere?
«Le vostre monete potete riprenderle» disse Annabelle, senza guardarmi. «Sono nel capanno.»
Abbassai la testa, imbarazzato.
«La prossima volta accettate il mio pane senza obiezioni. Siete mio ospite, dopotutto.»
«Io... non volevo...» balbettai. «Non volevo mancarvi di rispetto, signora Annabelle. E solo che non vorrei vivere sulle vostre spalle. Non sapevo per quanti giorni sarei rimasto qui, quindi volevo aiutarvi.»
«Dandomi tre monete, signor Russell?» Girò il maglione e cominciò a filare un braccio. «Non ne ho bisogno e non accetto la vostra carità. In giro vi è molta gente bisognosa. Date loro una moneta. A una vecchia decrepita come me non fa molta differenza.»

Due ore prima del crepuscolo, tornai al magazzino abbandonato. Jimmy era ancora lì, seduta su una roccia e sembrava piuttosto irato. Pensai subito alla cassa da morto, a quella cosa che mi aveva afferrato la mano. Forse lo aveva fatto anche con lui? O era stata un'allucinazione?
«È successo qualcosa?» chiesi.
Corrugò la fronte. «Niente. Non è successo niente.»
«Sicuro?»
Mi guardò per un istante. «Quella fottuta puttana mi ha tirato un calcio nelle palle.»
«Chi?»
«La donna di prima.»
«Quella che stavi infastidendo?»
«Non la stavo infastidendo. Stavo solo... volevo solo corteggiarla.»
«Certo...» mi voltai verso l'ingresso dell'edificio. «Hai chiuso il coperchio?»
«Sì. Perché lo hai lasciato aperto?»
Non risposi subito, in quanto non sapevo che bugia inventarmi. «Te l'ho detto. Avevo delle commissioni da fare.»
«Ma se non conosci nessuno in città e l'unico che conosci non c'è. E poi che ti costava farlo da te?»
Non aveva tutti i torti. «Hai visto cosa c'è dentro?»
Jimmy mi fissò, confuso. «Sì, un cadavere. Ne ho visti a bizzeffe di quelli. Ha qualcosa di speciale?»
Mi voltai ed entrai nel magazzino, seguito da Jimmy. Ci avvicinammo alla cassa da morto e vidi che il coperchio era un poco spostato.
«Non lo avevi chiuso?» domandai, confuso.
«Infatti è quello che ho fatto» rispose Jimmy, guardandosi intorno.
Notai che era un poco scosso. «Stai bene?»
«Sssh» aggiunse, mettendosi un dito sulla bocca. «Forse c'è qualcuno qui.» Gridò. «Ehi, chiunque tu sia, vieni fuori! Lo so che sei qui! Non fare il furbo! Se esci, ti prometto che non ti farò niente.»
Solo silenzio.
«Non te lo ripeterò un'altra volta!» Jimmy si guardò intorno. «Esci adesso, o giurò che ti spacco quella testa di capra quanto è vero Iddio!»
Lo guardai allarmato. Chi poteva entrare qui dentro senza essere visto? C'era solo un unico ingresso e Jimmy l'aveva sempre tenuto d'occhio. Forse qualcuno era entrato quando eravamo andati parlare con il signor Vermont? Magari alcuni bambini troppo curiosi? No, più ci pensavo, più mi suonava strano, quasi impossibile.
Jimmy indagò nella stanza per un lungo momento, poi ritornò da me.
«Allora?» chiesi.
Sollevò le spalle. «Non c'è nessuno.»
«Quindi quel coperchio si è spostato da solo? Oppure...»
«Ehi, l'ho chiuso! L'ho fatto, va bene?»
«Certo, come dici tu.»
«Non mi credi?»
Lo guardai per un attimo. «Quindi si è aperto da solo?»
Jimmy lanciò un'occhiata preoccupata verso la cassa da morto. Quello sguardo non mi piacque affatto e mi mise addosso un po' di tensione.
«Sai che c'è? Non importa» dissi, dirigendomi verso la cassa. Evitai di guardare la faccia putrescente del morto e, provando un orrore che mi attanagliava lo stomaco, posai le mani tremanti sul coperchio e chiusi la bara.
«L'avevo chiusa» aggiunse Jimmy. «Devi credermi.»
«Va bene, ti credo» mentii. «Ma qualcuno è venuto qui dentro e ci ha dato un'occhiata.»
«Forse uno degli sgherri del signor Vermont? Sono ovunque in città. Forse sono venuti a controllare il carico.»
Non so perché Jimmy aveva pensato questo, ma a me quell'idea non mi era nemmeno passata per la testa. Il signor Vermont non mi era sembrato il tipo da sguinzagliare i suoi mastini sulle mie tracce. Anzi, mi aveva dato l'impressione di un uomo che si limitava a sapere lo stretto necessario per concludere un affare. Certo, era inquietante, forse un po' più degli altri malviventi che avevo incontrato, ma sembrava un uomo per bene.
Jimmy andò all'ingresso e sbirciò fuori.
Lo raggiunsi. «Ma che stai facendo?»
«Forse sono qui intorno, nascosti tra i muretti e i cespugli.»
«Sei troppo paranoico. Qui non c'è nessuno. E poi c'è gente qua fuori, li vedrebbero.»
Si voltò verso di me e sgranò gli occhi, terrorizzato. Puntò un dito alle mie spalle, balbettando qualcosa che non riuscii a capire.
Mi voltai, ma non vidi niente. Appena feci per rigirarmi, il mio sguardo venne catturato dalla cassa. Era un poco scoperchiata. Come diavolo era successo? Mi venne una fitta allo stomaco, un vuoto mai provato prima.
«Quella... quella...» balbettò Jimmy alle mie spalle, poi si precipitò all'esterno.
La sua paura contagiò anche me, che me la diedi a gambe levate lungo la strada sterrata. Mi fermai accanto a una delle sparute casupole dove avevo visto sparire la donna di cui mi ero infatuato. Mi girai verso il magazzino abbandonato e scorsi solo il sole calare lentamente dietro la volta di un fitto bosco, mandando gli ultimi sprazzi di luce rosso arancio nel cielo.



 

7

Tornai a casa di Annabelle, senza nemmeno accertarmi dove fosse finito Jimmy. Non controllai neanche il magazzino, che adesso era incustodito. Aveva il terrore di tornarci, ma sapevo che l'indomani ci sarei andato per forza. Il signor Vermont avrebbe mandato il carro con i due cavalli e si aspettava di essere pagato. Non avevo nemmeno pensato se la mia borsa di denari fosse ancora seppellita sotto l'albero nel limitare del bosco. Prima di giungere a New Amsterdam, l'aveva lasciata lì per non venire derubato in un quartiere che aveva una brutta nomea, almeno stando a quanto diceva Jimmy. In realtà non avevo incontrato grossi problemi e la gente sembrava indifferente verso la mia persona. Di borseggiatori? Neanche l'ombra, il che era davvero strano. Che dire allora di quel taverniere? Ricordavo ancora le sue parole.
Immagino che vi siete vestito in quel modo per passare inosservato. Ma lasciatemi dire una cosa. La gente da queste parti capisce sempre chi ha davanti, anche se indossa solo uno straccio.
Quelle parole mi facevano ancora rabbrividire. Non mi era mai capitato una cosa del genere e forse ci stavo dando troppa importanza. Ma c'era una voce in me che mi diceva tutt'altro. Una voce muta, che non riuscivo a sentire. Sapevo che mi parlava, ma non sapevo cosa diceva. E mi chiesi come diavolo facessi a sapere che mi diceva l'opposto, se non potevo udire le parole?
Mentre meditavo, Annabelle entrò nel soggiorno e si sedette accanto a me. Il legno crepitava nel cammino dove un vivace fuoco scaldava le nostre membra. Non parlammo per un lungo momento, finché l'anziana ravvivò il fuoco con un bastone di legno.
«Quindi partirete domani?» chiese, guardando le fiamme.
«Sì, alle prime luci.»
«Qui ci sarà sempre un posto per voi, se intendete fare ritorno.»
Mi sentii rincuorato. «Grazie, Annabelle. Siete una persona buona.»
Scacciò l'aria con una mano. «Ma non ditelo in giro,» sorrise, «o mi ritroverò casa invasa da accattoni.»

Una strana inquietudine mi destò prima dell'alba. Mi alzai e uscii fuori a prendere una boccata d'aria. Guardai la porta posata accanto al muro d'ingresso, osservai il cielo tempestato di stelle.
D'un tratto un'imposta sbatté contro un muro. Mi girai verso il suono e vidi un uomo dai capelli arruffati affacciato alla finestra, il volto apatico illuminato dalla luna. Era lo stesso uomo di ieri.
Sostenni il suo sguardo per un momento, finché mi sentii avviluppato da un orrendo sconforto.
«Nelle tenebre trovasti conforto. Nel silenzio, te stesso.»
Sobbalzai. La sua voce si era originata nella mia mente. Quando rialzai lo sguardo, l'uomo era svanito, le imposte chiuse.
Quelle tetre parole mi risuonarono in testa come una filastrocca.
Nelle tenebre trovasti conforto. Nel silenzio, te stesso.
Nelle tenebre trovasti conforto. Nel silenzio, te stesso.
Nelle tenebre trovasti conforto. Nel silenzio, te stesso.
Scossi freneticamente la testa come se quel gesto potesse cancellare quella frase. Poi rientrai nella capanna, ma ne uscii nuovamente. Perché ero entrato? Fissai la finestra per un po', chiedendomi se quanto veduto fosse frutto della mia immaginazione. Forse stavo delirando? Stavo ammattendo? Mi feci forza e mi avvicinai alla recinzione di legno che divideva il cortile di Annabelle da quello abbandonato. Passai in mezzo a una sezione collassata e mi guardai intorno. Cespugli morti, rinsecchiti. Un albero pendeva pericolosamente verso la casa, allungando i contorti rami contro il muro dell'edificio fatiscente. La porta sul retro giaceva sul pavimento, ma non entrai. Mi limitai ad osservare il corto corridoio in penombra, il pavimento marcio e impolverato.
Improvvisamente avvistai qualcosa con la coda dell'occhio. Un movimento impercettibile, troppo rapido da poterlo scorgere chiaramente. Indietreggiai e, senza distogliere lo sguardo dal corridoio, andai a sbattere le spalle contro la recinzione. Sussultai e passai nuovamente nella fessura. Non so cosa diavolo mi era passato per la mente. Cosa volevo vedere? Cosa ci ero andato a fare? Si vedeva benissimo che l'edificio era malridotto. Non poteva viverci nessuno, se non i mendicanti, ma nemmeno loro avrebbero trovato accogliente quel posto.
Ritornai al capanno, afferrai la porta adagiata sul muro, la posai sotto la soglia e mi sdraiai. Sorrisi nel pensare che bastava una folata di vento per farla andare nuovamente giù e subito rabbrividii. Mi sentivo esposto, impotente. Cominciai a scorgere vaghe ombre attraverso le due finestre ai lati, ma forse mi stavo suggestionando. Chiusi gli occhi e cercai di dormire.
Inutile.
Il legno del soffitto scricchiolava. Un latrato lontano. Forse un cane? O un lupo? Non lo sapevo. Il cuore cominciò martellarmi nel petto, una vena pulsarmi sulla fronte.
Mi voltai sul fianco e cercai di pensare a casa, a Jamestown. Visualizzai la strada che avevo fatto, le persone che avevo incontrato, i paesaggi che avevo visto. Improvvisamente la faccia bendata apparve nei miei pensieri. Smorzai un moto di terrore e mi girai dall'altra parte.
Solo silenzio.
Finalmente.
Qualcosa di freddo mi afferrò il polso. Trasalii, terrorizzato. Mi sedetti e mi guardai attorno. Non c'era nessuno. Il mio respiro si condensava in piccole nebbioline. Cosa diamine stava succedendo? Non facevo freddo, né lo sentivo. Appena feci per alzarmi, la porta cadde al suolo con un tonfo e una folata di vento gelido mi investii in pieno. Le ossa si irrigidirono, i muscoli si contrassero. Poi scorsi la putrefatta faccia bendata alla finestra. La fissai, sconvolto. Quella aprì la bocca, e il mio stomaco si contorse. Gridai, ma ne uscii solo un rantolo soffocato. Mentre la faccia bendata aprì in modo disumano la bocca, le ossa delle mie gambe scricchiolarono.
Caddi nell'oscurità.



 

8

Quando mi svegliai, vidi il volto di Annabelle chino su di me. Sembrava turbata.
«Oh, siete sveglio, signor Russell» disse, preoccupata.
«Cosa... io...» Ero talmente confuso, che mi dimenticai per un momento dov'ero e del perché fosse lì.
La donna anziana mi posò una mano sulla spalla. «Si calmi, si calmi. Non avete fatto che gridare tutta la notte. In quale inferno siete caduto questa notte?»
Era troppo frastornato per risponderle. Biascicavo, come se non riuscissi a parlare.
«Sembra che il Diavolo in persona vi abbia fatto visita. Dovete confessarvi più spesso.»
Dalla finestra scorsi il grigiore che procede l'alba. Scattai in piedi.
Annabelle mi fissò, turbata. «State bene, signor Russell?»
«Sì, io... io sto bene.»
«Volete mangiare qualcosa? Ho del pane e un po' di birra annacquata.»
«No, vi ringrazio, Annebelle. Devo proprio andare. Grazie per avermi svegliato e chiedo scusa se vi ho recato fastidio con le mie grida.»
L'anziana mi fissò, impietosita.
Uscii dalla capanna e, prima di andare, lanciai uno sguardo alla finestra chiusa dalle imposte.
Nelle tenebre trovasti conforto. Nel silenzio, te stesso.
La frase ritornò a echeggiare nella mia mente con lo stesso tono catatonico. E per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare il volto dell'uomo.

Ero a metà strada dal magazzino abbandonato, quando mi parve di avvistare Annabelle girare l'angolo della via. Scossi la testa e continuai a camminare. Era davvero lei? E se sì, come diavolo aveva fatto a precedermi?
Durante il tragitto, non incontrai una sola persona. Tutte le finestre erano chiuse dalle imposte e si udivano solo i miei passi sguazzare nella melma maleodorante di scarti umani. Era impossibile evitarli, ormai avevo gli stivali sudici.
Presi una strada che mi portò sul limitare di un bosco e mi inoltrai all'interno. Qui proseguii per un centinaio di passi e mi fermai sotto a un albero. Sollevai la pietra e scavai con le mani, finché toccai il borsello di denari. Lo presi e uscii dal bosco. Albeggiava.
Da sopra i tetti delle casupole, il sole sprizzava bagliori arancio-giallo oro nel cielo.
Una decina di minuti dopo, raggiunsi il magazzino. Prima di entrare, però, ci girai attorno. Nessuna traccia di Jimmy. Dove era finito? Dovevo pagarlo. Non era da Jimmy lasciarsi dietro una corposa paga.
Entrai nel magazzino e fissai la cassa da morto. Era chiusa. Forse Jimmy era ritornato e... no, impossibile. Avevo visto i suoi occhi terrorizzati. Non poteva essere venuto da solo. Allora chi l'aveva chiusa?
Mentre mi avvicinai, venni colto da un brivido lungo la schiena. Sentii freddo e il mio respiro cominciò a condensarsi in piccole nuvole. Quando mi fermai ai piedi della bara, sentii un fruscio di vento alle mie spalle. Mi voltai. Il cadavere bendato sospeso a tre piedi dal suolo, le esile e putrefatte braccia spalancate, la bocca allungata e deformata.
Spaventato, indietreggiai fino a sbattere contro una trave di legno.
L'orrenda cosa sembrava pietrificata. Restò a fluttuare nell'aria, finché scorsi il coperchio della cassa scivolare via. Cadde al suolo con un tonfo, sollevando una nube di polvere. Una mano si sollevò dall'interno, si aggrappò alla bara, seguita da un'altra. Una figura familiare si alzava in piedi, le ossa scricchiolavano.
Sbarrai gli occhi, sconvolto.
Era Jimmy.
Si girò verso di me, la pelle grigiastra, gli occhi vitrei, vacui.
Il cadavere bendato posò i piedi a terra, le braccia penzoloni lungo i fianchi.
Lanciai uno sguardo verso l'uscita. Non sarei mai riuscito a fuggire. Quelle due cose la bloccavano.
Il cadavere bendato si mosse verso di me, i piedi sospesi a dieci dita dal terreno.
Non riuscivo a muovermi, le mie gambe due pesanti macigni.
La cosa posò una mano sulla mia testa, un tocco glaciale. Percepii un lancinante dolore alla tempia e la vista si annebbiò.
Il cadavere bendato emise un suono acuto, sottile, molto intenso. Una sorta di fischio infernale, qualcosa di mai udito prima.
Gridai dal dolore. Tentai di coprirmi le orecchie, ma le mie braccia erano inermi. Non sentivo nemmeno il resto del corpo e non capivo come diavolo mi reggessi in piedi.
La cosa si portò una mano raggrinzita sulla benda e, quando fece per togliersela, scomparve.
Crollai al suolo, esausto. Mi sembrava di non aver dormito per giorni. Mi portai una mano sulla testa, nel punto in cui mi aveva toccato quella cosa. Percepii uno strano gelo sotto i polpastrelli, che allontanai subito. Mi alzai in piedi, aiutandomi con la trave, la testa dolorante, la vista offuscata.
Guardai la cassa da morto. Il coperchio era chiuso, Jimmy scomparso. Poco oltre l'ingresso aperto da cui entrava un fascio di sole, scorsi una sagoma. Avanzò verso di me, finché lo vidi in viso.
Barbuto, stempiato, sulla quarantina. Pantaloni, giacca e camicia logori, rattoppata in più punti.
Corrugò la fronte, confuso. «Sei tu, Edgar Russell?»
«Sì...»
«Ho i cavalli e il carro. Dov'è il denaro?»
Restai un attimo interdetto. Non per ciò che aveva detto, ma per ciò che era successo. Non aveva visto niente?
L'uomo stempiato mi raggiunse. «Sganciai i denari.»
«Sì, sì... un attimo» presi il borsellino legato alla cintura e lo diedi.
L'uomo lo soppesò, l'aprì, ci sbirciò dentro e fece tintinnare le monete. Poi mi fece segno di seguirlo con la testa.
Una volta fuori, vidi un altro uomo vicino a due robusti cavalli pezzati. Sulla cinquantina, corti capelli neri e naso aquilino. Aveva un'aria altezzosa, arrogante. Indossava un logoro farsetto rattoppato e un pantalone a sbuffo.
L'uomo stempiato gli rese il borsellino e quello contò i denari. «Ci sono tutti» disse con un sorriso di circostanza. «Il signor Vermont vi manda i suoi omaggi e vi augura buon viaggio.»
«Grazie. Mandategli i miei saluti.»
L'uomo col naso aquilino annuì e si allontanò insieme al compare.
Rimasi solo in quella fredda mattinata. Volsi lo sguardo all'ingresso del magazzino, poi guardai i cavalli sbuffare. Accarezzai il loro collo.
Chissà di chi erano? Non credevo che il signor Vermont avesse una stalla o un allevamento di cavalli da qualche parte. Ma ora non m'importava. Mi girai e mi avvicinai sotto lo stipite del magazzino. Ci guardai dentro.
Tutto era calmo.
Un brivido si fece largo lungo la schiena e mi venne la pelle d'oca. Non avevo il coraggio di entrare, né tanto meno di mettere le mani sulla bara. Al solo pensiero, mi venne una fitta allo stomaco. Restai sulla soglia per un lungo momento, poi entrai e m'incamminai verso la salma. L'aria era diventata così gelida, che la sentivo fin dentro le ossa. Quando feci per chinarmi, udii alcuni passi alle mie spalle. Mi voltai di scatto e vidi Jimmy sotto l'ingresso.
Anche se il sole del mattino gli illuminava vagamente le spalle, non sapevo se fosse la stessa cosa di prima o...
«Ammetto di aver pensato di non venire più» disse con la sua solita voce rauca. «Ma poi ho pensato ai denari. Me li sono guadagnati, dopotutto.»
Mi si avvicinò e compresi che era davvero Jimmy. Restai interdetto, per un attimo. Se lui era qui, quella cosa che ho visto uscire dalla bara chi era? Un'allucinazione?
Jimmy lanciò uno sguardo spaventato alla bara. «Ti chiedo scusa, Ed. Ieri... ieri me la sono data a gambe, ma giurerei di aver visto quel cadavere dietro di te. Era sospeso in aria. L'ho visto. Devi credermi.»
Corrugai la fronte. «L'ho visto anch'io... e poco fa ho visto anche te uscire dalla cassa.»
Jimmy spalancò gli occhi, spaventato.
Non parlammo per un breve momento, poi sentimmo i cavalli nitrire là fuori.
Jimmy si chinò e mi guardò. «Facciamo in fretta. Non voglio tenere le mie mani poggiate più del necessario su quella cosa.»
Annuii.



 

9

Trasportammo la cassa fuori dal magazzino e, appena l'adagiammo sul carro, i cavalli cominciarono a nitrire, a scalciare.
Jimmy mi lanciò un'occhiata, preoccupata, ma non disse niente.
La gente iniziava a fluire lungo la strada sterrata, senza degnarci di uno sguardo. Rividi la donna di cui mi ero infatuato e la fissai nuovamente come un ebete. Lei mi sorrisi e io ricambiai. Portava in grembo una cesta vuota e s'incamminò verso il sentiero che spariva nei boschi. Mi chiesi perché stesse andando lì, ma quel pensiero volò via, seguita da una strana amarezza. Non l'avrei più rivista.
«Sarà meglio partire» disse Jimmy. «Dobbiamo arrivare a Berry Town prima del crepuscolo.»
Guardai il cielo. «Abbiamo ancora molte ore di sole. Credo che arriveremo un'ora prima del tramonto.»
«Ho portato due moschetti e due mazze ferrate.»
Mi accigliai, confuso. «Cosa? Perché? Perché hai portato delle armi? Non ci servono. E poi dove l'hai trovate?»
Adocchiò la bara. «Secondo te? Ci serve protezione. Se quella... se quella cosa esce e vuole farci a pezzi?»
Non sapevo cosa dire. Mi sembrava tutto così surreale. Così mi girai, salii sul carro e presi le redini. Jimmy mi seguì poco dopo.

Lasciai New Amsterdam con una strana inquietudine addosso. Mentre il carro traballava sul sentiero sterrato, lanciai uno sguardo alla cassa alle mie spalle. Avevo il terrore che quella cosa potesse uscire da un momento all'altro. Non mi sentivo per niente a mio agio.
«Se non ricordo male,» disse Jimmy, «dovremmo seguire la strada fino a Berry Town. Poi dovremmo seguire il fianco della collina e...»
«Ci penseremo dopo. Per ora concentriamo sulla strada da fare.»
«Ci sei mai stato lì?»
«Dove?»
«A Berry Town.»
«Una volta sola, per affari.»
«Sei mai stato alla taverna di Jeffry?»
Lo guardai per un attimo. «Sì, ma non per ciò che intendi tu.»
Jimmy sorrise, malizioso. «Sì, certo, come no. Tutti vanno lì per una sola cosa e...»
«Non io. Ci sono entrato solo una volta e mi è bastato. Quel posto non è fatto per me.»
«Ah, no? E quale sarebbe il tuo posto ideale?»
Non risposi.
«Non ti facevo un puritano, sai» disse Jimmy.
«Non lo sono, infatti.»
«Forse non hai visto il ben di Dio che si trova fra quelle quattro mura.»
«Non sono cieco.»
Quando Jimmy fece per rispondere, udimmo un lontano latrato provenire dai boschi. Ci scambiammo delle occhiate, spaventate, e ci guardammo intorno. I cavalli nitrirono, ma continuarono a muoversi.
«Un lupo?» chiese Jimmy, preoccupato. Calò una mano dietro il carro e imbracciò un moschetto.
«No, non credo» risposi, turbato.
«Se non è un lupo, allora cos'è?»
«Se lo sapessi, te lo direi, no?»
Mentre il carro traballava sulla strada, sentimmo di nuovo il latrato. Questa volta era più vicino. Veniva oltre la fila di alberi alla nostra destra.
Inquieto, gettai uno sguardo alla cassa. Immaginavo il coperchio scivolare di lato, le fredde dita adunche posarsi sulla cassa, quella cosa sollevarsi.
Poi il latrato giunse lontano.
Jimmy si guardò intorno. «È andato via?»
«Non lo so.»

Percorremmo molte miglia e mancavano ormai due ore al crepuscolo. Non avevamo più sentito quell'orrendo suono, ma Jimmy non si staccò dal moschetto nemmeno per un secondo. Superammo sparuti villaggi lungo la costa, cupe casupole di legno, campi di grano, mais e alle volte capanne abbandonate. L'intero paesaggio una desolazione senza fine.
Cominciò a piovigginare.
Jimmy posò il moschetto sul carro e lo coprì con un telo verde per non far bagnare la polvere da sparo al suo interno e la bara. Sospirò. «Ci manca solo un brutto raffreddore.»
«Siamo quasi arrivati.»
«Non vedo niente.»
«Berry Town è dietro quel colle.»
Il carro proseguì a fatica sul terreno melmoso, ma alla fine arrivammo al limitare della colonia. Fermai i cavalli.
Le strade deserte, le finestre pozzi neri. Sembrava una colonia fantasma.
«L'accoglienza non è di casa» scherzò Jimmy con un mezzo sorriso.
Guardai le case di legno, i portici vuoti. «Non me la ricordavo così spettrale.»
«Aspetta di essere nella taverna e vedrai come cambierai idea.»
Mentre il carro riprendeva a muoversi, vidi una chiesa di legno troneggiare sugli altri edifici. In cima, un grosso campanile. Come potevano permetterselo? Era un paesotto sperduto in mezzo al nulla. Dove avevano trovato il denaro per la campana?
«Fermati lì,» disse Jimmy, «o il carro rimarrà bloccato nella fanghiglia.»
Fermai il carro sotto una tettoia di legno.
Jimmy scese dal carro. «Lasciamo qui i cavalli. Andiamo nella taverna.»
«Aspetta! Non credo sia una buona idea. Non voglio che qualcuno si metta a curiosare e...»
«Non lo farà nessuno. Qui ognuno pensa ai suoi affari. Forza, andiamo.»
Accarezzai i musi dei cavalli pezzati, gettai uno sguardo alla cassa da morto e seguii Jimmy. Non mi piaceva l'idea di lasciare il carro incustodito, ma non vedevo l'ora di crollare su un letto e dormire.
«Ti occupi tu dei cavalli?» domandai.
«Conosco qualcuno che lo farà.»
«Spero sia economico. Non mi sono rimaste molte monete.»

Entrato nella taverna, avvertii fin da subito un'aria cupa, quasi opprimente. L'ambiente illuminato flebilmente da lanterne ad olio poste su travi e pareti. Una decina di uomini erano seduti ai tavoli a bere, a bisbigliare. Nessuno si voltò a guardarci. Avevo da sempre ritenuto irritante l'interesse della gente per i forestieri, soprattutto nelle piccole comunità. Ma qui sembrava non fregare niente a nessuno. Non me la ricordavo così Berry Town.
Ci avvicinammo al locandiere, che ci dava le spalle dietro il lungo bancone.
«Ehi, Jacob» disse Jimmy, felice. «Come ti vanno gli affari?»
L'uomo si girò. Sulla sessantina, calvo, palpebre cadenti, baffi bianchi e un grosso taglio sulla guancia sinistra. Indossava un farsetto marrone rattoppato in più punti e un pantalone. «Oh, guarda un po'! Jimmy Horn. Cosa ti porta da queste parti?» Domandò con voce catarrosa. Poi mi adocchiò. «Sei in compagnia, vedo.»
«Lui è Edgar Russell.»
Mi allungò una mano. «Jacob Willson. Piacere di conoscervi.»
Gliela strinse. «Piacere mio.»
Jimmy si guardò intorno. «Dove sono le ragazze?»
L'uomo puntò un dito verso il soffitto. «Di sopra.»
«Mandy è ancora qui?»
Annuì.
Sul volto di Jimmy si dipinse un sorriso malizioso. «Allora ci vado subito.»
«Prima non vuoi toglierti la polvere dalla gola?»
«Magari dopo.» Si fiondò sulle scale.
Jacob mi rivolse un sorriso mellifluo. «Ve ne verso uno? È alcool fatto in casa.»
Annuii, mi sedetti e tracannai d'un sorso il liquido. La gola prese fuoco e tossii diverse volte.
Mi parve di vedere una certe soddisfazione negli occhi ridenti di Jacob.

 

10

Affittai una stanza singola e mi distesi sul letto. I lampi illuminavano la camera, prima di rombare nel cielo. La pioggia batteva prepotente sul vetro della finestra, dandomi un senso di pace. Avevo sempre amato la pioggia. Fuori dalla camera, nel corridoio, udivo i passi degli uomini che andavano e venivano dalle camere private delle ragazze. Sicuramente Jacob faceva più quattrini con le ragazze, che con l'alcool. La cosa che mi turbava era l'essenza di gemiti o urla di piacere. Nelle normali case della tolleranza erano all'ordine del giorno, ma qui era tutto così stranamente silenzioso. Forse anche inquietante.
Incrociai le dita dietro la nuca e fissai le assi del soffitto. Jimmy aveva parlato di un certo Jeffry, ma ora non ricordavo se fosse il proprietario della locanda o un uomo d'affari. Magari le ragazze erano sotto la sua protezione e non di Jacob. Mentre riflettevo, sentii le palpebre farsi pesanti. Mi addormentai.

Ero in casa di Annabelle.
Una candela di sego illuminava l'entrata e dai ciocchi spenti del camino si elevava un sottile fumo nero. Nell'aria, un acre odore di putrefazione.
«Annabelle?» chiamai.
Nessuna risposta.
Quando camminai, i miei piedi erano bloccati in una strana melma violastra sparsa sul pavimento. Tentai di muovermi, finché cominciai a sprofondare. Gridai aiuto, cercai di aggrapparmi al tavolo, ma fui inghiottito da quella sostanza appiccicosa. Non riuscivo a respirare, a muovermi. Sentii la gola invasa dal liquame, i polmoni bruciarmi e crollai al suolo.
Non ero più nella melma, ma in piedi nel soggiorno del signor Vermont. Sedeva su una poltrona, le gambe incrociate, le mani poggiate sui braccioli. Mi fissava con occhi apatici.
Quando feci per parlare, percepii in bocca qualcosa. Dapprima mi sembrò una buccia di mela, poi uno scarafaggio uscì dalle mie labbra. Lo sputai a terra e lo schiacciai. Appena sollevai il piede, lo scarafaggio sgambettò sui miei stivali infangati. Scalciai come un cavallo indemoniato, ma quello mi entrò nei pantaloni. Corse lungo la caviglia, finché avvertii un dolore acuto sotto il ginocchio.
Sul volto del signor Vermont si dipinse un sorriso inquietante e incrociò le dita, divertito.
Mentre lo fissavo, avvertii qualcosa sulla lingua. Una cascata di scarafaggi fuoriuscirono dalla mia bocca come un prolungato gettito di vomito. Crollai al suolo, incredulo e spaventato.
Il signor Vermont si alzò e, al suo passaggio, gli insetti si spostarono. Si fermò a tre passi da me. Gli scarafaggi mi si lanciarono addosso e ne venni sommerso. Mi entrarono dalle orecchie, dalle narici, dalla bocca. Altri mi strapparono lembi di carne e sentii il liquido dei miei occhi, ridotti a brandelli, colare lungo il mio viso.

Mi destai madido di sudore, il cuore che mi martellava nel petto. Mi tastai freneticamente il corpo, ancora assonnato. Niente insetti. Mi sedetti sul letto e mi portai le mani nei capelli. Era stato così reale. Sentivo ancora quegli orrendi scarafaggi sgambettare sul mio corpo, la carne strappata da innumerevoli piccoli morsi. Mi alzai e raggiunsi la finestra. Da lì potevo vedere il carro sotto la tettoia di legno. Era coperto da un grande telo verde. I cavalli non c'erano più. Jimmy non si era dimenticato di loro. Chissà se aveva preso anche i moschetti? Se si fossero bagnati, sarebbero stati inutili fin quando non si fossero asciugati. E poi da dove li aveva presi? Quelle armi costavano.
Quando mi girai, vidi una figura nell'angolo della stanza in penombra. Sobbalzai e arretrai fino a sbattere la schiena contro il muro. Rimasi a fissarla per un attimo, poi quella si mosse lentamente. Era il cadavere bendato, le braccia spalancate, i piedi sospesi dal suolo.
Sentii le gambe molli e mi ritrovai a terra, spaventato. L'orrenda cosa spalancò la bocca deforme. Ne fuoriuscì una nube nero pece che, espandendosi in tutta la camera, mi circondò.
Il cadavere bendato abbassò le braccia. Dalle sue fredde e livide labbra partì un grido acuto. I vetri della finestra alle mie spalle esplosero in mille pezzi. Mi rannicchiai contro la parete e, pur avendomi tappato le orecchie, quell'agghiacciante urlò non perdeva volume. Le pareti e il pavimento tremarono, finché venni avviluppato dalla nube nera.
Non vedevo niente. Un freddo glaciale si propagò tutt'attorno, penetrandomi fin dentro le ossa. Poi delle fredde e adunche dita si serrarono attorno al mio collo. Strinsero. Afferrai quei polsi freddi, esili, cercai di allontanarli, ma sembravano possedere una forza soprannaturale. Sentivo il respiro venire meno, i polmoni bruciare...

«Ehi, Ed! Che cazzo fai? Ed! Che ti prende?»
Quando aprii gli occhi, scorsi il viso di Jimmy chinò su di me, le sue dita serrate attorno ai miei polsi.
«Che cazzo stavi facendo? Volevi strozzarti da solo?»
Incredulo, mi guardai le mani e tossii per riprendere fiato.
«Sei impazzito?» chiese Jimmy, turbato. «Perché ti stavi strozzando?»
«Io... non lo so...»
«Come non lo sai? Ti volevi...»
«Non cosa diavolo è successo.»
Mi fissò, perplesso.
«Ricordo solo quella... quella cosa. Sembrava così reale.»
«Quale cosa?»
«Il cadavere nella bara.»
Jimmy si guardò intorno, spaventato. «Era solo un incubo, un brutto incubo.»
Mi alzai e andai alla finestra. Osservai il carro illuminato dalle prime luci del mattino. «Prima di lasciare New Amsterdam, ho visto quella cosa in piedi nel magazzino.» Mi girai verso Jimmy. «Ho visto anche te. Eri nella bara...»
Si limitò a fissarmi, turbato.
«Sei uscito da lì, ti ho visto. Eri morto. Quella cosa mi ha aggredito. Voleva... voleva uccidermi. Poi è arrivato lo sgherro del signor Vermont e tu e quella cosa siete svaniti.»
«Dormivi?»
«No, ero sveglio. Ero lucido.»
Jimmy non parlò subito e guardò la finestra. «L'ho vista anche io nel magazzino, lo sai. Era dietro di te. Per questo...» Abbassò gli occhi sul pavimento «Sono fuggito. È stato un gesto istintivo. Quando mi sono fermato, non capivo se quello che avevo visto fosse reale o... Insomma, mi è venuta una mezza idea di non farmi più vivo, ma... bè, sono tornato, alla fine.»
Lanciai un ultimo sguardo nella stanza. «Andiamo a fare colazione. Ho una fame da lupi.»



 

11

Nell'ingresso, tre uomini seduti ai tavoli se ne stavano per conto loro, in silenzio. Uno dormiva sul tavolo con una bottiglia di alcool in mano.
Jacob era dietro il bancone, chino su una botte che aveva appena trascinato dentro. Ci dava le spalle.
«Ehi, Jacob» disse Jimmy. «Puoi farci due uova strapazzate? Ah, è due pagnotte.»
Il taverniere alzò una mano per farci capire che aveva capito.
Ci sedemmo davanti al bancone.
«A proposito,» dissi a Jimmy, «dove hai trovato i moschetti?»
«Li ho da un po' di tempo, ma non li ho mai usati.»
«A che ti servono se non li usi?»
«Primo o poi li userò. Quindi meglio tenerli da parte, che non averli.»
«Ma non mi hai detto dove li hai presi?»
Jimmy mi fissò per un attimo. «Che ti frega dove li ho presi? Ringraziami che ce li ho. Potremmo essere costretti a usarli contro gli Indiani. Sai benissimo che potremmo incontrarli lungo la strada. Quindi è meglio essere preparati, no? E poi c'è sempre quella cosa. Può risvegliarsi come l'altra volta. E se lo fa?»
«Quindi li hai comprati?»
Mi fissò, indignato. «Credi che li abbia rubati?»
«Non ho detto questo.»
«Ma lo pensi.»
«Niente affatto.»
Appena Jimmy fece per parlare, Jacob posò due ciotole di legno davanti a noi. Il profumo delle uova cotte mi pervase le narici e mi venne l'acquolina in bocca.
Jimmy fiondò le mani nel cibo e cominciò a divorarlo. Lo buttava giù senza nemmeno masticarlo.
Iniziai a mangiare e trovai la pagnotta indurita. La bagnai con un poco d'acqua e ne strappai un morso.
Jimmy mandò giù l'ultimo boccone. «Jacob, un altro piatto, grazie.»

Finita la colazione, salutammo Jacob e ci avviammo verso il carro. Il cielo si era un po' incupito e il sole continuava a nascondersi dietro le nuvole. La cittadina spettrale che avevo visto ieri, aveva cambiato volto. Ora le strade erano affollate di persone, cavalli e carri. Il campanile della chiesa suonò diversi rintocchi.
«Pioverà?» chiese Jimmy.
«Forse, ma speriamo di no. Non vorrei che restassimo impantanati in mezzo al nulla.»
«Facili bersagli degli Indiani, per giunta.»
«Ma non trasportiamo nulla di valore.»
«Credi che lo fanno solo per questo? Quei pelle rossa lo fanno per il gusto di uccidere. Ci odiano.»
«Non penso valga per tutti.»
«Dici così perché non hai visto ciò che ho visto io.»
«E cosa hai visto?»
Jimmy si fermò in strada e mi fissò, serio. «La morte, ecco cosa. Ti sei dimenticato che ho lavorato per il signor Vermont? Una volta stavamo scortando un carro di, di... di vettovaglie, sì, vettovaglie. Eravamo quasi arrivati a New Amsterdam quando siamo stati attaccati da un gruppo di Indiani a cavallo. Erano una trentina, forse di più, non ricordo. Non avevano archi, ma alcuni moschetti. Dei cazzo di moschetti! Ci siamo difesi, ma quelli ci circondarono e fecero fuori metà scorta. Poi Greg ci disse di arrenderci, che in caso contrario ci avrebbero ammazzati tutti.» Smise di parlare nel vedere un uomo passarci affianco e guardarci torvo. «Sapevo che ci avrebbero uccisi ugualmente. Lo dissi a Greg, ma quello non mi ascoltò. Poi... Beh, gli Indiani si divertirono a torturarci a morte.»
«Tu non sei morto, però?» domandai.
«Solo perché gli spari dei nostri moschetti avevano allertato un gruppo di sbandati nei paraggi.»
«Sbandati?»
«Quei pazzi che vanno alla ricerca degli scalpi Indiani. Sono arrivati e hanno sparato all'impazzata. Nel caos generale, mi nascosto sotto uno sperone e ho aspettato che finissero.»
«Com'è finita?»
«Si sono ammazzati a vicenda» S'incamminò verso il carro.
Lo seguii. «Sei stato fortunato. Ma resto dell'idea che gli Indiani non sono tutti così.» Feci una pausa. «Che fine ha fatto il carro?»
«Il signor Vermont ha mandato degli sgherri a recuperarlo.»
Ci fermammo davanti al nostro carro e mi voltai verso Jimmy. «Sono sicuro che non stavate trasportando delle provviste.»
Mi fissò per un istante. «Vado a prendere i cavalli.» Si allontanò.
Mentre aspettavo, mi guardai attorno. Vidi un'anziana donna affacciarsi a una finestra, sbattere un farsetto rattoppato e rientrare. Mi era sembrata Annabelle. Ma come era possibile? Eravamo lontano diverse miglia da New Amsterdam. Non poteva essere lei.
Mi voltai e, sollevando un poco il telo, diedi un'occhiata alla cassa. Era chiusa. La ricoprii e guardai in strada. Jimmy stava arrivando tenendo i due cavalli pezzati per le briglie.

Ci mettemmo subito in viaggio.
Ero contento di lasciare Berry Town, in quanto non mi era mai piaciuta. C'era qualcosa di strano. La gente era strana, o almeno lo era diventata dall'ultima volta che ero stato qui. Poi l'incubo che avevo vissuto aveva solidificato il tutto. Ancora adesso non facevo che pensarci.
Jimmy mi guardò. «Stai bene?»
«Sì, sto bene.»
Proseguimmo lungo la strada sterrata, costeggiata da alti pini e declivi rocciosi che spuntavano dal terreno come artigli famelici. Dolci colline si scorgevano all'orizzonte. Dopo aver percorso il sentiero per un po', ci fermammo a un bivio.
«Una frana» dissi. «Non ci voleva.»
Jimmy si voltò a destra. «Colpa della fottuta pioggia di ieri.»
La scrutai un poco. «Non c'è modo di superarla, non con il carro, almeno. Dobbiamo fare il giro.»
«Arriveremo a Jemestown a notte inoltrata. Forse è meglio fare un'altra sosta. Qui vicino c'è una piccola colonia.»
«Sì? Non lo sapevo.»
«Beh, c'era fino a sette mesi fa. Ora non so se i coloni ci sono ancora.»
Girammo il carro e proseguimmo.
Osservai il cielo. «Credo che pioverà. Guarda lì! Dietro quella collina. Sta lampeggiando.»
«Se la pioggia ci sorprende qui, ci bloccherà. Dobbiamo affrettarci.» Schioccò le redini e i cavalli cominciarono a correre.
«Attento a non sfiancarli» dissi.
«Non sono mica scemo.»

Superammo una catena di ammassi rocciosi e ci inoltrammo in una piccola radura. I lampi s'avvicinavano, seguiti dal rombare di tuoni.
«Forse non ce la faremo» dissi.
Jimmy schioccò il frustino sui sederi dei cavalli. «Muovetevi! Forza!»
Mentre procedevamo spediti lungo la strada, un fulmine squarciò un albero. Prese fuoco.
«Santa Vergine!» urlò Jimmy, spaventato. «Me lo sono visto passare davanti alla faccia, Cristo Santo!»
Il carro s'inerpicò a fatica sul fianco della collina. I cavalli nitrirono e sbuffarono affaticati.
«Vai più piano, Jim. O li farai morire quei poveri cavalli.»
Mi lanciò un'occhiata, risentita, e rallentò la loro andatura.
Cominciò a piovigginare.
Jimmy guardò il cielo. «Tanto vale fermarsi e ripararci sotto quello sperone roccioso.»
«Manca molto alla colonia?»
«Non faremo in tempo. Rimarremmo impantanati nel fango.»
«Rispondi alla mia domanda.»
Mi fissò, torvo. «Forse due o tre miglia.»
«Non è molto lontano. Possiamo farcela.»
«No, tra un momento all'altro si scatenerà una tempesta. Faremo meglio a ripararci.»
Ci meditai un po', osservando i nuvoloni grigiastri avanzare minacciosi. Una improvvisa folata di vento mi fece decidere. «Va bene, allora. Facciamo come dici tu.»

Ci sistemammo sotto lo sperone roccioso e portammo i cavalli e il carro sul fondo di quella che sembrava una piccola caverna. Ci sedemmo su una roccia.
«Spero solo che il vento non soffi da questa parte o ci bagneremo tutti» sbuffò Jimmy.
«Allora mettiamoci dietro il carro.»
«Ci bagneremo ugualmente.»
«Ma di meno, però.»
Una volta là dietro, un cavallo lasciò partire una scarica di feci sul terreno.
«Ah, che cazzo!» Jimmy si tappò il naso il naso e guardò il cavallo. «Ti sembra il momento adatto per cagare?»
Smorzai una risata. «È un cavallo. Quando gli scappa, gli scappa.»
«Ora dovremmo anche sopportare questo tanfo.»
«Pensavo fossi abituato al loro odore.»
Mi fissò, perplesso. «Non ti ci abitui mai. E poi 'sto cavallo sembra sia mangiato un nido di millepiedi.»
Un lampo illuminò per un attimo la piccola caverna, e un forte tuono echeggiò nel cielo per un lungo momento.
Piovve a dirotto.
Violente folate di vento sferzavano tutt'attorno. Un giovane pino si piegò su un lato e venne sradicato. Se fossimo rimasti in viaggio, i cavalli si sarebbero imbizzarriti e il carro sarebbe rimasto impantanato nel terreno.
Lo vidi che mi fissava con un sorriso compiaciuto.
«Che c'è?» chiesi.
«Non hai niente da dirmi?»
«Cosa dovrei dirti?»
«Avevi ragione, Jim. Scusa se ho dubitato.»
Scacciai l'aria con una mano. «Siamo qui, no?»
«Grazie a me.»
«Ora non fare lo stronzo.»
Jimmy fece un mezzo sorriso.
Appena mi voltai verso il carro, mi parve di vedere due occhi arancioni spiare da sotto uno spiraglio fra il telo e il legno.



 

12

Passammo buona parte del tempo in silenzio, mentre il secondo cavallo decise defecare anch'esso. La puzza era diventata insopportabile e fummo costretti a metterci davanti al carro. Ci bagnammo, ma almeno non soffocavamo sotto quel tanfo.
I venti si calmarono e il cielo iniziò a schiarirsi.
Aspettammo più di un'ora prima di metterci in marcia.
«Ormai la terra deve aver assorbito la maggior parte dell'acqua» dissi.
Jimmy mi passò le redini, si voltò e sollevò un lembo del telo verde. «Sembra che non si siano bagnati.»
«Cosa?»
«I moschetti.»
Si voltò e gli resi le redini.
Seguimmo un tratto di strada irregolare e ci inoltrammo in un fitto boschetto per un lungo momento. Guardai il cielo. Mancava poco al crepuscolo.
«Oh, ecco! Guarda!» Jimmy puntò il dito verso un paio di costruzioni di legno in lontananza. «Siamo arrivati.»
«Non vedo nessuno.»
«Forse sono tutti in casa.»
«A fare che? A girarsi i pollici?»
«Ma che ne sai tu? Magari stanno scopando. Che altro possono fare da queste parti per passare il tempo? A parte prendersi a pugni e uccidersi a vicenda?»
Mentre il carro si avvicinava lentamente, pensai che forse non ci abitava nessuno. La colonia si trovava sul fianco di un agglomerato di massi rocciosi, poco distante da un ruscello che sgorgava da lì e serpeggiava giù da un avvallamento. Le finestre erano chiuse dalle imposte. Sulla strada, nessuna impronta di cavalli, di piedi o ruote di carro. La pioggia poteva aver cancellato le tracce, ma qui aveva piovuto poco. In alcuni punti il terreno era persino asciutto.
Jimmy fermò il carro davanti a un edificio di un piano. «Questa è la locanda» disse. «Andiamo a dare un'occhiata.» Saltò giù e si fermò sul fianco del carro. Sollevò il telo, afferrò il moschetto e guardò dentro la canna.
«Cosa vuoi fare?» domandai, perplesso.
Jimmy alzò lo sguardo su di me. «È per precauzione. Questa è una colonia, dopotutto. Possono esserci alcuni malintenzionati là dentro. La maggior parte dei coloni sono assassini, prostitute, criminali e tanta altra brava gente.»
Non capivo quali erano le sue intenzioni. Scesi dal carro. «Dai, abbassa l'arma. Non ti serve. Entriamo disarmati. Forse non c'è nemmeno un'anima viva da queste parti.»
Jimmy ci pensò per un momento. Posò l'arma sul carro, lo coprì col telo e ci avviammo verso la locanda.
Vuota.
L'ingresso inghiottito dalla penombra. Passai un dito sul tavolo e osservai la polvere sul mio polpastrello. «Qui non viene nessuno da un sacco di tempo.»
Jimmy mi ignorò e andò dietro il bancone del bar. Afferrò una bottiglia di birra, tolse il tappo e fece un lungo sorso. Poi la sbatté sul bancone, facendo balzare fuori gocce di birra. «Almeno non hanno portato via l'alcool. Guarda quanto ben di Dio c'è qui. Ed è tutto per noi. Dai, che aspetti. Vieni a farti una birra. È buona. Assaggia, dai.»
Respinsi la sua mano e mi girai a guardare l'ambiente, tavoli e sedie in perfetto ordine. Sembrava che il proprietario se ne fosse semplicemente andato. Forse non c'era nessuno anche negli altri edifici.
«Dove stai andando?» domandò Jimmy, contento. «Vieni a farti una birra, Ed. Quanto ci capiterà di nuovo una cosa del genere?»
«Vado a dare un'occhiata di sopra.»
Jimmy alzò la bottiglia come a dire di aver capito e si sedette sul bancone.

Salii la scala che mi condusse su una balconata interna che dava sull'ingresso. C'erano due porte e un corridoio alla mia destra. Girai lentamente la maniglia della prima e sbirciai dentro. Era una normale camera. Il letto sfatto, sul comodino una candela di sego in un piattino e sei fiorini. Li presi, chiusi la porta e aprii quella accanto. Era uguale alla prima.
Svoltai nel corridoio e scorsi una porta, in fondo. Era socchiusa. Per un attimo mi parve di vedere un occhio arancione spiarmi dalla stretta fessura. Aggrottai la fronte, turbato, e mi avvicinai cauto. Quando feci per aprirla, mi fermai. Una flebile folata di vento gelido mi sfiorò la nuca. Mi girai di scatto, ma non vidi nessuno. Il cuore cominciò a martellarmi nel petto. Sentii Jimmy ridere felice dal piano di sotto e borbottare qualcosa tra sé.
Rimasi a fissare il corto corridoio aspettando di vedere qualcuno girare l'angolo, ma non successe. Mi girai verso la porta socchiusa.
Il cadavere bendato era a un palmo dalla mia faccia. Sussultai. Un fetido odore le uscì dalla bocca spalancata. Mi venne un coniato di vomito e il mio stomaco si contorse da dolore. Indietreggiai lentamente senza toglierle gli occhi di dosso. Quella mostruosità rimase immobile per un momento, poi strillò. Un suono acuto, demoniaco, che fece cadere dai muri i quadri paesaggistici dipinti ad olio. Si lanciò verso di me, le mani protese, i piedi sospesi dal pavimento.
Terrorizzato, inciampai all'indietro e caddi a terra. Alzai le braccia a protezione del mio volto e strillai come un bambino spaventato. Il cadavere bendato mi raggiunse e, appena cinse il mio avambraccio con il suo glaciale tocco, scomparve con un urlo infernale.
Cosa diavolo era successo? Era stato reale? O solo un'altra allucinazione?
Preso dal panico, scattai la testa in tutte le direzioni e mi alzai lentamente. Fissai per un attimo i dipinti ad olio sul pavimento, finché mi voltai e spinsi la porta socchiusa.
Era una specie di ufficio comunicante con una camera da letto. Sul pavimento, una scrivania, sedie e scaffali ribaltati. Nella camera da letto, una grande macchia di sangue e pezzi di cervello e cranio sparsi sulle pareti. Nessun cadavere, nessun'arma da fuoco.
Mi guardai intorno per un lungo momento. Lasciai la stanza e raggiunsi la balconata interna che dava sull'ingresso.
Jimmy era sparito.



 

13

Percepii una fitta allo stomaco e corsi giù dalla scala. Pensai che fosse svenuto. Guardai dietro il bancone su cui erano posate tre bottiglie di birra vuote. Non c'era.
Uscii dal locanda e mi fermai sotto il portico. Il carro era ancora lì, ma i due cavalli erano spariti.
Mi venne un colpo al cuore e mi sentii mancare le gambe. Per non cadere, cinsi una mano attorno al pilastro che sosteneva la balconata sopra la mia testa.
Cosa diavolo stava succedendo?
Corsi fino al centro della strada e mi guardai attorno, turbato. «Jimmy! Jimmy! Dove sei? Vieni fuori!»
Solo silenzio.
«Jimmy!» urlai per un po', finché sentii la gola bruciarmi per lo sforzo.
Restai fermo per un lungo momento, indeciso sul da farsi. Il sole calava lentamente dietro gli ammassi rocciosi che troneggiavano sulla città. Non potevo incamminarmi di notte. Sbarrai gli occhi, spaventato, e mi ricordai solo in quell'istante della cassa.
Scattai la testa verso il carro coperto dal telo e mi avvicinai cauto, aspettandomi che da un momento all'altro saltasse fuori quella cosa.
Sollevai il telo.
La bara era chiusa. Restai a fissarla per un momento, non sapendo se aprirla o meno. Poi adagiai il telo al suo posto e mi girai a scrutare le tetre facciate degli edifici. Non ci sarei mai entrato, non di notte, anche se dentro morivo dalla curiosità.
Ritornai nella locanda, osservai per un momento le tre bottiglie di alcool sul bancone e salii la scala.

Mi sistemai nella camera da letto in fondo al corridoio. Volevo tenere sott'occhio il carro dalla lunga balconata esterna. Chiusi la doppia porta scorrevole che delimitava l'ufficio con la camera, aprii la porta finestra che dava sul bancone e mi sedetti su una sedia a dondolo poco prima della soglia. Mi ricordai solo all'ora dei moschetti. Come avevo fatto a dimenticarmene? Se ne avessi imbracciato uno, mi sarei sentito più sicuro. Ma come li avrei usati? Non sapevo nemmeno come si caricavano.
Istintivamente guardai la macchia di sangue sul muro e mi chiesi dove fosse finita l'arma che aveva fatto saltare la cervella del povero malcapitato. Suicidio? Omicidio? Il corpo che fine aveva fatto?
Uno strano pensiero mi balenò in mente. E se il cadavere bendato fosse stato ucciso qui? No, impossibile. Sulla parete c'erano pezzi di...
Rimasi di sasso nel vedere il muro pulito. Non poteva essere. Lì c'era stato del sangue, lo avevo visto. Ne ero sicuro.
Mi alzai dalla sedia a dondolo e mi avvicinai lentamente alla parete. La fissai, confuso. Che me lo fossi immaginato?
Quando mi voltai e mi sedetti nuovamente, sussultai nel vedere un corpo seduto contro il muro, la parte superiore della testa ridotta a una poltiglia. Scattai in piedi e raggiunsi la porta finestra.
Il fascio della luna piena illuminava il cadavere con addosso un panciotto bordeaux, una camicia bianca pregna di sangue dal colletto e pantaloni marroni. Non aveva nessun'arma tra le mani. Quindi lo avevano ucciso? Perché me lo domandavo?
Rimasi sotto lo stipite per un lungo momento, senza voltare lo sguardo. Un rapido movimento impercettibile mi portò a guardare verso il carro, ma non vidi nessuno. Il telo era ancora lì.
Quando ritornai a osservare il corpo, quello era scomparso, il muro pulito. Sentii un nodo in gola. Cosa mi stava accadendo?
Senza pensarci due volte, afferrai la sedia a dondolo e la trasportai sul balcone. Era l'unico modo per riposare. Mi sedetti e cominciai a dondolarmi. Mentre tenevo sott'occhio la porta finestra, le palpebre si fecero più pesanti. Poi, senza accorgermene, mi addormentai.

Camminavo in una landa tetra, silente, immerso in una fitta nebbia. Strane sagome si muovevano tutt'attorno come spettri. Una timida luna cercava di farsi largo tra il mare di nebbia. Ma quella luce continuava a morire e sorgere ad ogni mio battito di ciglia.
Provai a gridare, ma ne uscii solo un rantolo soffocato. Poco dopo, nemmeno quello.
Cominciai a sentire una tetra melodia, un violino, un suono distante. M'incamminai verso la fonte, ma sembrava allontanarsi ad ogni mio passo. Mi fermai. Dove ero finito? Stavo sognando?
Appena feci per muovermi, mi ritrovai catapultato dentro la locanda. Le pareti di legno ammuffite, squarciate. I vetri delle finestre rotte, la porta d'ingresso divelta. I gradini della scala spaccati in più punti. L'intero ambiente avvolto da una flebile foschia.
Qualcuno uscì da una porta nel corridoio che dava sul retro. Quel corridoio non c'era prima. Forse stavo sognando. Mi schiaffeggiai la faccia. Dolore, ma rimasi ancorato sul posto. La sagoma ombrata si avvicinò. Era Annabelle. Indossava una semplice tunica grigia.
Mi fissò con fare grave. «Non avresti dovuto riportarla qui.»
Aggrottai la fronte, perplesso. «Riportarla?»
«Certi mali devono rimanere sepolti.»
«Non capisco...»
«Ora che è qui, non ti resta che fuggire!»
«Io...»
Comparve davanti ai miei occhi come una saetta. Sussultai. «Vattene! VATTENE!»

Mi destai di colpo e quasi non caddi dalla sedia. Lanciai uno sguardo assonnato verso la camera da letto. Solo silenzio, la mezza luna alta nel cielo stellato. Mancavano diverse ore all'alba.
Ripensai al sogno. Non trovavo un nesso logico. Perché dovevo fuggire? Perché avevo sognato Annabelle? Da quale male dovevo fuggire?
Istintivamente spostai gli occhi verso il carro. Era ancora lì. Forse mi stavo suggestionando. L'improvvisa scomparsa di Jimmy e dei cavalli mi aveva scosso profondamente. Dovevo calmarmi. Era solo un brutto incubo.
Mi alzai e cominciai a fare avanti e indietro lungo la balconata esterna, il legno che scricchiolava sotto i miei stivali.
Avevo visto Annabelle a Berry Town in vari punti di New Amsterdam, ma non le avevo mai chiesto nulla al riguardo. Che fosse solo un'allucinazione? Che non fosse mai esistita? Non poteva essere. Jimmy mi aveva condotta da lei, quindi era reale, esisteva. Ma allora perché mi capitava di vederla in continuazione? E perché mi era apparsa in quell'incubo?
Posai lo sguardo sul carro, diversi lembi del telo svolazzavano al vento. Lo fissai per un momento, chiedendomi se il cadavere bendato facesse parte di questo posto. Probabile, ma non volevo crederci. Il mio cliente... come... lui...
Non riuscivo a ricordare il suo nome, il suo viso. Sapevo che era di Jamestown, che era un uomo, ma adesso non ricordavo più nulla di colui che mi aveva ingaggiato.
Cominciai a sentirmi male, a sudare freddo. Un inquietante gelatura si fece strada lungo la schiena e posai una mano sulla balaustra. Fissai il carro per un lungo momento. Volsi lo sguardo verso gli edifici di fronte immersi nell'oscurità. Dov'era finito Jimmy? E i cavalli?
Mi voltai e osservai la parete interna della stanza. Nessuna macchia di sangue, nessun corpo. Tutto svanito. Forse stavo sognando, ciò che vedevo non era reale. Mi lasciai cadere sulla sedia e cominciai a dondolarmi, inquieto.



 

14

Mi destai col sole che mi picchiava sul volto. Mi alzai, assonato, ed entrai nella stanza. Appena feci per camminare, rividi di nuovo il corpo senza vita accasciato contro il muro. Sul grembo, un moschetto. Quella visione mi svegliò del tutto dal torpore in cui mi trovavo. Mi avvicinai cauto e, quando fui ai suoi piedi, l'uomo scattò la testa ridotta a brandelli verso di me, allungò un braccio.
Sobbalzai e indietreggiai, terrorizzato.
«Perché?» chiese quasi un bisbiglio, il volto una maschera di sangue, il cranio metà spappolato. «Perché mi hai ucciso?»
Ucciso? Cosa? Non avevo mai ucciso nessuno.
«Nelle tenebre, trovasti conforto. Nel silenzio, te stesso.»
Sbarrai gli occhi nel veder comparire sul suo volto l'uomo dai capelli arruffati. Ero di nuovo dentro un incubo?
L'uomo si alzò, il moschetto in una mano. «Nelle tenebre trovasti conforto. Nel silenzio, te stesso.» Si mise la canna del fucile in bocca.
«NO!»
Una parte del cranio implose. Sangue, pezzi di cervello e cranio schizzarono sulla parete. L'uomo ci si accasciò.
Mi misi le mani nei capelli. «Santo cielo...» Corsi fuori dalla camera, attraversai il corridoio e mi fermai sulla balconata interna. Le tre bottiglie di birra vuote posate sul bancone. Scesi la scala e mi precipitai fuori dalla taverna. Il sole scomparve, il cielo nero pece.
Cominciò a piovere sangue.
I lampi facce deforme e orripilanti, i tuoni grida di dolore che echeggiavano nel firmamento. Ero nel panico più totale.
Quando cercai di tornare nella taverna, qualcosa mi afferrò alle spalle e mi trascinò rapidamente all'indietro. Gridai, mi dimenai, finché sbattei la schiena contro la ruota del carro. Scattai in piedi, ma scivolai sulla fanghiglia e rovinai al suolo. Appoggiai nuovamente le spalle contro la ruota del carro, quando il telo verde si staccò dal carro. Svolazzò sopra la mia testa e si perse in lontananza, inghiottito dalle tenebre.
Il coperchio della bara cadde sui miei piedi. Alzai la testa. Dita adunche e raggrinzite scivolarono sul fianco del carro.
Mi alzai in tutta fretta, terrorizzato, ma scivolai nuovamente a terra. Mi voltai verso il carro, il cadavere bendato sospeso su di me. Mi trascinai a gomitate verso la taverna, imbrattato di fango dalla testa ai piedi.

Una volta dentro, scorsi Jimmy disteso ai piedi del lungo bancone. Un intenso bagliore illuminò l'ingresso alle mie spalle. Mi girai. Il cielo era tornato normale. Il carro e i cavalli ancora lì, fermo sulla strada, la bara coperta dal telo. Cosa diavolo era successo? Ero ancora preda dell'incubo?
Quando mi voltai, Jimmy si sedette sul pavimento, una mano posata sulla testa. Lo raggiunsi e mi chinai. «Tutto bene? Dov'eri finito?»
Jimmy mi guardò, confuso. «Che vuoi dire?» Tentò di alzarsi e rovinò di spalle al suolo. «Cazzo! Mi scoppia la testa...»
Lo aiutai ad alzarsi e lo feci sedere su una sedia. «Allora?»
Jimmy mi guardò corrucciato, gli occhi quasi socchiusi. «Allora cosa?»
«Sei sparito insieme ai cavalli. Dove sei stato?»
«L'ultima cosa che ricordo sono quelle birre... Non pensavo fossero così forti, maledizione! Mi sembra di avere dei cannoni in testa...»
Non capivo. I cavalli e Jimmy erano spariti. Come faceva a non ricordare nulla? «Non scherzare. Dimmi dove sei stato?»
«Da nessuna parte! Sono svenuto e non ricordo un cazzo! Non mi hai visto?»
«Eri sparito assieme i cavalli!»
Jimmy serrò gli occhi, turbato. «Ma che stai dicendo? Dove potevo andare conciato com'ero? E poi perché dovevo andarmene e tornare? Non ha senso. Sicuro di non aver bevuto come una spugna?»
Come potevo spiegare la sparizione? Forse era stato un'allucinazione? Non potevo e non volevo crederci. Jimmy e i cavalli erano spariti davvero. Non me lo ero immaginato.
«Per quanto sono rimasto svenuto?» chiese Jimmy.
Lo fissai. «Non lo so...»
«Quel distillato è più forte di quanto credessi. Quanto manca al mezzodì?»
«Tre ore, a grosso modo.»
«Allora dobbiamo metterci subito in viaggio, così arriveremo a Jamestown nel tardo pomeriggio.»
Appena terminò l'ultima parola, il cielo si fece scuro. Laceranti grida di dolore riverberarono nel cielo.
Jimmy sbiancò.
«Non di nuovo...» dissi fra me. Il viso di Annabelle mi balenò davanti agli occhi.
Certi mali devono rimanere sepolti! Perché le hai toccato la benda? Perché hai cercato di guardarla? Perché l'hai portata qui? Lei ti ha manipolato! Perché glielo hai permesso? Ora non ti lascerà andare! Non te lo permetterà!
Oltre le spalle di Jimmy, scorsi l'uomo dai capelli arruffati, il moschetto tra le mani.
Nelle tenebre trovasti conforto. Nel silenzio, te stesso.
Puntò il fucile.
Sparò.
«No!» urlai.
Jimmy mi crollò addosso, un foro nella schiena da cui sgorgava il sangue, gli occhi vacui.
«No, no, non è possibile...» Alzai lo sguardo. L'uomo dai capelli arruffati era svanito. Lo abbassai su Jimmy, che mi sorrideva con un ghigno sinistro. Sbarrai gli occhi e indietreggiai velocemente. Quello si alzò e scoppiò in una grassa risata malefica.
Lo fissai per un attimo, poi mi lanciai verso l'uscita.
L'orripilante risata si amplificò fino a far tremare le mura e il pavimento. Quando raggiunsi la porta, i vetri delle finestre esplosero. Mi protessi il viso dietro un braccio e uscii. I cavalli nitrirono e scalciarono. Corsi verso il carro e sollevai il telo, la bara scoperta, vuota, i moschetti spariti.
Mi venne una fitta al cuore.
Udii la risata alle mie spalle e mi voltai di scatto. Jimmy era a tre piedi da me e mi fissava con un ghigno sinistro. Qualcosa mi afferrò per una spalla e mi tirò a sé. Nel girarmi, scorsi due occhi arancioni. Il cadavere fluttuava sopra il carro, le braccia spalancata, la bocca deforme e allungata. Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quegli occhi ipnotici. Percepii la testa alleggerirsi. Ogni mio pensiero e ricordo venne risucchiato. Tutto diventò vacuo, distante.
Crollai a terra.
Udii la grassa risata alle mie spalle, le grida di dolore echeggiare nel firmamento nero pece. Mentre quella cosa fluttuava verso di me, io non riuscivo a distogliere lo sguardo, a fuggire. Posò le raggrinzite e glaciali mani sulle mie tempie e sprofondai nei suoi occhi malefici...

   
 
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