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Autore: Severa Crouch    08/11/2021    1 recensioni
C’è un tempo per ogni cosa: per le lezioni di francese, per i balli di società, per gli amori clandestini, per la speranza di sentirsi vivi.
C’è un tempo per il dolore, per l’assenza, per la lontananza.
Poi, c’è un tempo per loro, per ritrovarsi, alla fine di tutto.
Nankurunaisa è un modo di dire giapponese che significa “le cose andranno da sé”.
[Alexandra Turner-OC/Rodolphus Lestrange]
Auguri a me, per i miei dieci anni su EFP
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Rodolphus Lestrange
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Capitolo 3 – Il tempo insieme

 

 

 

Diagon Alley, 17 gennaio 1996

Alexandra rischia di macchiare la Gazzetta del Profeta con il tè della colazione quando legge dell’evasione da Azkaban. Dieci pericolosi Mangiamorte sono fuggiti dalla prigione dei maghi. Il suo cuore accelera il battito e le mani le tremano mentre cerca i nomi dei fuggitivi.

«Rodolphus Lestrange,» legge e la mano esita mentre le dita tracciano il bordo della foto dell’uomo. È la fotografia di quando è stato catturato. Sono passati quattordici anni, due mesi e due giorni dalla notte del 15 novembre 1981 che ha messo fine a tutti i progetti della sua vita, della loro vita.

È sciocco tornare con la mente indietro di quindici anni. Troppe cose sono cambiate, le sue priorità sono mutate e non può mettere a repentaglio tutto quello che ha costruito in quegli anni. Così, chiude il giornale, termina la colazione e torna al San Mungo.

«Hai visto che casino oggi?» l’accoglie Robert. Le corsie sono piene di feriti come ai tempi della guerra. I Mangiamorte sono appena evasi e già hanno messo sottosopra il mondo magico.

«Tre attacchi dai Dissennatori, presto!» urla Emily mentre tre pazienti levitano verso dei letti ancora vuoti. «Sono stati baciati?» domanda Alexandra.

«No, ma poco ci mancava!»

L’importante è che l’anima sia ancora attaccata al corpo. Possono rimediare, possono salvarli. Alexandra ferma emorragie, chiude ferite da maledizione, somministra pozioni e non ha il tempo di prendere fiato, così che si ritrova a fine turno che le sembra che il tempo sia trascorso in un battito di ciglia. Ha iniziato a nevicare e Londra si sta tingendo di bianco mentre esce dal San Mungo avvolta in un lungo cappotto grigio.

Sussulta, un brivido le attraversa il corpo quando, nel vicolo che la porta verso Diagon Alley, scorge la sagoma di Rodolphus. Torna indietro di quindici anni in un colpo solo, il suo stomaco si stringe e lei prova solo terrore.

È spaventata, ma non può fare a meno di andare verso di lui, di accertarsi che sia lui, che stia bene. Trema quando vede l’uomo che si trova di fronte.

«Che cosa ti hanno fatto?» domanda stupita. Le loro mani si cercano prima che possano realizzare quanto tempo è trascorso. Nel momento in cui si sfiorano, notano i cambiamenti: le mani di Rodolphus sono nodose, quelle di Alexandra hanno una serie di calli e da vicino sono entrambi invecchiati. Se Alexandra è cresciuta nei suoi quasi trentatré anni, Rodolphus ne compirà presto quaranta sei e non è più il trentenne fascinoso che l’ha sedotta né lei è l’adolescente che sta sbocciando. Sono come due piante cresciute in vasi troppo lontani.

Alexandra ha imparato sulla sua pelle quanto la distanza faccia male, quanto la lettura di un giornale possa farti perdere i sensi e farti risvegliare al San Mungo. Far preoccupare suo fratello e i genitori perché non si è presentata a lavoro e l’hanno trovata a casa, riversa sul pavimento, con un rivolo di sangue sulla tempia. Era solo un taglietto, le avrebbero detto, e al suo risveglio non ne avrebbe trovato alcuna traccia, ma lo spavento era stato immenso.

Eppure.

Eppure, Rodolphus esita, le chiede scusa per aver fatto irruzione, ancora una volta, nella sua vita.

«Andiamo via di qui,» lo implora. Lui le porge il braccio e finiscono, nuovamente, nel cottage in Scozia, quello che è stato testimone del loro amore clandestino.

«Volevo solo rivederti,» le confessa. «Ma non ho nessun diritto. Sei andata avanti, hai la tua vita. Sei sposata.»

«Ho la mia vita,» annuisce Alexandra, «ho dovuto andare avanti,» continua, «ma non sono sposata.» Le parole le escono con fatica e sa che non può dire altro, che deve proteggere Rodolphus e tutto il resto della sua vita. Forse, un giorno gli potrà spiegare cosa è accaduto in quei quattordici anni, ma non pochi giorni dopo l’evasione da Azkaban. È un giuramento che ha fatto a se stessa e al quale non intende sottrarsi.

Si accorge che le loro dita sono intrecciate, che è sufficiente che Rodolphus l’attiri a sé perché un vecchio meccanismo si rimetta in moto, e il bisogno di quel contatto tra i loro corpi si affacci prepotente come un tempo. È come aprire un libro infestato da una presenza malefica, in cui basta sfiorare una pagina perché il mostro rinchiuso ti prenda e ti trascini al suo interno. Risponde ai baci di Rodolphus, famelica quanto lui, si stringe alle spalle di lui, torna a far scorrere le dita tra i suoi capelli scuri e trema nel sentire la sua lingua nell’incavo del collo. I vestiti scivolano ai loro piedi, le mani si cercano e lui trema quando scopre la catenina che porta al collo con l’anello che lui le ha donato.

«Lo porti ancora,» esclama sorpreso.

«È stato il solo modo per sentirti vicino.»

Rodolphus sorride incredulo, la bacia con più passione e unire i loro corpi diventa un’impellenza vitale.

 

 

 

Azkaban, 1996

Non riesce a credere che la sua libertà sia durata appena sei mesi né che Alexandra non l’abbia dimenticato e che fosse lì pronta ad accoglierlo. Rodolphus trema sotto l’effetto dei Dissennatori che si nutrono della felicità che è riuscito a raccogliere in quei pochi mesi.

Lucius piange nella cella accanto alla sua, Rabastan è arrabbiato e Rodolphus rassegnato. La sua mente continua a suggerirgli immagini di Bellatrix che si prostra all’Oscuro Signore, che fa sfoggio della sua maestria. Lui l’ha salvata, ha sfidato Silente per salvare Bellatrix, è quello che ha sentito dire a delle guardie di Azkaban e mai avrebbe creduto che il suo Signore arrivasse a tanto.

Bellatrix avrà gioito nell’essere stata la prediletta, colei per la quale il suo Signore ha messo a repentaglio la propria vita arrivando a sfidare Albus Silente. Se non è amore, Rodolphus non sa come definirlo, di certo non è amicizia, o qualche forma di attaccamento. Se fosse solo lussuria, l’avrebbe sostituita con un’altra più giovane, più bella, più forte. Lord Voldemort ha mostrato un attaccamento a Bellatrix che ha sorpreso persino lui, come se tutti i freni inibitori del passato e gli scrupoli nei suoi confronti fossero venuti meno.

Non c’è stato nemmeno il tempo di riprendere il discorso del divorzio che è nuovamente finito ad Azkaban, e forse l’Oscuro Signore ha capito come sbarazzarsi di un marito di troppo. Rodolphus trema, è disposto a lasciare Bellatrix al suo Signore, farsi da parte in cambio della libertà e della possibilità di tornare dalla donna che ama.

 

 

 

Diagon Alley, 1997

È appena trascorso un anno dall’arresto di Rodolphus che Alexandra legge di una nuova evasione da Azkaban. La guerra sta diventando sempre più cruenta e le giornate le trascorre al San Mungo. Quando rivede Rodolphus è reduce da tre giorni tra le corsie dell’Ospedale per Malattie e Ferite Magiche. Ha riposato su brandine negli stanzini per i Guaritori, è andata avanti grazie alle pozioni finché Robert non l’ha spedita a casa perché a tutto c’è un limite, anche al numero di pozioni Corroboranti che puoi prendere di fila senza che il tuo corpo inizi ad impazzire.

Crede che sia un’allucinazione la sagoma di Rodolphus e quasi sviene tra le sue braccia quando lui prova a stringerla a sé. Si risveglia in Scozia, su un letto che odora di lui. Scatta spaventata e si domanda quanto abbia dormito.

«Quanto era necessario perché recuperassi le forze,» le risponde posandole dei baci sulla fronte. Alexandra si stringe a lui, inspira il suo profumo e cerca rifugio tra le braccia forti di lui. Il resto del mondo e la guerra possono aspettare.

È come tornare adolescente tra quelle pareti di legno. Si sente fuori dal tempo, in una dimensione che appartiene solo a loro due, proprio come nei sogni che era solita fare o quando si sentivano attraverso gli specchi gemelli. Pare che quello di Rodolphus sia rimasto in un deposito del Ministero della Magia, tra gli oggetti confiscati agli arrestati. Bartemius Crouch avrebbe provato a scoprire chi avesse il gemello, ma gli incantesimi di protezione di Rodolphus l’hanno protetta da ogni interferenza.

È strano pensare che i loro incontri siano sempre stati caratterizzati dal bisogno di finire sotto le coperte insieme, anche a distanza di quattordici anni, Alexandra si stringe al corpo di Rodolphus, ricerca le sue labbra, si perde in quello sguardo che la contempla come se fosse la persona più preziosa al mondo. Sono entrambi perfettamente consapevoli di quanto tutta quella situazione sia sbagliata, di quanto soffriranno al momento della separazione. Ciononostante, non possono fare a meno di placare per qualche istante il peso dell’assenza. Se quattordici anni di separazione non sono stati sufficienti a impedirle di cercare rifugio tra quelle braccia, Alexandra ha rinunciato a ogni tentativo di fuga, a ogni menzogna che ha raccontato a se stessa perché le farfalle nello stomaco ci sono proprio come l’ultima volta, i loro occhi sono gli stessi e le bocche si cercano con la stessa passione.

«Una volta ti ho sognata e mi sono svegliato con il sorriso, ad Azkaban, è incredibile,» le confessa tra un bacio e un altro.

«Ti ho sognato moltissime volte, spesso da sveglia.»

«Abiti ancora a Diagon Alley?»

Alexandra scuote la testa. «No, non è poi molto distante da qui, la mia casa. Non è stato facile dopo il tuo arresto» Si morde le labbra, cerca le parole adatte. «Avevo bisogno di stare da sola, lontana da tutti.»

«Sei venuta in Scozia?»

«Sulla costa occidentale delle Highlands, dove il Loch Ewe sbocca sul mare.»

Rodolphus aggrotta la fronte pensoso: «È veramente lontano lì, cosa ne è stato dei tuoi sogni di diventare una lady?»

«Ehi, sono una gentildonna di campagna!» protesta scherzosamente. «Un giorno ti racconterò tutto, Rod, ora non è proprio possibile.» Si stringe a lui che ricambia l’abbraccio e le posa un bacio sulla punta del naso. «C’è un altro uomo?» L’esitazione di Alexandra offusca lo sguardo di Rodolphus che sospira deluso.

«Era inevitabile che finisse così. Lo ami?»

«Rod, ti prego, non puoi presentarti dopo sedici anni e una condanna a vita ad Azkaban e chiedermi queste cose. Ti spiegherò tutto, ma ora non è proprio possibile.»

«Devo sapere che non è cambiato niente per te. È un Auror?»

Alexandra sospira: «No, non ho un compagno. Non è cambiato nulla nel mio cuore, ma sono cambiate le priorità e ti chiedo solo di fidarti di me e non farmi altre domande e non provare a usare la Legilimanzia. Ti prego.»

Rodolphus annuisce, la stringe a sé e sospira mentre il dito percorre la circonferenza dell’anello che le ha regalato e che ha sempre portato con sé.

 

 

 

Diagon Alley, 1997

La fiducia è difficile da costruire, complicata da mantenere, spesso impossibile da riparare. Rodolphus cade sconfitto quando Bellatrix annuncia di aspettare un figlio da Lord Voldemort.

«Avevi detto che non volevi diventare madre,» le rinfaccia come il peggiore dei tradimenti.

«Ho anche detto che la sua volontà viene prima di tutto, anche della mia. La mia devozione è indiscutibile. I Lestrange saranno ricompensati.»

Rodolphus trema, si allontana dalla moglie e sente il peso del tempo che si abbatte su di lui. Quale ricompensa potrà ripagarlo di quattordici anni ad Azkaban? Dell’amore che gli è stato portato via? Dalla perdita di ogni possibile felicità?

Si sente vecchio nei suoi quarantasette anni, e se Rabastan gli dice che è ancora giovane, che potrà essere padre se lo vorrà, che basta un figlio illegittimo, Rodolphus sa che non è un figlio illegittimo che vuole. Non vuole trasformare la paternità nell’ennesimo compito da assolvere, non vuole versare il seme e raccogliere il frutto. Vuole un ventre da accarezzare, un bambino da prendere in braccio e mostrare orgoglioso al mondo, vuole vedere un paio di occhi simili ai suoi e indovinare i lineamenti nel volto di un altro.

Vuole vedere un figlio crescere, sorreggerlo e tramandargli valori, passioni, insegnamenti. Se chiude gli occhi gli sembra di percepire il dolore di Alexandra quando lui le ha chiesto come mai non si fosse sposata, e forse nemmeno lei voleva adempiere a un compito. L’attende fuori dal San Mungo poco prima della fine del suo turno. Non teme gli Auror ora che il Ministero è caduto nelle mani dei Mangiamorte.

La vede uscire avvolta nel suo cappotto grigio, le gambe sottili resistono al freddo e le labbra di lei si incurvano in un sorriso non appena lo scorge. Rodolphus ricambia il sorriso, le prende il braccio e la porta con sé nel loro rifugio.

«Bellatrix aspetta un figlio,» le annuncia con area funerea. Alexandra trema, come lui aveva tremato, e siede sul bordo del letto senza sapere cosa dire. In quel silenzio, Rodolphus comprende di essere stato frainteso e quasi sorride al pensiero che Alexandra è l’unica a credere che quel figlio possa essere il suo.

«Non sono io il padre,» si affretta a confessarle. «È del Signore Oscuro.»

«Oh,» si lascia sfuggire, incerta sulla reazione. Rodolphus è disarmato da tanta genuinità e l’abbraccia, la stringe a sé e la riempie di baci. «Lo sai che il mio matrimonio non esiste dal 1977, da quando ho iniziato a darti lezioni di francese.»

«So anche che desideri molto un figlio.»

«Da te, Alex. Io desidero un figlio con la donna che amo. Voglio vederlo crescere insieme a te.»

Si scambiano altri baci prima di finire tra le lenzuola e incastrarsi l’uno nell’altro.

 

 

 

Hogwarts, 2 maggio 1998

La notizia che Potter sia a Hogwarts, e che in quella scuola si stia combattendo una battaglia all’ultimo sangue sconvolge Alexandra. Si scambia uno sguardo con Robert ed esclamano: «Andiamo!»

Fanno incetta di pozioni, bende e quanto possa servir loro per assistere i feriti e si Materializzano a Hogsmeade, dove Radio Potter ha invitato tutti ad accorrere per dare sostegno agli studenti attaccati dai Mangiamorte.

Alexandra corre, le manca il fiato e la paura le divora il cuore mentre si fa largo tra le macerie. Cerca di soccorrere ogni ferito, ricompone ogni cadavere che incontra sul suo cammino e non importa se è uno studente o un Mangiamorte o un altro mago, la paura aumenta sempre di più.

Quando l’Oscuro Signore dà un’ora di tregua perché Potter si consegni, lei è nella Sala Grande a medicare gli studenti, mentre Robert ed Emily ricompongono i morti. Non ha idea di dove sia Edward, il cuore le fa male dalla preoccupazione e teme di non riuscire più a ritrovarlo. Una parte di lei si domanda se riuscirà a vedere Rodolphus e, Salazar, avrebbe voluto avere più tempo, e spiegargli le cose, e parlargli di Edward.

Negli ultimi mesi, tuttavia, Rodolphus è stato così cupo e lei ha temuto che potesse sentirsi tradito anche da lei. È stato più semplice cedere al bisogno di stare insieme per quei pochi minuti che affrontare una verità che era enorme e non sapeva come avrebbe gestito.

La battaglia riprende, studenti e Mangiamorte corrono dentro la scuola per ripararsi dall’arrivo dei Giganti e delle Acromantule. È mentre attraversa di corsa un corridoio che vede Edward, lo chiama, lui si gira verso di lei e il boato di un’esplosione copre la risposta che lui le rivolge.

 

 

 

Hogwarts, 2 maggio 1998

Rodolphus combatte con gli altri Mangiamorte, duella con gli Auror e sconfigge alcuni membri dell’Ordine della Fenice. Non riesce ad alzare la bacchetta contro i ragazzi, si limita a parare i colpi, alcuni li Schianta perché da svenuti corrono meno rischi che da svegli.

Potter sta duellando con l’Oscuro Signore, mentre con la coda dell’occhio vede Bellatrix intenta a duellare con un’altra strega, gli sembra Molly Weasley. Ha lasciato la figlia ad Euphemia Rowle ed è corsa a combattere per il suo Signore, mai lo avrebbe lasciato da solo.

Rodolphus vede il lampo di una maledizione giungere verso di lui, si volta per difendersi, riesce a deviare il colpo quando l’urlo dell’Oscuro Signore attira le attenzioni di tutti i presenti. Bellatrix è caduta al suolo priva di vita e Lord Voldemort si sta sfogando contro Harry Potter.

I presenti sembrano sospesi nell’attesa che quel duello decida la sorte della guerra. Intorno a lui, ci sono altri duelli, Greyback dà la caccia ai ragazzini. Si sorprende nel vedere Alexandra intenta a correre in un corridoio. La segue, deve proteggerla, se Bellatrix è morta, lui è libero e non vuole vedere morire anche la donna che ama. Corre, vuole prendere Alexandra e fuggire via. Al diavolo la Causa, al diavolo i Purosangue e i Nati Babbani. Torneranno in Costa Azzurra e vivranno al mare, nascondendosi da maghi e Babbani, vivranno del loro amore. Possono stare anche in Scozia, lontano da tutto e da tutti, via da quel mondo che li ha solo feriti. Prima di tutto, deve raggiungerla.

Un boato davanti ai suoi occhi lo costringe a rallentare e vede Alexandra cadere al suolo insieme a una parte. Un urlo subito dopo: «Mamma!»

Quando Rodolphus raggiunge Alexandra, la trova tra le braccia di un ragazzo dai lunghi capelli neri e gli occhi scuri e familiari da ricordargli i suoi quando aveva appena sedici anni.

«Come ti chiami?»

«Edward.» Il ragazzo lo guarda attentamente e Rodolphus ha la sensazione che si stiano studiando reciprocamente. «Edward come?» insiste.

«Edward Turner,» lo vede riportare lo sguardo sul volto di Alexandra e pregarla: «Mamma, ti prego, svegliati.»

Rodolphus si inginocchia accanto ad Alexandra e i due si guardano nuovamente per qualche istante in silenzio. Il ragazzo apre la bocca e non riesce a dire niente. Intorno a loro, i rumori della guerra sono cessati. Rodolphus vede solo che Potter è in piedi, Lord Voldemort è caduto, la guerra è persa. Una mano si posa sulla spalla di Rodolphus e quando solleva lo sguardo Kingsley Shaklebolt gli comunica: «Lestrange, la dichiaro in arresto. Non opponga resistenza.»

«Non farò resistenza, vi chiedo solo un istante,» afferma sconfitto. Si china su Alexandra, punta la bacchetta contro il suo cuore e sussurra «Reinnerva!»

Rodolphus si rivolge al ragazzo: «Dille che l’ho sempre amata.»

Lo portano via mentre lei sta riprendendo conoscenza tra le braccia del figlio. Non riesce a smettere di sorridere mentre pensa a tutte le parole di Alexandra che acquistano un senso ai suoi occhi: le priorità cambiate, la presenza di un’altra persona nella sua vita, la reazione della società. Ancora una volta, è dispiaciuto di non aver avuto tempo.

 

 

 

San Mungo, 3 maggio 1998

Quando riprende conoscenza, Alexandra è in una corsia del San Mungo.

Riconosce l’odore di disinfettante delle pareti e il cotone rigido delle lenzuola. Apre gli occhi e incontra l’espressione preoccupata di Edward, così allunga la mano verso di lui e sussurra: «Ed, mi dispiace.»

Il volto del figlio si distende e affiora un sorriso sulle sue labbra del figlio. «Mamma!» Si china ad abbracciarla. «Ho avuto paura di perderti.»

«La mamma non ti abbandona,» sussurra. Suo figlio è la cosa più preziosa che ha. Sorride, nonostante il dolore e stringe la mano del suo ragazzo. Lo sente deglutire e stringerle la mano nervosamente. Lei sposta gli occhi su di lui e gli dice solo: «Mi dispiace, Ed.»

«Mamma,» esordisce, «quell’uomo, quel Mangiamorte… Lestrange, è mio padre, vero?»

Alexandra porta la mano al collo, sente l’anello che Rodolphus le aveva regalato e annuisce sentendo il peso dei suoi sensi di colpa. Avrebbe voluto avere più tempo e fare le cose per bene. Edward continua: «Mi avevi detto che era morto in guerra che non sapevi chi fosse!» Alexandra sospira, si sente debole, e stanca, ma non arriverà mai il momento giusto per quella conversazione.

«Ho scoperto di aspettarti dopo la sua condanna a vita ad Azkaban. Non volevo che crescessi come il figlio di un Mangiamorte, avevo paura che qualcuno potesse farti del male per vendicarsi di Rodolphus, che Bellatrix potesse volerti morto.» Le parole le escono a fatica. Allunga una mano per avere un po’ d’acqua e prendere fiato.

«Mi avevano detto di rinunciare a te e così avrei potuto sposarmi ed essere una donna rispettabile, ma eri tutto ciò che mi rimaneva di lui e ti ho voluta con tutta me stessa. Ho preferito rinunciare alla mia rispettabilità, a un matrimonio combinato, alla vita nell’alta società. Ti ho dato il nome del nonno, il cognome dei Turner ti avrebbe protetto. Nessuno sa chi sia tuo padre, nemmeno Rodolphus.»

Edward sorride amaramente: «L’ha capito, mamma. Quando sei svenuta lui mi ha sentito chiamarti e ci somigliamo troppo perché non l’abbia capito. Mi ha detto di dirti che ti ha sempre amata.»

«Dov’è Rodolphus?» domanda stanca.

«Lo hanno arrestato.»

Alexandra chiude gli occhi e sospira di dolore. Le lacrime premono per uscire ed Edward si china su di lei: «Non piangere, mamma, ci sono io,» le sussurra. Stringe le dita del figlio, gli posa un bacio sulla fronte e non riesce a dire altro che: «Mi dispiace, Ed, volevo che lo conoscessi, credevo che avremmo avuto tempo questa volta…»

«Forse riusciremo ad andarlo a trovare ad Azkaban,» le suggerisce.

«Mi spiace interrompervi,» Robert annuncia così la sua presenza ed entra impacciato. Sospira e sorride nervoso.

«Brutte notizie?» domanda Alexandra.

«Dipende dai punti di vista, ma mamma e papà non ci sono più, quindi eviteremo un altro scandalo.»

Alexandra ed Edward sollevano le sopracciglia sorpresi e Robert annuncia: «A quanto pare diventerai di nuovo mamma.»

 

 

 

Azkaban, giugno 1998

Caro Rodolphus,

la fine della guerra ha portato un po’ di clemenza e mi è concesso di scriverti. Bellatrix è morta e io sono piuttosto abituata a passare per una povera sventurata agli occhi degli altri.

Edward mi ha riferito del vostro incontro. Mi dispiace enormemente avertene nascosto l’esistenza, ma la sua sicurezza veniva prima di tutto. Quando mi ha scritto di quanto fosse cambiato Draco Malfoy, mi sono promessa che, finché le cose non si fossero tranquillizzate, tu non avresti saputo nulla. Non potevo permettere che diventasse un’arma di ricatto nei tuoi confronti o che Bellatrix lo considerasse un oltraggio troppo grande da essere tollerato. Come ti avevo detto, le mie priorità sono cambiate negli anni e Edward è stato ciò che mi ha tenuta in vita e mi ha fatto sopravvivere al dolore del tuo arresto. Vedendolo avrai capito che è il tuo ritratto, e intuito il motivo per cui ho preferito lasciare la vita cittadina e ritirarmi in campagna nell’estremo nord.

Quando ho letto la notizia del tuo arresto sulla Gazzetta del Profeta sono stata molto male, mi hanno dovuta ricoverare al San Mungo dove hanno scoperto la gravidanza. Portare in grembo il nostro bambino mi ha dato la forza di reagire e oppormi a chi mi invitava a rinunciare al figlio per poter costruire una famiglia degna. Ho dato il mio cognome a Edward e l’ho chiamato come mio papà per proteggerlo da quel mondo.

Ti ho sempre amato e continuo ad amarti. Spero che mi perdonerai e che acconsentirai a una nostra visita. Edward desidera conoscere suo papà.

A.T.

Rodolphus legge la lettera e le mani gli tremano dall’emozione. Una fitta lancinante al petto sembra spezzargli l’anima mentre riflette su quanto sia ingiusta la sua condizione, sul prezzo che la sua fedeltà ha chiesto in cambio. Rodolphus sospira, amareggiato al pensiero di cosa si è perso mentre credeva che la sua vita non valesse più niente. Ha trascorso anni a invocare la morte ignaro di aver generato la vita. Le reazioni di Alexandra alla gravidanza di Bellatrix acquistano tutto un altro significato, così come i silenzi che sembravano incomprensioni.

Deve attendere dei mesi prima di ottenere il permesso di ricevere una visita. Azkaban senza Dissennatori gli lascia il tempo di riflettere sulla propria condizione e di rivivere i pochi istanti di gioia che la sua vita gli ha offerto. Quando la porta della cella per le visite si apre, Rodolphus si sorprende nel trovare Alexandra con il ventre gonfio per un altro figlio in arrivo.

«A quanto pare, i nostri incontri lasciano il segno,» gli rivela emozionata. Rodolphus l’abbraccia e le posa la mano tremante sul ventre, mai avrebbe creduto di poter vivere quelle sensazioni. Sarà padre, di nuovo. La sorte gli ha appena offerto un’altra possibilità. Alza lo sguardo verso Edward e riesce solo a dire: «Grazie per essere venuti.»

Edward lo osserva e sembra arrabbiato mentre prende posto sulla sedia di legno di quella stanza spoglia per le visite. «Come hai potuto lasciarci?» domanda incredulo, è diretto in un modo che gli ricorda le sue intemperanze giovanili. Rodolphus sospira sconfitto: «Non volevo farlo, credevo che sarei tornato dopo qualche ora.»

«Lo sai quanto è stato difficile per la mamma e per me? Credevo che fossi morto. Cosa dirò ai miei amici? Che mio padre è vivo ed è un Mangiamorte rinchiuso ad Azkaban? Era meglio che fossi morto sul serio, hai rovinato tutto!»

«Edward!»

Alexandra interviene per rimproverare il figlio, ma Rodolphus ha i pugni chiusi sulle ginocchia e annuisce, la voce gli trema mentre ammette: «Ha ragione.» Alza lo sguardo su quel ragazzo, così simile a lui e su Alexandra, verso la quale continua a provare un enorme senso di colpa.

«Io ho rovinato tutto. È da quando hai quattordici anni che non faccio altro che rovinarti la vita, Alex. Non posso amare, posso solo fare del male. Mi dispiace. Scusatemi entrambi.» Le parole danno voce al dolore in cui sta annegando in anni di disperazione e solitudine.

«No,» è la risposta di lei. Tra le mura di quella prigione, la presenza di Alexandra è quanto di più stonato possa esserci, pensa Rodolphus. Lei sospira e posa le dita sottili sulla sua mano rinsecchita dalla prigionia. È come un fiore che si posa su un terreno arido. «Non sei stato tu a rovinarmi la vita, abbiamo fatto tutto insieme. Ti ho sempre amato e in questi anni il tuo amore è sopravvissuto a ogni mio tentativo di andare avanti. Io non ti ho aspettato, Rod, non avevo idea che avrei potuto aspettarti. Ho cercato di dare un padre a Edward, ma ho fallito ed Edward dovrebbe essere arrabbiato con me che gli ho mentito per tutti questi anni, non con te a cui ho nascosto tutto. È solo colpa mia.»

«Mamma, tu avevi la mia età, come potevi?» domanda Edward.

«Potevo. Ho avuto le occasioni, ma le ho rifiutate perché nessuno era in grado di farmi sentire nemmeno la metà di come mi sentivo con Rodolphus. Non volevo che avessi una famiglia infelice, Ed.»

Quelle parole sono un conforto e una condanna per Rodolphus che non può fare a meno di domandarsi cosa sarà del figlio in arrivo.

 

 

 

Ministero della Magia, agosto 2000

Alexandra non ci sta a non fare nemmeno un tentativo per riavere Rodolphus, così, quando Edward torna a Hogwarts per ripetere l’ultimo anno e prendere i M.A.G.O., lei si butta a capofitto nello studio, dedicando ai volumi di leggi, decreti e precedenti decisioni del Wizengamot, ogni minuto libero che le residua dal San Mungo.

Suo fratello e sua cognata sostengono che non debba stancarsi nelle sue condizioni, che una gravidanza alla sua età richiede attenzioni, ma lei sta facendo tutto quanto anche per quel bambino, affinché non cresca senza padre. La fine della gravidanza e la nascita di Roland la obbligano a interrompere gli studi e rallentare il ritmo e trascorre un altro anno prima che possa tornare ad Azkaban da Rodolphus.

Sono trascorse due estati dalla fine della guerra, Edward ha iniziato a lavorare al San Mungo ed è andato a vivere con i suoi compagni di accademia, hanno affittato un appartamento a Diagon Alley e la domenica si presenta a pranzo da lei che vive nel suo cottage con il piccolo Roland.

È durante un riposino pomeridiano di Roland, in una pigra domenica di agosto che Alexandra trova un precedente che forse può aiutarla. Scrive un’istanza indirizzata al Ministro della Magia in persona e nemmeno ci crede quando i primi di settembre riceve un avviso di convocazione al Ministero della Magia per la discussione della sua istanza.

Alexandra si reca emozionata, con un nodo allo stomaco e un peso sul cuore. Non ha mai avuto la possibilità di chiedere a qualcuno l’opportunità di stare con Rodolphus, si è sempre accontentata del tempo che la sorte aveva loro concesso, ma sa che, ogni tanto, la sorte va aiutata e nella peggiore delle ipotesi avrebbero rigettato la sua domanda. Trova il Ministro Kingsley Shacklebolt ed Hermione Granger ad analizzare la sua posizione insieme ad Harry Potter.

«Abbiamo letto la sua istanza, signorina Turner,» le dice il Ministro, «è lodevole la menzione del precedente del 1795. Lei sta chiedendo di assumere la custodia di uno dei più pericolosi Mangiamorte, dei fedelissimi di Lord Voldemort. Perché non dovremmo sbattere anche lei ad Azkaban per favoreggiamento?» Non si è mai sentita tanto sotto esame come sotto gli sguardi del suo collegio di giudici.

«Perché non sono una Mangiamorte,» si difende, «e mi rendo conto che sia difficile da capire o immaginare, ma io e Rodolphus ci amavamo prima della caduta di Lord Voldemort e ho cresciuto un figlio senza padre, vorrei che il secondo potesse crescere con suo papà.»

«Rodolphus Lestrange ha dei figli?» domanda Harry Potter. Alexandra annuisce, racconta la loro storia d’amore, la paura per la vendetta di Bellatrix, il rischio che la notizia di un figlio potesse essere un’arma di ricatto contro Rodolphus, la sua scelta di dare al ragazzo il suo cognome e l’arrivo del secondo che ha quasi due anni.

Hermione annuisce: «Ho capito chi è, Harry, ma non avrei mai detto che Edward Turner fosse il figlio di un Mangiamorte.»

«L’ha scoperto solo durante la battaglia di Hogwarts quando sono rimasta ferita. Ero insieme a dei volontari del San Mungo per medicare i feriti e accertarmi che Edward fosse sano e salvo.»

«Mi ricordo del suo contributo,» dice Kingsley che rivolge uno sguardo a Hermione e Harry. «Ci ritiriamo in camera di consiglio e tra una mezzora le daremo il verdetto sulla sua istanza.»

«Grazie, Ministro.» Alexandra china il capo, esce dall’ufficio con l’animo pieno di speranza, sebbene una parte di sé le suggerisca cautela. Il tempo trascorre lento, la mezzora passa senza che del Ministro e dei suoi consiglieri si abbia notizia, deve attendere altro tempo e dopo un’ora di attesa viene richiamata in quell’ufficio dalle pareti piene di infografiche ministeriali.

«Perdoni l’attesa, ma il suo caso è molto complesso,» esordisce il Ministro della Magia. «Non è stato semplice prendere una decisione.» Alexandra si prepara al rigetto dell’istanza. Andrà da sua cognata Emily a dirle che aveva ragione e che anche Roland crescerà senza papà.

«Il precedente del 1795 afferma che è possibile chiedere di assumere la custodia di un condannato per crimini gravi,» spiega Hermione. «Lei ha tutti i requisiti previsti per presentare l’istanza, ma il Wizengamot può rifiutarla per gravi motivi o se il detenuto è socialmente pericoloso.» Fa una pausa e Alexandra sa cosa sta per dire. La Granger porta dietro le spalle un ciuffo di capelli che le sono scivolati davanti al viso, solleva lo sguardo dal fascicolo e dal blocco con gli appunti del procedimento e continua: «Ora, Rodolphus Lestrange è stato condannato nel 1981 per crimini gravissimi, è evaso da Azkaban due volte, era uno dei Mangiamorte più fidati di Lord Voldemort, la pericolosità sociale è evidente.»

«Tuttavia,» interviene Harry Potter, «abbiamo riaperto i fascicoli dei processi e lui non ha mai provato a difendersi dalle accuse che gli sono state mosse, non ha nemmeno rivendicato le proprie azioni, al contrario di Bellatrix. La storia che ci ha raccontato getta una luce diversa sulla vicenda di Lestrange e tutti noi abbiamo avuto modo di…» Harry pesa le parole prima di pronunciarle, si scambia uno sguardo con Hermione prima di proseguire, «conoscere Bellatrix Lestrange per sapere quanto fosse delicata la posizione del marito.» La mano di Hermione corre a stringere il braccio sinistro e Alexandra sa cosa è scritto su quel braccio, ha fatto parte dell’equipe di Guaritori che hanno tentato di cancellare quella scritta e spezzare la maledizione, senza successo.

«C’è anche il fatto che si è lasciato arrestare dopo la battaglia di Hogwarts senza opporre resistenza mentre era al suo capezzale, signorina Turner, dimostrando la fondatezza della sua ricostruzione.» Harry Potter prosegue sorridente. Alexandra è confusa non sa cosa sperare. Hanno dissezionato la sua vita e l’hanno incasellata in principi giuridici che le sfuggono e non sa decifrare bene. Vorrebbe domandare: «quindi?» ma attende che continuino con le loro motivazioni.

«L’abbiamo fatta attendere perché abbiamo analizzato anche la storia penitenziaria di Rodolphus Lestrange. Abbiamo appreso dei tentativi di togliersi la vita prima del ritorno di Voldemort,» spiega Hermione. Alexandra rabbrividisce al pensiero del dolore di Rodolphus, le sembra di rivederlo in quel vicolo davanti il San Mungo, simile a un fantasma, quando è evaso due anni prima. Si morde l’angolo della bocca per impedirsi di piangere, per mantenere una specie di controllo.

«Adesso passa il tempo in cella a scrivere, in attesa che arrivi il turno delle visite familiari. Le guardie di Azkaban concordano nel dire che non è un prigioniero pericoloso e noi siamo convinti nella possibilità del recupero sociale.» Hermione la osserva dritta negli occhi mentre parla, annuisce mentre lei realizza che le stanno dicendo che intendono accogliere la loro istanza.

«Non vogliamo che altri figli crescano senza genitori,» le dice Harry e in quelle parole c’è tutta la tragedia della sua vita. Gli occhi di Alexandra si riempiono di lacrime: «Grazie,» sussurra.

«Aspetti, non è finita qui,» la trattiene Kingsley. «Naturalmente, rimane il fatto che Rodolphus Lestrange è un mago potente e un pericoloso Mangiamorte e non possiamo permetterci che si sappia che è tornato in libertà né che è in custodia e prenda contatto con gli altri latitanti.»

«Ministro, vivo in un cottage nelle Highlands, non frequento molto la società magica, specie da quando mi hanno ripudiata per aver avuto un figlio senza essere sposata. Sarebbe scoppiato uno scandalo senza pari se avessero saputo che il padre era un mago sposato.»

Kingsley annuisce: «Cionondimeno non possiamo non prendere delle precauzioni. Rodolphus dovrà firmare questo accordo con il Ministero, un contratto magico vincolante, come condizione per uscire da Azkaban ed essere affidato alla sua custodia. Non potrà avere una bacchetta e su di lui ci sarà una traccia speciale per cui non potrà usare la magia salvo i casi di estrema necessità.»

Alexandra annuisce mentre ascolta quelle condizioni.

«Signor Rosier,» Hermione Granger chiama un uomo alle spalle di Alexandra. Si volta e vede un mago dagli occhi azzurri e lunghi capelli bianchi legati in una treccia. Indossa un completo di sartoria dal taglio babbano. «Lei è il difensore di Lestrange, giusto?» Il mago annuisce mentre raggiunge il tavolo con i tre giudici e siede accanto a lei. «Ha sentito tutta la deposizione della signorina Turner, queste sono le condizioni del Ministero della Magia, può sottoporle al suo assistito?»

«Certamente.»

 

 

 

Loch Ewe, ottobre 2000

Rodolphus non ha pensato due volte a firmare quel contratto magico con il Ministero della Magia. Non che si sia pentito delle sue scelte, non gli importa più molto di essere fedele a qualcuno che gli ha distrutto la vita. Le sue priorità sono cambiate e non intende sprecare quell’opportunità per una questione di principi.

Trova ironico che dopo una vita a lottare per i diritti dei Purosangue, sia costretto a vivere come un Babbano o un Magonò, senza bacchetta e senza poter utilizzare la magia. Detesta il nuovo ministro, detesta la Granger, odia Potter e quella perversa clemenza che lo costringe a chinare il capo, sentirsi in debito con lui e non poter fare nulla per liberarsi di quel peso sullo stomaco che lo fa sentire – ancora una volta – schiavo verso qualcuno. È passato da Voldemort a Potter, non sarà mai libero.

Felix Rosier gli ha detto più volte che la custodia concessa non è libertà e che ogni anno dovrà sottoporsi a un colloquio con il Ministro, la Granger e Potter, per verificare l’andamento del programma di reinserimento sociale. Dopo cinque anni di giudizi positivi, forse, gli restituiranno la bacchetta.

Freme d’odio mentre è sulla barca che lo riporta verso la riva. Le guardie di Azkaban parlottano tra loro mentre la sua mente fa un paio di calcoli sulle possibilità di evadere, di nuovo, e tornare in libertà. Alexandra pagherebbe le conseguenze della sua evasione, si dice. La intravede sulla riva, stretta in un mantello di lana spessa. In braccio al lei c’è Roland e solo la vista del bambino fa svanire il rancore che prova. Rodolphus rischia di inciampare quando sta scendendo dalla barca perché non vuole distogliere lo sguardo da loro, la sua famiglia. Alle sue spalle le guardie ridono di lui, ma lui non se ne cura, allunga verso di loro le braccia perché gli liberino i polsi dalle manette e poi si avvia ad abbracciarli.

«Mi dispiace, Rod, ma era il solo modo che ho trovato,» gli dice intuendo il suo stato d’animo. Lei lo ha sempre capito, ha sempre avuto il dono di riuscire a decifrare i suoi silenzi senza nemmeno essere una Legilimens.

«Sono stato io a firmare l’accordo,» la tranquillizza, «le mie priorità sono cambiate, adesso.» Sono parole che gli costano molto, significano rinnegare un’intera esistenza, ma al tempo stesso sono sincere, perché lei gli sta offrendo la possibilità di essere padre. Gli occhi scuri di Roland lo cercano e gli sorridono. È la seconda volta che lo vede da quando è nato.

Una Passaporta li trasporta all’ingresso del cottage che anni prima lei gli aveva descritto: è una struttura a due piani e affaccia su un promontorio da cui si vede lo sbocco del loch Ewe nel mare. Intorno a loro la brughiera e alle spalle un piccolo bosco. Si lascia guidare in quella casa di mattoni tinteggiata di bianco che sorge tra i cespugli di erica. La casa profuma di buono, dalla cucina arriva il profumo di dolce e di burro. Alexandra gli confessa di aver chiesto al suo elfo domestico di preparare una torta di zucca per festeggiare il suo arrivo, gli mostra la casa, la camera da letto e il bagno che sarà solo per lui.

«Credevo che avremmo dormito insieme,» le dice Rodolphus. Alexandra lo guarda sorpresa e annuisce: «Sì, se lo vorrai, dormiremo insieme. Se volessi i tuoi spazi, però, c’è questa stanza.» Roland continua ad osservarlo sorpreso e Rodolphus quasi si commuove quando il bambino esclama: «Papà!» per attirare la sua attenzione. Alexandra distrae il bambino, mentre Rodolphus si infila in bagno per eliminare il gelo di Azkaban, lo sporco e la salsedine di quella prigione. All’uscita trova degli abiti puliti ad attenderlo.

Il resto della casa è silenziosa e Rodolphus si domanda dove siano finiti Alexandra e Roland. Vaga per quegli spazi con cui deve familiarizzare, osserva le foto alle pareti di Alexandra con Edward, quel ragazzo così simile a lui con indosso l’uniforme di Serpeverde e pensa a quanti momenti si è perso.

Ritrova Alexandra seduta su una panca di legno, davanti un tavolo da picnic, intenta ad osservare Roland che cammina e raccoglie foglie secche. Rodolphus li raggiunge e siede al fianco di Alexandra e le posa un bacio sulla guancia. «Vi cercavo dentro,» le sussurra. Alexandra intreccia le dita alle sue sotto il tavolo e sospira: «Suppongo che finirà l’abitudine di sedermi qui.»

«Perché?»

«Ho scelto questo cottage nel 1982 perché seduta qui, guardando dritto davanti a me,» Alexandra punta il dito verso il mare, «sono in linea d’aria con Azkaban. Quando Edward era piccolo e io non riuscivo a dormire venivo qui e ti raccontavo di lui, di come il nostro bambino stava crescendo, di quanto ti assomigliasse…» Rodolphus le sfiora il viso per asciugarle una lacrima e la stringe in un abbraccio. «C’erano giorni in cui non riuscivo a dormire e finivo in uno stato confusionario e allora mi sembrava quasi di sentire la tua voce. Credevo che fossero le torture dei Dissennatori, ma forse qualcosa è arrivato. Mi dispiace che Edward mi detesti.»

Alexandra lo guarda: «Gli passerà. Dagli tempo e modo di conoscerti. Da quando è andato a vivere con gli amici la situazione è migliorata. Domenica forse sarà un po’ teso, ma con il tempo si abituerà all’idea di avere un papà.»

«Mi dispiace di essermi perso tutti i suoi momenti più importanti.»

Roland li raggiunge sorridente e mostra loro una pigna. Rodolphus trascorre il pomeriggio a giocare con il bambino ed esita per un istante prima di sedersi a tavola per la cena, assapora ogni particolare di quel momento: le luci soffuse delle candele, il tepore della sala da pranzo, la tavola apparecchiata e il profumo di zuppa, arrosto e patate saltate nel burro che invade la stanza, una bottiglia di vino elfico e Roland sul seggiolone che apre la bocca mentre Alexandra lo imbocca. Entrambi sollevano gli occhi a guardarlo e Rodolphus siede imbarazzato, spiega: «Stavo osservando quanto è bello tutto questo.»

«Siedi, papà, la mamma ti sgrida se la pappa è fredda!» esclama Roland strappando una risata a entrambi. Rodolphus obbedisce e gusta quella che sarà la prima di una lunga serie di cenette in famiglia e riprova il calore che aveva sentito nel 1981, prima che Rabastan si presentasse alla sua porta perché andassero dai Longbottom.

È l’inizio di una nuova vita, quella, è come se fossero fuggiti sul serio, dopo tutto. Rischia di emozionarsi quando mettono a letto Roland e Alexandra gli legge la favola della buonanotte. Sono nella cameretta del bambino. Roland è nella sua culla e Alexandra siede sulle ginocchia di Rodolphus che la osserva leggere le fiabe di Beda il Bardo. Scivolano fuori dalla stanza non appena il bambino si addormenta e le loro mani non si separano. Finiscono per stringersi come un tempo e finire in camera da letto.

Tremano entrambi quando si sfiorano dopo due anni di lontananza. L’ultima volta che si sono visti è stato poco prima della battaglia di Hogwarts, nel rifugio scozzese di Rodolphus mentre si arrovellava per capire chi fosse l’uomo presente nella vita di Alexandra, ignorando che fosse il loro ragazzo. Adesso la bacia, la stringe in sé e lei ricambia con il trasporto che ha sempre avuto verso di lui e finiscono a fare l’amore.

 

 

 

Loch Ewe, ottobre 2000

Staccarsi da Rodolphus è complicato e tornare al San Mungo dopo i primi giorni che aveva preso di ferie le sembra una tortura. Deve affrontare gli sguardi di Robert e di Edward mentre Roland rimane in casa con il papà. Forse Shacklebolt storcerebbe il naso nel sapere che Rodolphus è in casa da solo con un bambino e un elfo domestico, ma Alexandra non è una carceriera e sa che Rodolphus vuole tenere fede al patto che ha sottoscritto con il Ministero, non crede minimamente che possa fuggire.

«Come stai?» le domanda Edward non appena la incrocia in una corsia.

Alexandra solleva lo sguardo dalla cartella del paziente e sorride al figlio. È felice e non riesce a nasconderlo, non vuole farlo. Si limita a rispondere: «Somministragli della Pozione Rimpolpasangue e cambia le bende e, mi raccomando, domenica ti aspettiamo per il pranzo.» Non darà notizie di seconda mano a Edward, vuole che arrivi con la giusta curiosità di conoscere suo padre che sia ben disposto verso di lui e che dopo tutto il tempo sprecato distanti, non voglia essere così sciocco da sprecarne altro.

«Dagli una possibilità, d’accordo?» chiede al figlio. «Non ti avrebbe mai lasciato, se solo avesse saputo.»

Edward rimane con l’ampolla di pozione Rimpolpasangue davanti il paziente. Annuisce incerto e passa a somministrare il filtro e cambiare le bende, mentre lei è andata oltre. Comprende la paura del figlio, se dovesse sparire di nuovo? Ma questa volta è diverso, lo sente dentro, e persino i sogni sono scomparsi.

Il rimpianto per il tempo non vissuto con Edward è una cosa che accomuna padre e figlio. Così, una sera, dopo aver messo a letto Roland, Alexandra conduce Rodolphus nel salottino del cottage. Apre uno sportello ed estrae un Pensatoio e una scatola di legno verde piena di fialette. «È un regalo per Edward, per quando diventerà papà,» gli spiega, «sono tutti i momenti più importanti della sua vita. Tutti i ricordi da quando è nato, i primi passi, le prime parole, fino ad episodi buffi, l’acquisto della bacchetta, la partenza per Hogwarts. C’è tutto.»

Rodolphus sorride mentre si immerge con lei nel Pensatoio. Lo porta nella sala parto del San Mungo, quando Robert ha preso tra le braccia il nipote e suo papà si commuove nell’apprendere che verrà chiamato come lui. Forse un giorno gli farà vedere anche i ricordi degli interrogatori che ha subito, ma si dice che sarebbe un gesto crudele, come se Rodolphus potesse aver colpa per essere stato arrestato. Era ad Azkaban, ha sofferto molto più di lei.

Finiscono nel ricordo successivo, Edward muove i primi passi e Alexandra è nel salotto e abbraccia il figlio che sgambetta verso di lei. Rodolphus, accanto a lei, si commuove e impiegano diverse sere per rivivere quei momenti e ogni volta sembra di conoscere sempre un po’ di più Edward.

La domenica sono entrambi tesi al pensiero che Edward verrà a pranzo, ma per fortuna Roland stempera il nervosismo con la sua esuberanza. Sgambetta verso il fratello non appena lo scorge spuntare dal camino, gli mostra i giochi che sta facendo con il papà ed Edward rimane sopraffatto.

«Non ti ho mai vista tanto felice, mamma,» le confesserà mentre lei in cucina cerca di prendere il dolce. «Sono quasi invidioso di Roland…» mormora sottovoce. Alexandra lo abbraccia e deve sollevarsi sulle punte per posargli un bacio sulla guancia. È alto come il papà e anche se lei non ha mai conosciuto Rodolphus all’età di diciott’anni, è certa che fosse identico a Edward.

«Non è troppo tardi, Ed, puoi venire a casa quando vuoi e stare tutto il tempo che desideri, lo sai, è casa tua.» Gli occhi neri del figlio la scrutano con un po’ di apprensione, lei gli sorride mentre porta la cheesecake a tavola e dice: «Goditi questa domenica in famiglia, se farai tardi e vorrai dormire qui, la tua camera è sempre pronta. Domani andiamo al San Mungo insieme.»

«Alex… la mamma,» si corregge Rodolphus, «mi ha raccontato che vivi con dei tuoi amici a Diagon Alley. Sono compagni di Hogwarts o dell’Accademia di Medimagia?»

«Siamo in quattro,» spiega Edward. «Io e Thomas frequentiamo l’Accademia di Medimagia, ma non eravamo compagni di Casa, lui era in Corvonero, io Serpeverde.» Rodolphus sorride interessato. «Poi ci sono anche Jaime che lavora al Ministero della Magia e Percival che ha rilevato la pasticceria che era di Florian. Sai, dopo che voi Mangiamorte l’avete ucciso.»

«Sono stati i Ghermidori,» puntualizza Rodolphus. «Nell’ultima fase della guerra, il Signore Oscuro.»

«Lord Voldemort,» lo corregge Edward. «Potter dice che la paura del nome contribuisce ad aumentare la paura.»

«Avresti paura anche tu se avessi visto cosa faceva a chi non si piegava.»

«So cosa hai fatto ai Longbottom.» Rodolphus sospira, chiude gli occhi stanco, mentre Edward continua con un sadismo che spaventa Alexandra. «La sera in cui hai lasciato mamma e le hai detto che saresti tornato dopo qualche ora.»

«Sono un Legilimens. Io dovevo scoprire se conoscessero il luogo in cui si trovava Lord Voldemort mentre gli altri li torturavano,» sospira stanco «La mia responsabilità non cambia. Ho trascorso gli anni della tua intera vita ad Azkaban per questo errore. Rimpiango ogni giorno della mia vita l’aver seguito mio fratello.»

«Tuo fratello?» domanda Edward.

«Rabastan,» conferma Rodolphus, «dicono che sia nascosto in Francia, non ho sue notizie dal giorno della battaglia di Hogwarts.» Lancia un’occhiata a Edward e gli conferma: «Potresti avere un altro zio, oltre Robert.» Alexandra nota il sorriso nostalgico che spunta sulle labbra di Rodolphus, «Ti chiederebbe delle ragazze e poi vorrebbe darti consigli per trovarne una.»

«È sposato? Ho dei cugini?» Edward è incuriosito e Rodolphus scuote la testa. «No, è finito ad Azkaban prima del tempo ma sai che Bellatrix gli aveva suggerito di sposare Alex?»

«Sul serio?»

Alexandra si sorprende nello scoprire quell’aneddoto. «Sì, tua mamma è cresciuta dai Black, non so se hai mai conosciuto Walburga.» Edward annuisce, Rodolphus continua. «Era la zia di Bellatrix ed è grazie a lei che io e Alexandra ci siamo conosciuti. I Turner sono una famiglia rispettabile e Bellatrix aveva suggerito a Rabastan di sistemarsi con una brava ragazza.»

«Ricordo che rischiai di soffocarmi con un’éclaire al caramello. Da allora non ne ho più mangiate. Io e Alexandra ci frequentavamo di nascosto e ho tremato finché Rabastan non ha detto a Bellatrix che era pazza a proporgli una ragazzina, che a lui piacevano bionde e formose e che non aveva nessuna intenzione di sposarsi.»

«Ti sei innamorato subito della mamma?»

«Mi sono innamorato della sua voce.» Dal sorriso di Rodolphus Alexandra capisce che sta ricordando i loro primi incontri, quando lei era ancora una bambina e lui era così attento e paziente nelle sue lezioni di francese. «La sentivo recitare poesie in francese e ho trascorso giorni a cercare di capire chi fosse a leggere quei versi. Poi ho scoperto che era una ragazzina adorabile e composta. È sempre stato un mistero per me il perché non fosse piena di spasimanti.»

«Forse li intimoriva,» prova Edward, «la mamma sa essere spaventosa quando vuole.»

«Smettetela di parlare come se non ci fossi,» esclama lei. Ha in braccio Roland in uno dei suoi momenti di attaccamento alla mamma e così ha origliato la conversazione tra i due tra un bacio e l’altro senza poter intervenire.

Rodolphus la osserva, un sorriso gli incurva le labbra tra la barba e sospira a Edward: «Impossibile, è adorabile.»

«Sì, detto da un Mangiamorte abituato a Voldemort, capisco che non sia spaventosa, ma ti posso assicurare che al San Mungo hanno paura di lei.»

Alexandra alza le sopracciglia sorpresa: «Chi ha paura di me?»

«Tutti gli specializzandi, mi chiedono di mettere una buona parola con te, ma io dico sempre che non hai riguardo per il figlio, figurarsi per gli altri.»

«Mi sembra il minimo. Dobbiamo guarire i feriti, mica fare beneficienza. Io sono giusta, non sono severa. Potrei dire che sono proprio come la McGranitt.»

«No, mamma, la McGranitt fa meno paura.» Alexandra rifila un’occhiata scettica al figlio e Rodolphus scoppia a ridere. «Vorrei proprio vederti,» le sussurra mentre Alexandra scuote la testa e gli fa segno che Edward sta esagerando. La tensione si è stemperata e la serata prosegue tra amorevoli prese in giro e ricordi del passato lontano e recente.

Alexandra fa il bagnetto a Roland e lo prepara per la notte mentre sente Rodolphus e Edward continuare a chiacchierare nel salone. Gli anni trascorsi lontani sembrano svanire e lei si ritrova proprio come nel 1981 quando progettava la vita insieme a Rodolphus.

 

 

 

Loch Ewe, 16 Dicembre, 2000

Rodolphus impiega dei mesi prima di riuscire a instaurare un rapporto con Edward, si impegna moltissimo, vuole che suo figlio sappia che lui, Alex, Roland sono i soli motivi per cui ha accettato di vivere come un Babbano, privo di bacchetta. Ogni tanto, riesce a fare qualche piccolo incantesimo senza bacchetta, evoca piccole fiammelle colorate per far sorridere Roland e lasciare che la magia non rischi di scoppiare dentro di lui.

Forse un tempo avrebbe considerato intollerabile quella situazione, ma dopo una vita trascorsa tra la guerra e le mura di Azkaban, stare dietro i bisogni di un bambino è un diversivo inaspettato e sorprendente. Ha sempre amato addestrare i giovani maghi e adesso tra le sue braccia ne ha uno che condivide il suo stesso sangue.

Rodolphus si commuove ogni volta che sente suo figlio chiamarlo papà ed è incredibile la quantità di progressi che riesce a fare giorno dopo giorno. La sera, quando Alexandra rientra dal San Mungo, Rodolphus l’aggiorna su Roland e passano il tempo a giocare con lui o a chiacchierare dei loro figli, commentano i ricordi che Alexandra ha conservato, altre volte, lei ne estrae di altri dalla sua memoria e insieme rivivono i momenti che lui si è perso. Se c’è una cosa che lo sorprende ogni volta, è quanto sia diverso lo sguardo di Alexandra, è come se fosse offuscato, come se non brillasse e quando poi la osserva illuminarsi sotto il suo sguardo, comprende l’astio di Edward nei suoi confronti e non può far altro che pensare che dovevano attendere tutto quel tempo perché arrivasse il loro momento.

Sta uscendo dalla stanza di Roland, lo ha messo a letto e incrocia lo sguardo di Alexandra che lo attende sulla soglia della loro camera da letto. La stanza che lei gli aveva preparato è non l’ha mai utilizzata. Alexandra scuote la testa sorridendo e sembra commossa: «Non ho mai avuto dubbi,» gli sussurra.

Rodolphus la osserva incerto: «Su cosa?»

«Che saresti stato un papà perfetto. Roland ti adora e anche Edward sta imparando a volerti bene. Oggi mi ha detto che tra qualche giorno tornerà a casa per tutto il periodo delle vacanze di Natale. Vuole stare un po’ in famiglia.»

Rodolphus annulla le distanze e le prende il viso tra le mani, si china a baciarla sulle labbra. Sorride sempre quando sono insieme, è così felice che lo stomaco si stringe un po’ e persino la magia rischia di uscire incontrollata. Alexandra allunga le braccia intorno al suo corpo, annulla ogni distanza tra loro e Rodolphus l’abbraccia e continua a baciarla. Le loro labbra si cercano avidamente, viene scosso da brividi di piacere quando lei gli accarezza la barba o lascia scorrere le dita tra i suoi capelli accarezzandogli la nuca. Le solleva la camicia da notte mentre le mani di lei si concentrano sulla chiusura della sua veste da mago. Rodolphus sente l’urgenza di fare l’amore con lei, vuole recuperare gli anni sprecati ad Azkaban, colmare ogni distanza che si è frapposta tra loro e sorride nel vedere che ora non indossa più la catenina al collo, che il suo anello lo porta sull’anulare, dove andrebbe la fede e lei gli ha dimostrato una devozione che nemmeno sospettava. Ha realizzato quello che era il loro progetto: fuggire via, lontano da tutti e avere una famiglia tutta loro.

La osserva ansimare sotto di sé, gli occhi attenti a cercarlo, quasi dovesse scomparire da un momento all’altro. Le labbra di Alexandra si lasciano sfuggire ansimi intervallati a invocazioni del suo nome come se ogni fibra del suo corpo desiderasse essere riempita di lui. È inebriante per chi ha passato la vita a sentirsi rifiutato. Non da lei, mai da lei. Lei non lo rifiuta nemmeno quando si addormenta con la testa appoggiata sulla sua spalla, aggrappato al corpo esile di lei, come se potesse proteggerlo dagli effetti che i Dissennatori hanno lasciato nella sua mente.

Non lo allontana la notte, quando Rodolphus si sveglia per gli incubi che continua ad avere – immagini della guerra, ricordi di Azkaban - e lei lo consola, gli sussurra che questo è il tempo in cui saranno insieme. Rodolphus riprende sonno dicendosi che se i maghi arrivano fino a centocinquanta anni, allora lui ha più di due terzi della sua vita da spendere con la sua Alex, può dimenticare Azkaban, godersi i figli e financo i nipoti. Forse, vedrà Rabastan un giorno. Si addormenta con quella speranza e il corpo caldo di Alexandra tra le sue braccia.

L’indomani, quando scende nella sala da pranzo per la colazione, trova una lettera del San Mungo sul tavolo. Alexandra è impegnata a dare il latte a Roland, gli sorride dolcemente mentre il figlio è attaccato al seno ed è così assorta nella contemplazione da non accorgersi del suo arrivo, lo fa troppo tardi, quando Rodolphus ha in mano quella lettera che riporta il risultato di alcuni accertamenti e l’annuncio di una nuova gravidanza. È a rischio, specificano i Guaritori, troppo delicato avere un figlio a quarantatré anni, anche se sei una strega. Di sicuro non può lavorare e dovrà fare tutta una serie di analisi e sottoporsi regolarmente ai controlli.

«I nostri incontri lasciano sempre il segno,» mormora Rodolphus mentre ricorda la visita ad Azkaban di Alexandra in attesa di Roland, lei annuisce mentre prende in braccio il bambino e si ricompone. «Già,» sospira. «Volevamo una famiglia con tanti bambini, no?»

«Sì, ma non a costo della tua salute. Non possiamo correre il rischio che ti succeda qualcosa,» mormora Rodolphus. È come se il fato si fosse fatto beffe di lui: finalmente si è unito ad Alexandra, stanno creando la loro famiglia e deve correre il rischio di perderla di nuovo e questa volta in modo irreparabile.

«Sono le cose che scrivono sempre, è più per questioni legali, sai…» cerca di tranquillizzarlo, ma Rodolphus non riesce a rimanere tranquillo. Ha trascorso anni interi credendo di averla persa per poi scoprire che lei aveva portato avanti il loro sogno. Non vuole scoprire quanto si sentirebbe perso senza di lei. «Io ho paura, Alex,» le confessa.

«Starò a casa, non dovrò più andare in ospedale, mi riguarderò,» gli promette.

«Tu vuoi questo bambino?» domanda incredulo.

«Io voglio tutti i nostri bambini, Rod.» Alexandra sfiora il nasino di Roland che le restituisce un sorriso.

 

 

 

Loch Ewe, maggio, 2001

È trascorso quasi un anno da quando ha ottenuto la custodia di Rodolphus e la loro vita si è arricchita con l’arrivo del piccolo Roddie.

In quei mesi, lentamente, ha imparato a vivere senza magia per stare accanto a Rodolphus, per condividere il fardello della condanna, per dimostrargli che l’amore è in grado di colmare qualunque vuoto, anche l’assenza di magia. La bacchetta giace riposta in un cassetto della camera da letto, le faccende domestiche e la cucina sono compito di Tocky, la loro elfa domestica e tanto basta a un’esistenza fatta di passeggiate, dei primi passi di Roland, del ventre che cresce e di abbracci e mani che si sfiorano.

Hanno imparato a cucinare, alla babbana, per ingannare il tempo, perché quando sei disperso in mezzo alla campagna scozzese, le giornate possono diventare incredibilmente lunghe per chi ha trascorso la vita a ubriacarsi di lavoro per non pensare ai propri vuoti.

Una mattina di maggio, Alexandra prende per mano Rodolphus e decide di approfittare della bella giornata, vuole recarsi al mercato del villaggio che sorge lì vicino. Li separa una passeggiata di circa un’ora, tra sentieri che si disperdono in mezzo alla brughiera.

«Non dovresti stancarti.» Rodolphus è apprensivo e teme che da un momento all’altro possa capitare qualcosa di brutto a cui lui non sarà in grado di far fronte perché la bacchetta l’ha presa in custodia il Ministro Shacklebolt in persona. «I Guaritori mi hanno detto che camminare fa bene al bambino. Sarà come in Costa Azzurra, quando siamo andati al festival letterario e io ho comprato quel libro di poesie.»

«Allora potevamo Smaterializzarci e avevamo le nostre bacchette magiche.»

Rodolphus è nervoso. Rimane fermo sul confine del villaggio, osserva i Babbani fare acquisti e nemmeno risponde quando un mercante domanda loro se sono nuovi da quelle parti. Il vento si alza e imbriglia i capelli tra i lembi della sciarpa di cotone: è la magia repressa di Rodolphus che preme per sfuggire al controllo. C’è un tempo e un luogo per ogni cosa e la rieducazione sociale di Rodolphus non passa attraverso un villaggio Babbano. È stato sciocco dar retta a Harry Potter, illudersi che persino Lestrange potesse accettare di vivere in pace con un mondo che non conoscono ma che condivide i loro stessi spazi. «La guerra è persa,» sussurra. Afferra la sua mano per riportarlo verso casa. Ancora una volta, sarà Tocky a occuparsi della spesa.

«Lo so bene.» La voce di Rodolphus è un sussurro flebile, i suoi occhi sono tinti di amarezza mentre stringe la sua mano tra le proprie. «Ho perso tutto, insieme alla guerra: la casa, mio fratello, la mia bacchetta.» Avvicina le mani al volto e le posa un bacio sui polpastrelli. La presa si scioglie all’altezza del cuore e Rodolphus si lascia sfuggire un sospiro triste.

«Hai ottenuto una famiglia,» osserva dolcemente. «Un tempo dicevi che avresti dato qualsiasi cosa per diventare padre.»

«Ed è ironico che abbiano chiesto in cambio la mia magia, non trovi? È tutta la vita che devo scegliere tra il sangue e la magia…» Il viso di Rodolphus è una maschera di dolore. Lontano dalla spensieratezza dei ragazzi è costretto ad affrontare i propri demoni e Alexandra sa che è un passaggio obbligato per riuscire a rinascere e lasciarsi la guerra alle spalle. «Un tempo avevo scelto la magia e ho versato sangue, adesso ho scelto il mio, il nostro, sangue e sento la magia sfiorire giorno dopo giorno, cosa resterà?» La sconfitta è un peso che rallenta i loro passi. Alexandra posa una mano sul ventre, il piccolo Roddie sembra voler dire che lui rimarrà e lei si fida del figlio. «Resteranno i ragazzi, resterà l’amore che abbiamo lasciato loro, quando il nostro tempo finirà. È una magia antica, complessa da alimentare, facile da disperdere al vento, in grado di rafforzare ogni pozione, incantesimo, scudo.»

«L’amore…» sussurra Rodolphus «Mi ha tenuto in vita ad Azkaban, mentre mi spogliavano di tutto.» Il vento scompiglia i loro capelli, agita gli abiti e li porta a stringersi l’uno all’altro mentre camminano verso casa. Rodolphus la stringe e Alexandra intuisce i suoi pensieri. «È normale avere paura,» sussurra.

«Io non voglio perderti, non voglio scegliere tra il sangue e l’amore.»

«Non dovrai farlo. L’ho letto nelle foglie di tè: Roddie nascerà e andrà tutto bene. Il nostro tempo insieme è appena iniziato.» Prende la mano di Rodolphus e la guida sul ventre, sente il contatto della magia del papà con quella del figlio e sorride. «Anche senza bacchetta, Rod, tu resti un mago e la magia continuerà a scorrere dentro di te, nel tuo sangue, nei nostri ragazzi.» Apre la mano e fa comparire una fiammella colorata, la riesce a modellare e la consegna nella mano di Rodolphus. «Non è una bacchetta che ti definisce e, del resto, io non mi sono innamorata dei tuoi incantesimi.»

 

 

 

Loch Ewe, luglio, 2001

La nascita di Rodolphus II avviene in un bel pomeriggio d’estate, mentre il sole tramonta sul mare e nel loro cottage risuonano solo le urla di Alexandra.

Rodolphus è in salotto, sembrerebbe seduto sul divano, ma in realtà è ripiegato sulle ginocchia con la testa tra le mani che tormentano nervosamente i lunghi capelli neri. Se qualcosa dovesse andar storto non se lo perdonerebbe mai. È tutta la vita che perde Alexandra non appena inizia ad abbassare la guardia e non vuole che la gioia della nascita venga sporcata da un lutto.

«Papà…» Edward lo chiama con quell’appellativo che non usa quasi mai, a sottolineare che il padre non l’ha mai concretamente avuto e che non basta un anno per recuperare diciotto anni di assenza e un’eredità scomoda da gestire. «Andrà bene,» cerca di rassicurarlo. «La mamma sta bene, zio Robert era tranquillo.»

In quella casa è l’unico a non essere un Guaritore, al di là del piccolo Roland. «Papà,» lo chiama il bambino. «La mamma ha la bua?»

«La mamma sta facendo nascere il fratellino,» spiega pazientemente. La voce fatica a uscire dalla gola e Roland sembra percepire tutta la sua paura, al punto che saltella nel tentativo di risalire il suo ginocchio. Rodolphus lo prende in braccio e il figlio getta le braccia al collo e si stringe a lui. «Se la mamma è con il fratellino, posso stare con te, papà?» domanda strappandogli un sorriso.

Rodolphus annuisce: «Sì, tu ed Edward rimanete con il papà. Aspettiamo la mamma e il fratellino.» L’abbraccio di Roland gli dà una forza che fino a quel momento non credeva di avere e comprende come deve essersi sentita Alexandra quando è rimasta da sola con Edward, mentre lui era ad Azkaban. Osserva i figli alla ricerca di qualcosa della madre. La trova nel sorriso di Edward e negli occhi marroni di Roland, nel modo in Edward si dedica al lavoro e in quello in cui Roland si illumina quando lo vede.

Quando la luna è ormai sorta e l’ora di cena è passata da un po’, Robert ed Emily escono dalla stanza con l’aria affaticata. Riescono a dire solo «Stanno entrambi bene,» ed Edward e Rodolphus scattano, mentre alle loro spalle Robert li esorta ad attenere, che la stanza non è pronta.

Rodolphus lascia entrare prima il figlio, ha imparato a stare un passo indietro per amore di Edward. Lo segue subito dopo con il piccolo Roland tra le braccia e non è pronto a vedere la scena che gli si prospetta davanti. Alexandra è sul letto con la schiena appoggiata al cuscino e lo sguardo rivolto al fagottino che ha in braccio. Sorride come se fosse innamorata persa di quel bambino. La scena, tuttavia, si presenta spettrale, echeggia i peggiori incubi di Rodolphus: le lenzuola del letto sono impregnate di sangue, al punto che persino Edward si spaventa.

«Mamma,» la chiama, quasi per accertarsi che sia viva, tanto è il pallore sul volto di Alexandra. La lentezza con cui lei distoglie lo sguardo dal bambino e lo porta sul figlio maggiore dà la misura di quanto sia stato impegnativo quel parto. Il sorriso che ha sul volto, però, convince Rodolphus che la sua Alexandra avrebbe rifatto la stessa scelta e quando lei gli fa cenno di avvicinarsi e dice sottovoce: «Vi presento il piccolo Rodolphus,» lui sente una stretta alla bocca dello stomaco che sprigiona calore e boccheggia incredulo mentre osserva rapito tanta bellezza.

«Mi assomiglia,» commenta Edward.

«Somigliate entrambi a Rod,» osserva Alexandra, incapace di staccare lo sguardo dal bambino che tiene gli occhi e i pugnetti chiusi. Persino lui ha l’aria stravolta dal parto. Edward prende la bacchetta e fa scomparire ogni traccia di sangue mentre Roland si arrampica sul letto e raggiunge la mamma per osservare il fratellino. Rodolphus si guarda intorno e comprende il senso delle parole di suo padre quando, prima di congedarsi dal mondo, si era raccomandato di non dimenticare il sangue.

 

 

 

Diagon Alley, 31 agosto 2011

Alexandra non è più tornata al San Mungo dopo la nascita del piccolo Roddie. È rimasta nel suo cottage con Rodolphus a dedicarsi all’educazione di Roland e Roddie. Edward ha fatto carriera, seguendo le orme del nonno e dello zio ed è proprio vero che gli uomini Turner sono destinati al San Mungo. Sebbene lei si sforzi di sottolineare come Edward sia un Lestrange e non un Turner, suo figlio ha voluto mantenere il cognome materno e Rodolphus ne ha sofferto enormemente.

È un’eredità scomoda, quella dei Lestrange, che Roland e Roddie hanno accolto come qualcosa di normale, ma che Edward non poteva accettare. Ha accettato Rodolphus come il compagno – poi marito – della mamma, ma non come il padre.

È il segno che tutto ciò che ha fatto per proteggere suo figlio dalla guerra ha lasciato il segno. A volte si domanda se Edward sarebbe stato dello stesso avviso se la guerra fosse volta a favore di Voldemort, se l’essere un Lestrange gli avrebbe conferito un prestigio sociale che a lui è sconosciuto, oppure se la sua presa di posizione vuole essere la rivendicazione di un passato di solitudine, di un vuoto che ha avvertito per tutta la sua infanzia e che i suoi fratelli non sono in grado di comprendere.

Edward non è cambiato nemmeno quando si è sposato ed è diventato padre e Rodolphus ha dovuto sentirsi come un nonno ripudiato.

Adesso camminano per le strade di Diagon Alley, mentre Roland e Roddie osservano sorpresi le vetrine dei negozi e chiedono di poter passare da Accessori di Prima Qualità per il Quidditch. Rodolphus annuisce e giura che ognuno di loro avrà una scopa di ultima generazione ed è strano camminare tra i maghi senza la bacchetta. È altrettanto strano mettere piede da Ollivander per osservare l’acquisto della bacchetta di Roland. Sono dieci anni che Alexandra non usa la propria bacchetta, salvo rare occasioni, come quella volta che Roland si è arrampicato su un albero e poi non sapeva scendere e lei è corsa in casa a recuperare la bacchetta per ricondurlo a terra in sicurezza. Nonostante i colloqui annuali vadano bene e il comportamento di Rodolphus sia esemplare, il suo nome fa ancora paura e il Ministero non si sente tranquillo a restituirgli la libertà.

Hanno ottenuto un permesso speciale per poter accompagnare Roland da Ollivander e comprare una bacchetta. Il fabbricante di bacchette sussulta nel vedere entrare Rodolphus nel negozio, lui si limita a guidare Roland verso il bancone e attende insieme a lei e Roddie che la bacchetta scelga Roland.

«Posso averne una anch’io?» domanda Roddie alzando lo sguardo verso il papà. Rodolphus sospira e si china per spiegargli che è troppo piccolo, che l’anno prossimo, quando avrà compiuto undici anni, anche lui potrà avere la sua bacchetta magica. La verità è che Ollivander ha avuto l’ordine del Ministro Shaklebolt di non vendere più di una bacchetta magica e gli Auror che pattugliano Diagon Alley dimostrano che la preoccupazione che si avverte nell’aria non è infondata.

Le ferite della guerra non si sono sanate e se qualcuno pensa che Rodolphus possa essere un punto di riferimento, deve essere uno sciocco o un illuso. Roland viene scelto da una bacchetta di tiglio argentato e corda di cuore di Drago e Ollivander annuisce soddisfatto: «Non sappiamo se prenderai dalla mamma o dal papà, ma questa bacchetta saprà accompagnarti su entrambi i sentieri, ragazzo mio. Il tiglio argentato è il legno dei Veggenti o dei Legilimens e la corda di cuore di Drago è un nucleo potente. Possiamo aspettarci cose molto interessanti da te.»

Roland sorride un po’ imbarazzato, allunga la mano per pagare la bacchetta e poi esce dal negozio per proseguire le compere. Festeggeranno con un gelato da Florian.

 

 

 

King’s Cross, 1° settembre 2010

Accompagnare suo figlio al binario nove e tre quarti è un’esperienza che Rodolphus credeva che non avrebbe mai vissuto. In quegli anni ha imparato a fare a meno della magia, ha dovuto chiedere a Harry Potter il permesso di poter accompagnare Roland a Diagon Alley per gli acquisti in vista di Hogwarts e poi, l’indomani, sono andati insieme a King’s Cross.

Hanno soggiornato al Paiolo Magico perché, senza bacchetta, la Scozia è troppo lontana da raggiungere. Un tempo si sarebbero smaterializzati o avrebbero utilizzato una Passaporta, mentre adesso sono costretti a viaggiare in mezzo ai Babbani.

Lo stupore di Roland nel vedere l’Espresso per Hogwarts lo ripaga dell’amarezza che ha provato e dei mal di stomaco sopportati nei confronti con Potter. È solo per loro, si ripete, che mantiene la parola data al Ministero della Magia. Tra la magia e il sangue, continua a scegliere il sangue, il proprio.

Alexandra cammina al suo fianco, ha Roddie sottobraccio che vorrebbe partire insieme al fratello ed entrambi hanno l’aria emozionata e quando Roland sale sul treno, lei si stringe a lui e quando il treno parte, asciuga rapidamente una lacrima di commozione mentre loro si dirigono al binario babbano pronti a tornare in Scozia.

«In fondo, il prossimo anno non sarà poi così diverso,» dice Rodolphus per cercare di consolare Roddie che è triste per l’assenza del fratello. I suoi figli non hanno mai giocato con altri bambini, hanno condiviso il suo stato di detenzione e non sono mai usciti dai confini del cottage. La famiglia è stato il loro emblema di società e Rodolphus non può fare a meno di preoccuparsi per Roland, per come si troverà a Hogwarts con un cognome e un’eredità difficile da tenere, senza conoscere – se non per sentito dire – i nomi delle altre famiglie. Ma come saranno evoluti i rapporti negli ultimi anni? Non ne ha la più pallida idea.

La mano di Alexandra sfiora il suo pugno chiuso e lei gli sussurra: «Starà bene, vedrai che starà bene.» Si stringe a lui, appoggia la testa sulla spalla e insieme guardano il paesaggio che scorre fuori dal finestrino, mentre Roddie è immerso nella lettura di un fumetto che Alexandra gli ha comprato prima di salire sul treno per Inverness. Da lì, prenderanno il Nottetempo perché non ci sono mezzi di trasporto babbani in grado di portarli fino a casa.

È un ritorno malinconico, in cui l’assenza di Roland pesa ed è amplificata dal broncio di Roddie nonostante le coccole della mamma. È un ritorno che fa sentire Rodolphus impotente, incapace di prendere suo figlio, Materializzarsi a casa e distrarlo con una serie di incantesimi. Viaggiare tra i Babbani fa schifo e Alexandra guarda con sdegno la coppia di turisti tedeschi che siede al di là del corridoio: tolgono le scarpe e mangiano wurstel crudi mentre parlano con ad un volume di voce così alto da essere fastidioso. Il pensiero di non poter lanciare nemmeno un semplice Silencio diventa l’ennesimo boccone di frustrazione da mandare giù.

Non quanto il trovarsi metà dell’ufficio Auror ad accoglierli sul Nottetempo.

Alexandra va incontro ad Harry Potter con aria incredula: «È accaduto qualcosa?»

«Dovrei essere io a chiederlo a voi: scomparire in questo modo!» esclama Potter stizzito.

«Siamo senza bacchetta, non abbiamo una Passaporta, come pensa che potessimo tornare a casa?» domanda Alexandra incredula. «Il Ministero conosce benissimo il percorso.»

«Noi non sappiamo chi abbia visto Lestrange durante il percorso.»

«Una quantità enorme di Babbani,» commenta Rodolphus sdegnato. Trattiene il pensiero successivo, rivoltanti, sa che Potter non capirebbe. «Se vuole può interrogarmi sotto Veritaserum,» sospira stanco, mentre Roddie si abbraccia alla mamma spaventato. «Non riporteranno papà ad Azkaban?» domanda ad Alexandra. Il cuore di Rodolphus si stringe nell’assistere a quella scena. È tutta la vita che è abituato a mettere da parte l’orgoglio, così dice a Potter: «Mi dispiace. Abbiamo cercato di tornare a casa senza usare la magia, seguendo le regole.»

«Questo determinerà un rallentamento del suo processo di reinserimento. Non sono più in grado di dirle quando le ridaranno la bacchetta.»

«Non importa,» dice Rodolphus. Alza lo sguardo verso Alexandra che stringe a sé Roddie e guarda lui commossa. Scelgo il sangue rispetto alla magia. «Voglio solo essere un buon padre, signor Potter.»

Harry Potter passa una mano nel groviglio di capelli che si ritrova, si scambia uno sguardo con la Granger per poi sospirare: «D’accordo, signor Lestrange. Avrò bisogno del ricordo del viaggio da parte di sua moglie. Voglio tutto il percorso da quando avete lasciato il binario 9 e ¾ fino all’arrivo al Nottetempo.»

«Me ne libero molto volentieri,» esclama Alexandra e Rodolphus trattiene un sorriso al ricordo dei loro compagni di viaggio. Harry Potter estrae dalla mente di Alexandra un filamento d’argento e lo infila in una fialetta sotto lo sguardo incuriosito di Roddie.

 

 

 

King’s Cross, 1° settembre 2011

L’anno trascorso in attesa della partenza di Roddie è velato di malinconia.

Alexandra sente la nostalgia di Roland, sa quanto le mancheranno entrambi i figli quando anche Roddie partirà per Hogwarts e per questo motivo riempie l’estate di giochi e attività con i suoi ragazzi. La cosa che la rattrista di più, però, è osservare Rodolphus costretto ad assistere impotente agli esercizi con la bacchetta dei figli. Legge negli occhi la voglia che ha di impugnare nuovamente una bacchetta, ma sa che il cedimento comporterebbe una revoca del provvedimento che gli consente di vivere la prigionia con lei e di conseguenza sarebbe costretto a tornare ad Azkaban.

L’incidente del treno dell’anno precedente ha dimostrato loro quanto sia difficile incorrere in violazioni ed è grazie alla comprensione di Harry Potter ed Hermione Granger che non sia stato aperto un procedimento per evasione.

I colloqui successivi sono andati bene. Sono andati a prendere Roland a Hogsmeade con il Nottetempo, sia per le vacanze di Natale che per quelle di primavera. Il primo settembre, però, è un evento troppo importante per i giovani maghi e il Ministero ha acconsentito a predisporre due Passaporte, tra il loro cottage e il binario 9 e ¾, affinché anche Rodolphus possa accompagnare i figli a prendere il treno. Vivono seguendo scrupolosamente le indicazioni del Ministero in attesa di quel momento.

Il giorno della partenza di Roddie, Alexandra osserva i figli salire sul treno con le lacrime agli occhi. Si stringe a Rodolphus che sospira: «Sono riuscito ad accompagnare anche Roddie.» Fanno in tempo a stringersi per mano che la Passaporta si attiva e si ritrovano nel giardino di casa.

La casa vuota li riempie di malinconia. L’assenza dei ragazzi si fa sentire e Rodolphus si guarda intorno spaesato, senza nessuno a cui insegnare la storia delle famiglie magiche, a leggere, scrivere e far di conto. «Cosa hai fatto quando Edward è partito per Hogwarts?» le domanda.

Alexandra sospira, ricorda gli anni in cui lei ed Edward erano i soli abitanti di quel cottage. «Andavo al San Mungo. Era un ottimo modo per distrarsi,» gli confessa.

«Ti manca il lavoro?»

Alexandra scuote la testa: «No, mi mancano i ragazzi, non il lavoro. Vorrà dire che adesso mi concentrerò su di te, sul mio amato marito.»

«Cosa mi proponi di fare? Vuoi fare anche tu un album di foglie secche?» Alexandra scoppia a ridere, allunga le braccia intorno al collo di Rodolphus e si sporge per baciarlo. «Pensavo a qualcosa di più… movimentato,» gli sussurra strappandogli una risata sulle labbra. Sa benissimo che fare l’amore non basterà per colmare l’amarezza che prova, il vuoto dei ragazzi si riempirà nei mesi successivi, man mano che l’inverno darà sempre meno la possibilità di uscire all’aria aperta e distrarsi.

L’unica cosa che possono fare è rallentare il ritmo, prendersi del tempo per loro. Ritrovarsi, dopo quarant’anni di separazione, tra Azkaban e i ragazzi. Scoprire cosa è rimasto dell’affascinante insegnante di francese e della ragazzina che studiava l’etichetta a Villa Black. Le persone che abitavano quelle dimore sono tutte morte, quel mondo è svanito e loro sono i soli sopravvissuti.

Al mattino indugiano tra le lenzuola, fanno colazione scambiandosi baci e qualche volta la situazione sfugge loro di mano ed è bello poter approfittare del cottage tutto per sé. È quando una mattina, lei è seduta sul tavolo da pranzo con le gambe intorno la vita di Rodolphus, mentre lui le sta per aprire la vestaglia che Edward si affaccia dalla porta di casa e rimane interdetto dallo spettacolo a cui si trova costretto ad assistere. Rodolphus si nasconde dietro di lei e sembrano due ragazzini colti in flagrante, con annessa ramanzina sul bisogno di essere presentabili e una serie di domande: «E se si fosse presentato Potter per un controllo?»

«Il provvedimento non lo vieta,» risponde Rodolphus mentre la stringe e lei non può muoversi, perché altrimenti Edward vedrebbe l’erezione preme contro la sua vestaglia e che le rende impossibile rimanere seria.

«A cosa dobbiamo la tua visita, Eddie? Chiedo a Tocky di mettere su un tè?»

«Sono venuto ad annunciarvi che diventerete nonni,» esclama ritrovando un sorriso. Alexandra si muove per andare incontro al figlio e abbracciarlo. «Eddie, è meraviglioso! Congratulazioni!» Si sente seguita a ruota da Rodolphus che, nel frattempo sembra riuscire a calmarsi e recuperare la piena libertà di movimento e anche lui si lascia andare a un abbraccio del figlio. C’è un argomento che aleggia nell’aria, ma Rodolphus non lo tira fuori, lascia che Edward si goda il momento e partecipa alla sua gioia.

Quando Edward si congeda, Alexandra trova Rodolphus seduto in giardino con lo sguardo fisso verso il mare. «Il figlio lo chiamerà Turner, vero?»

«È uguale a te, tu cosa pensi che farà?» domanda Alexandra. «Rod, mi dispiace,» il senso di colpa l’attanaglia e non importa di quante volte abbia detto a Edward quanto fosse meraviglioso il suo papà, non ha mai perdonato l’avere come padre un Mangiamorte. Non lo considera un cattivo padre, in alcuni momenti riescono persino a conversare, ma quell’eredità l’ha sempre rifiutata. Rodolphus è il marito della madre, una specie di padre adottivo, ma non l’ha mai considerato come il suo genitore, a dispetto della somiglianza estrema che c’è tra i due.

«È una sofferenza, ma so che se dovessi pretendere qualcosa perderei anche il poco rapporto che abbiamo costruito,» le confessa, «mi sembra quasi di sentire Bellatrix quando mi accusava di essere testardo e melodrammatico.»

«Non avevi tutti i torti, però,» lo difende Alexandra.

«E lui? Puoi biasimarlo? Chi la vorrebbe un’eredità come quella dei Lestrange? Pensi a Roland e Roddie a Hogwarts? Con un padre ex-Mangiamorte costretto a vivere come un Babbano…»

«Roland e Roddie sono orgogliosi del loro papà. Sanno che i sacrifici che stai facendo sono per loro, che hai scelto loro e per loro hai rinunciato a tutto. Io lo so quanto ti costa accettare le condizioni del Ministero.»

 

 

 

Loch Ewe, 10 giugno, 2020

Sono trascorsi dieci anni da quando i ragazzi sono partiti per Hogwarts. Nel frattempo, sono cresciuti, hanno trovato il loro posto nel mondo. Se Roland ha seguito Edward al San Mungo, Roddie è entrato al Ministero della Magia.

Rodolphus si sente stanco, sconfitto dalla vita quando, in una bella mattina di inizio estate, Harry Potter si presenta nel giardino con la sua bacchetta magica e l’annuncio che il Ministro Granger ha emanato un provvedimento di amnistia che mette fine alla guerra. Il suo caso è stato di esempio per tutti ed è grazie alla buona condotta di Rodolphus Lestrange, gli dice Potter, che il mondo magico potrà rinascere ed evolvere.

Rodolphus china il capo ancora una volta e rimane incerto ad osservare la bacchetta. Ringrazia, osserva Potter che si congeda, che rimuove gli incantesimi e la Traccia applicata dal Ministero della Magia. Alexandra assiste incredula. Non hanno ricevuto nemmeno un avviso.

È frastornato, a settant’anni cosa te ne fai della libertà? Cammina verso la spiaggia con la bacchetta in tasca, siede a osservare il mare quando sente una voce. «Quindi è vero che ti hanno liberato?»

Una ragazza dai lunghi capelli argentei e l’aria saccente che un tempo era di Lord Voldemort e gli occhi di Bellatrix – impossibile non riconoscerla – gli va incontro e siede accanto a lui.

«Cosa vuoi, Delphini?» le domanda.

La ragazza sorride, sorpresa: «Ti ricordi di me? Sai dunque chi sono i miei genitori?» Rodolphus fissa il mare, si prende il tempo di riflettere sul motivo per cui dovrebbe rivelare a questa ragazza la verità. C’è una profezia sul conto di quella ragazza che forse potrebbe riportare il tempo indietro, ridargli la vita che intendeva vivere, mandare al diavolo Rabastan, rimanere a fare l’amore con Alexandra, scoprire dell’arrivo di Edward, chiamarlo Roland, come suo padre, avere anche altri due figli, il castello in Cornovaglia, l’arazzo di famiglia, la magia e il sangue.

«I tuoi genitori sono Lord Voldemort e Bellatrix,» a distanza di oltre vent’anni gli suona ancora come un oltraggio. «C’è una profezia sul tuo conto,» le dice, «la trovi all’Ufficio Misteri.» Non le rivela che è stata Alexandra, mentre erano nel loro rifugio in Scozia, a pronunciarla.

«Grazie, Lestrange, quando mio padre tornerà, si ricorderà della tua fedeltà.»

Rodolphus sospira. Osserva la ragazza Smaterializzarsi e pensa solo che è stanco di tutto, che non ha la forza per affrontare una nuova guerra, rivedere Bellatrix, Lord Voldemort, le risate degli altri Mangiamorte e la solitudine di Azkaban. Pensa che, dopo tutto, dei Purosangue non gli interessa più molto se persino suo figlio si vergogna del sangue che gli scorre nelle vene. Torna in camera e apre il cassetto della biancheria di Alexandra, estrae la scatola con la bacchetta di sua moglie e lì dentro infila la propria.

«Ho atteso tanto questo momento,» le spiega. Ha sentito i passi leggeri di lei che si avvicinavano all’uscio e lo osservavano preoccupati. Riesce a sentire la preoccupazione di Alexandra, il suo impegno perché lui stia bene. «Adesso che ho di nuovo la mia bacchetta, non so più cosa farmene della magia. Persino riparare il tetto mi toglierebbe il passatempo per l’estate.»

Alexandra si avvicina, lo raggiunge davanti quella cassettiera in legno chiaro e lo abbraccia. «Non importa, Rod. Credo che tu adesso capisca bene perché non ho mai sentito il bisogno di tornare in società.»

Rodolphus annuisce: «Non mi interessa più molto il resto del mondo. Voglio stare con te e i ragazzi, fino alla fine. Mi hanno tolto tutto e non so cosa mi è rimasto.»

«Ti è rimasto l’amore e il tempo, ed è tutto ciò che volevamo da giovani: tempo e amore.»

Solo qualche mese dopo, quando la Gazzetta del Profeta riporta l’annuncio dell’arresto di Delphini Riddle e Harry Potter si ripresenta a ritirargli la bacchetta che Rodolphus la rende. «Ho risposto a una domanda, Potter,» gli spiega, «Speravo di poter riavere la mia giovinezza senza Azkaban, di condividere tutto il mio tempo con Alexandra, ma è inevitabile che le cose vadano da sé e che dovevano proprio andare in questo modo.»

«Mi dispiace, Lestrange, ma la legge è legge. Niente di personale.» Osserva Potter uscire dal cottage, applicare nuovamente gli incantesimi protettivi del Ministero, apporre una nuova volta la traccia, mentre Alexandra lo osserva con un sorriso un po’ amareggiato.

«Ti ho delusa?» le domanda.

«Lo hai fatto per Edward, vero?»

«Volevo una possibilità anche con lui, ma è proprio vero che bisogna scegliere tra la magia è il sangue.»

«Possiamo vivere insieme solo il tempo che ci è concesso, le cose, poi, andranno da sé.»

Rodolphus si china a baciare Alexandra e mentre la stringe e sente le labbra di lei ricambiare il bacio, pensa che non ha mai amato tanto a lungo, intensamente, qualcuno venendone ricambiato. Il tempo con Alexandra ha superato quello trascorso con Bellatrix. Non è nemmeno un peso rinunciare alla magia, adesso.

 

Fine

 

 

 

 


Note:

È un finale malinconico, me ne rendo conto. Io non credo di essere in grado di mettere delle parole in fila che abbiano un senso. Sono solo felice di essere riuscita a chiudere questo progetto, anche se adesso sono completamente in lacrime perché questa storia deve aver toccato delle corde particolari del mio animo e la tristezza e la malinconia di Rodolphus sono un po’ la mia.

Solo grazie a chiunque ha seguito questa storia.

Sev

 

 

   
 
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