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Autore: mask89    28/11/2021    9 recensioni
Due ragazzi, nati e vissuti in luoghi completamente diversi, vengono uniti dal destino. Verranno coinvolti nelle vicende del continente di Thauras, dove sono in atto oscure macchinazioni sin prima delle loro nascita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IX

 

 

Tutto l’equipaggio della Scorpio, compresi Ioan e Davven, era stranito da quella quiete. Solitamente, il porto di Broken Henge era un transitare continuo di barche da pesca e di navi mercantili, sporadicamente un bastimento da guerra faceva capolino da quelle parti. Quella piccola isola di forma circolare, che presentava una lunga fenditura a Nord, situata a due giorni di navigazione dalle coste a Sud del continente di Thauras, era uno strategico punto per approvvigionarsi di ulteriori scorte, prima di intraprendere la navigazione per il mare aperto; inoltre, godeva di uno status giuridico molto particolare, poiché era considerata un porto franco. La doppiarono diverse volte per cercare di capire cosa fosse accaduto e se vi fosse sicuro approdare, ma non si riusciva a scorgere nessun movimento dal ponte della nave.

Ioan vide Davven confabulare, per diverso tempo, con il capitano della nave; il forte vento gli impediva di udire cosa i due si stessero dicendo. Vide Azmir fare un cenno particolare al suo equipaggio; l’aveva visto fare diverse volte durante quel periodo di navigazione: le manovre di avvicinamento all’isola stavano per avere inizio. Osservò il marinaio, che lo aveva aiutato quando si era accidentalmente ubriacato, prendere un peso di piombo collegato ad una fune, comunemente chiamata sagola, che aveva diversi nodi tutti alla stessa distanza; siccome era sempre lui ad usare quello strumento chiamato scandaglio, si era preso l’appellativo di Sagola.

Il marinaio cominciò a scandagliare il fondale, in modo da non permettere alla nave di lesionare la chiglia o di incagliarsi in qualche secca. Il navigatore seguiva attentamente le informazioni che Sagola gli passava. Riuscirono ad attraccare alla banchina del molo agevolmente, ad aspettarli non c’era nessuno.

Nonostante le insistenze di Azmir, Davven non volle sentire ragioni: soltanto lui e Ioan si sarebbero addentrati nella cittadella di Syras, non avrebbe permesso a nessun altro di seguirli.

«Sei pronto?»

«Sì, ho preso la spada e una sacca con dei medicamenti e degli attrezzi di emergenza, nel caso ci dovesse succedere qualcosa.»

«Onestamente? Non credo. Probabilmente saremo solo noi due nella cittadina.»

«Ed è normale?»

«No. Questo posto dovrebbe brulicare di persone, invece è completamente deserta. La cosa mi preoccupa, ma non temo per le nostre vite.»

«Dici?»

«Sì! Sembri deluso, perché?»

«Avevo voglia di menare un po’ le mani, temo di essere fuori allenamento.»

«Menare le mani? Ma come diavolo parli? Comunque, non ti preoccupare, fra qualche giorno potrai “menarle” in abbondanza, anzi, mi implorerai di smettere.»

«Cosa vuoi dire?»

«In quel momento ti sarà tutto più chiaro, ora andiamo.»

I due uomini percorsero il perimetro delle mura ciclopiche della cittadella di Syras, le quali avevano un andamento ellittico ed un’altezza compresa tra i cinque e i sei metri; richiudevano una superficie di circa diecimila metri quadri. Quattro portali permettevano l’accesso alla città. Solo quello che si affacciava verso il porto, presso cui avevano attraccato, era accessibile, a differenza di tutti gli altri i quali erano bloccati dall’interno.

«Davven, da quanto manchi da questo posto?»

«Dalla primavera di un paio d’anni fa.»

«Ma è sempre stato così?»

«No. Nonostante le modeste dimensioni, Syras era una cittadina molto trafficata, in quanto porto franco. Se avessi avuto la necessità di smerciare un prodotto, ti sarebbe bastato venire qui.»

«Deduco che anche il contrabbando era fiorente.»

«Esattamente…»

«E cosa può essere successo?»

«Non saprei, per scoprirlo bisogna entrare. Sei pronto?» Vide Ioan fare un cenno positivo con la testa.

Ciò che si parò dinnanzi ai loro occhi li lasciò completamente esterrefatti. L’intero villaggio era stato quasi completamente raso al suolo; le uniche attestazioni che testimoniavano la presenza di un insediamento umano, erano gli scheletri carbonizzati delle case e degli edifici pubblici. Cominciarono a percorrere la via che li avrebbe portati verso il centro dell’abitato. Ovunque si posasse il loro sguardo, l’unica cosa che risaltava era la morte, accompagnata dalla distruzione. Furono attirati da uno strano cumulo di ossa, che si ergeva in quella che doveva essere stata una casa di medie dimensioni. Si avvicinarono con circospezione per vedere cosa fosse. Quando riuscirono a mettere a fuoco ciò che avevano davanti a loro, Ioan rabbrividì.

«È un cadavere carbonizzato.» Disse.

«Già, di un anziano, per la precisione.»

«Come puoi dirlo?»

«Osserva bene il bacino, è più stretto rispetto a quello di una donna; guarda bene l’angolo sotto pubico, è molto più chiuso rispetto a quello di sesso femminile. Per l’età, basta guardare le suture della calotta cranica» e prese il cranio in mano «Esaminale per bene, come ti sembrano?»

«Quasi saldate.»

«Esattamente. Ottimo spirito di osservazione. In base a questo, sono riuscito a dedurre che fosse una persona in età avanzata. Mio dio, deve aver fatto una fine orribile! Guarda il resto dello scheletro, dev’essere stato colpito con violenza, poi deve essere caduto su questo focolare e sarà morto bruciato vivo. Guarda le coste, sono molto più bruciate rispetto al resto delle altre ossa.»

«Come fai a sapere tutte queste cose?» Chiese incuriosito Ioan.

«Ho servito per molti anni nell’esercito di Atlas come medico. Non sono mai stato un grande combattente; certo me la cavo, ma non resisterei molto a lungo in uno scontro, in compenso sono molto abile con le arti curative e alchemiche.»

«Mi insegnerai qualcosa?»

«Tutto quello che posso, a tempo debito però, ora andiamo.»

Si avviarono verso quello che doveva essere l’edificio più grande del paese, ovvero il tempio. Mentre avanzavano, la morte e la distruzione aumentavano. Sempre più corpi carbonizzati si incontravano sulla via, sempre più desolazione. La visione che sconvolse più Ioan fu lo scheletro di un bambino che, a detta di Davven, non doveva avere più di sei mesi. Rimase disgustato nel constatare cosa potesse fare la violenza cieca dell’uomo.

Quando arrivarono nei pressi dello scheletro di quello che doveva essere stato il tempio cittadino, il cumulo di ossa che trovarono fu veramente impressionante. Erano accatastate una sopra le altre, ulteriori erano disperse intorno a quell’area.

«E così è qui che hanno compiuto la mattanza. Hanno ucciso qualsiasi cosa gli si parasse davanti; poi hanno radunato qui il resto della popolazione e hanno trucidato tutti, per poi dare fuoco all’intero villaggio. Chi diamine può aver fatto una cosa del genere?» Mormorò.

«Davven, vieni a vedere qui, c’è un altro cumulo di resti umani!»

Si avviò nella parte retrostante di quello che una volta doveva essere stato l’abside del tempio, la cui parete lesionata in più punti e prossima al crollo, resisteva ancora stoicamente. Il cumulo di ossa era impressionante, anche se non era paragonabile a quello precedente. Lo esaminò attentamente.

«No Ioan, queste sono ossa animali. Mio dio, neanche loro si sono salvati da questo scempio.» Ossa di cani, gatti, maiali, capre, agnelli e cavalli, tutti accatastati lì.

Osservò scrupolosamente quelli che dovevano essere i resti di un agnellino, dalle dimensioni non doveva avere più di qualche mese. Esaminò con attenzione tutto il terreno circostante, alla ricerca di altri indizi. Quando ebbe finito, fu capace di teorizzare quando fosse accaduto quel massacro.

«Tutto questo dev’essere avvenuto tra l’estate e l’autunno di due anni fa.»

«Come fai a dirlo con tanta certezza?»

«Queste.» E gli mostrò una serie di scheletri di agnelli di un’età compresa tra i tre ed i sei mesi. «Gli agnelli nascono in primavera; considerata l’età di questi resti ed il loro stato di decomposizione, il tutto deve essere avvenuto all’incirca due anni fa, in un periodo compreso tra l’inizio dell’estate e l’autunno.»

«Sei riuscito a ricavare tutte queste informazioni da delle semplici ossa?»

«Nulla è semplice in natura, tienilo sempre bene a mente Ioan. Ora andiamo.»

Ripassarono dall’abside, lo sguardo di Ioan fu attratto da uno strano baluginio, che proveniva da quello che una volta doveva essere stato un altare. Smosse il leggero strato di cenere che ricopriva l’oggetto. Era una fibbia in argento, a forma di giglio.

Stava per prenderla, ma Davven fu più lesto. Lo vide osservarla a lungo; poi, la sua espressione in volto si fece cupa.

«Dobbiamo andarcene subito di qui.» Esordì.

«Cosa succede?»

«Non lo so, per questo dobbiamo andare via. Ho molte domande da porre e il tempo stringe. Inoltre, è giunto il momento d’iniziare il tuo allenamento.»

 

La nave era ancorata alla fonda, Azmir si era rifiutato categoricamente di proseguire la navigazione durante le ore notturne, anche se il loro obiettivo non era molto distante. Non aveva voluto sentire ragioni. Semplicemente non riteneva utile e pratico proseguire; secondo la sua opinione sarebbe stato uno spreco di energie inutili, molto meglio aspettare la mattina seguente, poiché la brezza di mare li avrebbe dolcemente sospinti verso il loro obiettivo.

Ioan non riusciva a prendere sonno quella sera. Nonostante fossero passate più di ventiquattro ore, non riusciva a ricacciare in un angolo della sua mente le immagini di distruzione e morte a cui aveva assistito. Era abituato a veder calare la falce del triste mietitore, ma non in quel modo; lo scheletro del bambino di appena sei mesi lo aveva pesantemente sconvolto, continuava a chiedersi chi fosse capace di una barbarie di quel genere.

Salì sul ponte per prendere una boccata d’aria, magari l’aria fresca della notte lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee. Gettò uno sguardo verso il cielo trapunto di stelle, quando notò, con la coda dell’occhio, un bagliore provenire dalla sua sinistra. Si girò a guardare esterrefatto quello strano fenomeno.

«Incredibile, vero?»

«Davven!»

«Anche tu non riesci a prendere sonno?»

«No.»

«Cosa ti turba?»

«Syras…quel massacro perpetrato nei confronti di quelle persone innocenti, perché?»

«Fidati, lo scopriremo.»

«Pensi che a Giz troveremo una risposta alle nostre domande?»

«È probabile, dopotutto è la capitale del regno di Niv.»

«Lo spero.»

«Permetti una domanda?»

«Certo.»

«Come mai vedere certe cose ti ha sconvolto tanto? Sei un combattente, tu stesso hai ucciso…»

«Ma non in quel modo! Ho ucciso per difendere la mia vita, non per il gusto di farlo! Non ucciderei mai un bambino.» Rispose pieno di rabbia Ioan. Vide Davven sorridere. «Perché quel ghigno compiaciuto sulla faccia?»

«Perché, nonostante tutto, sei una persona buona. Comunque, ho visto che hai notato quel bagliore.» Indicò il fascio di luce nel cielo. «Vuoi sapere cos’è?»

«Sì.»

«È la luce del faro del porto di Giz.»

«Stai scherzando!?»

«Nient’affatto.»

«Ma siamo ad oltre 22 miglia dalla costa, non può essere possibile!»

«Dici? Domani mattina lo vedrai con i tuoi stessi occhi e mi darai ragione. Ora va a dormire, sarà una lunga giornata.»

 

Davven aveva maledettamente ragione, quel faro era qualcosa di straordinario. Il corpo più in basso aveva una forma ettagonale, a cui si sovrapponeva uno pentagonale, più in alto ancora una costruzione cilindrica, a cui si sovrapponeva una stella bronzea a sette punte. L’altezza doveva sfiorare all’incirca i centocinquanta metri.

«Davven» sussurrò «non dubiterò mai più delle tue parole.» Vide l’uomo sorridere.

«Stammi vicino quando scendiamo dalla nave, Giz è una città enorme, con oltre due milioni di abitanti, perdersi è facile.»

Se l’ingresso monumentale della città, un portale con due fornici denominato la porta dell’eliodromo, era sbalorditivo per la ricchezza decorativa, il loro obiettivo, ovvero un tempio a pianta circolare, lo lasciò letteralmente senza parole. Nessun edificio di Abis era minimamente paragonabile a quello, sarebbe sembrato una stalla a confronto.

«Resta qui, ti dico io quando entrare.» Attese lì diversi minuti e nel mentre osservò con molto interesse il ciclo musivo del periptero. Perse la cognizione del tempo, solo uno strattone del suo compagno di viaggio lo riportò alla realtà.

Seguì Davven all’interno dell’edificio sacro e rimase senza fiato nel vedere la scultura crisoelefantina illuminata dal fascio di luce, che entrava dall’oculum della cupola. Meraviglia, pura meraviglia, non c’era nessun’altra parola per descrivere quello che stava osservando.

«Allora, capo dei sacerdoti di Thamir, hai finito di fare il cascamorto con le ragazzine?»

Il sacerdote si voltò stupito nel sentire quella voce.

«Davven?!»

«Adda, amico mio, da quanto tempo!» E lo abbracciò.

«Mio dio, due lunghissimi anni! Finalmente sei qui! Chi è questo bel giovane accanto a te?»

«Il motivo per cui me ne sono andato, finalmente la mia ricerca è conclusa.»

«Oh, capisco. Gli hai accennato qualcosa?»

«No, ho preferito portarlo prima in questo luogo.»

«Cosa dovresti dirmi?» S’intromise Ioan.

«Seguitemi giù nelle cripte, non è saggio rimanere qui.» Disse Adda.

Ioan seguì i due uomini che facevano strada, gettò lo sguardo alla statua un’ultima volta, prima che le tenebre lo inghiottissero.

   
 
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