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Autore: Neamh Moonstar    01/12/2021    2 recensioni
Il cielo sopra di lui era una piatta tavola dalle sfumature bluastre che si estendeva oltre l'orizzonte, ancor più in là delle nuvole sulle quali era inginocchiato. Era come un blocco vuoto e spento sopra il suo capo riccioluto; una blanda superficie che scorreva tutta uguale davanti ai suoi occhi azzurri.
Eppure Azraphel non riusciva a smettere di osservarla, muovendo lo sguardo verso ogni immaginario angolo di quella volta infinita. Sapeva che qualcosa sarebbe accaduto, prima o poi.
Genere: Angst, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Guerra, Morte
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
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    “Quando non sarai più parte di me, ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle, allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.”

    - William Shakespeare, "Romeo e Giulietta"

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    Il cielo sopra di lui era una piatta tavola dalle sfumature bluastre che si estendeva oltre l'orizzonte, ancor più in là delle nuvole sulle quali era inginocchiato. Era come un blocco vuoto e spento sopra il suo capo riccioluto; una blanda superficie che scorreva tutta uguale davanti ai suoi occhi azzurri.

    Eppure Azraphel non riusciva a smettere di osservarla, muovendo lo sguardo verso ogni immaginario angolo di quella volta infinita. Sapeva che qualcosa sarebbe accaduto, prima o poi.

    Ed effettivamente, qualcosa accadde.

    Si udì un fruscio e qualcuno lo affiancò.

    «Sarebbe ora di riempire anche quest'angolo, non credi?» Disse l'alta figura in piedi alla sua sinistra.

    Quando si volse a controllare chi potesse essere, Azraphel si ritrovò d'innanzi ad un altro angelo dai lunghi capelli rossi che gli ricadevano dolcemente sulle spalle, sulla schiena e sulle grandi ali candide. Guardava verso l'alto; aveva gli occhi dorati e le palpebre ristrette ad indicare che si era messo a pensare intensamente. Una delle sue dita affusolate tamburellava contro le labbra sottili, mentre l'altro braccio magro risiedeva rilassato lungo il suo fianco. Era il ritratto della concentrazione: le sue idee si susseguivano così velocemente nella sua mente da formare leggere volute sopra il suo capo. Studiò il cielo per un lungo, interminabile minuto, come se in quella superficie monocolore ci fosse qualcosa che nessuno, se non lui, poteva scorgere.

    A giudicare dall'aurea che emanava, Azraphel capì che si trattava di un arcangelo. Un suo superiore: qualcuno che non si sarebbe mai sognato di interrompere. Attese paziente, quindi, che l'immaginazione dell'altro smettesse di galoppare impazzita attorno alle onde cremisi che costituivano la sua chioma.

    Non dovette aspettare a lungo.

    «Sai qual'è il problema?» Esclamò il rosso. «Che ho finito le idee! Abbiamo già riempito il resto del cielo con-»

Si interruppe a metà frase, girando finalmente la testa verso Azraphel e fissandolo con uno strabiliato sguardo aureo. Dovette sbattere le palpebre più volte e pensare bene a cosa dire, prima di prendere parola.

    «Ma tu brilli!» Esclamò infine.

Ci fu qualche secondo di silenzio: quello che servì ad Azraphel per capire bene di che cosa stesse parlando. Effettivamente (e ne era consapevole) tutto, dalle sue piume bianche, alla sua tunica altrettanto bianca, ai suoi riccioli biondi, splendeva di luce propria. Notò anche come ciò contribuisse ad evidenziare ed affinare i lineamenti dritti e affilati dell'altro, il quale ancora non aveva smesso di guardarlo come se stesse assistendo ad un miracolo glorioso da Lei Stessa attuato.

Drizzando ulteriormente la schiena, come ben si conveniva davanti ad un superiore, sorrise cordialmente e rispose: «Sì, in effetti è vero.»

    «Non ho mai visto nessuno brillare così! Devi essere l'unico del tuo genere. Sei nato da poco?»

    Azraphel annuì: «Proprio così.»

Il rosso spalancò appena la bocca, sorridendo a sua volta e lasciandosi cadere di peso accanto al biondo. Atterrò sulle nuvole con la stessa leggerezza di una piuma, a gambe incrociate. Qualche ciocca gli era caduta davanti alla faccia, ma decise di non spostarne nessuna.

Azraphel si fece un po' più in là, in modo che le loro due paia di ali non si intralciassero a vicenda.

    «Ogni volta mi sorprende con una creazione migliore» disse l'arcangelo. «Come ti chiami?»

    «Azraphel.»

    «E con un nome migliore, direi. Io sono Raphael, e al momento» spiegò Raphael tornando per un secondo a guardare il cielo, «sono un po' bloccato. Tu? Dico, cosa sei? Una creatura così splendente ha sicuramente un ruolo importante.»

    «A dire il vero» rispose il biondo stringendosi nelle spalle, «non ho ancora un compito. Lei mi ha detto che ricoprirò una certa posizione in uno dei suoi futuri progetti sulla Terra, quando l'avrà creata» disse, indicando un punto non ben specificato al di sotto delle nubi. «Solo che non so ancora quale sia.»

In effetti, a parte il suo nome e la sua posizione nella scala gerarchica, Azraphel non sapeva granché di se stesso; ma non aveva importanza. Tutto avrebbe acquisito un senso al momento opportuno.

    «Pensa tu» commentò Raphael, meravigliato. «Sai, alle volte mi piacerebbe tanto sapere che cosa Le passi per la mente. Vorrei poter essere del tutto partecipe delle Sue idee, dei Suoi schemi, dei Suoi piani, delle Sue ragioni... Dev'essere qualcosa di veramente spettacolare la volontà di Dio.»

Allora fu il turno di Azraphel per sbarrare gli occhi in segno non di stupore, ma di sorpresa e leggera inquietudine.

 Ogni angelo nasce sapendo una cosa: mai e poi mai provare anche solo a chiedersi quali siano i ragionamenti del Signore. Ciò che Dio fa non si discute, non si tocca e non si esplora. Nessuno sapeva che cosa sarebbe accaduto in caso contrario proprio perché nessuno si era mai azzardato ad oltrepassare quella linea. Eppure Raphael aveva smosso quel pensiero come fosse una cosa del tutto normale, con una leggerezza pericolosa.

Azraphel non era del tutto sicuro di voler affrontare quel tipo di discorso (anzi, non lo era proprio per niente). Decise così di passare oltre.

    «Su cosa sei bloccato? Parli del cielo?»

    Raphael annuì, poggiando la testa sul palmo di una mano: «Non so come disporre le stelle. Volevo che l'ultimo angolo di cielo fosse speciale, memorabile anche. Ma ormai non so più cosa inventarmi.»

    «Stelle? Dici quei puntini bianchi che si vedono in lontananza durante la notte?»

    «Esatto. Sai, i primi tempi c'era Dio ad aiutarci a crearle e diversificarle. Adesso ci siamo solo io e...» l'arcangelo concluse indicando l'infinito sopra le loro teste con un ampio movimento del braccio. 

Azraphel gli rivolse uno sguardo dispiaciuto: gli sarebbe piaciuto poter dare un consiglio concreto, ma non sapeva bene da dove iniziare. Poi ripensò al modo in cui le idee e i pensieri dell'altro si erano manifestati pochi attimi prima, dandogli la possibilità di scorgerne le ombre, e gli venne un'idea.

    «Hai un modo di pensare tutto tuo» affermò con un sorriso. «Se Lei ti ha dato questo compito, significa che hai tutte le capacità di portarlo a termine». Volse gli occhi al cielo e lo indicò con entrambe le braccia, imitando ciò che aveva appena visto fare: «Hai tantissimo spazio a disposizione. Forse puoi iniziare creando qualcosa, vedere come va e poi comportarti di conseguenza.»

Tanto bastò per far tornare una metaforica luce sulla faccia di Raphael; luce che diventava fisica ogni volta che si voltava verso il suo splendente interlocutore.

    «Sai una cosa? Hai ragione! Sei proprio bravo a dare sicurezza. Non è che sei nato per questo?»

    Azraphel fece spallucce, felice di essere stato d'aiuto. «Può essere» disse semplicemente.

Nonostante la rinnovata passione e voglia di fare, Raphael non si mise subito a fare quel che avrebbe dovuto. Rimase invece nuovamente rapito dall'altro che, dal canto suo, inclinò la testa e tacque.

Azraphel capì che Raphael era tornato a ragionare, poiché sentiva tante tacite domande e considerazioni riversarglisi dolcemente addosso. Si sentiva studiato, osservato e analizzato da quello sguardo attento e da quella mente acuta; il tutto mentre veniva accarezzato da un moto di dolcezza che gli sussurrava quanto la sua luce fosse bella, quanto Dio avesse espresso il Suo amore in lui, di quanto fosse di ispirazione per l'arcangelo in quel momento... Era come essere abbracciati senza che ci fosse effettivamente un contatto fisico.

    «Ci sono!» Esclamò l'arcangelo, infine. «Farò sì che quest'angolo di cielo brilli esattamente quanto te.»

L'altro balzò appena sul posto: «Quanto me?»

    «Esatto! In fondo, sei una delle Sue migliori creazioni. Sarà un ottimo modo di farLe sapere quanto io abbia apprezzato e per far capire agli altri quanto anche loro dovrebbero sempre apprezzare quello che crea.»

Certo, il ragionamento non faceva una piega per quanto concerneva la seconda parte. Ma Azraphel avrebbe voluto ribattere per quanto riguardava la prima, in particolare la cosa del: "Sei una delle Sue migliori creazioni", poiché non era assolutamente vero. Aveva visto bene anche qualcuno degli altri suoi (e di Raphael) superiori: loro sì che erano belli, splendenti, con tantissime ali colorate e altrettanti bellissimi occhi.

Come sempre, però, lo frenò il rispetto profondo che provava nei confronti di quell'arcangelo dai capelli di fuoco che lo aveva onorato sin dal primo istante. 

    Cambiò discorso, chiedendo: «Perciò, cos'hai intenzione di fare?»

Raphael si alzò sulle ginocchia, spostandosi interamente in modo da rivolgersi con tutto il corpo verso Azraphel, e disse: «Sta a vedere.»

Sfregò un po' le mani, facendo partire qualche innocua scintilla che si disperse nell'aria. Quando le riaprì, sui suoi palmi si era formata una bella sferetta arancione che pulsava, riluceva e riscaldava il piccolo spazio che si era formato tra le due creature celesti.

    «Questa è una stella?» Chiese Azraphel rapito dalla potenza che sentiva risiedere nel nucleo della piccola creazione di Raphael.

    «Non ancora. Quando questa piccoletta ascenderà, diventerà molto, molto ma molto più grande e la sua luce viaggerà fino a noi finchè Morte non la vorrà per sé. Non so che dimensioni raggiungerà: ho sempre lasciato che facessero da sé. So solo che, entro i confini del Sistema Solare, non possono diventare più grandi del Sole... altrimenti il nome della galassia non avrebbe senso, no?» 

A spiegazione terminata, l'arcangelo guidò la sua creazione verso l'alto, e lui ed Azraphel la seguirono con lo sguardo finché non prese posto nel cielo. Sola, distante, ma già una grande differenza rispetto alla monotonia di qualche secondo prima; almeno, così parve agli occhi del più giovane dei due.

    «È molto bella» affermò.

    L'altro scosse la testa: «Ma non alla tua altezza.»

Azraphel si mise nervosamente a giocherellare con le nuvole sotto le sue ginocchia, provando un moto di imbarazzo e nervosismo.

    «Non dovrebbe essere alla mia altezza, ma alla Sua» disse mentre cercava di evitare, per la prima volta in modo volontario, di incontrare lo sguardo dell'altro.

    «Oh, credimi, ci abbiamo provato. RaggiungerLa è impossibile» disse Raphael, rimettendosi subito a lavoro. «L'idea delle stelle ci è venuta guardando i Suoi occhi. Abbiamo tentato di replicarli e sono venute fuori le galassie, ma non erano la stessa cosa. La tua lucentezza, invece, viene sempre da Lei ed è decisamente più nelle mie corde. Vorrei, almeno per una volta, renderLe omaggio come si deve.»

Guardando un'altra stella prendere il volo, affermandosi subito come molto più grande e luminosa dell'altra, Raphael sospirò e così fece Azraphel.

    «Sono certo che Lei sia già più che felice del tuo operato» affermò quest'ultimo. «Se non lo fosse, te lo farebbe di certo capire.»

    «Non è Lei ad essere infelice, Azraphel» confessò l'arcangelo, iniziando a sfregarsi le mani per la terza volta. «Temo di esserlo io.»

    Una creatura di Dio... Infelice?

Suonava così male nella testa di Azraphel che l'angelo decise di non pensarci, o almeno di provare a non pensarci. Era sbagliato.

Sbagliato. Ecco: tutto ciò che andava contro ciò che Dio avrebbe voluto era esattamente quello. Era sbagliato.

Scosse la testa riccioluta, fissandosi sulle ormai numerose luci che si stavano raggruppando sull'angolo di volta celeste sopra di loro. I movimenti di Raphael si fecero dapprima incerti, poi nervosi, poi svogliati. Il suo sguardo smise di osservare l'angelo di luce con stupore e passò a guardarlo con serietà e una certa stanchezza. 

 La tavola bluastra si fece sempre più bella, decorata di tanti puntini multicolori, ma niente di ciò che vi si unì pareva soddisfare l'arcangelo.

    «Guarda questa» disse ad un certo punto Azraphel, indicando la stella che Raphael aveva appena formato. «È più rossa dei tuoi capelli.»

    L'altro ridacchiò: «È vero. Credo di essere stato un po' violento con lei.»

    «Penso mi piaccia più delle altre. Posso?»

Azraphel aveva timidamente allungato un dito verso la sfera e Raphael gliel'aveva prontamente avvicinata. 

    «Certo che puoi» disse d'istinto. «Occhio, è calda.»

Lo era davvero, e l'angelo non poté fare a meno di notare che in lei risiedeva parte del nervosismo del suo creatore. Era alimentata dal senso di frustrazione e dal fallimento: due cose anch'esse sbagliate, Azraphel ne era certo. 

Cercò così di infonderle un po' di calma, sfiorandola con i polpastrelli. Certo non si aspettava una reazione... Che invece avvenne.

La neo stella divenne bianca. Candida come le nuvole, splendente come le loro ali.

    Raphael la fissò, gli occhi dorati pieni di rinnovato stupore: «Come hai fatto?»

    «Ho solo pensato che se fosse stata più tranquilla, avrebbe brillato di più» si giustificò l'altro. Era il suo primo miracolo, pensò, e non era male. Aveva cambiato un astro in meglio e lo aveva fatto per venire incontro ad un superiore, un amico, un fratello.

L'arcangelo guidò la piccola palla infuocata verso il cielo e la osservò mentre prendeva posto. 

Fu allora che la sua mente elaborò la trovata.

    Prese le mani di Azraphel tra le sue, esclamando: «Ho un'altra idea!»

    L'altro sbatté gli occhi, sorpreso: «Ovvero?»

    «Dovresti provare a crearne una tu.»

La separazione fu così repentina da fare male. Le mani dell'angelo erano scivolate via dal quelle dell'altro per attorcigliarsi l'una all'altra, e la stessa luce della quale era composto parve tremare come una fiamma al vento. A Raphael la cosa non piacque proprio per niente, nel senso che tutta la sua essenza parve ritrarsi e iniziare a piangere. Fu terribile.

    «Ma non posso!» Esclamò Azraphel. 

    «Certo che puoi. Non hai ancora un ruolo: puoi fare quello che vuoi.»

 Raphael lo disse con sicurezza ma non ne era per niente sicuro. Una cosa era certa: voleva che Azraphel ci provasse. Voleva vedere l'aspetto di una sfera di fuoco, di luce, nascere da una creatura fatta essa stessa di luce. 

La luce. La prima cosa che Dio aveva creato e che aveva riversato in un unico, meraviglioso essere; lo stesso che adesso lo guardava insicuro e terribilmente spaventato. Lo stesso che solo esistendo lo aveva stupito, meravigliato, incitato, sostenuto e che gli aveva fatto compagnia mentre cambiava quella triste, ultima tavola di notte. 

 Era diverso da coloro con i quali aveva parlato ultimamente e diverso dagli altri arcangeli. Era solo lui: l'unico fatto in quel modo. Era l'inizio di uno dei tanti progetti di Dio e aveva così tante potenzialità...

    «Facciamo così» disse infine l'arcangelo, riprendendo con delicatezza le mani dell'altro. «Facciamo che è un ordine.»

    «Un ordine da parte tua?»

Azraphel non parve per nulla sollevato, ma Raphael già se l'aspettava, così continuò:

    «Sì, un ordine da parte mia. Ho anche questo compito e tu, ma tanto lo sai bene quanto me, sei un mio sottoposto. Perciò, ti ordino di provarci.»

    Un sorriso furbetto e trionfante riempì la sua faccia immacolata e Azraphel, dopo essersi ristretto nelle spalle, aver spostato più volte il peso sulle ginocchia, essersi mordicchiato nervosamente un labbro ed essere tornato a guardarlo, disse: «Va bene. Come devo fare?»

Fu più facile del previsto.

A Raphael bastò guidare i movimenti e il resto venne da sé. Presto, tra le mani morbide dell'angelo, apparve una fiamma che andò arrotolandosi su se stessa fino a divenire una sfera candida, perfetta e così tanto brillante da fondersi con l'aura stessa del suo creatore.

Fu così che, seppur per un attimo, quella piccola area tra le nubi si illuminò a giorno, illuminando anche le due figure angeliche che vi risiedevano a pochi centimetri l'una dall'altra. Dopodiché, la bella stella bianca prese da sola la sua via verso la volta celeste, come se sapesse già quello che doveva fare.

In mezzo alle altre era così evidente, così fiera, così visibile... Talmente tanto che Raphael si alzò in piedi di scatto e la indicò con gli occhi dorati ricolmi di gioia.

    «È perfetta!» Esclamò. «È stupenda. Lei ne sarà così fiera!»

Azraphel era rimasto dov'era, ancora non ben conscio di ciò che aveva appena fatto. Aveva tanti pensieri in testa e ancora non sapeva bene se fossero positivi o meno. Aveva appena creato una stella senza che gli fosse detto che poteva farlo.

Senza che gli fosse detto che NON poteva farlo.

    Si guardò le mani, stralunato. Poi chiese: «Dici davvero? Pensi che Le piacerà?»

    «La adorerà!» Esclamò l'arcangelo spalancando le ali per la gioia. «Scommetto che diventerà importante.»

Azraphel guardò la sua piccola creazione e sorrise. In realtà non pensava sarebbe stata così rilevante in futuro, ma sicuramente pensava che fosse davvero carina. Inoltre, Raphael sembrava così felice... Renderlo felice gli riusciva facile e lo faceva sentire bene. Tanto male non poteva essere, soprattutto dopo la confessione di poco prima.

    Infelice.

    «Non mi resta che finire il lavoro» disse il rosso ricadendo sulle nubi e riprendendo a creare con rinnovata passione.

Azraphel rimase a guardare mentre l'ultimo angolo di cielo veniva riempito di stelle, scie, colori e corpi celesti, alcuni così lontani da essere a malapena visibili. Era uno spettacolo unico e mozzafiato.

 L'universo aveva finalmente un tetto e al centro di esso vi era una bella stella bianca.

    «Che ne pensi?» Chiese Raphael a lavoro terminato.

    L'altro si mise una mano sul petto, contemplando l'opera: «Sono senza parole. Davvero, hai fatto un lavoro splendido.»

    «No, mio caro. "Abbiamo" fatto un lavoro splendido.»

    «Non che io abbia fatto granché...»

    «Ah-ah» ammonì l'arcangelo mettendo un dito sulle labbra di Azraphel per zittirlo. «Taci e prenditi il merito che ti spetta. Vuoi?»

Non lo disse con effettiva rabbia. Anzi, sorrideva e il suo sguardo splendeva alla luce dell'angelo al suo fianco (e adesso anche alla luce delle stelle).

Tacquero entrambi, i loro volti rapiti da quell'angolo di infinito che avevano condiviso e riempito. Il silenzio li avvolse finché non fu nuovamente Raphael a prendere parola, battendosi una mano sulla coscia.

    «Stenditi» disse in tono accogliente. «Vedrai meglio.»

 Azraphel lo guardò dapprima dubbioso, poi cambiò finalmente e lentamente posizione, capendo cosa l'arcangelo volesse da lui.

 Poggiò cautamente la testa sulla gamba dell'altro, come se la sua essenza avesse un peso e potesse effettivamente dargli fastidio. Perché le ali non lo intralciassero, le avvolse attorno a sé come una coperta e notò con meraviglia quanto il cambio di prospettiva avesse effettivamente stravolto tutto.

Ora aveva una visione molto più completa sia della "sua" piccola creazione che della volta nella sua interezza.

    «Avevi ragione» commentò con un sorriso. «Mi piace osservarlo così.»

    Gli angeli avevano un modo tutto loro di approcciarsi gli uni agli altri. Quando tra loro non distavano interi strati gerarchici di Paradiso, erano soliti stare insieme, vicini, perennemente uniti. Volavano assieme, si prendevano per mano, si prendevano vicendevolmente cura delle loro arruffatissime piume. Non era strano per loro far risonare l'Amore di cui erano fatti attraverso gesti di mutuo affetto.

Non fu strano per Raphael iniziare a sgrovigliare i perfetti riccioli di Azraphel, così come non fu strano per Azraphel lasciare che l'arcangelo glieli sistemasse e godesse del loro brillio.

    «Sono felice che ti piaccia» disse il rosso facendo scivolare le lunghe dita attraverso le candide ciocche dell'altro. «Anche Lei lo amerà, me lo sento» ripeté con un filo di voce.

    Infelice.

Quella parola risuonò nuovamente nella mente di Azraphel, il quale spostò lo sguardo per incontrare, per quanto possibile data la posizione, quello di Raphael. 

Effettivamente, c'era qualcosa che non andava in quelle pozze dorate. L'angelo fatto di luce non avrebbe saputo dire che cosa fosse, ma non chiese. 

Per l'ennesima volta decise di tacere e, coccolato dai gentili gesti che gli accarezzavano il capo, di godersi il momento.

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