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Autore: EleAB98    03/12/2021    3 recensioni
Malcom Stone è un pretenzioso caporedattore, nonché affascinante quarantenne con una fissa smodata per le belle donne. Ma arriverà il giorno in cui tutto cambierà e l'incallito casanova sarà costretto a fare i conti con i propri demoni interiori, e non solo quelli... Riuscirà mai a guardare oltre l'orizzonte? Ma soprattutto, chi lo aiuterà nell'ardua impresa?
[...]
Gilberto Monti è un giornalista affermato. Oltre a ricoprire una posizione lavorativa più che soddisfacente, ha appena esaudito uno dei suoi più grandi sogni: sposare la donna che più ama. Ma è davvero tutto oro quello che luccica?
[...]
Alex Valenza, un reporter piuttosto famoso, è alle prese con una drammatica scoperta che lo porterà a chiudersi, a poco a poco, in se stesso. A nulla sembra valere il supporto della moglie. Riuscirà a ritrovare la serenità perduta?
*Opera Registrata su Patamù*
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo XVIII – Non posso più volare

Mercoledì
 
 

Affogai per ben due ore in un mare di fumo. Il mio mare. Per l'ennesima volta, aspirai a tutta forza il filtro della mia fidata sigaretta, ma lo stato di stress in cui riversavo non accennava a placarsi. La verità è che non riuscivo ancora a crederci. Non riuscivo proprio a credere che fosse capitato a me. Che mi fossi fatto fregare in quel modo. Che avessi aperto il mio cuore più del dovuto a una donna che non lo meritava. Che ci avessi fatto persino l'amore.
Ero stato un vero idiota.
Estrassi il cellulare dalla tasca, senza un valido motivo. Ritrovarmi solo soletto nella hall come un pezzente non rientrava nei miei piani. Mi sentivo come se mi avessero sbattuto fuori dalla mia comfort zone, mi sentivo un derelitto. Sfarzosi lucernari, divani Chesterfield – il cui nome, tra l'altro, mi ricordava un marchio di sigarette che acquistavo ben volentieri –, pavimenti in parquet. Tutto, intorno a me, risplendeva di luce. Mentre io mi sentivo spento come non mai. Ma una focosa rabbia mi accendeva. E continuava ad alimentare una pericolosa fiamma dentro di me. 

Nell'istante in cui avevo spento l'ennesima sigaretta, avevo riconsegnato la card al receptionista e avevo detto addio a quell'albergo dal gusto squisitamente fiorentino. Poi, avevo cercato delle informazioni sul conto di Megan Rossi. Lavorava nella redazione del suo stesso padre. Ma qualcosa mi diceva che non si sarebbe fatta trovare tanto facilmente. Provai a richiamare, coltivando la piccola speranza che mi rispondesse il caporedattore della testata di cui Megan era responsabile.

«Pronto?»

«Ehm... buongiorno, signor Baldini. Potrei chiederle gentilmente se Megan Rossi è in servizio oggi? Io sarei un suo collega.»

«Veramente no. Ha chiesto una settimana di aspettativa. Ieri mattina, però, ha fatto capolino nel suo ufficio per scrivere e pubblicare un articolo.»

Sorrisi, amaro. Sapevo benissimo di cosa stesse parlando. Megan l'aveva fatto davvero. Non c'era più alcun dubbio. «Per caso le ha detto dove andava?»

«Purtroppo no, mi dispiace.»

«D'accordo, la ringrazio. Buona giornata.»

«A lei.»

Richiusi il telefono e sospirai. Per me, quella giornata sarebbe stata tutt'altro che buona. Dove potevo rintracciare Megan?
Decisi di giocare a carte scoperte. Ripresi il cellulare e digitai il suo numero, cliccando quei tasti con rinnovata energia. Dopo un paio di squilli, partì la segreteria. «Vigliacca del cazzo!»

Decisi di mandarle un messaggio via WhatsApp. Non contento, gliene mandai anche uno tradizionale. 

Ti devo parlare. Potresti dirmi dove ti sei cacciata?  

Il Diavolo veste Prada 2.

Mi firmai in quel modo perché non volevo assolutamente che lei mi considerasse un idiota. Io, a differenza di lei, avevo le palle. E non mi riferivo certo a quelle palle.

Dopo qualche minuto, sorprendentemente, ricevetti risposta. 

Sono nel tuo ufficio. Ti aspetto qui.

Nel mio ufficio? Quella poco di buono nel mio ufficio?! Decisi di chiamare un taxi seduta stante, quindi raggiunsi l'aeroporto. Presi il primo volo disponibile per Los Angeles. Senza fiatare, mi ritrovai a guardare il paesaggio fuori dal finestrino circolare del velivolo. Sarebbe stato così semplice se lei non mi avesse lasciato. O se anche io avessi lasciato questo mondo. Vivere senza di lei era stato dissacrante, e chissà quanto altro inferno mi aspettava. Il colpo infertomi da Megan era stato davvero forte. Mi aveva messo completamente k.o. Perché dal momento esatto in cui l'avevo conosciuta, tutti i miei dèmoni erano tornati a farmi visita. Melissa era tornata a farmi visita. Lei non se ne era mai andata. Si trovava ancora lì, dentro al mio cuore spezzato. E forse, stavo ancora vivendo solo per lei.

Non appena scesi dall'aereo, mi ritrovai a pochi metri dall'agenzia di mio padre. Notai in lontananza il mio capo, che mi fece un cenno con la mano. Mi avvicinai a lui e, come prima cosa, mi diede un forte abbraccio. Il suo cipiglio non tradiva severità alcuna, a differenza del modo con cui mi aveva trattato al telefono. «Mi dispiace tanto, Malcom», quelle parole mi fecero venire un groppo in gola. «La mia reazione è stata alquanto eccessiva. Non avrei dovuto attaccarti così, credo proprio che sia Megan a doverci dare delle spiegazioni. Sai, io credo fermamente nei principi della deontologia giornalistica, e pensavo che... sì, insomma, pensavo che Megan fosse una persona onesta. Ma mi è bastato pochissimo per tornare sui miei passi. Tuo padre era la persona più integerrima che avessi mai conosciuto. Mi spiace tanto averti attaccato, mi sono lasciato sopraffare dall'istinto. Mi puoi perdonare?»

Ruppi l'abbraccio, sollevato. Gli occhi verdi di Ryan tradivano immensa tristezza. La barba sfatta, occhiaie profonde, capelli scompigliati. Quasi mi sembrò di rivedermi allo specchio, soltanto invecchiato di almeno una quindicina d'anni. «Tranquillo, è tutto a posto. Non potrei mai avercela con te.»

«Invece no. So che non è tutto a posto. Ma devi assolutamente parlare con—»

«Ci sto andando proprio adesso.» Sospirai.

«Ho sempre ammirato tuo padre, e lo sai», ripeté Ryan, scusandosi ancora una volta con me. «Sul momento, mi sono lasciato prendere dal panico, però... però sono sicuro che ci sia stato solo un terribile malinteso.» Sorrise, incoraggiante. «Questa valigia dalla a me.» Me la sfilò con dolcezza dalle mani. «Lei ti sta aspettando.»

«Lo so.» Tesi la mascella, quindi digrignai i denti di conseguenza. Senza perdere altro tempo, mi avviai di corsa nel mio ufficio. Non appena aprii la porta, vidi Megan girata di spalle; guardava chissà cosa dalla finestra ed era perfettamente immobile.

Il mio battito di mani la fece sussultare. «Ma brava!» le dissi, senza distogliere lo sguardo dalla sua figura.

Lei si girò di colpo. E quello che vidi mi sembrava ben diverso dall'espressione di puro trionfo che immaginavo dipinta sul suo volto. Ma non per questo mi ammorbidii. Che i tratti del mio viso fossero tesi potevo ben percepirlo, senza contare il senso di profonda delusione che, mio malgrado, mi colpì tutto insieme. «E così ci sei riuscita. Hai ottenuto quello che volevi! Perché? Perché tutto questo, eh? Me lo spieghi?»

Lei non ribatté. «Esigo una risposta», incalzai.

Silenzio.

Quel silenzio che mi stava facendo imbestialire. Serrai le nocche. «Cos'è, adesso non hai nulla da dirmi? Parla, cazzo!»

«Tuo padre era un impostore», si limitò a dire lei, scandendo per bene le parole. Il suo cipiglio tornò severo. «E tu non sei da meno!»

«Cos'è, ti sei sentita presa in giro? Ti senti presa in giro perché ho avuto l'ardito coraggio di pronunciare il nome della mia defunta moglie durante la nostra scopata? Perché solo di questo si trattava, no? Un'insignificante scopata», esalai, gelido.

Megan spalancò gli occhi. Non se l'aspettava. Decisamente.

«Esatto. Proprio così. La mia puttana, come l'hai definita tu ieri sera, non è stata altro che mia moglie. La donna più importante della mia vita. Quella con cui avevo deciso di passare il resto della mia esistenza. Quella che non potrei mai smettere di amare, nemmeno tra cent'anni. Nemmeno se vivessi altre mille vite. Ma tu che cazzo ne vuoi sapere dell'amore, eh? Tu che cosa ne sai?! Tu non conosci nient'altro che la menzogna, le macchinazioni, i complotti. Tu non conosci altro che questo. Ma non voglio parlare di me, adesso. Io voglio sapere perché. Perché hai fatto questo proprio a lui

«Doveva essere fatta giustizia!» tuonò Megan, guardandomi a malapena negli occhi.

Persi la pazienza e mi avvicinai a lei. Le presi il mento tra le mani e la costrinsi a guardarmi. Per un momento, colsi un guizzo di spavento nei suoi occhi ambrati. «La mia agenda», le dissi, certo che avrebbe capito. La lasciai andare, quindi le permisi di raccattarla dalla sua borsa. Me la porse senza complimenti. Gliela strappai di mano e, nello stringerla, non provai la consueta sensazione di conforto che sempre mi aveva suscitato. Megan l'aveva profanata.

«E ora spiegami bene. Quali sono le prove concrete che ti hanno spinta a scrivere quell'insulso articolo diffamatorio?»

«Non ti è bastato quanto scritto sul giornale?» domandò lei con rinnovata sfacciataggine.

«Un vero giornalista non si ferma alle apparenze. Sono certo che tu ti sia sbagliata sul conto di Zack Stone.»

«Mio padre si è suicidato per colpa sua!» esplose lei, in un misto di rabbia e nervosismo. «La sua carriera è stata rovinata dall'articolo che Zack Stone aveva scritto nei suoi riguardi! E affermare il contrario non ti farà sentire meglio!»

«Nemmeno vendicarti, se è per questo! Ma te lo ripeto, Megan. Riuscirò a dimostrare che ti sbagli. E lo farò oggi stesso. Esigo che tu venga con me. A casa mia.»

«Che cosa? Io a casa tua?! Ma è ridicolo!»

«Hai ragione. Tutto questo è assolutamente ridicolo. Per non dire triste. Ma non puoi sfuggire al destino, Megan. E il destino ha scelto te. Ora non puoi tirarti indietro. Vuoi davvero vederci chiaro su questa storia? Oppure ti è bastato appellarti alla mia agenda per far ricadere tutto su mio padre? Be', a ben pensarci... credo che a te sia bastato eccome. Assieme al tuo non considerarmi particolarmente carino e simpatico, e questo ci può stare. Ma che si tocchi mio padre...» – scandii per bene le ultime parole – «Questo non posso proprio accettarlo.» Il mio tono di voce non ammetteva repliche, ed ero più che sicuro che lei l'avesse capito. Il suo sguardo, da inespressivo che era, si fece pensieroso. Avevo più volte visto quell'espressione sul suo viso, e tuttora mi chiedevo cosa le stesse passando per la testa. Senza indugiare oltre, estrassi un bigliettino dalla tasca. «Questo è l'indirizzo di casa mia. Ci vediamo lì tra mezz'ora. Non un minuto di più, non uno di meno. Questa volta, le regole le faccio io.» E detto questo, richiusi con veemenza la porta dell'ufficio alle mie spalle.

 

Specificai a mia madre che una collega di lavoro sarebbe venuta a farmi visita tra meno di dieci minuti. Non appena ero atterrato a Los Angeles, mi aveva telefonato per sapere come stessi, e io, al solito, avevo fatto un grande sforzo per mantenere il controllo, senza che trapelasse alcunché. Poco prima di ripartire, mi ero presentato nuovamente a casa sua per salutarla, e non solo. Avevo raccolto qualche prova che avrei sbattuto in faccia a Megan con immenso, stupendo piacere. Lei non sapeva ancora contro chi avesse deciso di combattere. Ero tuttora ferito, ma non per questo potevo lasciarmi abbattere. Ero più forte di quanto Megan potesse credere.
Quando il campanello suonò, andai immediatamente ad aprire. Accoglierla in casa mia non mi fece per niente piacere, ma la pregai di accomodarsi sul divano.

«Tu credi davvero che mio padre non sia stato leale col tuo, non è così?» La mia fu una domanda retorica, e lei lo capì al volo. Non fiatò. «Be', allora guarda tu stessa.» Estrassi un plico di fogli dalla mia ventiquattrore.

Li prese con sospetto. Ma a un certo punto, il suo sguardo si tinse di una sorpresa assoluta. E forse, anche di un barlume di imbarazzo. «Non è possibile...» mormorò, il suo sguardo diviso tra me e lo scritto. «Non può essere vero!»

«Questi fogli non sono stati creati sul momento. E lo sai anche tu. Sono talmente ingialliti da essere stati scritti ben quindici anni fa. Poco prima che mio padre morisse...» Megan spalancò la bocca. «Ho fatto delle indagini poco prima di tornare. Stranamente, la risoluzione del caso Stone è stata più che immediata. Mio padre è stato il primo a scrivere un articolo di cronaca inerente agli imbrogli di Benito Rossi. Degli imbrogli che poi, effettivamente, non si sono rivelati altro che un tentativo di screditarlo. E sono andati a buon fine soltanto per un motivo. Mio padre non ha fatto in tempo a pubblicare l'articolo in cui si rimangiava tutto, scusandosi per il suo errore. Purtroppo è stato colto da un malore che gli ha impedito di scriverlo. Di prosciogliere il signor Rossi dalle pesanti accuse che gli avevano rivolto. Quella che hai tra le mani è la bozza dell'articolo. Non è completa, quindi presumo che... che mio padre si sia sentito male proprio nel momento in cui lo stava scrivendo. La morte di papà è arrivata prima che... prima che lui potesse rendere giustizia a Benito.» Percepii una fitta al cuore. Non era facile per me riportare a galla quei ricordi. «Non capisco perché nessun altro si sia occupato di farlo al posto suo e—»

«Zack Stone è stato l'inizio di tutto. Dalla pubblicazione del suo articolo, tutti gli altri giornalisti lo hanno seguito a ruota e reiterato quelle accuse ingiuste. Ma poi, a processo finito... nessuno si è prodigato nel dedicargli un articolo che potesse riportarlo in carreggiata. Hanno dedicato una miriade di articoli alla memoria di tuo padre, mentre il mio si è sentito abbandonato. E questo l'ha condotto al suicidio.» Il volto di Megan tornò a oscurarsi. «Mia madre è morta dopo qualche anno. E io sono rimasta completamente sola al mondo.»

Mi alzai di scatto. Ero fuori di me. «Questo è tutto quello che sai dire?! Sai di aver fatto una stronzata eppure continui a riempirti la bocca con le tue ragioni del cazzo! Non sei stata l'unica a soffrire, perdio! Ti sei comportata da perfetta egoista. Mio padre non aveva nessuna colpa e tu l'hai infangato senza remore! E scommetto pure che sapevi che fosse morto proprio quando il tuo caro papà era stato scagionato da tutte le sue accuse! Ma tu... tu sei andata avanti senza curarti delle circostanze. Hai semplicemente accettato di starmi dietro con la scusa di occuparti di un caso di cui non ti fregava un accidente. E tutto per incastrare lui... e quindi me. Tutto per vendicarti di un qualcosa che non è stato possibile controllare. Si è trattata di una maledetta coincidenza. Ma tu l'hai trasformata in cospirazione. E tutto questo per cosa? Volevi ferire me? Volevi ferire il mio ego? Oppure volevi vendicarti perché l'altra notte ho pronunciato il nome di—»

«Sta' zitto!» reclamò Megan, piccata. Si alzò dal divano con uno scatto nervoso.

«La verità fa male, non è vero Megan? Ti fa male che io, sin dal primo momento in cui ti ho vista, non ho fatto altro che ricondurre la tua immagine a quella di Melissa. Sì... è andata proprio così e non credo sia giusto nascondertelo. Ieri sera, l'ho capito chiaramente. Hai sempre avuto delle caratteristiche che, del tutto inconsciamente, associavo alla mia defunta moglie. E non parlo di una semplice fisicità, o almeno non solo. Parlo della tua essenza. Di quella che non è mai esistita, ma dalla quale ero stato abbagliato come una falena. Ora che ho scoperto la tua vera natura, non posso che constatare di essermi sbagliato su di te. Tu dici di essere rimasta sola...» Sorrisi con amarezza. «Vuoi sapere come sono rimasto io? Da un momento all'altro, mi sono ritrovato senza una moglie e senza una figlia. Sì, Melissa aspettava una bambina. Ci siamo sposati il 7 settembre del 2010, e lei è morta il giorno stesso del matrimonio.» Sentii la mia voce incrinarsi, gli occhi appannarsi. Non riuscivo nemmeno più a distinguere i contorni della stanza. Mi voltai di spalle, insofferente alla vista di Megan. «Avevamo scoperto che era incinta soltanto qualche mese prima. E quando ci siamo sposati lei era quasi al quarto mese. Eravamo mano nella mano e sorridevamo felici, in procinto di tornare a casa dopo una bella festa, quando... quando all'improvviso, mentre attraversavamo sulle strisce pedonali – il semaforo era verde –, ci siamo guardati un attimo negli occhi e... il suo sorriso è stata l'ultima cosa che ho visto di lei. La macchina ci ha presi in pieno. Avrei giurato che si fosse fermata al verde, ma a quanto pare non era così. C'era un ubriaco a bordo. Sul momento pareva essersi fermato, poi ha premuto di nuovo su quel maledetto acceleratore, a quanto pare. Io sono sopravvissuto, ma lei... lei è morta sul colpo. Anche se... io sento di essere morto con lei. E non so nemmeno come abbia fatto a non farla finita davvero.» Per quanto lo volessi, non riuscii a trattenere il fiume di lacrime che, da un momento all'altro, mi investì con una forza inaudita. Riuscii a ricompormi prima del previsto, quindi mi voltai verso la donna che non si era fatta scrupolo a rovinarmi il resto della vita. Nei suoi occhi vidi una tristezza senza precedenti. E mi sembrò persino di vedere l'ombra di un senso di colpa, emozione che conoscevo benissimo. «Va' via», esalai, con assoluta freddezza. «Non voglio vederti mai più.»

Giurai di aver visto qualche lacrima scenderle sulle guance poco prima che uscisse, con la coda tra le gambe, da casa mia, senza dire una parola. Sapeva di non poter replicare. O meglio, sapeva quanto fosse inutile parlare in circostanze come quelle.
Mi lasciai ricadere di peso sul divano. Almeno per quella giornata, avrei tanto voluto chiudere gli occhi per convincermi che il tutto fosse stato un brutto sogno.
Rimasi a fissare il vuoto per chissà quanto tempo. Raccontare quel dolore a voce alta mi aveva prosciugato.

   
 
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