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Autore: Josy_98    07/12/2021    2 recensioni
Quando Chirone la costrinse ad iscriversi alla Yancy Academy per aiutarlo a tenere d'occhio un probabile mezzosangue particolarmente potente, Avalon sapeva già che fosse una pessima idea. Ne era certa. E glielo disse, convinta più che mai che fosse una mossa totalmente sbagliata e che tutto sarebbe cambiato. Non necessariamente in meglio.
Da anni, infatti, tentava in tutti i modi di restare nell'ombra, lasciando ad altri il compito di occuparsi dei problemi divini, far avverare profezie e compiere imprese, limitandosi ad osservare il tempo scorrere senza interferire e rimanendo in disparte nonostante i diversi tentativi degli altri - mortali e divini - di coinvolgerla in ogni modo.
Purtroppo, però, quella volta non riuscì a restarne fuori come avrebbe voluto.
E, quando le cose si complicheranno, Avalon tenterà in tutti i modi di non distruggere quell'intricato lavoro che ha portato avanti in quegli anni, cercando inevitabilmente di salvare quel flebile e incerto futuro in cui lui sopravvive. Con la paura di non riuscirci.
Perchè, Avalon lo sapeva, lei aveva sempre ragione. Finchè non prendeva una decisione.
|Riscritta!|
|Allerta Spoiler!!|
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Castellan, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nei giorni seguenti, ripresi le mie normali attività: tiro con l’arco, corsa d’allenamento, lotta, combattimento, arrampicata, canottaggio e tante altre occupazioni. Il solito insomma. Con la differenza che Chirone mi aveva chiesto di badare un po’ a Percy. Questo stava a significare che le lezioni le facevo con lui, e che passavo molto meno tempo con i miei amici. Non che mi dispiacesse, sia chiaro, ma i capigruppo e i semidei più anziani lo tenevano d’occhio per cercare di capire chi fosse suo padre. E tenevano d’occhio anche me in cerca di un segno che li avrebbe potuti aiutare a capirlo, dato che io sapevo ma facevo di tutto per non dirlo.
Ce n’eravamo accorti entrambi ma, a differenza mia, lui non ci era abituato e si sentiva un po’ sotto pressione. Il fatto, poi, che io lo sapessi e non volessi dirlo nemmeno a lui aveva reso le cose un po’ tese tra di noi, ma era solo perchè lui non capiva. Così come gli altri. Solo Chirone, Dioniso, Annabeth e Luke non cercavano in tutti i modi di farmi vuotare il sacco, avevano accettato la mia frase “quando sarà il momento lo saprete” senza troppe storie, e ora sembravano in attesa che quel momento arrivasse.
Annie aveva persino cercato di spiegare a Percy il motivo per cui non dicevo chi fosse suo padre, ma dubitavo che avesse capito; dopotutto di me non sapeva abbastanza per comprendere una cosa del genere.
Nonostante tutto, però, vedevo che il campo gli piaceva. Si era abituato alla nebbia mattutina sulla spiaggia, dove spesso sapeva che mi avrebbe trovata a dormire, al profumo dei campi di fragole scaldati dal sole del pomeriggio e perfino agli strani versi dei mostri che la notte si levavano dal bosco. Cenava con la casa undici, mentre io mi spostavo da una casa all’altra come mio solito, gettava la sua porzione di cibo nel fuoco e cercava di non pensare troppo a Sally, ma lo vedevo spesso pensieroso e capii presto che continuava a rimuginare: se gli dei e i mostri erano reali, se tutta quella roba magica era possibile, di certo doveva esserci un modo per salvarla, per riportarla indietro… peccato che io non potessi ancora dirgli niente, per quanto avrei voluto farlo.
Per il resto cercavo di passare la maggior parte del mio tempo libero con Luke e Annabeth, a volte insieme e a volte il compagnia di uno o dell’altra, per recuperare il tempo che avevamo passato lontani, quando io ero costretta ad andare alla Yancy. Mi avevano aggiornato sulle novità del campo: i nuovi arrivati, la cronaca dettagliata delle varie partite di Caccia alla Bandiera che avevano fatto, chi si era lasciato con chi e chi si era messo con chi.
I pettegolezzi erano stati offerti da Silena, la capogruppo dei figli di Afrodite, che mi aveva trovata un giorno nella stalla a coccolare i pegasi e si era fermata a chiacchierare tutto il pomeriggio. Era stato piacevole. A differenza degli altri suoi fratelli, non era una ragazza superficiale interessata solo alla moda e ai bei ragazzi. A Silena piacevano tante altre cose, ed era una cavallerizza fantastica. Era una ragazza dolce, solare e sempre gentile con tutti. Ed era bellissima, ovviamente. Non so quanti ragazzi le andavano dietro, ma lei non li filava di striscio. Doveva ancora arrivare quello che avrebbe smosso il suo interesse, parole sue. Non si risparmiò commenti su Luke e me, prevedibile, ma era il suo campo e lo aveva fatto con una delicatezza tale da impedirmi di arrabbiarmi. Diceva che un affiatamento come il nostro fosse raro da trovare in due persone, che era tipico di una coppia predestinata, di quelle che si amano alla follia, e che riusciva a vedere l’amore che ci legava. Disse di essere certa che saremmo finiti insieme, prima o poi.
Io non ne ero così sicura.
 

****

 
Giovedì pomeriggio, cinque giorni dopo l’arrivo di Percy al Campo Mezzosangue, lo portai alla sua prima lezione di combattimento con la spada. Tutti i ragazzi della casa undici si riunirono nella grande arena circolare, dove io e Luke gli avremmo fatto da istruttori. Quella stessa mattina il figlio di Ermes mi aveva chiesto se potevo assisterlo nella lezione e non potei dire di no. Non quando Travis e Connor, alle sue spalle, mi pregavano di accettare facendo facce idiote e con la speranza di assistere a un nostro combattimento dimostrativo. Quindi mi ritrovai ad alzare gli occhi al cielo con espressione divertita e ad accettare, mentre Luke colpiva i suoi fratelli dietro la nuca per farli smettere di fare gli idioti.
Cominciammo la lezione con i colpi di base, usando dei manichini imbottiti e vestiti in armatura greca. Percy non era male, per essere alle prime armi. Aveva dei buoni riflessi.
Il problema era che non riusciva a trovare la spada giusta. O erano troppo pesanti, o troppo leggere, o troppo lunghe. Luke fece del suo meglio per sistemarlo, ma alla fine dovette arrendersi e dargli ragione: nessuna delle spade di allenamento sembrava adatta a lui. Io lo consolai, dicendogli che avrebbe trovato quella giusta, prima o poi.
Passammo ai duelli. Luke sarebbe stato il compagno di Percy, dal momento che era la sua prima volta, mentre io avrei solamente assistito.
«Buona fortuna.» gli augurò uno degli altri. «Luke è uno dei migliori spadaccini degli ultimi trecento anni. Solo Avalon lo batte.»
«Forse con me ci andrà piano.» replicò Percy, facendolo ridacchiare.
Luke gli mostrò stoccate, parate e blocchi con lo scudo, andandoci giù pesante. A ogni colpo, Percy era sempre più malconcio.
«Tieni la guardia alta, Percy.» lo incitavo io da fuori tiro, e poi Luke lo picchiava sulle costole con il piatto della lama. «No, non così in alto!» Spat! «Affonda!» Spat! «Adesso indietro!» Spat!
Quando annunciammo la pausa, Percy era fradicio di sudore. Tutti si accalcarono verso il frigo delle bevande, e io ne porsi una sia a Luke che a Percy. Il biondo se la versò quasi tutta in testa e Percy lo imitò. Lo vidi rinascere, non sembrava più nemmeno stanco.
«Okay, gente, in cerchio!» ordinò Luke scambiandosi un sorriso con me. «Se a Percy non dispiace, vorrei farvi una piccola dimostrazione.»
I ragazzi di Ermes fecero capannello, soffocando i sorrisi, e anche qualche lamento perché speravano in una dimostrazione mia e del biondo. Spiegai loro cosa stava per succedere: Luke gli avrebbe mostrato una tecnica di disarmo: piegare la lama dell'avversario con il piatto della spada e costringerlo a lasciar cadere l'arma.
«È difficile.» sottolineò lui. «L’hanno usata contro di me.» tutti gli occhi dei ragazzi finirono su di me, facendomi sorridere.
«Colpevole.» confermai facendoli sghignazzare. «Quindi non ridete di Percy, adesso. La maggior parte degli spadaccini deve faticare anni per impadronirsi di questa tecnica.» conclusi prima di lasciare spazio ai due combattenti.
Luke mostrò la mossa al rallentatore. E, come previsto, la spada di Percy finì a terra.
«Ora in tempo reale.» continuai, quando recuperò l'arma. «Andate avanti finché uno di voi due ci riesce. Pronto, Percy?»
Lui annuì e Luke si fece avanti. In qualche modo, Percy riuscì a impedirgli di colpire l'elsa della sua spada. Notai che riusciva a prevedere i suoi attacchi e a respingerli. Fece un passo avanti e tentò un affondo. Luke lo schivò facilmente, ma vidi un cambiamento nell'espressione del suo viso. Mi lanciò un’occhiata, a cui io annuii capendo le sue intenzioni, e lo mise alla prova con maggior foga.
A un certo punto, dopo parecchi secondi di combattimento, Percy provò la tecnica di disarmo.
La lama della sua spada colpì la base di quella di Luke e lui fu svelto a piegare il polso, facendo leva con tutto il suo peso verso il basso.
Clang.
L'arma di Luke rimbombò sulla pietra. La punta della lama di Percy era a un paio di centimetri dal suo petto indifeso.
Sorrisi.
Gli altri ragazzi erano ammutoliti.
Percy abbassò la spada. «Ehm, scusa.»
Per un attimo, Luke sembrò troppo sbigottito per parlare.
«Scusa?» il suo viso sfregiato si aprì in un sorriso. «Per gli dei, Percy, perché mi chiedi scusa? Fammelo vedere di nuovo!»
Vedevo Percy titubare, ma Luke insistette e io non mi opposi.
Stavolta, non ci fu gara. Nell'istante in cui le lor spade si toccarono, Luke colpì l'elsa e la lama di Percy volò sul pavimento.
Dopo una lunga pausa, qualcuno del pubblico disse: «La fortuna del principiante?»
Io scossi la testa mentre Luke si asciugava il sudore dalla fronte e mi lanciava un’occhiata di sottecchi. Poi squadrò Percy con un interesse del tutto nuovo. 
«Forse.»  rispose. «Ma mi chiedo cosa saprebbe fare con una spada bilanciata.»
Gli occhi dei ragazzi finirono tutti su di me, in attesa di un commento che gli avrebbe dato modo di saperne di più. Che idioti, sapevano che non mi sarei sbottonata nemmeno su una cosa così insignificante.
«Chi lo sa.» risposi facendoli sbuffare.

 
****

 
Venerdì mattina Luke mi trovò seduta a gambe incrociate sulla spiaggia che fissavo il mare, persa nei miei pensieri.
Mi si sedette accanto. «Hai saltato la colazione.»
Sospirai, smuovendo la sabbia con le mani, ma rimasi in silenzio.
Luke sovrappose le sue mani alle mie, fermandole. «Lys… cosa c’è che non va?»
«Niente.» risposi appoggiando la testa sulla sua spalla e riprendendo a osservare il mare. «Siamo insieme. Non c’è niente che non va.»
Lui sospirò.
«Vedo che qualcosa non va. Ti conosco, Lys. È da quando sei tornata che qualcosa ti turba. E sono sicuro che tu sia venuta sulla spiaggia tutte le notti, da quando sei di nuovo al Campo.» mi avvolse la vita con un braccio, sistemando la sua testa sulla mia. «Vorrei solo sapere come farti stare meglio.»
Sospirai di nuovo, beandomi di quel momento e di come mi faceva sentire in pace, consapevole che la pace sarebbe svanita fin troppo presto.
«Sai che mi piace dormire sulla spiaggia. E che le Arpie me lo permettono.» osservai.
«Ma so anche che il mare ti rilassa quando hai troppi pensieri per la testa.» fu lui a sospirare. «Non mi piace vedere quell’espressione sul tuo volto. Ti prego, dimmi come aiutarti.»
«Restiamo così ancora un po’.» lo pregai. «Insieme. Tranquilli. Come se il resto del mondo non esistesse.»
Lui mi strinse un po’ più forte, lasciandomi un leggero bacio sulla tempia. «Per tutto il tempo che vuoi, Lys.»
 

****

 
Quel pomeriggio portai Percy al laghetto, dove ora eravamo seduti con Grover, per permettergli di riprendersi dall'esperienza quasi mortale del muro d'arrampicata. Lui si era inerpicato fino in cima come una capra di montagna, ma Percy era stato quasi investito dalla lava. Non fosse stato per me, che lo avevo acchiappato al momento giusto, avremmo avuto un bell’arrosto di semidio. Avevamo entrambi dei buchi fumanti sulla maglietta e a lui si erano inceneriti i peli degli avambracci.
Eravamo sul molo e guardavamo le Naiadi che intrecciavano canestri sott'acqua, finché Percy chiese a Grover come fosse andato il colloquio con il signor D.
La sua faccia assunse subito un brutto colorito giallognolo e io sospirai, già messa al corrente da Dioniso in persona.
«Bene.» rispose lui. «Alla grande.»
«Grover…» mormorai.
«Così la tua carriera è ancora sui binari?»
Lui guardò Percy con una certa apprensione. «Chirone t-ti ha detto che voglio una licenza da cercatore? O gliel’hai detto tu, Avie?»
«Beh, no.» rispose Percy, anticipandomi. «Mi hanno spiegato solo che avevi grandi progetti e che dovevi completare un incarico come custode per guadagnare credito. Insomma, ce l'hai fatta?»
Grover chinò lo sguardo sulle Naiadi, che non ci degnavano di un’occhiata. «Il signor D ha sospeso il giudizio. Ha deciso che non si può ancora stabilire se con te io abbia avuto successo oppure no, perciò i nostri destini sono legati. Se ti fosse assegnata un'impresa e io venissi con te per proteggerti, e se tutti e due tornassimo qui sani e salvi, allora forse considererebbe il mio lavoro concluso.»
«Beh, non è tanto male, no?» commentò Percy.
«Bee-bee! Tanto valeva spedirmi direttamente alla pulizia delle stalle. Le possibilità che ti venga assegnata un'impresa... e anche se fosse, perché dovresti volermi con te?»
«Ma certo che ti vorrei con me!»
Grover continuava a fissare l'acqua con la faccia cupa. «Intrecciare canestri... Dev'essere bello avere un compito utile.»
«Finiscila Grover!» sbottai io, incapace di vederlo in quello stato.
Percy cercò di rassicurarlo sui suoi molteplici talenti, ma riuscì solo a rattristarlo di più. Parlammo di canottaggio e di spade per un po', poi discutemmo dei pregi e dei difetti delle varie divinità. Alla fine, Percy ci chiese delle quattro case vuote.
«La numero otto, quella d'argento, appartiene ad Artemide.» risposi io. «Ha fatto voto di castità. Perciò, naturalmente, niente bambini. La capanna è onoraria. Se non ne avesse avuta una, si sarebbe infuriata. Io non ci dormo mai, per rispetto verso i suoi voti, nonostante potrei.»
«E va bene. Ma le altre tre in cima? Sono quelle dei Tre Pezzi Grossi?»
Io e Grover ci irrigidimmo. Ci stavamo avvicinando a un argomento scottante. «No. La numero due è di Era.» spiegò Grover. «Un'altra questione onoraria. È la dea del matrimonio, perciò naturalmente non se ne va in giro a intrecciare relazioni con i mortali. È un passatempo che lascia a suo marito. Quando parliamo dei Tre Pezzi Grossi, parliamo dei tre potenti fratelli, figli di Crono.»
«Zeus, Poseidone e Ade.»
«Esatto. Lo sai. Dopo la grande battaglia con i Titani, hanno ereditato il mondo dal padre e hanno tirato a sorte per decidere a chi spettasse cosa.» continuai io.
«Zeus ha avuto il cielo.» disse Percy. «Poseidone il mare, Ade gli Inferi.»
«Mmh-mmh.»
«Ma Ade non ha una casa qui al campo?»
«No. Non ha nemmeno un trono sull'Olimpo. Se ne sta giù negli Inferi per i fatti suoi, per così dire. Se avesse una casa qui.» Grover rabbrividì. «Non sarebbe piacevole. Diciamo così.»
«Non ne sarei così sicura.» mormorai io.
«Ma Zeus e Poseidone avranno avuto, che so, un fantastilione di figli secondo i miti. Perché le loro capanne sono vuote?»
Grover agitò gli zoccoli, imbarazzato. «Una sessantina di anni fa, dopo la Seconda guerra mondiale, i Tre Pezzi Grossi stabilirono di comune accordo di non generare più altri eroi. I loro figli erano troppo potenti. Stavano influenzando in modo decisivo il corso degli eventi dell'umanità, causando troppe carneficine. La Seconda guerra mondiale in pratica è stata una battaglia fra i figli di Zeus e Poseidone da una parte, e i figli di Ade dall'altra. I vincitori, Zeus e Poseidone, obbligarono Ade a un giuramento comune: mai più relazioni con donne mortali. E tutti e tre giurarono sulle rive dello Stige.»
Il rombo di un tuono.
«Il giuramento più serio in assoluto.» commentò Percy.
Grover annuì.
«E i fratelli hanno mantenuto la parola? Niente figli?»
La faccia di Grover si rabbuiò e fui io a continuare. «Diciassette anni fa, Zeus c'è cascato di nuovo. C'era questa stellina della tv con i capelli cotonati, anni Ottanta, e non ha saputo resistere. Quando la loro figlia è nata, una bambina di nome Talia... beh, lo Stige non scherza sulle promesse. A Zeus è andata liscia perché è immortale, ma fu gettata una maledizione terribile su sua figlia.»
«Ma non è giusto! Non era colpa della bambina.»
Grover esitò lanciandomi un’occhiata. Sapeva che non avevo detto esattamente la verità, ma non protestò. «Percy, i figli dei Tre Pezzi Grossi hanno poteri più grandi degli altri mezzosangue. Hanno un'aura forte, un profumo che attrae i mostri. Quando Ade scoprì della ragazza, non fu molto contento che Zeus avesse infranto il giuramento e sguinzagliò i mostri peggiori del Tartaro per eliminarla. All'età di dodici anni le fu assegnato un satiro come custode, ma lui non poté fare niente. Cercò di scortarla qui insieme a un paio di altri mezzosangue con cui aveva stretto amicizia. Ce l'avevano quasi fatta. Arrivarono fino in cima a quella collina.» indicò in fondo alla valle, verso il pino dove avevamo combattuto il Minotauro. «Avevano le tre Benevole alle calcagna, oltre a un branco di segugi infernali. Li avevano quasi raggiunti, quando Talia ordinò al satiro di portare in salvo gli altri due mezzosangue, mentre lei tratteneva i mostri. Era ferita e stanca e non desiderava vivere come un animale braccato. Il satiro non voleva lasciarla, ma non riuscì a farle cambiare idea e doveva comunque proteggere gli altri. Perciò Talia combatté la sua ultima battaglia da sola, in cima a quella collina. I rinforzi dal Campo non arrivarono in tempo, anche se erano preparati.» io distolsi lo sguardo, puntandolo sulle increspature dell’acqua. «Quando morì, Zeus ebbe pietà di lei. La trasformò in quel pino. Il suo spirito aiuta ancora a proteggere i confini della valle. Ecco perché la collina si chiama Collina Mezzosangue.»
Scrutai il pino in lontananza. Ci passavo almeno una volta al giorno, e rimanevo seduta con la schiena appoggiata al suo tronco per un tempo imprecisato ogni volta, il senso di colpa che mi logorava.
«Grover.» chiese Percy. «Gli eroi hanno davvero compiuto delle imprese negli Inferi?»
«Qualche volta.» rispose lui. «Orfeo. Ercole.»
«Houdini.» aggiunsi io.
«E hanno mai riportato qualcuno dal mondo dei morti?»
«No. Mai. Orfeo c'è andato vicino. Percy, non starai pensando sul serio…»
«Certo che no.» mentì lui, e anche male. «Dicevo così per dire. E dunque, i satiri svolgono sempre il compito di custodi dei semidei?»
Grover lo studiò con sospetto, ma io gli feci cenno di lasciar perdere.
«Non sempre. Andiamo sotto copertura in un sacco di scuole. Cerchiamo di scovare i mezzosangue che hanno la stoffa dei grandi eroi. Se ne troviamo uno con un'aura molto forte, come un figlio dei Tre Pezzi Grossi, allertiamo Chirone. Lui cerca di tenerli d'occhio, perché potrebbero causare problemi gravi.»
«E tu hai trovato me. Chirone ha detto che pensavi che potessi essere speciale.»
Grover lo guardò come se lo avesse appena incastrato.
«Io non... Oh, ascolta, non ragionare così. Se tu fossi... lo sai... non ti verrebbe mai e poi mai assegnata un'impresa, e io non otterrei mai la mia licenza. Probabilmente sei figlio di Ermes. O forse di una divinità minore, tipo Nemesi, la dea della vendetta. Non ti preoccupare, okay?»
«Fossi in voi, non ci penserei adesso.» commentai. «E poi ti ricordo, Grover, che Nemesi è una donna.»
«E allora?»
«Il genitore divino di Percy è il padre.»
 

****

 
Quella sera, dopo cena, c’era molta più eccitazione del solito.
Finalmente, era l'ora della Caccia alla Bandiera.
Quando portarono via i vassoi, la conchiglia suonò e noi ci alzammo in piedi davanti ai tavoli.
Tra le grida e gli applausi generali, Annabeth e due dei suoi fratelli entrarono di corsa nel padiglione portando uno stendardo di seta. Era lungo all'incirca tre metri, grigio e luccicante, con il dipinto di una civetta appollaiata sopra un ulivo. Dal lato opposto del padiglione, Clarisse e i suoi entrarono di corsa con un altro stendardo, di grandezza identica, ma rosso e sgargiante, con una lancia insanguinata e la testa di un cinghiale dipinte sopra.
Percy si girò verso Luke e me, che quella sera avevo di nuovo cenato con loro, e gridò per farsi sentire nel chiasso: «Sono quelle le bandiere?»
«Sì.» confermò Luke.
«Ares e Atena sono sempre a capo delle squadre?»
«Non sempre.» risposi io. «Ma spesso.»
«E se è un'altra casa a prendere la bandiera, che fate, la ridipingete?»
Noi sorridemmo. «Vedrai. Prima dobbiamo riuscirci.» rispose Luke.
«Tu da che parte stai?»
Il biondo gli rivolse un'occhiata furba, come se sapesse qualcosa che lui non sapeva. Al bagliore delle torce, la cicatrice sul suo viso lo fece apparire quasi malvagio. «Abbiamo stretto un'alleanza temporanea con Atena. Stanotte, ruberemo la bandiera di Ares. E tu ci aiuterai.»
Annunciarono le squadre. Atena aveva stretto alleanza con Apollo ed Ermes, le due case più grandi. A quanto pareva, avevano ottenuto il loro sostegno barattando una serie di privilegi: orari delle docce, servizi di pulizia, gli spazi di allenamento migliori. Niente di così nuovo o scandaloso, era usanza comune stringere alleanze in questo modo.
Ares si era alleato invece con tutti gli altri: Dioniso, Demetra, Afrodite ed Efesto. I figli di Dioniso erano bravi atleti, ma ce n'erano soltanto due. I figli di Demetra ci sapevano fare con la natura e la vita all'aria aperta, ma non erano molto aggressivi. Quelli di Afrodite di solito si tenevano fuori da ogni attività e passavano il tempo a specchiarsi nel laghetto, ad acconciarsi i capelli e a spettegolare. I figli di Efesto non erano oggettivamente belli ed erano solo in quattro, ma erano grossi e corpulenti per via delle ore trascorse in officina. Charles Beckendorf, il loro capocasa, era il tipo di persona che io definivo un orsetto gommoso con le spine: grande e grosso ma buono come una caramella, era in grado di stendere chiunque con un colpo bel assestato. E i suoi fratelli non erano da meno. Potevano essere un problema per gli avversari. Questo, naturalmente, tralasciando la casa di Ares: una decina dei ragazzi più grossi, brutti e cattivi di Long Island, o di qualsiasi altro posto sulla faccia del pianeta.
Chirone batté lo zoccolo sul marmo.
«Eroi!» gridò. «Conoscete le regole. Il ruscello è la linea di confine. L'intera foresta è campo libero. Tutti gli oggetti magici sono concessi. Lo stendardo deve essere collocato in bella vista e non può avere più di due guardie. I prigionieri si possono disarmare, ma non si possono legare né imbavagliare. Vietato uccidere o ferire gli avversari. Io fungerò da arbitro e da medico di campo. Avalon sarà l’altro medico di campo e hagios. Alle armi!»
Di colpo i tavoli si coprirono di equipaggiamento: elmi, spade di bronzo, lance, scudi di cuoio rivestiti di metallo.
«Hagios?» domandò Percy.
«Quella che se ne va in giro per il campo senza preoccuparsi di essere attaccata da qualcuno. Chi lo fa si becca la squalifica. Sono letteralmente inviolabile, non accessibile ai combattenti.» commentai sogghignando. «E, se voglio, posso interferire.» rivelai con un luccichio furbetto negli occhi. «Per movimentare un po’ le cose, sai.»
«Questo è il ruolo che ha di solito.» commentò Luke. «Probabilmente è per questo motivo che non sta mai con una delle due squadre: si diverte a fare da rompiscatole universale.» scosse la testa sorridendo e io lo colpii sul braccio.
Stavo sorridendo anch’io e non mi preoccupai di nasconderlo. Dopotutto era vero: mi divertivo da morire a mettergli i bastoni tra le ruote. Era capitato diverse volte che mi intromettessi proprio quando una squadra stava per vincere e lo impedissi, riportando la bandiera al punto di partenza. Gli altri ragazzi me ne dicevano dietro di ogni, per questo, ma alla fine della partita si complimentavano sempre per le mie mosse assurde e ammettevano che si divertivano un sacco a cercare di prevedere cosa avrei combinato.
«Cavolo.» esclamò Percy osservando i tavoli. «Vogliono davvero che usiamo questa roba?»
Luke lo guardò come se fosse pazzo. «A meno che tu non voglia farti infilzare dai tuoi amici della capanna cinque. Tieni, prendi questi. Chirone ha pensato che ti possano andare. Sarai di pattuglia al confine.»
Lo scudo era grande come un tabellone da basket, con un grosso caduceo nel mezzo. L'elmo, come tutti gli elmi della squadra di Atena, aveva un pennacchio di crine azzurro in cima.
Quello di Ares e dei loro alleati era invece rosso.
Io ne indossavo uno bianco e nero, come i miei capelli, così nessuno mi avrebbe confuso con una delle due squadre.
Annabeth gridò: «Squadra azzurra, avanti!»
Loro esultarono e agitarono le spade, quindi la seguirono lungo il sentiero che portava a sud del bosco. La squadra rossa li coprì di insulti prima di allontanarsi verso nord. Io feci un cenno a Chirone, poi affiancai Annabeth.
Percy ci raggiunse senza inciampare nel suo equipaggiamento. «Ehi!»
Noi continuammo a marciare.
«Allora, qual è il piano?» chiese lui. «Non hai un oggetto magico da prestarmi»
Annie si portò subito la mano alla tasca, come se temesse che le avesse rubato qualcosa. E io sapevo esattamente cosa.
«Attento alla lancia di Clarisse.» lo avvisai. «Meglio non farsi toccare da quell'aggeggio.»
«Per il resto, non preoccuparti. Prenderemo la bandiera di Ares.» continuò Annie. «Se Avie non ce lo impedisce…» aggiunse con uno sbuffo. «Luke ti ha assegnato il tuo incarico?»
«Sono di pattuglia al confine, qualunque cosa significhi.»
«È facile. Rimani al ruscello e tieni i rossi alla larga. Per il resto, lascia fare a me. Atena ha sempre un piano.»
E andò avanti dopo avermi lanciato un’occhiata, piantandolo in asso.
«Okay.» borbottò il ragazzo. «Grazie di avermi voluto nella tua squadra.»
Io sorrisi. «Non prendertela, Percy. Annie è fatta così, ma ha ragione: Atena ha sempre un piano, e anche lei ne ha uno. Quindi abbi fiducia in lei e non fare caso al suo comportamento di adesso; è solo impegnata con tutta la strategia della battaglia.»
Percy annuì, confortato dalle mie parole.
Era una notte calda e afosa. Il bosco era buio, tranne per il bagliore intermittente delle lucciole. Una volta arrivati al confine, un ruscello che gorgogliava fra le rocce e si inoltrava con gli altri fra gli alberi, in ordine sparso, lo salutai dicendo che avrei fatto un giro per il campo di battaglia, per vedere di mettere in difficoltà qualcuno prima ancora dell’inizio della partita. Lui mi diede della perfida con un sorriso e io mi allontanai ridendo. In realtà non andai molto lontano, mi limitai a fare un giro attorno al ruscello, tenendo sempre d’occhio la sua postazione. Lo vedevo a disagio, con l’elmo e lo scudo a cui non era per niente abituato. E sicuramente la spada non era giusta per lui ed era troppo pesante. Chissà quando avrei potuto parlargli senza preoccuparmi di misurare ogni parola come facevo con tutti…
In lontananza, si levò il richiamo della conchiglia. Sentii strepiti e grida di guerra nel bosco, il clangore del metallo, il rumore dei ragazzi che combattevano. Un alleato di Apollo con il pennacchio azzurro sfrecciò accanto a Percy come un cerbiatto, superò il ruscello con un balzo e scomparve nel territorio nemico senza notarmi.
Poi sentii un suono che mi fece salire un brivido lungo la schiena, un basso ringhio canino, poco lontano alla mia destra, e compresi subito di cosa si trattasse. Sbiancai, andai in fretta in quella direzione e dopo pochi passi vidi la creatura che puntava Percy voltarsi nella mia direzione. Quando mi mise a fuoco, indietreggiò e scomparve nella boscaglia, ma sapevo che sarebbe tornato. Dopotutto, non aveva finito il suo compito.
Nel frattempo cinque guerrieri di Ares erano balzati fuori dal buio, gridando e osservando Percy.
«A morte il pivello!» strillò Clarisse.
Mi dava le spalle, ma ero sicura che i suoi occhi mandassero lampi di morte. Brandiva una lancia lunga un metro e mezzo, con la punta metallica e uncinata che mandava scintille di luce rossastra. I suoi fratelli erano armati solo con spade di bronzo d'ordinanza... nessuno di loro era degno di ricevere un regalo da papino, a quanto pareva.
Dopo qualche secondo in cui studiarono la situazione, si lanciarono tutti e cinque alla carica attraversando il ruscello.
Percy riuscì a schivare il primo fendente, ma quei ragazzi non erano stupidi come il Minotauro. Lo circondarono, e Clarisse gli assestò un colpo con la lancia. Percy deviò la punta con lo scudo, ma con l'impatto gli arrivò una scossa che gli fece vibrare tutto il corpo e rizzare i capelli. Lo notai anche a distanza. L'aria scottava, ed ero sicura che adesso avesse il braccio insensibile. Scossi la testa: gliel’avevo detto di stare lontano da quell’affare. Quella dannata lancia era elettrica.
Vidi Percy indietreggiare e un altro figlio di Ares gli rifilò una botta in pieno petto con l'impugnatura della spada; lui cadde a terra.
Avrebbero potuto farlo a pezzi, ma erano troppo occupati a ridere.
«Dategli una rapata.» ordinò Clarisse. «Prendetelo per i capelli!»
Percy riuscì a rimettersi in piedi. Alzò la spada, ma Clarisse la colpì con la lancia e lo costrinse ad abbassarla di lato, mentre volavano scintille. Ora aveva sicuramente tutte e due le braccia insensibili.
«Oh, mamma.» lo derise Clarisse. «Che paura mi fa questo marmocchio. Davvero tanta paura…»
«La bandiera è da quella parte.» le disse lui, di rimando.
«Sicuro.» replicò uno dei suoi fratelli. «Ma vedi, a noi non ce ne importa un accidenti della bandiera. Ci importa molto di più di un ragazzino che ci ha fatto fare la figura degli stupidi.»
«Questo vi riesce benissimo anche da soli.» rispose lui.
Io alzai gli occhi al cielo: non sapevo se il suo fosse coraggio o stupidità.
Gli si avvicinarono in due e lui arretrò verso il ruscello, tentando di alzare lo scudo, ma Clarisse fu troppo veloce. Gli infilzò la lancia in mezzo alle costole. Se non avesse indossato l'armatura, lo avrebbe trafitto come un kebab allo spiedo, ma visto che ce l'aveva, la punta elettrica si limitò a fargli tremare tutti i denti. Poi uno degli altri gli sferrò un fendente sul braccio, lasciandogli un bel taglio.
Alla vista del sangue vidi Percy sbiancare e io mi decisi a palesare la mia presenza. A differenza di qualcun altro.
«Vietato ferire.» commentai tranquilla uscendo fuori dalla boscaglia e fermandomi vicino al ruscello.
«Oops.» rispose il tipo. «Credo di avere appena perso il privilegio del dolce, questa sera a cena.»
Diede una spinta a Percy e lo fece atterrare in mezzo al ruscello, tra gli spruzzi d'acqua e a qualche passo da me. I figli di Ares scoppiarono a ridere.
«Veramente hai perso molto di più.» ribattei guardandolo ferma.
Quando Clarisse e la sua banda entrarono nel ruscello per agguantare Percy io mi intromisi, pur non muovendo un passo. «Basta così, Clare. Vi siete divertiti abbastanza.» ma lei non mi ascoltò. Io sospirai. «Come vuoi. Io ti ho avvertito.»
Nel frattempo Percy si era alzato in piedi e li aspettava. Io gli feci l’occhiolino e dal suo sguardo compresi che sapeva cosa fare. Colpì la testa del primo ragazzo con il piatto della spada, facendogli volare via l'elmo e crollare in acqua.
Il Ceffo Numero Due e il Ceffo Numero Tre si fecero avanti. Il primo venne colpito in faccia con lo scudo, mentre al secondo Percy tagliò di netto il pennacchio con la spada. Se la diedero a gambe tutti e due. Il Ceffo Numero Quattro non moriva più dalla voglia di attaccare, ma Clarisse avanzava imperterrita, la punta della lancia crepitante di elettricità. Non appena si slanciò in un affondo, Percy bloccò la lancia, con il bordo dello scudo e la spada, e la spezzò come un ramoscello.
«Ah!» gridò lei. «Maledetto! Verme schifoso!»
«Oh, Clarisse, proprio non ci arrivi…» mormorai io con un lieve sorriso sul volto.
Probabilmente gli avrebbe detto anche di peggio, ma Percy le assestò un colpo in mezzo agli occhi con l'impugnatura della spada e lei arretrò vacillando fin fuori dal ruscello. Poi sentimmo delle grida di trionfo e vedemmo Luke che correva verso la linea di confine tenendo alto lo stendardo della squadra rossa. Un paio dei figli di Ermes gli coprivano le spalle, seguiti da un gruppetto di Apollo che respingeva la difesa di Efesto. Quelli di Ares si rimisero in piedi e Clarisse mugugnò un'imprecazione stordita.
«Un trucco!» protestò osservandomi, come in cerca di una conferma. «Era un trucco!»
Io alzai le spalle. «Sai che non posso dire niente delle tattiche, darei vantaggio alle squadre e non sarebbe giusto.»
I figli di Ares cercarono goffamente di intercettare Luke, ma era troppo tardi. Confluirono tutti al ruscello, mentre Luke entrava di corsa in territorio amico passandomi accanto con un enorme sorriso soddisfatto.
La squadra blu esultò.
In uno scintillio di luce tremolante, lo stendardo rosso diventò d'argento. Il cinghiale e la lancia furono rimpiazzati da un enorme caduceo, il simbolo della casa undici. Tutti i ragazzi della squadra azzurra sollevarono Luke sulle spalle, portandolo in trionfo. Chirone sbucò al trotto dal bosco e soffiò nella conchiglia.
La partita era finita. I blu avevano vinto.
Stavo per unirmi ai festeggiamenti, quando la voce di Annabeth, tra me e Percy, disse: «Niente male, eroe.»
Ci voltammo entrambi, ma lei non c'era. Io sorrisi.
«Dove diavolo hai imparato a batterti in quel modo?» chiese Annie.
Ci fu uno scintillio nell'aria e lei si materializzò con un berretto da baseball in mano, come se se lo fosse appena tolto.
«Mi hai usato.» protestò Percy. «Mi hai piazzato qui perché sapevi che Clarisse sarebbe venuta a cercarmi, mentre hai mandato Luke ad aggirarli di fianco. Avevi calcolato tutto. E tu lo sapevi.» concluse rivolto a me.
Annabeth alzò le spalle. «Te l'ho detto. Atena ha sempre, sempre un piano.»
«Un piano per farmi polverizzare.»
«Ho fatto più in fretta che ho potuto. Stavo per buttarmi nella mischia, ma…» alzò di nuovo le spalle. «Non avevi bisogno di aiuto. E poi c’era Avie, quindi non avrebbero mai fatto niente di irreparabile.»
Poi notò il suo braccio. «Come hai fatto?»
«È una ferita da taglio.» rispose. «Secondo te?»
«No. Era una ferita da taglio.» lo corressi ancora con il sorriso sulle labbra. «Guarda.»
Il sangue era sparito. Nel punto in cui prima c'era la ferita, adesso si notava un lungo graffio bianco, che stava svanendo a sua volta. Si trasformò in una piccola cicatrice e infine scomparve sotto i nostri occhi.
«Io... io non capisco.»
Annabeth stava ragionando in fretta. Riuscivo quasi a vedere gli ingranaggi del suo cervello in movimento. Posò prima lo sguardo sui suoi piedi, poi sulla lancia di Clarisse, infine su di me che sorridevo ancora. Ero sicura che mi si leggesse la verità in faccia ormai, non ero riuscita a trattenere la mia espressione, e lei doveva aver intuito qualcosa, perchè disse: «Esci dall'acqua, Percy.»
«Cosa?»
«Fallo e basta.»
Io annuii sotto il suo sguardo confuso e lui uscì dal ruscello, seguito da me che lo presi al volo mentre stava quasi per cadere.
«Oh, Stige.» imprecò Annabeth. «Questa non è una buona cosa. Non volevo… supponevo che si trattasse di Zeus…»
«Ah, credimi Annie, Zeus l’ha rifatto davvero, ma non è Percy.» commentai io beccandomi un’occhiata scioccata da parte sua e una confusa da Percy. «Niente domande. Non dovevo dirlo.» aggiunsi, consapevole di aver parlato troppo.
Prima che potessero anche solo pensare di farmene sentimmo di nuovo quel ringhio canino, ma molto più vicino di prima. Un ululato squarciò la quiete della foresta.
Le grida di esultanza si spensero all'istante. Chirone gridò qualcosa in greco antico che compresi perfettamente: «Tenetevi pronti! Il mio arco!»
Annabeth sguainò la spada. E io mi voltai nella direzione da cui proveniva l’ululato, mentre Percy si rimetteva in piedi.
In cima alle rocce, proprio sopra di noi, c'era un segugio nero grande quanto un rinoceronte, con gli occhi incandescenti come lava e le zanne affilate come pugnali. Lo stesso che avevo mandato via poco prima con la mia presenza.
E stava guardando Percy.
Nessuno si mosse, tranne Annabeth che strillò: «Percy, scappa!»
Cercò di mettersi davanti a lui, ma io fui più svelta. Il segugio infernale la superò con un balzo — un'ombra gigantesca munita di zanne — e non appena mi toccò, non appena caddi all'indietro su Percy e sentii i suoi artigli affilatissimi che mi trafiggevano, ci fu come una cascata di colpi sordi, simili a molti pezzi di carta strappati l'uno dietro l'altro. Sul collo del segugio spuntò un grappolo di frecce. Il mostro cadde morto ai miei piedi.
Mi voltai subito verso Percy, ignorando le mie ferite, e mi preoccupai delle sue. Lo osservai: alcuni colpi avevano evitato il mio corpo ed erano finiti su di lui, aveva un brutto taglio sul petto che esaminai.
Chirone trottò al nostro fianco, l'arco in una mano, la faccia cupa.
«Di immortales!» esclamò Annabeth. «Era un segugio infernale dei Campi della Pena. Loro non dovrebbero…»
«Lo ha evocato qualcuno.» dissi io. «Qualcuno all'interno del campo.»
Luke si avvicinò con lo stendardo dimenticato in una mano, il suo momento di gloria ormai spento e lo sguardo preoccupato fisso su di me.
Clarisse gridò: «È colpa di Percy! È stato Percy a evocarlo!»
«Silenzio, figliola.» l'ammonì Chirone.
«Ti faccio notare che lui non sa nemmeno come si fa.» aggiunsi.
Osservammo il corpo del segugio infernale trasformarsi in un'ombra scura, intridere la terra e svanire senza lasciare traccia.
«Sei ferito.» notò Annabeth. «Presto, Percy, entra in acqua.»
«Sto bene.»
«Non è vero.» ribattei. «Non ti ha mancato del tutto. Entra in acqua.»
«Chirone, guarda.» continuò Annie.
Percy tornò nel ruscello, mentre tutto il campo si radunava attorno a noi.
Si sentì subito meglio, era evidente dalla faccia che aveva ripreso colore. La ferita che aveva sul petto cominciò a rimarginarsi. Alcuni dei ragazzi rimasero a bocca aperta.
«Sentite, io non so perché succede.» disse a disagio, cercando di giustificarsi. «Mi dispiace.»
«Oh, ma io sì.» dissi a mia volta guardandolo. «E non hai niente di cui scusarti, fa parte dei tuoi poteri.»
«Cosa?» domandò lui osservando prima me e poi gli altri in cerca di una spiegazione.
Ma loro non stavano più guardando le sue ferite. Fissavano qualcosa sopra la sua testa.
«Percy.» fece Annabeth, indicando. «Ehm…»
Quando alzammo lo sguardo, il segno cominciava già a svanire ma riuscivamo ancora a distinguere l'ologramma di luce verde che roteava e luccicava. Una lancia a tre punte: un tridente.
«Tuo padre.» mormorai quasi gongolando.
Ero sollevata. Almeno non dovevo più mantenere il segreto. Questo segreto, per lo meno.
«Questa non è affatto una buona cosa.» aggiunse Annabeth.
«Determinato.» annunciò Chirone.
Attorno a noi, i ragazzi del campo cominciarono a inginocchiarsi, perfino quelli della casa di Ares, anche se non sembravano molto contenti di farlo. Io feci lo stesso.
«Mio padre?» chiese Percy, esterrefatto.
«Poseidone.» specificai ovvia.
«Scuotitore della Terra e delle Lande Marine, Signore dei Cavalli. Ave, Perseus Jackson, figlio del dio del mare.» continuò Chirone.
Poi ci rialzammo, chi incredulo, chi sconvolto e chi perfettamente tranquillo (solo io) e decidemmo di andare a dormire.
«Benvenuto a casa, Mollusco.» gli dissi con un sorriso.
Feci a malapena un passo prima di crollare a terra suscitando esclamazioni sorprese nei ragazzi. Avevo ignorato le ferite del segugio infernale che mi ero presa al posto di Percy e nessun altro ci aveva fatto caso, troppo presi dalla scoperta di chi fosse suo padre, ma ora se n’erano accorti tutti.
Mi diedi mentalmente dell’idiota per essermi messa in mezzo nonostante sapessi che Percy sarebbe sopravvissuto comunque. Dovevo ancora capire perchè l’avessi fatto, dato che mi ero giurata in ogni modo possibile che me ne sarei rimasta sempre e comunque in disparte, a prescindere dai fatti che sarebbero accaduti. Era stato un gesto totalmente istintivo e ancora più insensato di cui non mi capacitavo.
Non ebbi il tempo di fare mente locale, però, che sentii qualcuno sollevarmi e dopo qualche secondo sprofondai nell'incoscienza con l’immagine di un paio di occhi blu visibilmente preoccupati e di un ciuffo di capelli biondo sabbia nella mente.
   
 
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