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Autore: Melabanana_    08/12/2021    2 recensioni
A un certo punto della storia che conosciamo, in tutto il globo terrestre hanno cominciato a nascere bambini con poteri sovrannaturali, dando inizio alla generazione dei "portatori di doni". Assoldati dalle "Inazuma Agency" come agenti speciali, Midorikawa e i suoi coetanei dovranno lottare contro persone disposte a tutto pur di conservare e accrescere il proprio potere. Ma possono dei ragazzini salvare il mondo?
Avvertimenti: POV in 1a persona, AU, forse OOC, presenza di OC (secondari).
Questa storia è a rating arancione per via delle tematiche trattate (violenza di vario grado, morte, trauma, occasionale turpiloquio). Ho cercato di includere questi temi con la massima sensibilità, ma vi prego comunque di avvicinarvi alla materia trattata con prudenza e delicatezza. -Roby
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Jordan/Ryuuji, Xavier/Hiroto
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Spy Eleven -Inazuma Agency '
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abbiamo riso insieme,
percorrendo la nostra strada

il domani di me e te
è appena cominciato

 
(春うらら - genic)
 
 
 
Epilogo (2)
 

 
Mia madre è atterrata in Giappone alla fine di maggio, dopo più di dieci anni di assenza. La prima settimana l’ha trascorsa in un albergo pagato dal signor Raimon, e ha passato ogni singolo giorno a prepararsi psicologicamente, finché non è arrivato il momento di conoscere il resto della famiglia.
Per tutto il viaggio in taxi, mi ha stretto forte la mano mentre, addossata al finestrino, assorbiva con sguardo avido il paesaggio che scorreva attorno a noi come la pellicola di un film. Da quando ha cambiato nome ed è diventata una insospettabile signora parigina, non è più tornata in Giappone per non rischiare la copertura, e anche ora che finalmente può vivere alla luce del sole ci ho messo un bel po’ a persuaderla, perché aveva paura. Non del cambiamento, ma del vuoto che avrebbe trovato. Mia madre non ha più nessuno a parte me, e non ha niente che la leghi a questa terra più di quanto non sia legata alla Francia; da quando siamo scesi dall’aereo non fa che guardarsi attorno come una bambina che si è persa in un grande centro commerciale. Non c’è un filo di vento, eppure lei non si è mai tolta lo scialle. Mia madre ha sempre freddo, come se le sue ossa non avessero mai dimenticato l’umidità del seminterrato.
A un certo punto, quando ho visto il profilo della casa sbucare all’angolo della strada, anche il mio cuore ha cominciato a palpitare, ma vedendo Kazemaru e Hiroto davanti al cancello sono riuscito a calmarmi. Kazemaru ha visto il taxi per primo; si è subito girato verso il giardino e, pochi secondi dopo, anche Mamma e Papà sono comparsi sul viale.
Ho fatto fermare il taxi, sono sceso e ho dato la mano a mia madre per aiutarla. Le sue dita, fredde come il ghiaccio, si sono strette attorno alle mie. Per un lungo istante, mia madre e i miei genitori si sono fissati senza dire niente, con il fiato sospeso. Stavamo tutti zitti, persino io che avrei dovuto fare le presentazioni, ma non ci riuscivo perché avevo la lingua incollata al palato. Era tutto immobile.
Poi Mamma ha fatto il primo passo e in un solo abbraccio ci ha stretti entrambi, sia me che mia madre. Ho sentito le sue lacrime contro la pelle mentre soffiava un “Bentornati a casa” sottovoce, e ho mormorato “Sono tornato” in risposta. Mia madre non ha detto niente, non ha ringraziato; pensavo fosse spaventata, ma quando ci siamo staccati e ho visto il suo volto rigato di lacrime, ho capito che per lei era semplicemente troppo. Nel tempo in cui era rimasta da sola si era disabituata a essere amata, e niente avrebbe potuto prepararla a tutto questo.
Per fortuna Mamma ha preso in mano la situazione: l’ha presa sottobraccio e l’ha guidata dentro casa con dolcezza, chiedendole piano come volesse essere chiamata. Mia madre non è riuscita a risponderle, ma si è aggrappata a lei con tutta se stessa.
Siamo entrati in casa: avevano preparato il tè e i pasticcini e la tavola era tutta apparecchiata per noi. Papà ha spostato la sedia per mia madre, ma lei non è riuscita a bere nulla. Ha smesso di piangere e tremare solo quando le ho presentato Hiroto, e i suoi occhi scuri si sono fissati su di lui come se non vedesse altro.
Non ho mai raccontato a nessuno cosa è successo quella notte nei sotterranei della clinica. Anche quando ho dovuto fare rapporto ai miei superiori, non sono mai sceso nei dettagli, ho cercato di essere il più oggettivo possibile. Perciò non ho mai detto a nessuno cosa ho provato quella notte o cosa ha significato per me la presenza di Hiroto.
Eppure, quando mia madre lo ha incontrato, la prima cosa che ha fatto è stata gettargli le braccia al collo e stringerlo forte al petto; poi gli ha detto:- Grazie di averlo salvato.
Hiroto quella notte mi ha salvato la vita, ma credo che sarebbe difficile spiegare davvero cosa intendo quando dico così. Non siamo supereroi. Se dovessi fare un paragone, direi che è stato come accendere la luce in una stanza buia. E credo che se mia madre lo ha percepito, pur non avendo nessun potere magico, è perché avrebbe voluto che qualcuno accendesse una luce per lei. Mentre guardavo Hiroto ricambiare l’abbraccio, ero incredibilmente felice.
Quando più tardi mia madre è riuscita a dire il suo nome ad alta voce, è stato come vederla sbocciare; in quel momento, ho pensato, era più bella di qualsiasi ciliegio in fiore.


 
 *
 
Siamo un’unica grande famiglia mentre prendiamo posto sulle panchine allineate simmetricamente nel grande giardino, circondati da aceri con foglie rosse e larghe e pioppi dalla chioma dorata. Siamo vestiti più o meno tutti allo stesso modo: quando ha capito che la maggior parte di noi non avrebbe messo particolare cura nello scegliere un abito da cerimonia, Maki ha deciso di prendere le redini della situazione e di vestire tutti, scegliendo una palette che per miracolo o abilità si adatta perfettamente anche alla location del matrimonio, una villa immersa nella natura con un tori rosso come arco nuziale e il dolce sciabordio di un ruscello come marcia.
È proprio sotto al tori che Saginuma aspetta la sposa con indosso un tradizionale hakama grigio scuro che continua a toccare e sistemare in preda all’agitazione finché la sposa non compare finalmente all’orizzonte, e allora lui si paralizza di colpo, senza fiato. Perché Hitomiko è meravigliosa. Indossa un tradizionale shiromuku con ampie maniche e labbra di tessuto che si dipanano ai suoi piedi mentre avanza, la mano poggiata delicatamente su quella di Hiroto, che rispetto a loro ha un completo moderno, di certo più comodo per accompagnare la sorella nel gran giorno. Quando arrivano al tori, accanto a Saginuma, Hitomiko guarda Hiroto con gratitudine e gli stringe la mano per un attimo prima di lasciarla e prendere quella dello sposo. Hanno tutti e tre un’espressione di tale felicità in volto che gli occhi mi si riempiono di lacrime. Hiromu, alla mia sinistra, mi passa un fazzoletto mentre permette con immensa pazienza a Maki di asciugarsi sulla sua camicia; dall’altro lato Reina è visibilmente impegnata a confortare Kimiko, che è scoppiata in lacrime appena hanno visto arrivare Hitomiko in abito da sposa, e anche Ryuichirou, che pare essere molto sensibile a questo tipo di cerimonie (o forse è solo sopraffatto dall’emozione nel vedere Saginuma sposarsi).
La cerimonia è breve e intima, e per questo scava facilmente un posto nei nostri ricordi; non c’è modo di dimenticare questa giornata. Dopo aver sorseggiato il sake e scambiato gli anelli, Hitomiko spezza l’atmosfera seria con una sorpresa: sorride a tutti, solleva il tondeggiante bouquet di crisantemi e lo lancia come si fa nei matrimoni occidentali. L’aria si riempie di grida sorprese e risate mentre tutti alzano la testa per seguire la traiettoria del bouquet. Per un momento sembra restare sospeso nell’azzurro del cielo come una colomba, con i nastri rossi a fargli da ali; poi comincia a scendere, inevitabilmente, e con una perfetta parabola trova casa tra le braccia di Reina. Lei lo fissa incredula, poi diventa paonazza e ci si nasconde dietro. Anche Ryuuichirou, che è seduto nelle prime file come testimone di Saginuma, avvampa vistosamente tra le strilla e le risate generali, ed è un momento assolutamente perfetto.
Poco dopo, gli sposi si cambiano e tutti ci spostiamo in un’altra parte del giardino, sotto un gazebo dove è stato allestito il buffet con pietanze che sembrano infinite e una torta di crema a tre piani che Hitomiko e Saginuma tagliano insieme. I piatti si riempiono di dolci, i calici di uno spumante dorato che sembra sole liquido. Al margine del gazebo c’è un palco di legno bruno alto un paio di gradini, e Hiroto è il primo a salirci subito dopo il taglio della torta.
-Vorrei dire qualcosa- esclama. Non ha un microfono, eppure la sua voce è chiara, cristallina, e attorno a lui ogni rumore si spegne. Ci voltiamo tutti verso di lui, in attesa.
Hiroto sorride timidamente, si schiarisce la gola prima di prendere di nuovo la parola.
-Mi sono chiesto spesso cosa significasse la parola famiglia- comincia.
-Ricordo bene il mio primo giorno di scuola dopo essere diventato un Kira. Ero nervoso, e mi sentivo diverso dagli altri bambini. Mi sentivo fuori posto guardando le mamme e i papà venire a prendere i miei compagni… Ma poi ho visto Hitomiko- dice, le sorride. -Era stata lei ad accompagnarmi e sempre lei venne a prendermi. Mi prese la mano e mi chiese com’era andato il primo giorno, e ricordo di essermi sentito subito al sicuro. Fin dall’inizio mia sorella mi ha sempre protetto in questo modo e ha continuato a farlo per tutti questi anni. E anche senza legami di sangue, da quel giorno non ho mai, mai dubitato del suo amore per me.
Hiroto si ferma e resta in silenzio per un momento, come se volesse assaporare quel ricordo ancora un attimo prima di passare oltre. Nessuno dice una parola e, quando mi guardo attorno, vedo che non sono il solo con gli occhi lucidi. Hitomiko ha cominciato a piangere e sembra resistere a stento alla tentazione di asciugarsi il viso e rovinare il trucco; Saginuma le stringe la mano, con le dita intrecciate alle sue, gli anelli che si toccano.
Hiroto si schiarisce la gola, anche lui ha gli occhi umidi.
-Tutte le famiglie hanno bisogno di qualche piccolo aggiustamento per funzionare, e mia sorella è stata la persona che ha tenuto insieme la mia. Mi ha insegnato che l’amore non è qualcosa che dobbiamo meritarci, ma qualcosa che si sceglie- continua.
-Sono molto felice di vederla oggi con la persona che ha scelto. Non posso che farvi le congratulazioni e pregare per la vostra felicità. Quindi, per concludere, vorrei fare un brindisi a mia sorella Hitomiko e a Saginuma-san.
Quando Hiroto alza il calice, sul volto di Hitomiko compare un sorriso, mentre i suoi occhi brillano di affetto, orgoglio e gratitudine. Senza esitare mi alzo in piedi e sollevo il calice, seguendo la guida di Hiroto.
-A Hitomiko-san e Saginuma-san!- grido, e subito dopo di me molti altri dicono le stesse parole,  finché le voci non si mescolano e confondono in un allegro brusio. Ma tra tutti Hiroto cerca il mio sguardo e, quando scende dal palco, mi offre la mano con un sorriso innocente e luminoso.
-Balliamo?- mi chiede.
Lo guardo sorpreso e, automaticamente, penso alla prima volta in cui abbiamo ballato insieme, a quella festa di tanti anni fa. Scruto l’espressione di Hiroto e dal modo in cui i suoi occhi si illuminano capisco che stiamo ricordando la stessa cosa.
Rido e gli prendo la mano; non c’è bisogno neanche di pensarci.


 
 *
 
Dopo una lunga, fiaccante ricerca durata mesi, durante i quali abbiamo visitato case su case, alla fine abbiamo trovato ciò che cercavamo in un piccolo appartamento al primo piano di un complesso. Non è molto grande. Non è neanche perfetto. Tra la cucina e la sala da pranzo c’è solo un bancone separatore, come a casa dei Kazemaru; abbiamo anche una sola camera da letto e due bagni, uno così piccolo che sembra uno sgabuzzino. Ma la grandezza della casa non ci preoccupa. L’abbiamo scelta perché è luminosa, e perché dalla finestra della cucina si vedono i rami di un ciliegio. Adesso non è più in fioritura da un pezzo, ma penso proprio che mi piacerà vedere i fiori a prima mattina, quando la primavera tornerà.
A far innamorare me è stato il ciliegio, ma Hiroto dice che per lui è stato un amore a seconda vista, dopo la prima notte che ci abbiamo trascorso: la mattina dopo, quando ha aperto la finestra della cucina, il sole ha inondato la stanza come l’alta marea, e lui si è sentito avvolgere da un tocco caldo e carezzevole. Per questo, anche se inizialmente il piano era di tenere il posto in affitto mentre cercavamo altro, abbiamo chiamato subito la proprietaria e l’abbiamo pregata di vendercelo; non ci sono state obiezioni, e ora questa è casa nostra.
Lentamente, sta già cominciando a cambiare.
Con l’aiuto dei nostri amici abbiamo già cominciato a montare dei mobili e a riempirla di libri, piante, regali di ogni tipo. Le pareti, che abbiamo trovato bianche all’arrivo, ora sono di un verde pastello delicato e liquido come gli occhi di Hiroto; a parte il nuovo colore sono ancora immacolate, non ci abbiamo ancora appeso nulla, ma io so con certezza che voglio riempirle di foto. Né io né Hiroto possediamo foto di famiglia, perciò ho deciso che la nostra casa sarà piena di fotografie nostre, dei nostri amici, della nostra famiglia di adesso e di domani. La galleria del mio smartphone si è riempita di foto in un lampo da quando sono tornato. Non voglio perdermi nemmeno un istante della mia nuova vita, ed è per inaugurarla che oggi abbiamo invitato qui i nostri amici, anche se lo spazio è poco e in camera da letto c’è ancora una pila di scatoloni da aprire e svuotare.
Proprio in questo momento sto considerando lo spazio sopra al divano, cercando di capire a occhio quante cornici c’entrano, quando qualcuno alle mie spalle mi chiama.
-Midorikawa, queste dove le metto?
Mi giro e vedo Kazemaru con due ciotole da riso, una per mano. Sono oggetti molto semplici, bianche con disegnate delle linee ondulate blu sopra. Mi fanno venire in mente che non abbiamo ancora preso i set di bacchette, o le ciotoline per le salse, e tantomeno le pentole, se per questo. Però abbiamo la vaporiera per il riso e le ciotole adatte. Grazie a Dio per il riso.
-Nel mobiletto a vetri sopra i banconi- dico, indicando l’angolo cucina con un vago gesto della mano, poi mi volto verso Endou e Suzuno, che stanno montando quella che sarà la libreria.
-Come va lì?
-Se questo è il bullone 5, bene- mi risponde Endou, mostrando il bullone argentato che tiene tra due dita della mano destra. Suzuno intanto fissa le istruzioni con la fronte aggrottata. 
-No, credo che quello sia il 2.
-Oh. Allora non bene.
Mi viene da ridere, ma cerco di trattenermi per non urtare accidentalmente la sensibilità di Suzuno. Con il tempo è diventato meno ombroso, ma più irritabile; devo dire che lo preferisco così. Accanto a me, Kazemaru scuote il capo a labbra strette. Purtroppo i nostri sforzi per non scoppiare a ridere vengono vanificati da Nagumo, che si mette a gridare dall’altro capo della stanza.
-Ah-ha! Suzuno, stai perdendo!- esclama con fare tronfio. -Non era questo l’accordo, ma se proprio sei in difficoltà, non sono del tutto contrario all’idea di darti una mano! Ahahah!
-È il modo più indiretto di offrire aiuto che abbia mai sentito- dico, perplesso, inarcando le sopracciglia. -E poi, cosa starebbe perdendo, di preciso?
Nagumo ghigna, già gongolando per una vittoria che sente in tasca.
-Chi finisce per ultimo l’ordine assegnato deve offrire la cena-. La sua spiegazione mi fa alzare gli occhi al cielo, ma non riesco a trattenere un sorriso divertito.
-Avete trasformato l’arredamento della casa in una competizione?- chiede Kazemaru in tono esasperato, ma in qualche modo non sembra stupito. Sinceramente, non lo sono neppure io. È da quando sono tornato che li osservo e sono arrivato alla conclusione che competere su tutto sia il loro modo di flirtare, anche se Hiroto giura che nessuno sa esattamente quando abbiano iniziato a uscire assieme, o a essere… insomma, qualsiasi cosa siano ora.
Purtroppo per Nagumo, Suzuno ha da tempo affinato la capacità di ignorare apertamente tutto ciò che non lo aggrada, proprio come sta facendo in questo momento, mentre con il naso sepolto nelle istruzioni finge di non aver sentito una sola delle parole uscite dalla bocca dell’altro. E a Nagumo questo non piace.
-Ehi Suzuno, mi stai ascoltando?!
-No- risponde laconico Suzuno, senza alzare lo sguardo dalle istruzioni. Indignato, Nagumo apre la bocca per replicare, ma decido di anticiparlo per evitare che il bisticcio degeneri.
-Beh, tu come te la stai cavando, Nagumo? Hai bisogno di una mano?
-Ah! Con chi credi di parlare? Ho lavorato in archivio per una vita, sono un mago a organizzare le carte. Anche se ovviamente i miei talenti sono sprecati così!- mi risponde, nella sua voce è tornata la sfumatura orgogliosa e tronfia di poco fa. Sorrido senza commentare, sollevato dal fatto che si sia distratto da Suzuno, e volgo lo sguardo alla mensola sulla quale sono allineati ordinatamente almeno una ventina di numeri di una rivista di viaggi che Hiroto ha cominciato a collezionare mentre ero via. Devo ammettere che Nagumo sta facendo davvero un ottimo lavoro.
Kazemaru, intanto, pare ricordarsi che ha ancora in mano le ciotole di riso e va al mobiletto indicato per metterle a posto; nel farlo i suoi occhi cadono sul calendario appeso alla parete, e non ho nemmeno bisogno di guardare per sapere cosa sta fissando.
Tra le caselle di settembre ce n’è una cerchiata di rosso: il mio compleanno.
 
Il primo compleanno che io ricordi l’ho festeggiato il giorno in cui è nato Kazemaru.
Erano passati diversi mesi da quando i Kazemaru mi avevano preso con loro, ma io continuavo a sentirmi a disagio. Ogni cosa mi ricordava che non ero uno di loro; per questo, quando è arrivato il giorno del compleanno di Kazemaru, l’ho odiato con tutto me stesso. La torta di panna a centro tavola sembrava uno scherzo di cattivo gusto. Mentre la fissavo divorato dalla gelosia, però, Mamma ha acceso le candeline e Kazemaru si è girato entusiasta verso di me e mi ha detto “Prima tu!” con una risata, come se fosse naturale che anche io festeggiassi insieme a lui. Ero così scosso che invece di spegnere le candeline sono scoppiato a piangere. Da quel giorno abbiamo festeggiato insieme tutti gli anni, finché non ci siamo separati.
È stato solo quando ho ritrovato mia madre che ho scoperto la vera data del mio compleanno; è stata lei a confermarmi che sono nato lo stesso anno di Hiroto e Kazemaru – l’anno del Gallo – il che è stato un gran sollievo. Al nostro ritorno finalmente ho potuto dirlo anche al resto della famiglia, ma siccome sarebbe stato un peccato non festeggiare più insieme, Kazemaru ha deciso una data intermedia tra me e lui per continuare la tradizione.
Così io, che un tempo non avevo un compleanno, ora mi sento come se ne avessi tre: quello che Kazemaru ha condiviso con me, quello che festeggiamo con la famiglia, e la data in cui sono nato e che sarà qui tra qualche giorno.
 
-Allora, tu e Hiroto fate qualcosa per il tuo compleanno?- mi chiede Kazemaru, riscuotendomi dai miei pensieri. Quando alzo la testa, vedo che ha messo a posto le ciotole e ora mi sta guardando con curiosità, comodamente appoggiato al bancone dietro di lui.
Sorrido e annuisco.
-Sì, ma non so ancora cosa. Hiroto ha detto che è una sorpresa.
-Davvero? Non pensavo che Hiroto fosse il tipo da sorprese!
-No, infatti non lo è- dico con una risata. Una cosa che ho scoperto di recente, infatti, è che Hiroto non sa fare le sorprese: si agita troppo, gli si legge negli occhi che è felice. Perciò preferisce uscire allo scoperto e dirmi che ha una sorpresa; le sue sono sorprese annunciate, ma non per questo mi fanno battere meno il cuore.
-Beh, che tipo di sorpresa pensi che sia?- incalza Kazemaru, così continuiamo a chiacchierare, cercando di ipotizzare di cosa potrebbe trattarsi e tirando fuori le cose più assurde, ridendo e scherzando finché non sentiamo suonare il campanello.
Mi raddrizzo, attraverso il piccolo soggiorno scavalcando i pezzi della libreria e vado ad aprire la porta. Ho un buon presentimento. Ancora prima di vedere chi è, percepisco un’ondata di eccitazione, frizzante come aranciata fresca, con lampi di allegria e impazienza; due secondi dopo mi trovo davanti Maki con un vestito di tulle rosse che la avvolgono come petali di un tulipano. 
-Ehilà, Mido-chan! Siamo venute a far festa!- mi fa con un sorriso raggiante, e dietro di lei Reina le dà un leggero buffetto sulla testa con aria rassegnata.
-Fingi almeno di essere venuta a dare una mano, Maki...- Reina sospira, poi mi sorride. -Possiamo entrare? Abbiamo portato qualcosa da bere-. Col capo accenna alla busta di tessuto che porta appesa a una spalla, da cui spunta fuori il collo di una bottiglia di Coca-cola.
Mi sposto per farle passare e prendo le buste che Maki ha in mano mentre andiamo in soggiorno. Mentre io e Reina mettiamo a posto quante più bevande possibili nel frigo, Maki spalanca la finestra della cucina e ammira con entusiasmo il parco sottostante.
-Ehi ragazze, gli altri?- chiede Endou da terra.
-Gouenji e Kidou ci raggiungono tra poco con i ragazzi. I Fubuki sono andati a comprare da mangiare. Atsuya ha una sfortuna incredibile con i sorteggi!- spiega Maki allegramente.
-Avete visto Hiroto?- chiedo, fingendo nonchalance. Maki e Reina mi sorridono in un modo che lascia intendere che non inganno nessuno, quindi prendo un’altra bottiglia così da avere una scusa per nascondermi dietro la porta del frigo.
-Mi dispiace, non l’ho visto. - risponde Reina, e Maki aggiunge con un sorrisone:- Ooooh, penso che ti stia preparando una sorpresa per il compleanno!
Vorrei dirle che lo so già, ma non è facile interrompere Maki quando è eccitata per qualcosa, perciò il flusso di parole rimane ininterrotto. Intanto, svariate cose accadono in rapida successione: Suzuno ha l’illuminazione per montare la libreria e, in quattro e quattr’otto sotto lo sguardo esterrefatto di Endou e Nagumo, completa l’opera battendo Nagumo all’ultimo; la porta suona di nuovo; e mentre accolgo in casa Kidou, Gouenji, i nostri kouhai e i Fubuki carichi di roba da mangiare, sento il rumore di una macchina proprio sotto i palazzo. Senza riflettere, mi faccio largo tra gli ospiti, mi affaccio alla balconata e guardo giù, sulla strada, dove una familiare monovolume sta facendo inversione per parcheggiare dritta. Il momento dopo, mi sto già precipitando per le scale; il cuore martella come un tamburo nel petto anche se in fondo non ci vediamo solo da poche ore.
-Hiroto!
Hiroto, che sta scendendo dal posto passeggeri, si gira e guarda dritto verso di me; poi, senza un attimo d’esitazione, apre le braccia in un invito che non rifiuterei mai. Correndo, mi lancio tra le sue braccia e lo stringo in un abbraccio fortissimo.
-Bentornato a casa!
Sento la sua risata cristallina all’orecchio.
-Sono a casa, Ryuuji.
Casa, mi piace questo suono. Mi piace tantissimo.
 
Con il ritorno di Hiroto finalmente la festa può cominciare, così stappiamo le bevande, apriamo sacchetti di patatine e altre stuzzicherie e alziamo il volume della musica. Per fortuna c’è solo un altro appartamento in questo complesso oltre al nostro e al momento è vuoto, perciò non dobbiamo preoccuparci di dare fastidio a vicini innocenti.
Tra una canzone e l’altra, osservo le persone nella stanza, cercando di catturare le loro emozioni e imprimere quei volti gioiosi nella mia mente; così vedo Maki e Reina ballare insieme, ridendo e appoggiandosi l'una all’altra, mentre dall’altra parte della stanza Gouenji parla con i Fubuki e, anche se tempo fa sarebbe apparso come uno strano terzetto, ora condividono la familiarità che viene dal vivere assieme quotidiano: Shirou sorride in modo rilassato e genuino, e persino Atsuya sembra tranquillo, per una volta. Intanto, Taiyou cerca di convincere Kyosuke e Takuto a unirsi a lui e ballare in mezzo agli adulti, e persino Ranmaru e Masaki hanno smesso di bisticciare per il momento; sembrano tutti molto meno nervosi del solito, come se la trepidazione del momento influenzasse anche loro. Scorgo Nagumo e Suzuno appoggiati alla libreria appena costruita, un po’ troppo vicini per una normale conversazione; a uno sguardo più attento mi accorgo che le loro mani sono intrecciate e che Suzuno ha la testa poggiata contro la sua spalla, e non c’è bisogno di usare l’empatia per sapere quale sentimento li lega.
Poi a un tratto la musica scema, e al centro della stanza Kazemaru leva in aria un bicchiere colmo di birra fino all’orlo, fa cadere delle gocce ma non sembra importargli.
-A Hiroto e Ryuuji!- grida, e tutti corrono a riempirsi i bicchieri per brindare, gli adulti di birra e i minorenni di succo di frutta o tè oolong. Sorridono tutti mentre ripetono le parole di Kazemaru, perché la felicità è contagiosa, e ognuno di noi sembra percepire quanto preziosi siano questi attimi che non torneranno più: questo preciso momento è solo qui e ora. Ma la felicità può sempre essere trovata, e se restiamo insieme potremo vivere momenti altrettanto belli e ripetere gli auguri quante volte vogliamo.
Possiamo essere felici, molto, molto più di oggi.
 
 
*
 
Quando scende la sera, quando cibo e bevande finiscono e gli altri tornano alle loro case portando via sacchi pieni di bicchieri e piattini di plastica... insomma quando siamo soli e non prima, Hiroto decide che è arrivato il momento di sorprendermi. E siccome mancano ancora tre giorni al mio compleanno, la sorpresa riesce alla perfezione anche se mi era stata annunciata.
Ci sediamo sul divano a un soffio di stanza, e subito Hiroto mi tira a sé, una mano sul mio fianco e dita dell’altra intrecciate alle mie. Stiamo fronte a fronte per un momento, poi lui inclina la testa e preme le labbra contro le mie. I miei sentimenti per lui sbocciano come un fuoco d’artificio al centro del petto, e mi sento andare a fuoco, come se il bacio fosse stato la miccia. Quando ci stacchiamo vorrei inseguirlo, ma cerco di contenermi; dallo sguardo di Hiroto, così innocente ed emozionato, capisco che è meglio aspettare, che sta per accadere qualcosa d’importante.
-Ho qualcosa da darti- mormora, infatti, con un fremito nella voce. 
Annuisco, senza fiato, e lo guardo con disperata impazienza mentre Hiroto ritrova la sua borsa e tira fuori alcune cose: un pacchetto elegantemente confezionato, una busta da lettere, e un cofanetto di velluto grande quanto il palmo della mia mano.
-Tre regali- dice in un sussurro -per tre compleanni.
Intrigato e confuso, li guardo uno a uno, mordendomi le labbra. Non so cosa aprire prima, così Hiroto mi toglie dall’imbarazzo offrendomi il pacchetto. Lo prendo tra le mani con delicatezza, quasi per paura di romperlo, di rovinare la magia; ho un attimo di esitazione, poi prendo un respiro profondo e finalmente mi decido ad aprirlo. Basta una sola tirata per sciogliere il nastro, e la carta si disfa quasi da sé, rivelando il contenuto.
È una targa rettangolare, di legno. La soppeso tra le mani, la giro e faccio scorrere un dito sull’incisione, seguendo i contorni delle lettere e mimando con le labbra ciò che leggo, incantato; i nostri cognomi sono uniti da una lineetta nel mezzo. 
-Possiamo appenderla fuori alla porta- propone Hiroto.
Riesco solo ad annuire perché ho già un nodo alla gola, ma Hiroto non mi mette fretta. Solo quando riesco ad alzare lo sguardo, prende il secondo regalo e me lo porge in silenzio.
Apro la busta con impazienza e dentro trovo due biglietti per un parco divertimenti. Alzo gli occhi di scatto, colpito da un pensiero.
-La ruota panoramica- sussurro. -Non l’hai dimenticato...
Hiroto scuote leggermente il capo. La luce del sole persiste nonostante l’ora, e i raggi che colpiscono questa parte di Tokyo colpiscono Hiroto alle spalle e fanno brillare i capelli rossi come fiamme.
-Certo che no. Te l’ho promesso, ricordi? Se non ti senti pronto, possiamo fare altre cose. Ma se vuoi salirci, io sarò al tuo fianco per tutto il tempo. Che ne pensi, Ryuuji? Ti senti pronto?
Annuisco e, mentre comincio a sentire il calore delle lacrime inumidirmi gli occhi, tendo la mano avanti per stringerlo in un abbraccio. Hiroto mi attira a sé in modo del tutto naturale, e non c’è bisogno di fare aggiustamenti, né di parlare. Ci troviamo subito, come pezzi di un puzzle.
Hiroto mi lascia piangere silenziosamente nella sua spalla per tutto il tempo che mi serve a ricompormi, o meglio, finché non mi torna in mente che c’è ancora un regalo da aprire. Una parte di me pensa che quello si può rimandare a dopo, che dovrei baciare Hiroto qui e adesso, ma un’altra parte è irresistibilmente curiosa, così cedo. Mi basta fare un cenno perché Hiroto capisca e sciolga l’abbraccio, rimanendo però vicino per asciugarmi le lacrime con la sua mano. Lo lascio fare, poi i miei occhi si posano sullo scatolino di velluto come magneticamente attratti e in quello stesso istante sento un click nel mio cervello.
So cos’è. Ovviamente so cos’è, ma allo stesso tempo non riesco a crederci.
Hiroto non mi dà lo scatolino. È lui invece ad aprirlo e tirarne fuori il contenuto con delicatezza; poi mi prende la mano, la bacia con adorazione, copre di baci piccoli e leggeri le nocche e le dita. Qualcosa di freddo scivola lungo una delle mie dita. Tutto il mio corpo trema, il cuore inizia a dibattersi disperatamente nel petto. Respirando piano, abbasso lo sguardo sulla mia mano e guardo l’anello bianco e sottile al mio anulare baluginare nella luce morente della stanza.
-Sono così grato e felice che tu sia nato- mormora Hiroto con un sorriso timido, poi mi prende la mano e bacia il dorso, ancora e ancora.
-Grazie di esserti innamorato di me – un bacio – Grazie di avermi dato coraggio – un bacio – Grazie di essere tornato a casa – pausa.
-Ryuuji… vuoi passare con me il resto della vita?
Le lacrime cominciano a cadere senza che io possa o voglia fermarle.
Non posso più trattenermi. Lo stringo forte a me, in un abbraccio che annulla ogni vuoto; poi lo bacio premendo le labbra forte contro le sue, e quando non è più sufficiente premo la lingua contro la sua. Percepisco il sussulto nel suo respiro e il modo in cui la sua voce si spezza, così dolce e innocente; e quando non basta più nemmeno questo, disegno una linea di baci dal mento all’orecchio e gli sussurro di portarmi a letto, subito.
Non importa che la camera sia un completo disastro, che dobbiamo scavalcare gli scatoloni e quasi inciampiamo nelle lenzuola del letto che non abbiamo avuto il tempo di rifare. Non importa neanche che ci sia ancora la luce del giorno, perché tutto quello che voglio è spingerlo giù e baciarlo ancora. Hiroto mi guarda con occhi scuri, appena socchiusi, mentre le sue mani scivolano sui miei fianchi e poi sotto la maglia, la arrotolano con cura fino alle scapole perché le sue dita possano scorrere sulla pelle nuda indisturbate, tracciando linee invisibili sulle mie cicatrici. Lo hanno chiamato tocco mortale, ma io so la verità. So quanto calde e forti sono queste mani, quanto sono affidabili e gentili. Le sue mani che mi hanno sempre protetto. Il modo in cui mi tocca – delicato e voglioso allo stesso tempo, come se mi stesse dicendo che non può fare a meno di me – mi fa tremare fin nel profondo. Dove lui mi tocca, le cicatrici scompaiono e al loro posto fiorisce l’amore, ancora e ancora.
 

 
 *
 
Mentre dormivamo la pioggia ha iniziato a cadere, lenta e silenziosa come se non volesse disturbarci. Mi sveglio comunque quando la stanza comincia a riscaldarsi dopo le prime ore del mattino, e per un momento resto steso sul fianco, con il braccio di Hiroto sotto la guancia a farmi da cuscino, a osservare la costellazione di ombre sul pavimento grigio. I vetri della finestra sono fradici e in tutta la casa penetra il sommerso sciabordio dell’acqua.
Dopo qualche minuto, mi tiro su e mi districo con delicatezza dall’abbraccio di Hiroto, poi scivolo fuori dal letto e vado alla finestra a piedi scalzi. Mi avvicino fino a poter premere il palmo della mano contro il vetro e per un momento rimango così, immobile, più concentrato su quello che accade dentro di me che fuori.
È una sorpresa accorgermi che l’ansia legata alla pioggia è sparita, e che invece a pervadermi in questo momento è il senso di pace e sicurezza che accompagna la scoperta di un rifugio sicuro, o l’arrivo a casa. Riuscirò anche a salire sulla ruota panoramica, adesso ne sono certo; non avrò paura. Il debole riflesso del mio viso nel vetro mi restituisce il sorriso.
Assorto nei pensieri, non mi accorgo dei secondi che passano. Ho lasciato il cellulare spento sul comodino, senza guardare l’ora, ed è solo quando sento un fruscio alle mie spalle che mi riscuoto e distolgo lo sguardo dal vetro.
Hiroto mi fissa con occhi adoranti, steso sulla pancia con una guancia premuta nel cuscino. Non posso fare a meno di lasciar scivolare lo sguardo sulla sua figura semi-distesa, sulla schiena nuda e la linea della colonna vertebrale che s’interrompe al confine con l’inizio del lenzuolo ancora intrecciato alle sue gambe. È bellissimo anche con i capelli spettinati dal sonno, sparati in tutte le direzioni: durante la notte sembrano essere esplosi.
-Cosa guardi?- mi chiede a bassa voce, come per paura di interrompere qualcosa.
-La pioggia- rispondo, con la stessa tenerezza che lui mi riserva.
A quel punto, Hiroto sguscia fuori dal nostro nido, si infila i pantaloni del pigiama e mi raggiunge, a piedi scalzi e senza la maglia. Mi chiedo se non abbia freddo, ma prima che io possa esprimere questa preoccupazione lui mi avvolge da dietro con le braccia e, sentendo il calore del suo corpo contro il mio, mi dico che no, non fa freddo per niente. Restiamo per un po’ in silenzio, a fissare le gocce di pioggia che picchiettano contro la finestra; poi mi giro nell’abbraccio e, circondando la sua vita con le braccia, appoggio la testa contro la sua spalla e sospiro. Hiroto è un po’ più basso di me, questa posizione è perfetta. Sbircio la sua espressione, curioso, e mi rassicuro trovando nei suoi occhi la stessa serenità che provo anche io. Da quel giorno di tanti anni fa, non ho mai più sentito le emozioni di Hiroto con la mia empatia, ma ci ho fatto l’abitudine e, alla fine, non ci ho pensato quasi più: non ce n’era il bisogno. È come se a un certo punto il mio suono avesse incontrato il suo a metà strada, e da quel momento siamo sempre stati accordati sulla stessa chiave. Le emozioni delle persone, in fondo, sono come suoni che devi imparare ad ascoltare, e io negli anni ho fatto molta pratica.
 
Sarò felice? Saremo felici? Cos’è la felicità?
Mi sono fatto queste domande tante volte. Penso che non esista nessuno al mondo che non se le faccia. Ognuno di noi è alla costante ricerca di una risposta. Non abbiamo fatto sempre la strada più facile, o quella più breve, e spesso siamo finiti in vicoli ciechi. Abbiamo fatto scelte sbagliate, preso svolte impreviste. Ma anche se la strada percorsa è stata più lunga di quel che ci aspettavamo, va bene così; più della soluzione facile, mi attira ciò che ho trovato lungo la via e che ho messo in tasca, per poi ritrovarlo alla fine del viaggio: i sentimenti preziosi che gli altri hanno condiviso con me, le parole che mi hanno detto. Porterò tutto questo con me nel prossimo viaggio, ma non ho fretta di partire, perché ho già trovato una risposta.
Ci sono voluti dieci anni per scoprire che sono poche le cose davvero necessarie alla mia felicità: gli amici che sono stati al mio fianco tra alti e bassi; la mia famiglia, che è cambiata così tanto e ora è formata da due mamme, un papà, un fratello, un marito; e infine questa casa, la targa con i nostri nomi intrecciati per sempre e i nostri anelli.
Forse non è la risposta perfetta, e forse cambierà negli anni, ma finché il mio cuore sarà al posto giusto sono certo che saprò trovare ancora la felicità. In fin dei conti, io sono una persona fortunata: c’è voluto del tempo, ma ora lo so. Perché sono stato amato da tante persone nel corso della mia vita, e soprattutto ho amato. E non c’è niente che dia più coraggio di questo.
 
 
 *
 
Dai piedi delle scale si sente qualcuno litigare. Di nuovo.
Mi fermo un attimo con la mano sulla ringhiera delle scale. Alle mie spalle, Takuto sta suonando il pianoforte con aria di apparente calma, mentre Kyosuke legge una rivista di calcio su un divano, con le gambe accavallate. Mi chiedo se abbiano sviluppato la capacità di estraniarsi perché sono abituati a tutto quel rumore, o se l’hanno sempre avuta; in ogni caso, gliela invidio. Ma io sono l’adulto, qui. Con un sospiro mi convinco e salgo al piano di sopra, già sapendo cosa troverò.
La camera di Ranmaru e Masaki è aperta e inondata dalla luce del mattino. Do una rapida occhiata al suo interno. La prima cosa che noto sono i capelli di Ranmaru: sono molto più ruvidi e mossi del solito, quasi aggrovigliati, come una matassa di lana. Ho la sensazione che sia tutto qui il nodo della vicenda, che lo stato dei capelli di Ranmaru c’entri con il motivo della disputa e che sia colpa di Masaki. È quasi sempre colpa di Masaki. Sembra che non riesca proprio a lasciarlo in pace.
Facendo un passo verso di loro, sento uno splash sotto le scarpe e scopro che il pavimento è coperto da un sottile velo d’acqua, che brilla sotto i raggi del sole autunnale. Seguendolo con lo sguardo, lo vedo allargarsi a partire da Ranmaru. Come temevo. Deve essere davvero preso dalla discussione per non essersene accorto.
Mi avvicino a Ranmaru e gli metto una mano sulla spalla. Lui sussulta, si volta di scatto e mi guarda sorpreso.
-Ranmaru- dico, in tono serio, -non so quale sia il problema, ma devi restare calmo.
La sua espressione diventa confusa. Allora con un cenno del capo gli indico il pavimento, e Ranmaru spalanca gli occhi e annaspa.
-Hai allagato anche l’altro edificio. Suzuno non è contento- lo informo. In realtà è stato divertente vedere Suzuno scivolare e finire addosso a Nagumo, ma questo è meglio tenerlo per me. Ranmaru mi sembra già abbastanza scosso.
-Oh no!- esclama, dando inavvertitamente un calcio all’acqua e facendola schizzare attorno a sé. -Oh no, oh no, oh no- continuando a imprecare, cerca di richiamare a sé l’acqua, ma senza risultato. Dobbiamo ancora lavorarci.
-Ho cercato di dirtelo prima, senpai- dice Masaki con aria innocente. -Ma tu eri troppo impegnato a urlarmi addosso per ascoltarmi...
Ranmaru si gira verso di lui con un’occhiataccia.
-E di chi sarebbe la colpa, scusa?! Guarda che hai iniziato tu! Come sempre!
-Hai mai pensato che forse sei tu a non avere senso dell’umorismo? 
Sembra che da loro non otterrò molto, per cui mi giro verso Taiyou, l’unico a non essere emotivamente coinvolto.
-Che è successo?- gli chiedo. Taiyou non risponde subito. Notando che sta cercando di non ridere, inarco le sopracciglia in un modo che spero trasudi disapprovazione. Sì, la situazione è circa divertente, ma scoppiare a ridere ora non sarebbe d’aiuto: è ancora troppo presto perché Ranmaru possa riderne con noi. In qualche modo Taiyou capisce cosa voglio dirgli, si morde il labbro inferiore e distoglie lo sguardo da Ranmaru.
-Masaki gli ha infilato dei bigodini tra i capelli mentre dormiva e… questo è il risultato- dice.
Okay, è decisamente più divertente di quanto mi aspettassi. Ma sono l’adulto, mi ripeto.
-Masaki- dico, con il tono più serio e costernato che riesco a fare.
-Era solo un modo per ridere- ribatte lui, e Ranmaru si fa rosso in volto.
-Sì, di me!
-Ma dai senpai, io pensavo di farti un favore! Così somigli a Shindou-san- Masaki fa un mezzo sorriso ironico. -Potrebbe migliorare la tua immagine. Sei come un barboncino, e a chi non piacciono i cani?
-Okay, ne ho abbastanza, io ti…!- A questo punto Ranmaru scatta verso Masaki, senza dubbio con l’intenzione di mettergli le mani addosso, ma lo blocco per il collo della maglia.
-Mai toccare i tuoi compagni, Ranmaru - lo rimbecco.
-Uhm- fa Taiyou a voce bassa, ma lo ignoro per continuare la mia ramanzina.
-La violenza non è ammessa qui. Quindi o ne parlate civilmente, oppure… Oppure fagli uno scherzo anche tu, Ranmaru. Uno scherzo innocuo, per piacere.
-Non può, non ha inventiva- interviene Masaki. Ranmaru lo fissa torvo, e mi giro a guardarlo anche io, più esasperato che altro. Non posso dargli torto: fare la permanente a qualcuno mentre dorme richiede, in effetti, una grande dose di creatività.
-E tu, Masaki, non esagerare troppo con i tuoi scherzi. Devi darti una regolata- dico.
-Uhm- si intromette di nuovo Taiyou, stavolta un po’ più forte.
-Okay, okay, dico solo che non dovrebbe prenderla sempre così male. Hai detto anche tu che gli scherzi innocui vanno bene, no, Midorikawa-san?- replica Masaki.
-Io... no, non ho detto esattamente questo...
-Uhm,- ripete Taiyou, quasi gridando, -scusate, ma un albero sta crescendo proprio ora davanti alla finestra, e non credo sia tanto normale!
Alle sue parole tutti ci voltiamo verso il punto da lui indicato, e finalmente ci accorgiamo dell’immenso fusto che sale sempre più verso il cielo, fino a oscurare completamente la finestra e poi l’intera stanza. Prima che chiunque possa commentare, sentiamo un frastuono provenire dalla strada, e qualche secondo dopo la luce rossa dell’allarme colora il corridoio. Dall’altoparlante sulla parete arriva la voce impaziente di Hiroto.
-Ragazzi, abbiamo un drifter fuori controllo in zona. Hanno richiesto il nostro intervento, vi voglio tutti sul posto.
Basta questo perché il litigio venga subito dimenticato.
Taiyou e Masaki raccolgono le giacche delle divise, Ranmaru si lega i capelli disordinati come meglio può, poi vanno al piano di sotto, dove si riuniscono a Takuto e Kyosuke. Scendo per ultimo. I ragazzi mi aspettano, come in attesa di un mio segnale, e sento un moto di orgoglio verso di loro.
-Su, al lavoro, ragazzi!- esclamo. Anche se la situazione è critica, non riesco a non sorridere.
Al segnale, i ragazzi si muovono disordinatamente verso la porta; non sono ancora in sintonia, ma gli strumenti sono tutti qui, non resta che cominciare. Osservandoli, ripenso a come eravamo noi, spaesati e alla deriva nel mondo, e spero di poter diventare un porto sicuro per questi ragazzi e per quelli che verranno. Il futuro lo facciamo qui e adesso.
Inizia un altro giorno alla Inazuma Agency.
 
 
 
 
fine.


 
**Ultimissimo angolo dell’Autrice**
Voglio cominciare questo angolo con i ringraziamenti:
Grazie a tutti i lettori che sono stati qui dall’inizio alla fine e ai lettori che sono arrivati a metà e sono rimasti.
Grazie a Cami e Ren che mi hanno fatto da beta con santa pazienza per tutta l'ultima parte finale e ancora ascoltano tutti i miei deliri su questa fic.
E grazie a me stessa per averla completata anche se sono chiaramente allergica al completare le cose.
Continuerò ad aggiornare la raccolta di oneshot (ne ho ancora qualcuna in cantiere), ma la storia principale finisce qui. Tutti i viaggi prima o poi devono finire: questo è durato almeno dieci anni e sono contenta di aver tenuto duro tra alti e bassi.
Quando ho cominciato questa fic ero molto immatura, ma anche più coraggiosa di adesso, così mi sono buttata in un progetto senza pianificarlo fino in fondo e sono finita su un percorso molto difficile. Ci sono sicuramente molte cose che cambierei di Spy Eleven oggi, ma in ogni caso sento che questa storia è un pezzo di me e ne sono orgogliosa. Non so bene cosa scriverò da oggi in poi, e se lo farò su EFP o meno, ma grazie di aver seguito Spy Eleven insieme a me.
I personaggi non sono miei né lo saranno mai, ma ho cercato di rappresentarli al meglio, sempre con un occhio di riguardo all’opera originale che amo ora come dieci anni fa. Se leggendo questa fic vi è venuta voglia di (ri)guardare Inazuma Eleven, vi prego, fatelo. Merita davvero tanto.

Con l’augurio che il viaggio che vi siete scelti vi porti alla vostra personale, unica definizione di felicità,
mando un abbraccio a tutti i lettori.
        Roby

 
   
 
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