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Autore: Gaia Bessie    10/12/2021    2 recensioni
Ginny Weasley è inquieta nel proprio matrimonio perfetto.
Draco Malfoy è inquieto nel proprio matrimonio (meno) perfetto.
[Draco/Ginny, Mini-long di otto capitoli | Partecipa al "Calendario dell'avvento" organizzato da Cora Line sul forum Ferisce più la penna].
[Cap. 6]: Ginny Weasley non sa scrivere composta, non ha niente della fredda calma della Granger o della spensieratezza con cui la Lovegood faceva dondolare le gambe sulla sedia. Lei sbuffa, gratta l’orecchio, cambia posizione, intreccia le caviglie, si macchia d’inchiostro il polso.
E, quando finalmente le vengono le parole, sorride come se avesse trovato la chiave di volta per la vita eterna. Un po’ la invidia.
È così che si spiega perché la tiene così in alta considerazione, nonostante le sue scelte matrimoniali (chiaramente sbagliate), nonostante il suo cognome, nonostante il passato che l’avvolge come un velo opaco. Opachi, i pensieri che Draco deve riordinare per averci a che fare.
La invidia per davvero – ne invidia la tranquillità con cui s’approccia a sé stessa, quando un tremore le squarcia il viso, l’angolo della bocca che spinge per contrarsi in una smorfia: ma Ginny Potter sorride e, in lei, non s’intravede nulla di quell’inquietudine che Draco conosce.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Ginny Weasley | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Astoria, Draco/Ginny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Stelle di cannella



4.
Stelle di cannella
 

[Cenere]
 
Draco Malfoy si presenta al capezzale di sua moglie con il capo cosparso di cenere e George Weasley che lo segue, passo dopo passo – Astoria sorride ma, quando s’accorge che suo marito non s’è presentato per implorare perdono, storce il naso in una smorfia scontenta. Quando vede George, un sorriso imbarazzato sul volto, le si dipinge in fronte quel che ripete ogni sera come una preghiera quando Draco si alza per andare a dormire nella stanza del loro futuro figlio.
Volevo solamente fare una torta di mele, Draco.
Ma, quando George le rivolge addosso uno sguardo quieto, sorridente, Astoria non riesce a dire niente che non sia.
«Draco, tesoro, perché non gli offri una fetta di torta?» domanda. «L’ho preparata con la Magia, ieri sera».
«Adesso hai cominciato a preparare dolci senza alzarti dal letto?» chiede Draco, pensieroso. «Weasley, ti andrebbe…».
George scuote il capo, con gentilezza – dai capelli gli cadono fili di cenere e vetro soffiato – e rimane fermo sulla soglia, immobile, il volto animato dall’ombra di un sorriso: un tempo ero io quella che non sorrideva mai, pensa Astoria nostalgicamente, da quando i ruoli si sono invertiti in questo modo.
«Siediti» sussurra, facendogli segno di accomodarsi sulla sponda del letto. «Non stare lì in piedi, ti prego: mi ricorda che io, ferma in piedi, non ci posso stare più».
George obbedisce – le porge una mano, come per autorizzarla a infrangere quell’alone di estraneità che gli anni hanno scavato tra di loro. Lei la prende, con un sorriso dolcissimo, senza esitazioni.
Ma, le parole che le escono dalla bocca sono amare come quella consapevolezza polverosa che Astoria si ricama sul cuore, giorno dopo giorno (volevo solamente fare una torta di mele, Draco).
«Adesso sarai contento, Draco, hai ottenuto quello che volevi» sussurra, astiosa. «Volevi sperare che avessi avuto una meravigliosa storia d’amore, eccotela qui: puoi fartela raccontare tutta o a metà, per quel che m’importa».
George Weasley le stringe la mano, scuotendo il capo – Draco Malfoy è senza parole, ne ha solamente un paio: stai calma, non dovresti affaticarti (Astoria ride, così tanto che diviene un colpo di tosse che le squassa la cassa toracica).
«Sai, George, non avrei mai voluto che tu mi vedessi in questo stato» sibila, a corto di fiato. «Ma per mio marito era importante, immagino te lo abbia accennato, sapere che ho avuto una vita prima di lui».
«Astoria…».
«No, Draco, ora basta» sussurra sua moglie, a fatica. «Hai coinvolto George in tutto questo solamente perché volevi una scusa e, da qualche parte dentro di te, lo sai anche tu».
Draco sospira, si passa una mano in volto come per cancellare le tracce della verità espressa da sua moglie. «Astoria, io…».
«Non mi farò accusare da te di aver amato troppo» lo interrompe lei, con il fiato corto. «Hai scommesso e hai perso, Draco: non ti basterà scavare nel mio passato, per scusare il tuo comportamento».
George tossicchia, a disagio, con Asteria che gli stringe la mano con forza insospettabile – è cresciuta, pensa distrattamente, non è quella ragazza che aveva vergogna di fare anche solamente mezzo passo verso Fred.
E suo marito, i capelli impastati di cenere e lacrime, continua a scuote il capo per cercare delle parole adatte da rivolgerle – ma George lo sa, che Draco Malfoy è andato da Ginny chiedendogli di lui solamente per lavarsi la coscienza: George è fratello maggiore e, che Ginny abbia un pezzo che le si incastra male tra i pensieri e, allora, questi risultano perennemente incompleti.
Quel pezzo è Harry: che il loro matrimonio sia meno bello della favola che Ginny s’era dipinta è, oramai, cosa ovvia – due figli, una bella casa, un lavoro da scrivania: era davvero questo quello che sua sorella aveva sempre desiderato dalla propria vita?
Ma, quando pensa all’inquietudine con cui Ginny affronta la vita, George si deve anche domandare perché Draco Malfoy abbia dipinta in viso la stessa espressione di una Weasley, perché abbia quella smorfia insoddisfatta a sfigurargli i lineamenti.
«Vi lascio da soli» sibila Malfoy, senza guardare in volto sua moglie, con le mani in tasca e lo sguardo basso (cenere). «Immagino avrete molto di cui parlare».
Astoria non replica, ha ancora la mano intrecciata a quella di George – come fai a innamorarti a tredici anni, se non sai niente dell’amore?
Semplice: come fai a non innamorarti sapendo che potresti morire a quattordici?
«Grazie per essere venuto, George» sussurra la signora Malfoy, piano. «Non avresti dovuto sentirti obbligato, lo sai».
Lui sorride – c’è un riflesso doloroso, in quel sorriso, che Astoria avverte come un arto mancante (e, per un momento, ha di nuovo tredici anni e la segreta speranza di poter arrivare ai quattordici).
«Sei cresciuta, Ria» sussurra, scuotendo il capo con aria divertita. «Malfoy, eh? Non pensavo di dovermelo aspettare, da te».
La fa ridere – piano, con attenzione, sapendo che anche quel movimento così naturale può prosciugarla da ogni energia: Astoria ride, ha la polvere che le crolla giù dal capo (polvere siamo e polvere ritorneremo) mentre scrolla i capelli dalle spalle, graffiandosi con l’aria smossa.
«Tutti cresciamo, George» commenta, dolorosamente. «E iniziamo accettare l’amore che ci viene proposto, sapendo che difficilmente ne otterremo altro».
«Draco Malfoy…».
«Lo so, George» sussurra Ria, stringendogli leggermente la mano. «Draco desidera per me l’amore delle favole solamente perché lui pensa di non essere in grado di farmelo avere, a dispetto di ogni promessa».
Pare pensarci – quando rivolge al giovane uomo uno sguardo intenso, che gli cola tra le ossa come sangue e midollo, e in una frase se lo mangia vivo: George se lo aspetta, perché ha imparato a conoscerla a tredici anni e, guardandola, non la trova cambiata.
Sei sempre tu, Ria – ricordi?
Lei annuisce, socchiudendo gli occhi, stanca, la stretta sulla mano si allenta.
«Resta» mormora, quando George borbotta che forse è meglio che si riposi un po’. «Almeno tu, resta con me. Per favore».
Lui s’immobilizza, seduto sulla sponda del letto, gli occhi spalancati sul sorriso quieto, un po’ stanco, di lei.
«Draco ha ragione» sussurra, stanca. «Io la mia favola l’ho già avuta, anche senza di lui».
 
***
 
Non la cerca, così almeno si dice per convincersene, ma la trova comunque: Ginny passa il proprio tempo libero appollaiata tra gli scogli biancastri, i capelli legati in una treccia scompigliata e i pensieri altrettanto spettinati dal vento.
Non la cerca, si ripete mentre si siede accanto a lei tra i sassi acuminati, ma continua a sapere esattamente dove si trova: Ginny Weasley, sempre sola come un calzino spaiato (e bucato sulle dita), s’ostina a cercare di rigettare la propria inquietudine in un paesaggio che sa essere ancora più inquieto di lei. Non ci riesce.
Ma, quando Draco Malfoy si siede di fianco a lei, i capelli resi umidi da un frammento di pioggia, Ginny ne percepisce un tormento che supera perfino il suo – Malfoy ha il cuore che salta i battiti, quando si nasconde il viso tra le ginocchia e gli scappa un singhiozzo (infranto, nel silenzio) pieno di frustrazione.
«Malfoy» lo chiama Ginny, incerta. «Si può sapere cosa ti è successo?».
Draco sospira, ha il viso rigato di lacrime quando si volta per guardarla – Ginny finge di non notarlo, ma gli tremano le mani.
«Astoria non l’ha presa bene» sussurra, calmo. «Il fatto che le abbia portato tuo fratello, intendo, io… non so più come fare, per renderla un po’ meno infelice di così».
Ginny sorride – le si strappa la faccia, quando lo fa: non dice, non ne ha la forza, che lui non ha mai fatto niente per rendere felice nessuno (nemmeno sé stesso).
Pensa ai biscotti a forma di stelle che Astoria Malfoy portava, una volta a settimana, in ufficio: delle stelline di cannella che tutti amavano e che Ginny s’era sempre rifiutata di toccare, come s’è sempre rifiutata di provare qualunque sorta di comprensione nei confronti della moglie di Malfoy. Non farà di Astoria Greengrass una martire (ma la tentazione è tanta), non riuscirebbe a sopportarlo.
Per questo, ha rifiutato a priori la possibilità di darle l’ombra di una favola con Fred ma, quando George ha accettato senza proteste di andare a trovarla, senza alcuna domanda, Ginny ha cominciato a sentire il rimorso masticarle le ossa, con i denti che scricchiolano sul midollo.
George sapeva di Astoria Greengrass – ha spalancato gli occhi, quando l’ha sentita menzionare, non ha fatto una piega quando Ginny gli ha riferito che lei volesse incontrarlo: sapevo che prima o poi sarebbe successo, ha commentato George, siamo pronti.
Il capo nero di cenere, suo fratello aveva acconsentito a Smaterializzarsi a casa Malfoy con le mani in tasca e un sorriso sul volto (ciao, Fred, avrebbe sussurrato Astoria nel vederlo – o, almeno, così Ginny aveva immaginato), lasciandola sola a combattere con quel crescente senso di disagio a smangiucchiarsela lungo la scogliera.
«Dovresti costringerti ad amarla, per farlo» commenta Ginny, masticando quelle parole. «Il che vuol dire che tua moglie morirà infelice».
Draco inghiotte quella consapevolezza – Astoria non è morta a quattordici anni ma, comunque, la propria favola non l’ha mai potuta vivere: per Fred Weasley non era tempo, forse, o forse l’avevano vissuto per una manciata di secondi. Poi, non era stato più.
«Ho sposato Astoria perché era giusto così» sussurra Draco, guardandola negli occhi. «Perché era la sorellina di Daphne, perché i Greengrass erano ciò che ai Malfoy serviva per ricostruirsi e perché lei mi amava».
Ginny alza un sopracciglio rosso, con aria perplessa. «Ed è bastato?» domanda, quietamente. «A fartela riamare?».
«No» ammette Draco, in un sussurro. «Non penso basterà mai».
Ginny sospira, cerca una manciata di parole da dedicargli – non ne trova nemmeno una: Draco Malfoy, annaffiato da quelle onde che si schiantano sulla scogliera, è così disperato da toglierle le parole e, quando ne ha trovato una lieve parvenza, è lui a scolorargliela via in un sussurro.
Le cinge il viso con le mani, rese secche dal freddo che avanza e fragili come foglie bagnate, Draco Malfoy le sfiora lo zigomo con il pollice, facendole spalancare gli occhi.
Ginny lo sa.
Che la loro rispettiva infelicità non è una scusa (non lo sarà mai) ma, quando finalmente lo guarda negli occhi, rivede quel giovane uomo che l’ha baciata la prima volta, quasi per sbaglio, mesi fa – lei ancora si stava riprendendo dalla nascita di Albus e, quando lui s’era ritrovato a dirle una parola (per primo, sorpreso da quel gesto), Ginny aveva perso ogni tipo di speranza.
Era stata fagocitata dal silenzio di Malfoy – non più, Weasley, ricordatelo – e, per tutti gli altri non più che si erano scontrati tra le labbra nei mesi successivi, aveva sempre taciuto.
Avevano entrambi un coniuge, una casa, una famiglia da costruire. Molti sogni, infranti, e una vita che si srotolava davanti a loro piena di sogni in frantumi.
«Non più, Malfoy, ricordi?».
Lui sorride, le assaggia le labbra – ricordo.
E lei, che è sempre sola e inquieta come quel calzino spaiato che sua madre non ha saputo identificare, non riesce a dirgli di no: è così stanca e bisognosa di ricominciare che, quando Malfoy le sfiora il viso con il proprio, ogni precauzione conta niente – ogni rimorso di coscienza: zero.
Astoria Greengrass ha avuto la favola che pensava di meritare, nulla di più e niente di meno: non è morta a quattordici anni ma, a conti fatti, forse lo avrebbe preferito rispetto a quell’amore bugiardo che suo marito le aveva concesso.
Harry Potter aveva costruito la vita che aveva sempre desiderato – quella stessa vita che a lei, Ginny, stava così stretta da regalarle un senso di soffocamento.
«Non ci credi nemmeno tu, non è vero?» sussurra lui, che sa di cenere e rimpianto. «Che è l’ultima».
Lei non lo sa contraddire – Draco Malfoy, illuminato da un sole che sanguina sull’orizzonte speranze frantumate, la guarda e aspetta una risposta (che non arriva).
Ginny non gli sa rispondere – è che c’è il cielo punteggiato di stelle che precocemente iniziano a intravedersi nel tessuto sfilacciato del cielo e, con i loro spigoli smussati, feriscono la visuale.
Se si potessero assaggiare, ne rimarrebbe inevitabilmente delusa – anche lui.
Saprebbero di cannella e promesse infrante.
 
***
 
Quella sera, è Ginny a presentarsi a casa con il capo cosparso di cenere – Harry non se ne rende conto, mentre gioca insieme a James e alla sua scopa giocattolo e sorride alla moglie, vedendola rincasare con i capelli spettinati dal vento e mille pensieri che le affollano la mente.
Ginny non parla spesso: è come se, il fiume in piena che era stata in adolescenza, si fosse infine seccato nell’abitudine, lasciandola senza parole. Mai, nel prescelto, s’insinua il tarlo che sua moglie possa non amarlo più.
Ginny è umana, spiega ad Hermione il giorno in cui lei gli confessa che la cognata le sembra infelice, nessuno è felice per sempre: qualche volta ci smarriamo ma, alla fine di tutto, torniamo indietro. E io ho fede che Ginny impari, un giorno che è oggi o dopodomani, a essere felice con sé stessa.
E lei lo sa – che Harry le sta dando tempo e spazio ma che, alla fine di tutto, l’impazienza logora anche lui.
Ginny ne è consapevole: che forse suo marito non ha abbastanza fantasia per immaginare ma che, quando ne legge il sorriso stanco e insoddisfatto, forse qualcosa è in grado di subodorare. Harry non è l’uomo più intuitivo del mondo ma, quando le carezza il capo (sai di cannella, sai?) con aria consolatoria, Ginny deve domandarsi se suo marito non sappia più di quanto non sia disposto ad ammettere, perfino con sé stesso.
«Ti vedo stanca» commenta Harry, con affetto. «Forse domani potrei rimanere a casa con i bambini, mentre tu passi il pomeriggio con Luna o Hermione o… fai quello che preferisci, insomma, ti prendi del tempo per te».
Ginny annuisce – teme che, se anche solamente si lasciasse sfuggire una singola parola, sarebbe quella di troppo (quella disposta a tradirla) e cadrebbe, cadrebbe, quel castello di carta e pergamena su cui ha costruito il proprio matrimonio.
«Se il lavoro al Profeta non ti piace più o hai problemi con i colleghi…» mormora Harry, a disagio. «Non devi per forza lavorare, possiamo cavarcela comunque».
Ginny digrigna i denti – ha speso così tanto amore e sopportazione, nei confronti di suo marito che, sul finire, ogni sua gentilezza gli è divenuta intollerabile.
«Ho bisogno di quel lavoro, Harry» sussurra, non senza una dose di inflessibilità. «Credo sia l’unica cosa che mi impedisce di impazzire definitivamente».
Harry non la contraddice – le deposita un bacio sul capo, stringendola a sé (Ginny digrigna i denti).
«Vorrei solamente che tu fossi felice» le sussurra, con affetto. «Se c’è qualcosa che posso fare, dimmelo. Ti ho promesso che ti avrei dato tutto e…».
«Lo hai fatto».
Se solamente il suo tutto fosse stato abbastanza – Ginny sospira, stretta a suo marito, con quell’odore di biscotti e cannella che le demolisce ogni pensiero: Astoria Greengrass si è addormentata con la mano stretta a quella di George e, quando Ginny gli ha domandato una spiegazione, suo fratello non ha saputo dirle molto.
È l’ultima persona che Fred ha amato – chissà se, se avesse avuto più tempo, l’avrebbe amata ancora o di più.
George ha sospirato, quando Draco Malfoy gli ha stretto la mano in un cenno di ringraziamento: tu non la meriti, gli ha detto. Mi dispiace, Malfoy, ma tu non la meriti più di lui.
Draco Malfoy ha riso e scosso il capo (forzato, innaturale) e gli ha dato ragione: ha sposato Astoria perché era giusto così ma, all’alba di quel nuovo giorno, inizia a non esserne più così sicuro.
«Eppure, qualcosa ti turba» commenta Harry, quietamente. «Ti andrebbe di dirmi di cosa si tratta?».
Ginny sospira – a volte, si dice, sarebbe così facile dire la verità: ma, quando sei la moglie di colui che ha salvato il Mondo Magico, tutto vuoi meno che essere colei che gli spezzerà il cuore. S’è sempre detta d’esser stata coraggiosa, a combattere contro tutti gli ostacoli che la vita (e Voldemort) le ha messo davanti.
Meno uno – il fatto che, nonostante tutto, il suo amore per Harry Potter si sia consumato come cera al sole.
«Conosci la moglie di Malfoy?» domanda, senza prender fiato. «Astoria».
«Sì, lavorava con Hermione, fino a poco tempo fa» commenta Harry, pensieroso. «Mi pare di ricordarla vagamente, sì».
«Sta morendo».
Lo dice così, con calma innaturale – Harry spalanca gli occhi, a disagio, mentre sua moglie sospira lacrime amare (amarissime) su quell’informazione.
«Manderò un biglietto a Malfoy» sospira, il Prescelto. «Se dovesse avere bisogno di aiuto, la nostra porta è aperta: d’altronde, è pur sempre un tuo collega, no?».
Ginny sospira – la gentilezza di suo marito è francamente snervante – e scuote il capo rosso, mentre snocciola qualche altra informazione.
«George mi ha detto che la moglie di Malfoy era innamorata di Fred» sussurra. «E che anche lui lo era e io… non so come comportarmi, Harry».
«Quanti anni avrà avuto, Astoria Malfoy, quando Fred era a Hogwarts? Tredici?» domanda Harry, pensieroso. «Si può davvero dire di amare qualcuno, a tredici anni?».
Ginny vorrebbe replicare che no, non si può amare qualcuno a tredici anni – e vorrebbe dirlo alla sé stessa di parecchi anni fa, che non avrebbe dovuto fossilizzarsi in quello che credeva essere amore: si è sciolto come nebbia al sole, eppure.
Eppure – quando ha guardato George negli occhi, l’ha visto: suo fratello ci crede per davvero, anche se lei non ci riesce più.
«E se muori a quattordici?».
Harry sospira, si gratta pensieroso la cicatrice, non trova risposta da darle se non che Astoria Greengrass non è morta a quattordici anni – ma Fred, ingiustamente, a venti sì.
È che, a volte, la vita è così ingiusta dal toglierti il respiro quando più ne hai bisogno: Fred è esploso in rimpianti (degli altri) e una risata (la sua), i Weasley non si sono mai ripresi da tale perdita.
Nemmeno Astoria Greengrass deve averlo fatto, ha suggerito Malfoy con ardore (e un pizzico di interesse).
Nemmeno Astoria Greengrass deve averlo fatto, ha risposto George Weasley dopo averla guardata negli occhi. E tu?
Ginny sospira, nasconde il volto nell’incavo della spalla di suo marito – ma, quando finalmente una lacrima le sfiora le labbra, sa ancora maledettamente di stelle di cannella e zucchero bruciato.
   
 
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