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Autore: 9Pepe4    03/09/2009    8 recensioni
[Versione riveduta e corretta causa insoddisfazione dell'autrice]
Assistendo ad un incontro dei sinistri Gin e Vodka, Conan si vede rivelata una realtà sconvolgente: lui non è Shinichi. Ma allora qual è la sua vera identità? E che fine ha fatto il detective liceale?
Aiutato da Ai - per la quale inizia a sentire qualcosa in più - Conan cercherà di venire a capo a tali misteri. Dalla sua parte non avrà indizi materiali, ma la trama nebulosa di alcuni ricordi che riaffiorano in lui.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8 – Misao Morozumi

Conan fissava i propri piedi che, comodi nel loro paio di scarpe, si muovevano lenti, misurati.
Non gli sembrava vero.
Ogni cosa, in quella faccenda, non gli appariva reale, partendo da se stesso. Un ragazzo rimpicciolito a bambino delle elementari, un giovane che per lungo tempo aveva pensato di essere qualcun altro, acquisendo i ricordi di questi... Sembrava quasi il materiale per una storia di fantascienza.
Il ragazzino sospirò mentre una folata d’aria gli passava tra i capelli bruni. Alzò lo sguardo, soffermandolo poi sul profilo di Ai.
Lei fissava la strada davanti a sé, con una tranquillità disarmante. Una calma che Conan non riusciva a comprendere, una calma che lui non sapeva se definire vera o una semplice copertura per le sue vere emozioni.
I capelli castani ramati della ragazzina erano appena arruffati dal vento, il viso lievemente arrossato.
Lei, almeno lei, in tutta quella confusione, gli sembrava vera.
Lei era concreta, era la realtà in tutto quel disordine.
Di colpo, Conan la sentì straordinariamente vicina. E al contempo percepì il desiderio di prenderla per mano, di sentire la sua pelle calda contro la propria... Con il respiro appena affannato, chinò gli occhi sull’asfalto.
Il cuore gli batteva più velocemente del consueto.
Finalmente giunsero all’abitazione dove si trovava lo studio medico del dottor Morozumi. Il sole si rifletteva con precisione con la targa di metallo con la dicitura “Misao Morozumi – Medico”, facendo socchiudere per un momento gli occhi a Conan.
Ai alzò la mano e suonò il citofono. Un momento dopo la porta si aprì con uno scatto.
I due bambini entrarono. Percorsero la scala in silenzio, a passi lenti, sino a giungere sul giusto pianerottolo. Quindi, titubanti, entrarono nella sala d’attesa dello studio medico.
Dall’interno di questo provenivano due voci, attutite dal muro. Conan e Ai si sedettero sulle sedie gialle del salottino, in attesa. Cercando di calmare almeno un poco il proprio nervosismo, Conan si concentrò sulle voci che udivano.
Uno, più squillante, quello che di fatto si sentiva con maggior chiarezza, sembrava appartenere ad una donna. Il secondo aveva un timbro più profondo, pacato, pensoso. Si sentiva appena, ma Conan ebbe un lieve brivido. “Dottor Morozumi...”
Ai sfogliava soprapensiero una rivista.
Infine la porta si aprì, e ne uscì una donna. Aveva corti capelli ondulati e castani. Indossava una borsetta scarlatta ed un abito rosso che saltavano subito agli occhi. Poi, dietro di lei, fece capolino un uomo robusto, dai capelli neri che ormai viravano al grigio, un pensoso sguardo nocciola e labbra sottili.
Quando la signora uscì, il dottore si rivolse ai bambini. «Posso fare qualcosa per voi?» domandò, con la perplessità evidente nella voce.
Conan si alzò e disse, pronto, con uno studiato tono infantile: «Sì. La mamma aveva preso un appuntamento, ma non trova più il foglietto sul quale l’ha segnato...»
Ai sospirò. «Perché l’hai preso per giocarci e l’hai perso» mormorò, senza alzare gli occhi dalla rivista.
Da una parte Conan l’ammirò perché era stata pronta a ricevere la palla al balzo, dall’altra si sentì un po’ imbarazzato... Perché il comportamento di lei non era esattamente quello di una bambina di circa sette anni.
«Non è vero!» esclamò, per non lasciar cadere l’argomento. «Sei bugiarda!» aggiunse, ostentando un broncio arrabbiato.
«E invece ho ragione» affermò Ai, alzando finalmente gli occhi e mettendo da parte il giornale.
«Ah! Chi fa la spia non è figlio di Maria, non è figlio di Gesù, quando...»
«Ma se sono una bugiarda non ho fatto la spia! Visto? Hai detto da solo che hai perso il foglietto!»
Il dottore li osservava allibito. «Ehm, bambini...» provò a dire.
«Balle, balle, stai raccontando balle!» strepitò Conan.
A quel punto, Morozumi li fece entrare nello studio. Immediatamente i due interruppero la commedia, accomodandosi dalla scrivania.
Il medico si abbassò a rovistare in un cassetto. Prese un’agenda e la aprì sul piano del tavolo davanti a sé. «Il nome di vostra madre?» domandò.
«La mamma è la mamma» rispose Conan, risoluto. Mentre si atteggiava a bambino capriccioso, la sua mente lavorava frenetica. Se solo fosse riuscito ad allontanare il medico avrebbe potuto cercare un’ipotetica cartella riguardante Yukiko...
Ai lo osservava sorpresa, evidentemente pensando che la recita fosse un po’ troppo pesante... I suoi occhi chiedevano: “E adesso?”
Il dottore incrociò le mani e pose nuovamente la domanda, stavolta ad Ai. Conan ne approfittò: intercettò lo sguardo di lei e sillabò in silenzio: “Allontanalo”.
Un guizzo di comprensione attraversò gli occhi della ragazzina. Di punto in bianco, prese a gridare, disperata: «Voglio la mamma! Mi manca tanto! Ho paura! Non voglio stare sola!»
Il dottore la fissò, a dir poco sbigottito. Si alzò e le andò vicino. «Ehi, piccola» disse, tentando di calmarla.
Ai continuava a strillare. Poi inspirò e domandò, con una voce che le venne tremula al punto giusto, prima di scoppiare in un pianto a dirotto: «Posso telefonare alla mia mamma?»
Il dottore replicò, appena imbarazzato: «Oh, ma certo, vieni». Fece cenno ad una stanza adiacente. «Di là ho il telefono».
Scoccò un’occhiata a Conan, il quale sedeva tranquillo sulla poltrona. Poi, con un sospiro, condusse fuori Ai.
Non appena fu scomparso il ragazzino scattò verso i cassetti, aprendoli in fretta. Fortunatamente il medico era un tipo ordinato ed erano tutte in ordine alfabetico. Per doppia fortuna, conservava tutte le cartelle dei pazienti passati.
Dopo qualche sbaglio indotto principalmente dall’agitazione, Conan riuscì a tirare fuori quella di Yukiko. La scorse velocemente. Sentiva ancora i singhiozzi inconsolabili di Ai, quindi doveva avere ancora un po’ di tempo.
Finalmente giunse ad una pagina che si rivelò quella che gli occorreva. Ma ciò che lesse gli gelò il sangue nelle vene e minacciò di bloccargli il respiro. Rilesse molte volte, sentendosi stordito, ma infine dovette ammettere che c’era scritto proprio quello. Con un brivido, rimise la cartella al suo posto.
Si alzò e chiuse i cassetti.
Appena in tempo per vedere rientrare Ai ed il dottor Morozumi. La bambina sembrava perfettamente rasserenata. «Sai?» esclamò, allegra. «La mamma ha detto che abbiamo sbagliato dottore! Ha detto anche che dobbiamo andare giù che lei passa a prenderci!»
Lui la osservò inebetito. «Bene» riuscì a dire, distrattamente.
La ragazzina lo osservò preoccupata, notando il suo colorito improvvisamente pallido. Gli occhi di Conan sembravano focalizzati su qualcosa di lontano, persi in un’altro mondo.
Il bambino non volle fare parola ad Ai di ciò che aveva scoperto, e rimase immerso in un silenzio meditativo lungo tutto il viaggio sino a casa del professor Agasa.
Quando furono davanti all’abitazione del professore si fermò. Sospirò e guardò Ai.
«Allora?» domandò lei, un po’ inquietata dal comportamento del ragazzino.
«Allora» replicò lui, con voce che suonò incredibilmente stanca, soprattutto considerato il suo aspetto da bambino delle elementari, «io... Io sono il fratello gemello di Shinichi». Tacque un attimo, fissando assorto un punto indefinito del cielo sopra la spalla di Ai.
«E quindi?» lo incoraggiò lei. La rivelazione l’aveva meravigliata, ma non capiva come mai il ragazzino sembrasse tanto sconvolto.
Conan deglutì, prima di parlare. «Quindi, secondo la cartella...» Trasse un respiro profondo. «Sono morto il giorno dopo il parto».
Ai rimase interdetta. Non seppe cosa dire. Poi, per alleviare l’atmosfera, agì d’impulso, facendo una cosa che in un’altra circostanza non avrebbe mai fatto. O forse sì, ma solo a patto di ricevere qualcosa in cambio.
Cercando di assumere la migliore espressione scherzosa, tese la mano al ragazzino. «Piacere!» esclamò. «Shiho».
Lui la fissò stranito per qualche attimo, poi tese la mano ad afferrare debolmente quella calda di lei. Quindi, muovendo le labbra – che gli parevano improvvisamente asciutte e screpolate – sussurrò: «Piacere, Takeshi».
Osò alzare gli occhi verso quelli di lei, ed improvvisamente il cuore accelerò i battiti in maniera spropositata, quasi fosse intenzionato ad uscirgli dalle costole.
Non sentiva più nulla. Ogni rumore del traffico in lontananza, degli uccelli che, rincorrendosi in volo sugli alberi, cinguettavano, sembrava essere svanito, soffocato da quello lieve del respiro di Ai.
Senza pensarci, senza ragionare, avvicinò le labbra a quelle della ragazza.
All’ultimo secondo lei ritrasse il viso, voltandolo di lato – i suoi capelli castano ramato si mossero in un’onda di riflessi – e Conan, Takeshi, si trovò a baciarle la guancia, calda e liscia.
Le sue labbra si soffermarono per un attimo sulla sua pelle morbida, poi si rese conto di quanto stava facendo. Allontanò bruscamente il viso, quasi il calore di lei lo avesse improvvisamente scottato.
Indietreggiò, mentre Ai, immobile, lo osservava ad occhi spalancati, poi si voltò ed iniziò a correre.
Mentre fuggiva, gli sembrò di udire una voce nella testa.
Una voce che forse era la propria, o quella beffarda dell’immaginazione.
Benvenuto, Takeshi Kudo.


Spazio autrice:
Buongiorno a tutti! Scusate la pausa, ma, dato che il mio cervellino bacato ha le dimensioni di una nocciolina, ho tante storie in ballo, e ho lavorato un po’ su quelle.
Allora, che dite del colpo di scena? Anzi, dei colpi di scena. Ho approfittato del fatto di essere impegnata in una “nuova versione” di questa storia per poter estendere un po’ la sequenza del bacio, spero di non avervi delusi...
Eh, povero Conan/Takeshi che sia, se continuo a torturarlo così a momenti non saprà proprio più che pesci pigliare.

Licia Troisi: Ed ecco la vera identità di Conan, spero non abbia deluso! E spero che la tua opinione di questa storia – che diventi sempre più bella ^///^ – non sia stata cambiata proprio da questo capitolo che, diciamocelo, è un capitolo anche abbastanza importante.

TITTIVALECHAN91: Sì, siamo riusciti a scoprire qualcosa. E nemmeno una cosa di poco conto, non trovi? Sono felice che tu non abbia disprezzato la mia decisione di mandare ancora un poco la cosiddetta “ora della verità”. Secondo me il giallo è il genere più difficile, infatti questo racconto non è che sia proprio un giallo, anche se i misteri non mancheranno. Alla prossima!

Kessi: Ciao! Che bello trovarti^^ Uhm, devo dirti che non sono certa di aver visto la puntata a cui ti riferisci – anche perché io più che guardare l’anime leggo il manga – ma potrei non ricordarmene. Comunque... Penso non sia questo il punto della questione (o sì? O_o). Sono felice che ti piaccia ritrovarmi, dal momento che, come ho già scritto, a me ha fatto molto piacere ritrovare il tuo nome in una recensione. Per finire: no, nel manga (e nell’anime), Shinichi e Conan sono la stessa persona. Che Conan sia qualcun’altro è frutto della mia mente ammattita ^_- Grazie mille! Baci

BabyYuki: Be’, che dirti, se non, prima di tutto, grazie?! Come ho preannunciato sì, si sono svelati un po’ di misteri – o forse l’identità di Conan ne ha aggiunti altri? – ma spero di non aver comunque fatto svanire la voglia di seguire questa ff. (Ed ecco qualcuno che si preoccupa per Shinichi... Be’, hai ragione, in fondo non lo vediamo da tempo. E se calcoliamo che è scomparso da quando Conan è stato trovato in casa di Agasa, la faccenda si fa alquanto preoccupante). Baci.
  
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