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Autore: Neamh Moonstar    23/12/2021    2 recensioni
Dio non muore, non sbaglia e non abbandona.
Dio non crea il caos tra gli angeli in cielo, né lascia quelli sulla Terra soli tra le lacrime e il sangue.
Dio non parla e non risponde.
Giusto?
(Considerabile come un seguito di: "Quell'angolo di infinito" ma leggibile separatamente).
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Gabriele, Morte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
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A quel punto, l'unica - seppur amara - certezza di Crowley era crollata, lasciando dietro di sé una scia di insensatezza assoluta. 

Qualunque cosa stesse accadendo non era buona, su quello almeno non aveva dubbi. Era tutto il resto a sparpagliarsi tra quell'aria di mancanza generale, il volto del suo angelo ridotto a uno spargimento di sangue, e i suoi stessi - ormai fottutamente incasinati - pensieri. In cima a quella pila disastrosa, c'era una miriade di piume color grigio perlaceo ora praticamente impossibile da non notare.

Doveva trovare un senso a tutto ciò e doveva farlo subito.


Va bene, un passo alla volta: poteva provare a pensare in quel modo, una volta tanto. Già sapeva quale fosse il passo uno: Aziraphale. Ovviamente non poteva essere che lui la sua prima preoccupazione. Se non lo vedeva riaprire gli occhi in meno di subito, rischiava di impazzire - e già era sulla buona strada per quello, a giudicare dal suo attuale stato mentale. 


Di sopra.

Oh, bravo inconscio; finalmente una buona idea. Effettivamente c'era un letto di sopra: vecchio e praticamente inutilizzato, ma sicuramente meglio del divano - e del pavimento, se per questo - date le circostanze. L'unico problema adesso era portarci l'angelo.


Con un respiro profondo - inutile ma rassicurante, Crowley riprese le irriconoscibili ali di Aziraphale e pensò a un modo per accomodarle e rendersi il trasporto facile... O perlomeno, meno difficile, ecco. Dopo solo un paio di manovre, però, capì che sarebbe stata un'impresa titanica.

Sbuffò. Una punta di nervosismo si trasformò subito nell'inizio di un pianto che troppo aveva aspettato ad arrivare, ma che il demone scacciò passandosi un braccio sugli occhi. 


Bravo: non ora. Non adesso che lui ha bisogno di te.


    «Lo so, lo so. Taci!» Disse a- bene, adesso era decisamente e ufficialmente fuori come un balcone. Forse non era l'unico demone ad avere demoni interiori, ma sicuramente era l'unico a parlarci.

    Si passò due dita sugli occhi rimasti scoperti e infilò distrattamente l'altra mano tra i capelli dell'angelo. «Va bene, facciamolo. Possiamo farlo,» rassicurò, un po' entrambi e un po' sé stesso - anzi, soprattutto sé stesso. Certo era che sarebbe sembrato più convincente senza la voce tremante che si ritrovava, ma stava mantenendo anche troppo il sangue freddo; perciò quelle parole stentate potevano essere considerate una vittoria.

Con un minimo sindacale di rinnovata speranza, avvolse le ali cenerine attorno al corpo di Aziraphale, alternando ogni movimento ad una carezza veloce. Normalmente non si sarebbe mai, mai e poi mai sognato di strapazzarlo in quel modo. Cioè, la prima volta che si erano presi per mano - quell'indimenticabile notte sull'autobus - aveva contribuito da sola a farlo sentire un po' al settimo cielo e un po' come se fosse la cosa più assurda che avesse mai fatto. Tutto ciò che era avvenuto dopo l'Apocalisse (Apoca-no? Apoca-quasi?) era stato un susseguirsi di gesti sempre più naturali che lo avevano portato a volerne sempre di più. In fondo, la possessività era nella sua natura, così come la voglia assurda che lo portava a immaginare di stringere quelle mani morbide, la voglia di non staccarsi mai da quelle salde braccia, la voglia di toccare quel bel volto candido. Era sempre più inspiegabilmente attratto come una falena verso la luce dell'angelo, ma per il momento era sempre riuscito a sopprimere tutti quei sentimenti sotto una semi-apparente tranquillità e un velo di gesti rilassati. L'ultima cosa che voleva era risentirsi dire che andava troppo veloce: la prima gli sarebbe bastata per tutta l'eternità, tante grazie.

E adesso? Adesso si era ritrovato a far passare un braccio sotto le ginocchia di Aziraphale e l'altro dietro quelle povere ali, iniziando a sollevarlo come un sacco di patate. 

Notò che la schiena dell'angelo bruciava e per un attimo dovette fermarsi per evitare che un'altra ondata di ricordi lo distraesse dalla sua missione. Le cose erano già abbastanza incasinate di loro e non aveva assolutamente bisogno di altra negatività.


Laddove il volto di Aziraphale andò a poggiarsi, esattamente tra il collo e la spalla, Crowley sentì il sangue sporcargli la pelle e i riccioli stuzzicargli il mento e la guancia. Sarebbe stato meraviglioso se solo la situazione non fosse stata tra l'inquietante e l'assurdo, pensò. Quello era il loro primo abbraccio, d'altronde... Sempre che potesse essere considerato tale. Non sarebbe dovuto avvenire così, no. Si meritavano di meglio.


Fai piano.


Non si sarebbe mai azzardato a fare il contrario, ma sì: salì gli scalini uno ad uno, mantenendo l'equilibrio e facendo innaturalmente piano.

    «Resisti, ci siamo quasi,» sussurrò all'altro prima di aprire la porta che dava sul buio e polveroso appartamento al piano superiore.

Così com'era entrato, fece sparire i libri dal materasso e vi poggiò Aziraphale come fosse fatto di porcellana. Almeno aveva completato il passo numero uno, il che significava che era ora di pensare al secondo.


In realtà sapeva già cosa fare.

I demoni, ahimè, non curano; altrimenti gli sarebbe bastato schioccare le dita e addio sangue. L'unica cosa che Crowley avrebbe ottenuto provandoci, sarebbe stato farne uscire altro, il che significava che aveva bisogno di una bacinella e di tanta acqua calda.

Non fece nemmeno in tempo ad allontanarsi dal letto per far comparire il necessario.


Resta vicino.


Gli venne automatico provare ad accendere la luce. Fortunatamente, il blackout sembrava essere passato... Beh, forse "fortunatamente" non era la parola più adatta. 

Crowley poteva ora vedere chiaramente lo stato pietoso in cui riversava il suo angelo, così come poté notare la crescente smorfia di terrore e dolore che si stava delineando sul suo viso sporco e distrutto.

    Al primo cenno di lamento, il demone si buttò nuovamente a lato del letto, con la pezza bagnata ora miracolosamente apparsa nella sua mano: «No, no, no! Sh, calmati. Sono qui, ok? Sono qui,» prese a dire, pulendo la faccia di Aziraphale e sperando che non si rimettesse a piangere sangue. «Mi senti? Va tutto bene-»

    Cazzate. Non andava bene proprio per niente, si disse iniziando a mordersi l'interno della guancia. «Troveremo una soluzione, ora calmati.»


Dovresti calmarti tu, prima.


Beh, anche no. Il fatto che adesso ci fosse una macchia anche sul petto dell'angelo, poi, non rendeva certo le cose migliori. Da quanto era lì? Crowley era stato così occupato a fissare la faccia e le ali dell'altro da non averla notata. E quel che era peggio, è che c'era un solo modo per pulirla.

    «Cazzo. Va bene: perdonami. Potrai uccidermi più tardi per questo,» disse rivolgendosi  a quel povero volto ora perlomeno visibile. 

Iniziò a disfarsi della camicia ora più beige che azzurra di Aziraphale, scoprendo un taglio oblungo che si estendeva proprio all'altezza del cuore. Sembrava uno squarcio nel bel mezzo di un tessuto bianco, morbido e setoso. 

    «E questa adesso da dove viene?» Chiese al nulla, nuovamente sull'orlo del pianto.


Non preoccuparti, fai piano.


E fece piano. Pianissimo. 

Accarezzò quella ferita fino a renderla una linea rossastra, e ripulì quelle belle guance fino a farle tornare alla normalità. Se solo avesse potuto sbiancare le ali allo stesso modo, lo avrebbe fatto. Eccome se lo avrebbe fatto.


**


Il cielo notturno era così bello e quelle mani tra i suoi capelli erano così gentili... Sarebbe rimasto lì per sempre, tra il cielo e la figura che si stava prendendo cura di lui.

Si chiese perché non avesse mai provato a dormire prima. Erano così i sogni? Ne valevano davvero la pena. Forse era stato condizionato dall'aver visto gli umani avere i primi incubi: quello lo aveva decisamente convinto a non rischiare mai di averli a sua volta.

Ma questo? Oh, questo era stupendo. Tutte le volte che lo vedeva sparire, cercava di riprenderlo e puntualmente la dolce figura tornava. Qualcosa gli disse che non se ne sarebbe mai andata.


«Ti prego...»


Una voce familiare fece breccia nella sua mente. Con essa tornò il freddo, tornò il bruciore, tornò il dolore... Eppure non erano più così persistenti. C'erano ma ovattati, come se qualcuno li avesse zittiti.


«Apri gli occhi per me, vuoi?»


Era così disperata e aveva una punta di... Non avrebbe saputo dire cosa fosse, ma si rese conto che ogni volta che la sentiva, il vuoto spariva. Quella voce, da sola, riempiva il cielo senza stelle.


Così aprì gli occhi. La luce lo costrinse a richiuderli, ma fece in tempo a vedere una scia di giallo, rosso e nero fare capolino davanti alla sua faccia.

C'erano due mani piacevolmente calde sulle sue guance, notò. Era un tocco così piacevole, seppur non esattamente delicato, che spazzava via il gelo.

    «Aziraphale?!»

Crowley?

Riaprì gli occhi a fatica e sì, sì era lui. Aveva la faccia di chi aveva appena visto l'Apocalisse provare a tornare, magari facendo esplodere la tanto agognata guerra tra Paradiso e Inferno.


    Chiedere venne spontaneo: «Crowley? Stai bene?»

In realtà era una domanda retorica: si vedeva che non stava bene. Era praticamente sbiancato, le mani gli tremavano e le sue dita erano sporche di sangue. Un sangue particolare, però: sembrava cosparso di brillantini dorati.


Aziraphale fece per riaprir bocca, ma in un attimo si ritrovò circondato dalle strette braccia dell'altro, bloccato in un abbraccio carico di sollievo.

    «Mi hai spaventato! Stavo impazzendo, lo capisci?!» Esclamò il demone, prendendolo subito per le spalle e costringendolo a guardarlo negli occhi. «Si può sapere che cazzo ti sta succedendo?»


Con gli occhi ancora sbarrati per la sorpresa, l'angelo aggrottò appena le sopracciglia. Niente da fare: le sue scapole urlavano ancora pietà. Almeno il peggio sembrava passato.

Abbassò lo sguardo. L'ultima cosa che voleva era preoccupare il povero Crowley, e guarda cosa stava succedendo. Possibile che non fosse capace di stare lontano dai guai? Tutte le volte sembrava che l'universo ce l'avesse con lui e che a pagarne le conseguenze fosse il demone costretto a salvarlo.

    «Non è ovvio?» Disse semplicemente, iniziando a torturarsi le dita.


    «NO! Non lo è!» Urlò l'altro, prendendogli un'ala - ah, le aveva ancora fuori? - e spostandola in modo che potesse vederla.


Fu allora che gli occhi di Aziraphale si sbarrarono di nuovo, portando la sua bocca a fare altrettanto.


    «Esatto!» Esclamò Crowley, come se quell'espressione potesse valere come risposta. «Cioè, non ha senso. Lo capisci anche tu che non ha senso, vero? Insomma: sai in che condizioni sei?»


Ne aveva un'idea, sì. Era stato terribile.

Mentre Crowley prendeva a farneticare, le braccia metà per aria e metà tra i capelli, Aziraphale si mise a sfiorare quelle piume perlacee con le dita fredde. Erano di una sfumatura tendente al bianco sporco, soprattutto sulle punte, il che era assolutamente strano. Certo: non tutti gli angeli avevano le ali bianche, ma tutti i demoni appena Caduti ce le avevano nere. Poi erano liberissimi di cambiarle in corso d'opera - anche se, a detta di Crowley, era difficile che accadesse - ma quand'erano fresche di bruciatura era dolorosissimo anche solo toccarle.

Le sue ali non facevano male, a differenza della sua schiena e del suo petto. Erano solo incredibilmente sensibili: l'angelo lo aveva notato nel momento esatto in cui la destra gli era stata spostata. 


    «Ho detto di tacere!»


Aziraphale spostò subito l'attenzione verso il demone, il quale aveva iniziato a strofinarsi nervosamente gli occhi.

    «Io non ho parlato,» disse, in tono quasi giustificatorio.


    «Lo so, lo so. Scusa, fa' come se non avessi detto niente, ok?» Disse Crowley, abbassando il tono di voce e prendendogli la mano con la stessa naturalezza con la quale gli cingeva il braccio mentre camminavano. 


Confuso, Aziraphale annuì. 


    «Piuttosto,» riprese l'altro, «come ti senti?»


Quella era un'ottima domanda.

    «Ho freddo,» spiegò, «ma ho le spalle in fiamme. Ho paura anche solo a poggiarmi al cuscino.»

Perché si rese conto solo adesso di essere nel suo letto al piano di sopra, avvolto da almeno tre coperte. Attorno al suo petto erano strette delle cose che parevano bende e aveva addosso un maglioncino color crema che era sicurissimo di non aver mai visto prima.


    Crowley prese a ticchettarsi il labbro con un dito. Lo faceva tutte le volte che spingeva l'assurda ma meravigliosa mente che aveva al limite, e Aziraphale adorava guardarlo. Alle volte poteva quasi intravedere i suoi pensieri.

    «È assurdo. Cioè: me lo ricordo, purtroppo. Prima ti si bruciavano le ali, ma non durava mai più di - cosa? Cinque secondi?» Spiegò il rosso, ormai ridotto ad un fascio di nervi. «Poi iniziavi a volare di sotto e lì sentivi il freddo. Allontanarsi da Lei è una specie di mix letale di, di-» si bloccò, facendo un gesto indescrivibile con le mani.


    «Di vuoto e nausea?» Completò, Aziraphale guardando altrove. «È come essere strappati via dal Suo amore, no?»

Non avrebbe saputo come altro spiegare quella sensazione, in effetti. Era proprio come se fosse stato privato di un organo vitale, per metterla sul piano più umano possibile.


    Crowley fece comparire una sedia, cadendoci sopra e riprendendogli la mano: «E ti senti ancora così? Dico, la sensazione non è passata?»


Aziraphale negò con la testa. "Anche se è migliorata da quando sei qui", avrebbe voluto aggiungere. Non gli parve il caso di aggiungere altri dubbi, però, e tacque.


    «Sai cosa mi sembra?» Riprese l'altro. «Magari è un'idiozia, ma è come se fossi rimasto bloccato a metà del processo. Insomma: un mezzo Caduto.»


In effetti suonava assurdo, eppure...

Le sue ali non erano bruciate del tutto: ciò avrebbe spiegato il colore. Forse era per quello che combatteva un po' con quella frusta fiammante che continuava a colpirgli la schiena e un po' con il freddo pungente della lontananza. Forse era per quello che il vuoto persisteva, aleggiando attorno a lui come uno spirito persecutore. 

Cos'è il grigio se non la perfetta mescolanza di bianco e nero, in fondo? 

    «Sai una cosa?» Disse infine, in un sussurro. «Forse hai ragione.»

Che situazione assurda. C'erano sempre stati l'Inferno, il Paradiso e loro due giusto in mezzo. E adesso Aziraphale si sentiva la metafora vivente della loro esistenza.


    «Anche se fosse, non è normale ed è successo troppo in fretta,» precisò Crowley, ora decisamente più calmo. «Dobbiamo capire cosa sta succedendo e, soprattutto, perché sta succedendo a te.»


    L'angelo annuì, mettendosi una mano sul petto. A proposito: «E questa come la spieghi?» Chiese, indicandosi il cuore e alludendo all'ultima ferita che aveva sentito aprirsi.


    Crowley scosse la testa: «Semplice: non me la spiego.»


Rimasero in silenzio, pensando al da farsi. Aziraphale si strinse un po' nelle coperte e scoprì che nascondere le ali era fuori questione: faceva troppo male. Provò a poggiarsi su un fianco, non senza l'aiuto di Crowley, il quale continuava a guardarlo nella paura che potesse succedere qualcos'altro. 

Ogni tanto, quando era immerso nei suoi pensieri, il rosso si ritrovava a scuotere la testa come se stesse rispondendo malamente a qualcuno. Doveva essersi stressato tantissimo e l'angelo si sentì in colpa.

Da quando Lei era sparita, Crowley era rimasto l'unica cosa alla quale poteva aggrapparsi.

    «Senti,» gli chiese ad un certo punto, rompendo il silenzio. «So che è una richiesta stupida ma, resteresti qui? Dico, nella libreria? Almeno finché non troviamo una soluzione.»

Era una richiesta così egoista, se ne rese conto. Alle volte lo diventava, egoista, ma non poteva farci niente: era una parte di lui che aveva sempre cercato di nascondere in favore del demone e degli umani.


    Crowley lo fissò allibito: «Che razza di domanda è? Ovvio che resto. Mi vedrai uscire da qui solo per fare il tè. A proposito-»


    Aziraphale sorrise ed annuì: «Sarebbe carino da parte tua.»


E Crowley detestava fare cose carine - a meno che non fossero per il suo angelo, ovviamente. Per questo faceva finta di offendersi ogni qualvolta Aziraphale gli facesse notare quei piccoli gesti. Era naturale, ormai.

Almeno, in mezzo a tutto quel disastro, si ergeva forte la certezza che loro sarebbero rimasti in piedi - in un modo o nell'altro.


   
 
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