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Autore: Neamh Moonstar    30/12/2021    1 recensioni
Dio non muore, non sbaglia e non abbandona.
Dio non crea il caos tra gli angeli in cielo, né lascia quelli sulla Terra soli tra le lacrime e il sangue.
Dio non parla e non risponde.
Giusto?
(Considerabile come un seguito di: "Quell'angolo di infinito" ma leggibile separatamente).
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Dio, Gabriele, Morte
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dilogia sotto le stelle'
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Aziraphale si tolse lentamente le mani dalla faccia e le riscoprì luminose. 

La sua vera forma era rimasta nascosta per secoli, tutto per evitare che gli umani ne rimanessero accecati. Adesso era di nuovo lì: splendente come non mai. Sovrastava il buio e faceva breccia nelle tenebre, tagliandole come una lama affilata.

Confuso, fissò il candore della tunica che si ritrovò addosso; si passò una mano tra i riccioli ora un po' più vaporosi e diede uno sguardo alle ali, scoprendo che anch'esse erano tornate bianche come neve appena caduta.

Non aveva freddo, anzi, la sua luce emanava calore. Non sentiva più il bruciore alle scapole, come se qualcuno ci avesse passato sopra un miracoloso balsamo lenitivo. Le uniche note negative erano Morte ancora davanti a lui, il buio e la solitudine.

   Colto dall'inquietudine, sbarrò gli occhi celesti e fissò il mietitore: «Non mi hai ucciso, vero?»


    L'altro scosse la testa: «No, ma sei più vicino a me di quel che credi.»


L'angelo non seppe se considerarla una buona notizia o meno.

    «Dov'è Crowley?» Chiese, sapendo che - nel migliore dei casi - si stava disperando sul suo corpo ora vuoto contro la parete della libreria.


    «Non preoccuparti, sta avendo un altro tipo di conversazione,» disse Morte, iniziando a camminare verso un punto non ben precisato del vuoto.


    Aziraphale lo seguì, improvvisamente ansioso. «Aspetta, in che senso? Con chi è?»

Sperò ardentemente che la risposta non fosse Satana, perché in quel caso avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per andare all'Inferno. Sarebbe Caduto del tutto, se necessario.


    Il mietitore scosse la testa: «Come ho già detto: non è lui quello in pericolo, ma tu


    Nulla di nuovo, quindi. Il biondo incrociò le braccia, guardando altrove: «Questo lo immaginavo,» disse. «Ma perché? Ancora non riesco a capire se e quando io abbia fatto qualcosa di sbagliato.»

Se proprio voleva dirla tutta, di cose considerabili sbagliate ne aveva fatte a bizzeffe. Fino ad allora, però, aveva sempre creduto di andare sul sicuro. Non c'era stato giorno in cui non avesse creduto ardentemente nel fatto che ci fosse di mezzo la Sua volontà.

Persino nella sua mezza Caduta - sotto sotto, nelle profondità del suo essere martoriato - non aveva mai smesso di credere in Lei. Persino quando aveva scoperto della Sua sparizione, la prima cosa che aveva fatto era stato preoccuparsi per Lei. 

I pensieri più bui andavano e venivano, certo - ma il tempo di nascere e già si scioglievano al sole delle sue certezze e, soprattutto, della vicinanza dell'altro che già gli mancava terribilmente.

E allora perché? Qual'era il senso delle sue piume perlacee, del freddo, del bruciore, del sangue? Come aveva fatto Dio ad andarsene? Per definizione, Dio non poteva semplicemente smaterializzarsi nel nulla.


    «Non sei stato tu, guardiano di luce. Ma per far sì che tu comprenda, ho bisogno di mostrarti una cosa

Mentre ancora camminava, Morte mosse la falce e davanti a loro comparve la terra aspra e rotta del campo di battaglia. La Guerra imperversava sotto ad un plumbeo cielo carico di risentimento; ovunque si espandevano urla, strepiti, cenere e sangue.


    «Sei stato tu a farmi sognare tutto questo?» Chiese Aziraphale, stringendosi un po' di più al mietitore. 


    L'altro scosse l'incappucciata testa: «Non erano sogni, ma ricordi


    «Questo lo so. C'ero anche io: c'erano tutti. È stato il giorno in cui le fazioni a cui appartenevamo sono nate.»

Quello scontro era stato l'inizio di tutto. Era stato aspro, più di qualsiasi guerra iniziata da mano umana; aveva creato la scissione che lui e Crowley avevano eliminato, restando null'altro che una macchia nel tessuto delle loro esistenze.


    Morte seguì distrattamente alcuni angeli che fuggivano con lo sguardo vuoto, riprendendo parola: «Eppure c'è qualcosa che non sai. Per metterla su un piano che possa aggradarti: ci sono capitoli del libro della tua esistenza che non hai mai letto.»


A quel punto, Aziraphale era più confuso che spaventato. Guardò la spada - la sua, quella che gli ritornava sempre indietro come un boomerang, per quanto non la volesse - che ora stava stringendo nella mano destra.

    «Ci sono tante cose che non ricordo del periodo precedente alla Guerra,» asserì. «Ricordo il giorno in cui sono nato, per esempio. Non ho idea di come si chiamassero i pochi angeli con cui ho parlato, però. Insomma: sono giorni così distanti per tutti; è difficile che qualcuno ne parli.»

Da sobrio. Era difficile che qualcuno ne parlasse da sobrio.


    «E la prima volta che hai visto il cielo? Quella te la ricordi?» Chiese Morte, aggirando uno dei tanti pallidi cadaveri.


    L'altro scosse la testa, facendo rimbalzare i riccioli candidi: «No. So solo che non mi dispiaceva guardarlo.»

Non gli dispiaceva nemmeno adesso, in realtà. La volta celeste aveva assunto sfumature diverse da quando Crowley gli aveva raccontato di come avesse aiutato a creare le stelle.

    «Scusate, ma questo che importanza ha?» Chiese poi, alzando un sopracciglio.


    «Non hai sognato anche il cielo notturno?»


    «Sì, certo. Pensavo fosse collegato alla notte eterna scesa sulla Terra; o che fosse un modo per - non so, alleviare il dolore.»

Non aveva veramente approfondito la questione. Sapeva solo che quei momenti sotto le stelle lo facevano stare meglio, e che i gesti di quella figura misteriosa lo facevano sentire amato come non mai.


    Morte si fermò, girandosi verso l'angelo e puntandogli addosso le sue orbite vuote: «È ora che tu sappia.»


Aziraphale fece per chiedere di più, ma un potente peso sulle spalle lo fece piombare a terra. La spada gli scivolò tra le mani e si sentì sbalzato più volte contro il terreno ruvido e polveroso.

Quando finalmente si fermò, sopra il suo stomaco stava inginocchiato un ribelle che non riconobbe: aveva uno sguardo assassino, le ali in procinto di annerire del tutto e la spada pronta a colpire.


    L'angelo di luce sbarrò gli occhi e si rivolse a Morte, in piedi poco più in là: «No, ti prego! Non questo. Non di nuovo!» Esclamò.

Era stata l'ultima scena del suo incubo. Quella che aveva sentito come fosse reale; quella dalla quale aveva provato a fuggire senza riuscirci, salvo poi essere salvato dal demone che era ormai il suo angelo custode.


Prese a dimenarsi, ma ormai era tardi. 

Il ribelle affondò la lama nel suo petto, trapassandolo come fosse burro fuso. Fiotti dorati scesero copiosi là, all'altezza del cuore - dove nel bel mezzo della sua mezza Caduta, Crowley aveva stretto delle candide bende.

    Non emise un suono. Puntò gli occhi azzurri pieni di lacrime sul mietitore e con la bocca mimò un silenzioso: "Perché?"


    La nera figura si volse verso destra: «Aspetta e vedrai,» disse. «Aspetta e vedrai


**


Era scivolato vicino alle scale come un povero imbecille. Doveva aver sbattuto la testa per bene, perché improvvisamente stava vedendo tutto nero. Nero come nera era la figura che aveva scorto al piano di sopra.

Morte, quel maledetto. Se voleva il suo angelo, doveva prima passare su di lui... In senso figurato. Quell'essere gli metteva paura e portava sfortuna; dove c'era lui, c'erano guai - guai belli grossi, anche. 

Qualcosa si sarebbe sicuramente inventato, una volta arrivato in cima alla scalinata. 


Quando riuscì finalmente a rimettersi in piedi, però, sbarrò gli occhi. Sì, aveva decisamente preso un colpo di quelli brutti; a meno che la libreria non avesse deciso di sparire nel nulla, lasciando il posto ad una landa desolata sovrastata dal cielo notturno più stellato che avesse mai visto.

Sembrava un deserto fatto di morbida sabbia bianca, del tutto simile a quello che lui stesso aveva esteso nella sua dimensione personale.

Non tirava un filo di vento, non volava un suono e Crowley sentiva la sua mente leggermente svuotata, come se le avessero tolto un peso.

Concentrandosi per due secondi, capì poi che la voce era sparita al pari della polvere e degli scaffali colmi di volumi. Oh, grazie a-


    «Ha funzionato!» Esclamò qualcuno alle sue spalle, come se stesse intonando una melodia chiara e cristallina.


Un brivido gli percorse la spina dorsale. Sentì i capelli rizzarglisi sulla nuca, mentre l'eco di quell'esclamazione si infrangeva su di lui come una secchiata d'acqua ghiacciata in pieno inverno. 

No, non era vero. Non poteva assolutamente essere vero. 

Non si girò per paura di sapere cos'avrebbe scoperto; per paura di dar voce alla sua immaginazione, cosa che normalmente adorava fare: adorava piegare la realtà; lo faceva sentire libero e piacevolmente potente. 


    Poi, la voce - sì, lei: quella che lo aveva tartassato per più di ventiquattro ore - rise. Aveva la risata più bella ed armoniosa dell'universo. «Ciao, amor mio


Nessuno lo chiamava così se non un unico essere in tutto il cosmo. 


Lentamente - molto lentamente, Crowley si girò e vide due cose: la prima furono le sue ali corvine che - chissà quando e chissà perché - aveva tirato fuori. La seconda fu decisamente più sconcertante.


Lei non aveva mai avuto una forma precisa: la cambiava di tanto in tanto - a seconda di come Le girava - e aveva messo un po' dei Suoi "travestimenti" preferiti in ogni creatura che aveva creato: dagli angeli, agli umani. 

Quella volta se ne stava compostamente in piedi sulla sabbia, coperta da un lungo vestito bianco. Era la perfetta rappresentazione della donna-angelo: chiara come l'alba, lunghi capelli dorati, ali così candide da far male agli occhi e iridi fatte di stelle. Era così bella da far venire le lacrime agli occhi, ed era così bella perché era lì, era presente; semplicemente, c'era e non era sparita nel nulla. 

    «È da molto tempo che non ci vediamo,» continuò Dio, sorridendo cordialmente.


La prima cosa che la mente del demone riuscì a elaborare fu che: o era tutto uno scherzo ben congeniato; o aveva ufficialmente messo KO la sua già misera sanità mentale, sbattendo clamorosamente contro gli spigoli lignei dei gradini della libreria.

Forse era effettivamente la seconda opzione, dato che adesso la testa gli stava girando. Se non fosse stato per quelle braccia morbide e forti, sarebbe finito sulla sabbia come - beh, come un qualcosa che cade sulla sabbia.


    «Piano, amor mio. Piano,» disse Lei, togliendogli delicatamente gli occhiali dal viso e prendendo ad accarezzargli la fronte. «Ti fai prendere troppo dalle emozioni, l'ho sempre pensato


Crowley si congeló sotto quel tocco, sbarrando gli occhi e cercando di strisciare il più lontano possibile da quelle dita dolci.

    «Asspetta, aspetta! Frena!» Esclamò non appena la sua lingua decise di ricominciare a funzionare di nuovo - più o meno.

Si inginocchiò davanti a Lei, standoLe ad almeno tre metri di distanza. La guardò come se fosse la cosa più assurda mai accaduta, iniziando a balbettare consonanti a caso. La guerra con il suo inconscio era finita solo perché quella con le sue capacità comunicative potesse iniziare.

    «Tu?» Fu l'unica espressione logica a sopravvivere a quel marasma di foni.


    Dio annuì: «Ora possiamo finalmente parlare con calma. Non ringrazierò mai abbastanza Morte per tutto quello che fa


Morte?

    Il demone balzò in piedi, guardandosi attorno: erano soli. «L'hai mandato tu?» Chiese, con un filo di voce. 

Si era davvero presa il suo angelo? Aveva seriamente deciso di consegnarlo al mietitore, mettendo fine all'esistenza della creatura a cui teneva più di qualsiasi altra cosa al mondo?

Sentiva già le lacrime pizzicargli gli occhi, la tristezza si mescolò ad una voglia pazzesca di riversare tutto il suo dolore e tutto il suo risentimento su Colei che aveva di fronte.


    Dio lo raggiunse, sfiorandogli le guance sottili: «Non è come credi, amor mio,» lo rassicurò. «Io e Morte collaboriamo da tanto tempo. Questo è il secondo favore più grande che mi abbia mai fatto


Crowley si sentì mancare di nuovo. A quel punto non ci capiva più niente: tutto il suo essere oscillava tra i dubbi, la confusione e la preoccupazione, facendolo sentire come in preda ad un attacco di panico. Voleva solo nascondersi e piangere - anzi, no: voleva tornare a casa, prendere Aziraphale e riprendere Alpha Centauri in considerazione. 

Questa volta, quando Dio venne per circondarlo nella Sua stretta calda e gentile, era troppo infognato nel suo stato d'animo per reagire. L'unica cosa che poté fare, fu fissare il vuoto e scuotere la testa.

    «Dov'eri?» Balbettò. «Dove sei stata? Perché te ne sei andata?»

Dubbi, domande. Quelli a cui Lei non rispondeva mai.


    Dio gli accarezzò le ciocche rossastre, cercando di consolarlo: «Sei qui per comprendere, amor mio. Ho provato a parlarti, ma la tua preoccupazione per la mia dolce luce era più forte di qualsiasi altra cosa.»


La "Sua" dolce luce, eh? Non se la ricordava così possessiva e simpatizzante dei soprannomi.

    «Beh,» riprese il demone, staccandosi e passandosi un braccio su gli occhi per contrastare il pianto. «La tua povera luce, come lo chiami tu, non ha fatto che piangere sangue per ore. E tutto perché Vostra Maestà ha deciso di ritirarsi nei Suoi alloggi divini.»


    Dio si poggiò le mani in grembo, guardandolo con aria mesta: «Ti spiegherò ciò che è accaduto per gradi. Ma devi collaborare con me se vuoi mettere fine a tutto questo,» disse, inclinando un po' la testa per incontrare quegli assenti occhi dorati, troppo adirati per guardarLa. «Vuoi salvare il tuo angelo, no?»


Certo che voleva. Lo voleva ora più che mai.

    «Sei seria quando dici che risssponderai?» Chiese dubbioso, cercando di tenere i sibili a freno. «Perché, scusa se te lo dico, ma ho i miei seri dubbi.»

Quante volte aveva provato a chiederLe qualcosa? Lo faceva in Paradiso, così come lo aveva fatto durante i peggiori momenti della storia. Persino durante la corsa all'Apocalisse l'aveva fatto, solo per arrivare all'amara considerazione che Dio non risponde - né agli angeli e tantomeno ai demoni disperati come lui.


    Con un sorriso meraviglioso stampato sulle gote perfette, Lei gli poggiò una mano sulle scapole, prendendo a camminare: «La risposta dipende dalla domanda,» disse. «Ce ne sono alcune che hanno bisogno di tempo per trovare la loro risoluzione. E dato che di quesiti stiamo parlando, è proprio da uno di essi che dobbiamo partire.»


Evvai, questioni filosofiche. L'unico con cui Crowley avrebbe mai potuto affrontare certi argomenti, era Aziraphale.

A proposito di lui: chissà dov'era. Sapere che Dio e Morte erano pappa e ciccia - da quando, poi? Doveva essersi perso qualcosa - gli fece sperare che stesse bene e che non stesse soffrendo. Gli mancava così tanto... Da quando era così appiccicoso? Forse era la situazione o forse il fatto che ormai vivevano in simbiosi. 


Con un leggero sbuffo, seguì Dio attraverso quel deserto infinito. Lentamente, la notte fece posto al giorno e il sole cocente prese a sbattere violentemente sopra le loro teste. Nell'aria aleggiava un leggero odore di pioggia.

    «Ehi, aspetta un attimo,» disse, girando un po' su se stesso mentre camminava. «Conosco questo posto.»

Lo aveva osservato per così tanto tempo da poter indicare l'ubicazione di ogni duna, ogni roccia e ogni tana di leone particolarmente affamato.


Non era un deserto qualsiasi, realizzò. Era quello che si estendeva attorno alle mura dell'Eden.


   
 
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