Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Krgul00    31/12/2021    1 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO QUATTRO
 
Quel sabato tutta Sunlake era in fermento per gli ultimi preparativi in vista della fiera di quella sera.
Eventi del genere richiamavano persone da tutta la contea di Lake Rock, con somma gioia delle piccole imprese del paese.
Come al solito, c’erano gli ultimi problemi da risolvere e imprevisti a cui rimediare. Un carico di vino locale perso o un’infornata mal riuscita di dolcetti al miele.
Il grosso però era stato fatto nei giorni precedenti, ed ora, intorno alla piazza centrale, sorgevano tanti piccoli banchetti in legno, sia lungo il perimetro più esterno della piazza sia lungo quello interno, l’uno difronte all’altro.
Nel mezzo pendevano piccole luci colorate, che avrebbero rallegrato l’atmosfera, e al disotto erano stati disposti diversi tavoli, affiancati da grandi stufe che avrebbero, per quanto possibile, riscaldato la fredda sera novembrina.
Anche a casa Royce, c’era un bel daffare. Sola in casa - suo padre era uscito per la sua solita passeggiata - Charlie ne aveva approfittato per preparare una ricetta per dei biscotti al limone che aveva visto online.
La tizia del video aveva fatto sembrare il procedimento incredibilmente semplice e veloce, eppure lei era da ore alle prese con l’ultimo facile – come aveva detto quella donna sadica – passaggio.
Facile. Fare la crema al limone si era rivelato tutt’altro: un incubo.
La prima volta le era venuta una roba troppo liquida, si era detta: “ho messo troppo latte, niente di grave”, perciò aveva tentato di nuovo e aveva ottenuto una robaccia piena di grumi, e non importava con quanta energia sbattesse la frusta, non era riuscita a eliminarli.
Adesso era alle prese con il suo terzo tentativo, e non sembrava stesse ottenendo grandi miglioramenti.
“Andiamo.” Sibilò alla crema mentre mescolava con più energia. Iniziava a farle male la mano e la spalla, ma solo quando il composto finalmente si addensò smise di mischiare.
La crema che aveva ottenuto non aveva l’aspetto di quella nel video, ma assaggiandola Charlie la ritenne decente.
Qualche grumetto non ha mai ucciso nessuno, pensò. E comunque non ne avrebbe fatta un’altra, in ogni caso.
Sicuramente, preparare dolci era una distrazione e veder uscire fuori dal forno ciò che aveva fatto con le sue mani le dava una gran soddisfazione, si reputava anche una brava pasticciera, ma non era convinta che ne valesse la pena. Non aveva intenzione di demordere, comunque; era sicura che prima o poi, con l’esperienza, l’avrebbe adorato.
Tutte le donne di Sunlake erano delle vere professioniste in cucina, come aveva scoperto il sabato precedente alla riunione del comitato, e lei non poteva essere da meno.
Alle prese con la crema, non si accorse subito di aver ricevuto un messaggio sul telefono e solo quando ebbe messo i suoi biscotti in forno, lo vide.
Matthew le chiedeva di chiamarlo.
Le sopracciglia di Charlie si aggrottarono. Matthew Allen era essenzialmente l’unico amico che avesse avuto negli ultimi dieci anni, oltre ad essere il suo superiore; tuttavia, a parte episodi sporadici, non si sentivano più di una volta a settimana quando lavorava e meno spesso quando era in ferie.
Poiché Charlie si era dedicata anima e corpo al suo lavoro, aveva accumulato un gran numero di giorni di ferie, che aveva usato ora che stava attendendo il trasferimento.
Andò in camera a recuperare l’altro telefono e mentre tornava in cucina fece partire la chiamata.
Rispose al primo squillo.
“Ciao, Charlie”, la salutò.
“Già senti la mia mancanza, Matty?” Scherzò lei di rimando.
La risata nervosa dall’altro capo del telefono, invece del solito sbuffo in reazione al suo nomignolo, la fecero irrigidire. “Cosa succede?” Chiese seria.
Ci fu un gran silenzio e Charlie poté sentire il suono di fogli che venivano sistemati sulla scrivania. Quando era nervoso, Matt iniziava a riordinare qualsiasi cosa. Una volta lo aveva visto riordinare tre interi schedari, tutto da solo.
Il suo nervosismo aveva reso inquieta anche Charlie, che iniziò a muoversi avanti e indietro, davanti al forno.
Si schiarì la gola prima di iniziare a parlare. “Ti ricordi quando ti ho detto di comportarti come una persona normale?”
Charlie sbuffò. “Me lo hai detto una settimana fa, è difficile che l’abbia dimenticato.” Iniziò a sentire i primi morsi della fame nervosa e guardò i biscotti che stavano cuocendo. Le venne l’acquolina in bocca. “Cosa sta succedendo, Matt? Non hanno accettato il mio trasferimento?”
“Cosa? No!” rispose concitato, “Non si tratta di quello.”
“E allora di cosa si tratta? Mi stai innervosendo. Dillo e basta, mio Dio!”
“Ho bisogno di un favore.” A quelle parole mormorate, Charlie staccò il telefono dall’orecchio e lo fissò per un lungo momento prima di parlare di nuovo nel ricevitore.
“L’ultima volta che ti serviva un favore sono finita in prigione.” Disse Charlie con voce piatta, come se gli avesse appena ricordato che l’acqua è bagnata.
“Lo so, ma-”, Charlie non gli lasciò il tempo di finire.
“Ti ricordi che sto tentando di convincere mio padre che non sono una criminale? Perché non vedo come possa funzionare se mi faccio sbattere dentro!” l’ultima parola fu quasi un urlo.
“Non ci sei rimasta nemmeno venti minuti!” Sbraitò Matt di rimando.
Entrambi presero un profondo respiro.
“Ascoltami solo cinque minuti.” Il tono di Matt più calmo, ora. Charlie lo lasciò continuare. “Ti ricordi del caso Rodriguez?”
Il caso Rodriguez era uno dei casi con più risonanza mediatica che il loro dipartimento avesse mai avuto; aveva raggiunto anche la tv nazionale tanto era stata la sua portata. Charlie non vi aveva lavorato direttamente, però era stata coinvolta quando era stato necessario individuare uno dei sottoposti dei fratelli Rodriguez.
Cole e Declan Rodriguez erano stati due dei più grandi spacciatori di droga del paese, solo Declan Rodriguez era stato assicurato alla giustizia, però, mentre l’altro era ancora latitante. Ovviamente la loro organizzazione aveva risentito parecchio quell’arresto e la concorrenza aveva fagocitato in poco tempo una grande fetta del mercato della droga lasciata scoperta.
Dunque, era impossibile per Charlie aver scordato il caso Rodriguez, e Matthew lo sapeva, perciò non aspettò una risposta prima di continuare.
“Siamo stati informati da una fonte attendibile che Cole Rodriguez ha iniziato a frequentare la contea di Twin Lake circa due mesi fa; pare stia cercando di agganciarsi ad un traffico locale già esistente gestito da un certo Alan Hill.”
Sembrava una mossa alquanto disperata.
Charlie, che nel frattempo si era seduta al tavolo della cucina, si strofinò una mano sulla fronte. Sapeva che cosa gli avrebbe chiesto: di verificare la veridicità di quell’informazione. Nel suo ambiente non si era mai troppo poco paranoici.
“E cosa ti serve da me?” Chiese comunque.
“Solo una foto.” Disse Matt, il tono che sminuiva la portata di ciò che stava effettivamente chiedendo. “Dobbiamo essere sicuri che Cole Rodriguez sia proprio lì, in persona.”
Proprio in quell’istante sentì la porta d’ingresso aprirsi.
Charlie alzò di scatto la testa a quel suono. “Ci devo pensare.” Guardò nervosamente la porta della cucina. “Ora devo andare, Matt.”
“Entro domani mi serve una risposta.” Parve esitare prima di aggiungere: “Sai che non te lo chiederei, se potessi.”
Lo sapeva, e glielo disse.
Stephen Royce comparve sulla soglia proprio quando riattaccò.
Un sopracciglio argenteo sollevato verso l’alto e lo sguardo indagatore, il ritratto della diffidenza.
“Con chi parlavi al telefono?”
Charlie scrollò le spalle con nonchalance. “Un collega.” Aveva deciso che se voleva davvero guarire il rapporto tra loro, non avrebbe mentito se non fosse stato strettamente necessario.
Questo però non sembrò rilevante per Stephen, che sbuffò di derisione. “Oh certo, il tuo lavoro allo studio legale che non esiste.”
La superò, aprì il frigo e vi tirò fuori il succo d’arancia.
Charlie fece un profondo respiro, contò fino a sette ed espirò.
Era incredibile come suo padre avesse il potere di irritarla con una frase, mentre le frecciatine di Annabelle la annoiavano a morte.
Decise di cambiare argomento. “Com’è andata la tua passeggiata?” In risposta ottenne un vago grugnito, che voleva dire tutto e niente.
Non si diede per vinta. “Ho fatto i biscotti, ne vuoi?” Chiese tirando fuori la teglia.
La smorfia sul viso di suo padre fu una risposta sufficiente.
“Cosa voleva il tuo collega?” Il tono aspro che usò su quell’ultima parola, chiarì perfettamente cosa ne pensasse.
Charlie ripensò alla richiesta di Matthew, e sotto lo sguardo di suo padre si sentì fastidiosamente in soggezione. Nervosa, borbottò una scusa qualsiasi e uscì dalla cucina.
Quella telefonata l’aveva resa irrequieta; dopo pranzo e un lungo bagno caldo, aveva deciso di non andare alla sagra del vino quella sera, non aveva voglia di vedere la faccia gongolante di Annabelle King, preferiva rimanere a casa, magari avrebbe cucinato qualche altro biscotto.
Il suo umore abbattuto, però, non era passato inosservato a Stephen Royce; dato l’insolito mutismo e l’evidente preoccupazione sul viso di sua figlia, le aveva gravitato attorno tutto il pomeriggio: aveva cercato di coinvolgerla, senza successo, in una conversazione  – cosa insolita per lui, era sempre Charlie che cercava di intavolare un discorso - durante il pranzo, aveva bussato alla porta del bagno quando non l’aveva vista riemergere dopo lungo tempo e per il resto del pomeriggio si era affacciato di tanto in tanto alla porta della sua camera.
Charlie, immersa nei suoi pensieri, non se ne era nemmeno resa conto.
Dopo il loro scambio in cucina, quella mattina, Stephen si era chiesto se non avesse esagerato. L’apatia in cui sembrava esser caduta sua figlia, lo impensieriva. L’uomo non poteva certo mentire a sé stesso: era felice di avere di nuovo Charlie a casa, dove poteva tenerla d’occhio. E sembrava che sua figlia avesse tutta l’intenzione di restare con lui.
Aveva iniziato persino a cucinare i biscotti, perdio! E sembrava non aver mai preso in mano un mestolo prima d’ora, perché i suoi dolci erano assolutamente immangiabili.
Ma la sua bambina sempre piena d’energia e irrequieta – che poteva ancora vedere nella donna che era diventata – sembrava aver abbandonato la Charlie che gli aveva voltato le spalle ed era uscita dalla cucina.
Fu per quel motivo che Stephen, decise di dichiarare una tregua, per quella sera.
Charlie, perciò, fu stupita quando alle sette si ritrovò suo padre sulla soglia della sua camera. “Ancora non sei pronta?”, le chiese.
Charlie, sdraiata sul letto, si mise seduta a gambe incrociate e batté le palpebre, perplessa. “Pronta per cosa?” domandò.
“Andiamo alla sagra. Mettiti qualcosa di pesante addosso, fuori fa freddo.” E con quello Stephen tornò in salotto.
Charlie guardò un momento la porta della sua stanza, prima di buttarsi giù dal letto.
Suo padre voleva andare alla stupida sagra del vino con lei! Non se lo sarebbe certo fatto ripetere due volte.
Poteva sentire il suo cuore battere all’impazzata per l’eccitazione; era quello che voleva: lei e suo padre che andavano insieme alle feste di paese. Esser parte di una famiglia. Essere normale.
Aveva ragionato su cosa dire a Matthew e fino a quel momento non aveva saputo quale sarebbe stata la sua risposta.
Dopo ciò che le aveva detto Diddi, quasi una settimana prima, pensava che ormai il suo lavoro non potesse più regalarle delle emozioni; ma una parte di lei, quella che aveva sempre vissuto d’azione e adrenalina, avrebbe accettato senza riserve la proposta di Matt. Aveva sentito il suo corpo come risvegliato da una nuova energia, l’euforia di mettersi di nuovo alla prova.
Quell’emozione, però, era sbiadita presto.
Da qualche tempo ormai a quella parte di lei, se n’era opposta un’altra che desiderava disperatamente trovare il suo posto, un posto che non la facesse sentire incredibilmente sola.
Mentre si vestiva – un paio di jeans e il maglione più pesante che aveva – prese la sua decisione: non avrebbe accettato. Non avrebbe messo a rischio il rapporto con suo padre, di nuovo.
Voleva renderlo fiero più di qualsiasi altra cosa.
Arrivarono con quaranta minuti di ritardo, e la piazza di Sunlake era gremita. Dai banchetti tutt’intorno si sprigionavano profumi speziati di dolcetti e vin brulè.
Era da quando era un’adolescente che non partecipava più a una festa di paese; l’odore del vino caldo e il calore delle stufe a legna, distribuite lungo tutta la piazza, contribuivano a rendere l’atmosfera gioviale e godibile.
“Vuoi un bicchiere di vino?” Chiese Charlie a suo padre, che annuì semplicemente.
Quel semplice gesto le scaldò il cuore e ad ogni passo verso il banchetto più vicino si sentiva sempre più euforica.
Fu intercettata da Gracie Howard, a pochi passi dal suo obbiettivo.
“Charlotte, tesoro. Ti stavo proprio cercando.” Quel nome sembrava perseguitarla.
Sorrise gentile all’altra donna. "È Charlie, Mrs. Howard.”
Gracie rimase visibilmente confusa. “Oh!” Si portò una mano alle labbra e arrossì leggermente. “Pensavo che-”
“Non si preoccupi.” Il sorriso che le rivolse sembrò rassicurarla. Aveva una chiara idea del perché la signora Howard pensasse che si chiamasse Charlotte.
“Chiamami Gracie, tesoro.” La donna le prese entrambe le mani nelle sue. “Non so come ringraziarti per questa meravigliosa sagra. Se ne parlerà per anni! È sicuramente l’edizione migliore e più promettente, non mi sono mai divertita tanto.” Si profuse in altri complimenti assolutamente non necessari.
Charlie, attonita, cercò di inserirsi nello sproloquio di Gracie per spiegarle che la sagra del vino non l’aveva organizzata lei, ma Annabelle King, come ogni anno. Tutto ciò che riuscì a dire, però, fu un debole “Grazie, ma…” prima di essere sommersa da un nuovo torrente di parole.
Iniziarono a farle male le guance, dopo cinque minuti che sorrideva in risposta alla profusione di ringraziamenti che Mrs. Howard le stava riversando addosso.
Mentre annegava in quel mare di parole, Charlie vide i soccorsi avvicinarsi sotto forma di una scompigliata Maddie Foster. Sembrava avesse corso, il suo respiro affannato creava nuvolette di condensa nell’aria fredda.
In un altro momento, Charlie sarebbe stata divertita da quella vista: la sua amica, rispettabile bibliotecaria del paese, di solito sempre composta, così sconvolta.
“Ti ho cercato d’dappertutto”, ansimò Diddi quando le raggiunse.
Charlie si aggrappò a quella opportunità come a una scialuppa di salvataggio.
“Oh, sì! Mio Dio, mi ero completamente dimenticata che dovevamo fare quella cosa!” Non si curò del tono vagamente disperato con cui disse quelle parole. Cercò di ricomporsi per le successive. “Gracie, scusami un attimo, per favore.” Non si sarebbe stupita se il sorriso che fece alla donna fosse stato accompagnato da un’improvvisa musica angelica.
Afferrò Diddi per un gomito e la trascinò più avanti, finché la capigliatura cotonata di Gracie Howard non fu più in vista.
Il sollievo fece subito posto alla confusione quando Maddie disse: “Come ci sei riuscita, C.?” Il tono serio, la voce bassa per non farsi sentire.
“A fare cosa?” Chiese Charlie, non sapendo a cosa si stesse riferendo l’altra.
Maddie puntò lo sguardo più avanti, a diversi metri di distanza. “Quello.” Disse semplicemente.
Charlie non capì, finché non riuscì a identificare il volto sotto uno Stetson scuro dalla tesa larga.
Lo sceriffo Logan Moore era intento in una conversazione, al centro delle attenzioni di Annabelle King.
Nonostante l’espressione fosse gentile e rispettosa, dal suo linguaggio del corpo, Charlie poteva dire con certezza che fosse infastidito da tutta quella considerazione.
Ma l’attenzione di Charlie fu catturata da qualcosa di ben più importante e fondamentale, e improvvisamente tutto il suo mondo parve ruotare intorno a un singolo oggetto inanimato.
“Mio.” Disse, come ipnotizzata. “Dio.”
Non poté vedere Maddie alzare gli occhi al cielo.
“Charlie, non è il momento della tua assurda fissazione per gli uomini e i cappelli da cowboy.” Le parole esasperate di Diddi infransero il suo sogno ad occhi aperti.
Da quando suo padre, a tredici anni, le aveva fatto vedere il suo primo film con Clint Eastwood, Charlie aveva una ossessione per quei cappelli. Gli uomini che li indossavano erano assolutamente irresistibili e Logan Moore con uno Stetson era senza dubbio l’incarnazione di un sogno erotico.
Ignorò le ultime parole di Maddie. “Non ho idea del perché sia qui.” Disse, guardando inesorabilmente di nuovo nella direzione dell’uomo.
Prendendole il mento tra due dita, Diddi le voltò la testa per guardarla in faccia e parve soddisfatta di qualsiasi cosa le vide in viso.
Non appena le sue dita la lasciarono, gli occhi di Charlie tornarono di nuovo sullo sceriffo e questa volta trovarono due pozze scure ad aspettarla.
Distolse subito lo sguardo, con disinvoltura.
Una risatina idiota le scappò dalle labbra.
“Santo cielo.” Mormorò Maddie, esterrefatta. “Sei completamente impazzita.”
Le due donne si fissarono per un momento negli occhi, poi sul viso di entrambe si aprì un malizioso sorriso d’intesa.
Furono interrotte da un grido.
“Charlie!” Jake Moore correva verso di loro, frenetico e non passò inosservato, presto molti sguardi sorpresi furono su di loro; Charlie vide con la coda dell’occhio la testa di Logan alzarsi di scatto nella loro direzione, gli occhi scuri che la fissavano da sotto la tesa del cappello. Sentì un brivido risalirle lungo la spina dorsale.
Quando Jake le raggiunse, subito prese una mano di Charlie e iniziò a saltellare sul posto, esaltato. “Ti sei parsa la parte migliore!” Charlie rise alla vista di tutta quella allegria.
Si chinò verso Jake.
“Non hai visto la sua faccia.” Continuò incurante delle orecchie indiscrete tutt’intorno ma Charlie non poté far a meno di ridere, di nuovo.
Jake fece un’esagerata espressione di stupore, per imitare la reazione sconvolta di Annabelle all’arrivo di Logan alla sagra.
“La faccia di chi?” Chiese Maddie ed entrambi si girarono a guardarla; Jake aveva l’espressione di chi si era lasciato scappare un segreto.
Lui e Charlie si scambiarono un’occhiata. “Nessuno.” Dissero all’unisono.
Sorrise malizosamente a Diddi, però, in una tacita promessa di una spiegazione futura.
Jake le tirò la mano per richiamare la sua attenzione, nonostante non l’avesse mai persa.
“Vuoi vedere una magia?”
“Adoro la magia.” Gli fece un occhiolino cospiratorio.
Sentì la risatina divertita di Maddie; Charlie le aveva raccontato del suo nuovo status di strega del paese.
Anche il bambino ridacchiò felice, trascinandola verso uno dei banchetti.
“Ci serve un bicchiere di vino, però.” Le disse, guardandola con aspettativa.
Il suo sorriso si allargò. “Adoro questo piano.”
 
Logan non stava più ascoltando, annuiva di tanto in tanto, ma se qualcuno gli avesse chiesto di cosa stesse parlando Annabelle lui non avrebbe saputo rispondere.
Era sconvolto dall’aver visto suo figlio correre incontro a Charlie Royce. Non era mai successa una cosa del genere prima; nemmeno per salutare sua nonna correva in una corsa così frenetica, figurarsi con uno sconosciuto.
“Non avrei mai creduto che sarebbe riuscita a convincerti a venire.” Le parole di Annabelle, che stava guardando nella stessa direzione di Logan, lo riportarono al presente. “Pensavo stesse mentendo, quando ha detto che ti aveva quasi convinto.”
A quelle parole Logan si accigliò: Charlie non aveva affatto cercato di convincerlo, anzi era semplicemente uscita dal suo ufficio quando le aveva detto che non aveva alcun interesse per la sagra del vino. Ma Annabelle era la solita melodrammatica, perciò non diede peso a quelle parole.
Una mano curata e ingioiellata, gli si posò sul petto e le lunghe ciglia della donna sbatterono lentamente con fare civettuolo. “Potresti prendermi un bicchiere di vino, caro?”
Logan odiava quando lo chiamava in quel modo. Prima di tutto perché lo faceva sentire un decrepito; e poi ogni volta gli ricordava il suo errore madornale: essere uscito con lei e averla involontariamente illusa che tra loro potesse nascere qualcosa.
Ad ogni modo, lo sceriffo non sapeva come declinare quella richiesta senza risultare scortese; non era sicuro che Annabelle potesse vedere quel gesto come un innocuo atto di cortesia e lui voleva solo raggiungere al più presto Jake e la donna con lui.
Non fu necessario, però, che Logan inventasse una qualche scusa; Luke Thomson venne in suo soccorso.
Inclinando la testa in un cenno di saluto verso Annabelle, gli disse: “Ho delle cose da dirti riguardo Hill.”
Ma lo sceriffo fu distratto nel vedere Charlie porgere un calice di vino a suo figlio, poco più avanti; pertanto, liquidò la questione con un gesto sbrigativo della mano. “Fammi un favore Luke, prendi ad Anne un calice di vino. Ho una questione di cui occuparmi.”
Distratto, Logan non si accorse della luce che si accese negli occhi di Annabelle all’uso di quel nomignolo – che Logan non aveva mai usato prima – né dello sbuffo esasperato del suo vice. Invece, si affrettò al tavolo su cui si erano seduti Jake e Charlie, l’uno accanto all’altra, di spalle a Logan.
Davanti a loro c’era un piatto piano di ceramica, nel quale suo figlio versò il vino.
Sollevato, rise di sé stesso tra sé. Nessun adulto sano di mente darebbe da bere del vino ad un bambino, pensò scuotendo la testa.
I due si accorsero di lui e Jake iniziò a sventolare frenetico una mano nella sua direzione - come se Logan non stesse già camminando verso di loro - il piccolo viso radioso. Un sorriso obliquo curvò le labbra dell’uomo e gli occhi scuri di Logan sembrarono bearsi di quella vista.
Si sedette di fronte a loro, dall’altra parte del tavolo. Toccandosi il cappello, rivolse un cenno di saluto a Charlie, la quale rispose con un cenno del capo e un sorriso.
Logan studiò per un attimo la donna di fronte a lui. Sembrava completamente diversa rispetto a tre giorni prima. Quella barriera invisibile che delineava un confine tra lei e il resto del mondo sembrava esser sparita, e dallo sguardo che rivolgeva a suo figlio, pieno di affetto e un altro sentimento che Logan non riusciva ben a definire, era convinto che questo fosse dovuto a Jake.
Se possibile, gli sembrò ancora più bella.
“Papà! Guarda!” L’urlo di Jake lo costrinse a distogliere lo sguardo dalla donna. “Riempiremo questo bicchiere” - prese il calice che aveva appena svuotato nel piatto – “al contrario!” I suoi occhi brillavano di meraviglia.
“Davvero impressionante.” Concordò il padre ammirato. “Ti serve aiuto?”
Scosse la testa. “No, devo solo trovare una candela.” Si alzò, iniziando a guardarsi in torno, in cerca di ciò che gli serviva. “Mi aiuterà Charlie. Lei è un’esperta di magia.” Su quelle parole scappò via, ignaro della reazione che quella frase suscitò in suo padre.
Lo sceriffo, infatti, si sentì investito da un brivido di consapevolezza.
Magia.
Aveva sentito quella parola a ripetizione per gli ultimi tre giorni.
Si era guardato intorno tutta la sera, cercando la ragazzina per cui sua madre sosteneva Jake avesse una cotta, ma non si era ancora fatta viva.
Suo figlio era stato irrequieto, pieno di aspettativa, finché non aveva visto Charlie Royce e le era corso incontro esultante come mai prima d’ora.
Non c’era nessuna Claire Jackson. Nessuna cotta. Solo Charlie.
Improvvisamente, gli tornarono in mente le parole di Annabelle: ha detto che ti aveva quasi convinto.
Ma a convincerlo – se così poteva dirsi – era stato Jake, che sembrava stravedere per lei.
Un’idea terribile iniziò a prender forma e Logan sentì il calore dell’irritazione che gli risaliva il collo.
Gli era sembrato strano che avesse desistito così in fretta dal tentare di persuaderlo a partecipare a quella festa. Non avrebbe mai pensato, però, che si sarebbe spinta tanto oltre.
Sentì il calore della rabbia iniziare a montare e prese un respiro profondo per tentare di calmarsi.
Gli impeti di rabbia non erano forieri di buone decisioni e non aveva intenzione di fare una scenata in pubblico.
Non so ancora come siano andate davvero le cose, si disse. Aveva tutto sotto controllo, non avrebbe perso le staffe.
La donna ignara davanti a lui ebbe l’audacia di sorridergli, ma Logan non prestò attenzione a quegli occhi che risplendevano di autentica felicità. Non pensò a quanto fosse bella con le guance e la punta del naso rossi per il freddo. O almeno, non molto.
“Sembra tu non sappia accettare un no come risposta.” Esordì, la voce più tagliente di quanto avrebbe voluto. Dopotutto, forse, non aveva proprio tutto sotto controllo.
Charlie sembrò spiazzata da quell’osservazione, e in quegli occhi azzurri, Logan fu in grado di vedere l’esatto momento in cui successe: un muro invisibile si erse a separarli e, nonostante fossero seduti allo stesso tavolo, la distanza tra loro non poteva essere più grande.
Lo sceriffo, però, era concentrato sulla sua rabbia crescente.
La donna parve considerare per un secondo le sue parole, prima di rispondere.
“Immagino di no, la maggior parte delle volte.” Rispose cauta, cercando un qualche indizio sul viso di Logan.
“Non hai nemmeno il buon gusto di negarlo.” Sibilò lui, non facendo caso all’espressione interdetta sul viso di lei.
“Negare cosa?” chiese infatti.
Lo sceriffo la ignorò e iniziò a premere il dito sul tavolo tra di loro, enfatizzando ogni sua parola. “Non accetto un comportamento del genere nella mia città.”
Quello sembrò raggelarla e la sua espressione si fece improvvisamente intellegibile. Se non fosse stato tanto furioso, Logan sarebbe rabbrividito sotto il suo sguardo.
“Senti”, iniziò il tono calmo e ragionevole. “Non so cosa ti abbia detto mio padre, ma sono sicura che abbia esagerato. Non ho idea del perché-” Si interruppe davanti alla sua espressione perplessa.
“Di cosa diavolo stai parlando?” Chiese lui assottigliando lo sguardo con aria inquisitoria.
Un lampo di irritazione passò negli occhi azzurri di lei. “Di cosa diavolo stai parlando tu!” Sbottò.
Logan si guardò attorno, il più disinvolto possibile. Nessuno sembrava aver notato il loro battibecco.
Prese un respiro profondo per calmarsi.
“Sto parlando di come hai convinto mio figlio a manipolarmi per obbligarmi a partecipare a questa sagra!” Sibilò.
Con sua sorpresa, Charlie gettò la testa all’indietro e rise; sembrò più una risata di sollievo che di ilarità.
“Gesù. Sei completamente pazzo.” Quelle parole sembrarono come schiaffeggiarlo, si tirò indietro come se fosse stato davvero colpito e per assurdo che potesse sembrare, ritrovò un po’ di lucidità.
Ma ormai Charlie sembrava aver perso il guinzaglio del suo sarcasmo. “Sentiamo, di cosa mi stai accusando? Di aver manipolato i tuoi sogni affinché tu cambiassi idea su una sagra idiota a cui non frega niente a nessuno?” Un sopracciglio biondo si inarcò verso l’alto. “Vuole arrestarmi, sceriffo?” Protese le mani unite verso di lui. Sembrava sbeffeggiarlo, come a dire: “Provaci e vedrai cosa succederà.”
Stavolta, sotto il suo sguardo, Logan rabbrividì davvero. Non aveva mai visto una donna più furiosa.
Con una mano afferrò il suo cappello e si passo l’altra tra i capelli.
Ripensò allo sguardo pieno d’affetto che le aveva visto in volto prima, mentre guardava suo figlio. Quella donna gli voleva bene sul serio, non si poteva simulare una cosa del genere, era impossibile.
Sentì le spalle rilassarsi sotto quella realizzazione e guardò la donna incazzata davanti a lui.
Non lo guardava più, gli rivolgeva il profilo e sembrava infastidita dalla sua sola presenza. Non poteva certo biasimarla.
Aveva esagerato. Quando c’era di mezzo Jake, però, non riusciva a ragionare con lucidità.
Si schiarì la gola, cercando di pensare a qualcosa da dire. Faceva schifo con le scuse.
Furono interrotti dal ritorno di suo figlio, con il fiatone e una piccola candela in mano, non sembrò accorgersi della tensione tra gli adulti.
La magia si rivelò essere – senza sorpresa – un semplice esperimento di chimica: una volta che la candela, accesa, fu messa al centro del piatto e il bicchiere capovolto a coprirla, il vino iniziò a risalire nel bicchiere, sfidando la forza di gravità.
Una volta riempito, Jake lo rigirò, insieme al piatto, e il calice fu di nuovo pieno.
Jake aveva iniziato a ripetere l’esperimento, quando una mano si posò sulla spalla di Logan. Luke Thomson era in piedi appena dietro di lui, uno sguardo serio sul viso. Fece un gesto di saluto verso Charlie prima di rivolgersi a Logan: “Ti devo parlare di Alan Hill.”
I due uomini non notarono lo sguardo improvvisamente attento di Charlie su di loro.
 
Alan Hill.
Perché mai Logan dovrebbe lavorare su un caso della contea di Twin Lake? Si domandò Charlie. Ma la risposta a quella domanda era semplice; c’era solo un motivo possibile per il coinvolgimento dello sceriffo di Sunlake: Hill viveva nella contea di Lake Rock.
Guardò distrattamente Jake che versava nuovamente il vino nel piatto, per poi lanciare un’occhiata ai due uomini - si erano alzati per avere una conversazione privata più in là.
Per disturbare lo sceriffo durante la sagra, doveva esser successo qualcosa di grave. Tuttavia, se quel che gli aveva detto Matt era vero – e ovviamente lo era – in quel momento Alan Hill doveva attirare il meno possibile l’attenzione su di sé, così da mostrarsi come un uomo affidabile al suo nuovo socio in affari.
Era un’impresa impossibile non avere l’attenzione della polizia per un noto spacciatore; quindi, l’unica cosa da fare era volare basso. Non si trattava di un crimine che Hill aveva commesso, dunque.
Charlie si strofinò la fronte con una mano fredda e guardò Jake che, ignaro, si meravigliava nuovamente alla riuscita del gioco.
Senza preavviso un’idea prese forma nella sua testa: avrebbe potuto aiutare. Quel pensiero la allarmò e subito scosse la testa, come a volerlo scacciar via.
Sono in ferie, si disse. Non voglio e non posso farmi coinvolgere.
Si girò a guardare di nuovo i due uomini, che si stavano avvicinando.
Nonostante i pensieri di poco prima, Charlie non poté far a meno di chiedere se andasse tutto bene quando arrivarono al tavolo. Logan scosse semplicemente la testa, sovrappensiero; fu Luke Thomson a rispondere, invece: “Solo un caso di scomparsa. Niente di cui preoccuparsi, Charlie.” Nonostante il sorriso gentile che le rivolse, l’assenza di quella scintilla maliziosa nei suoi occhi le disse chiaramente che il vicesceriffo, in realtà, era preoccupato.
Tuttavia, Charlie si concentrò su quello che aveva detto: Hill era scomparso.
Potrei davvero aiutarli, pensò di nuovo e subito si ammonì mentalmente, non poteva permettersi di pensare a certe cose. Doveva concentrarsi sul rapporto con suo padre. Era tornata solo per quello. Ne aveva bisogno.
Ma non riuscì a smetter di ragionarci per tutta la sera e la notte, però.
A mezzanotte si alzò dal letto per un bicchiere di latte caldo, nella speranza che quello potesse portarle il tanto desiderato sonno.
All’una e mezza arrivò a contare mille e settecento trentaquattro pecore che saltavano una staccionata immaginaria; perciò, si alzò, si vestì e indossò le sue scarpe da ginnastica prima di uscire di casa.
Alle tre rientrò silenziosamente, sfinita, e si fece una doccia veloce prima di rinfilarsi nel letto. Ma la corsa non le conciliò il sonno.
Decise di prendere uno dei libri dalla libreria di suo padre; uno di quelli che da piccola aveva trovato tra i più noiosi, un saggio sulle tattiche militari di Napoleone Bonaparte.
Sorprendentemente, lo trovò assolutamente avvincente e alle cinque passate ne aveva letto metà.
Stanca, provò per la milionesima volta ad addormentarsi, ma rimase ancora una volta a fissare il soffitto: il suo cervello non ne voleva sapere di spegnersi e rilassarsi.
Si alzò, infastidita. Avrebbe risolto quella questione subito, si disse mentre raggiungeva la sua valigia per prendere il telefono che vi nascondeva. Non le importava di svegliare Matthew Allen; se lei non poteva dormire che non lo facesse nemmeno lui.
Lo avrebbe tirato giù dal letto e gli avrebbe detto di scordarsi di coinvolgerla in alcunché. Poteva chiamarla solo per sentire come stava o per comunicarle, finalmente, che la sua richiesta di trasferimento era stata accettata. Nient’altro.
Solo al terzo squillo, un Matthew assonnato rispose. Non era certo starno che Charlie lo chiamasse all’alba, era già successo in passato. Tuttavia, questa volta avrebbe potuto tranquillamente aspettare la mattina, prima di chiamare.
“Charlie?” La vena di preoccupazione nella sua voce era evidente.
Lei aprì la bocca per parlare, doveva solo mandarlo al diavolo, riattaccare e dormire come una bambina per il resto della notte; ma non riuscì ad emettere un suono.
Chiuse gli occhi per farsi forza.
“Charlie?” Chiese di nuovo Matt, a voce più alta e tesa.
“Sono qui.” Rispose semplicemente lei, ancora cercando di fare chiarezza dentro di sé.
 Inspirò profondamente, contò fino a sette ed espirò.
“Stai bene?”
Charlie non rispose; pensò, invece, allo sguardo entusiasta che le aveva rivolto l’adorabile Jake Moore e a come l’aveva fatta sentire esserne la destinataria.
La sopraffece un’improvvisa determinazione, a quel pensiero e lei per prima fu sorpresa quando, con voce ferma, dichiarò: “Accetto l’incarico.”
Non riuscì ad addormentarsi affatto.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Krgul00