Instabile
Maggio 1996
È una notte senza luna quella che vede Tonks e Remus materializzarsi al centro di una piccola radura.
Ha insistito lei, come sempre, perché le mostrasse chi fosse stato lui
prima della scuola, prima delle amicizie, dell’Ordine.
Tonks spera che rivivere quei ricordi insieme a lei possa aiutarlo a salvare
qualcosa anche nella sua infanzia. C'è una vocina sgradevole nella sua testa
che le dice che lei non è proprio nessuno per riuscire a salvare il salvabile
dell'infanzia nomade che Remus le ha raccontato di
aver avuto. Ma un'altra, più convinta, le dice che se lui ha accettato di
essere lì con lei qualcosa vorrà dire.
«Non l’ho mai fatto» le ha sussurrato, mentre le prendeva la mano prima di
materializzarsi lì. «Non ho mai mostrato questo posto a nessuno»
È piacevole quell’emozione che Tonks sente
arrivarle prepotente nel petto quando i loro piedi poggiano sull'erba bagnata
di quella radura. Si sente quasi più sollevata e un po’ se ne vergogna perché
sa che lui potrebbe raccontarle solo di orrore e solitudine di lì a poco.
«C'è sempre una prima volta, no?» gli fa notare.
«Giá»
«Posso raccontarti anche io qualcosa della mia infanzia»
Remus la guarda e ride, conscio di quanto lei sia ben consapevole del divario
enorme che esiste fra le loro vite. Nei momenti in cui accetta quelle
differenze con leggerezza, però, sembra quasi un'altra persona. Quando lui
sorride di quelle diversità, Tonks ha l'impressione
che dimentichi di essere un lupo mannaro, un membro dell'Ordine, e resti solo Remus. L’uomo che commenta le sfumature dei suoi capelli
paragonandole a qualcosa di diverso ogni volta, che è pronto a citare ogni sua
brutta figura solo per indispettirla, che le chiede di fare insieme un dispetto
a Sirius.
«Tipo?»
«La mia prima caduta»
«Dubito che tu possa ricordare la tua prima caduta»
«Ho una foto di me mentre ballo sul tavolo della cucina e poi rotolo giù»
«Si spiegano tante cose, ora!»
«Battuta pessima, professore»
Remus fa spallucce e continua a guardarla nello stesso modo di quando sta per
lasciarsi andare a un bacio o raccontarle qualcosa che lo riguarda. A volte
sembra che voglia precipitarle dentro, come se si trovasse sull'orlo di un
burrone del quale non riesce a scorgere il fondo.
Vorrebbe dirgli di buttarsi anzichè considerare
tutte le leggi dell’universo, che lei teme di averlo già fatto da un pezzo.
Invece vivono una sorta di equilibrio precario che le fa sentire emozioni
che non ha mai provato e allo stesso modo riesce a farle mancare la terra da
sotto i piedi.
«È il mio posto preferito, fra tutti quelli in cui ho vissuto da bambino»
«E lo tieni segreto?»
«Significa solo che è il meno peggio» Remus
lascia andare la sua mano e si allontana verso gli alberi più vicini.
Tonks proprio non lo sa cosa gli passa per la testa quando lo vede guardarsi
intorno, accarezzare gli alberi, sedersi ai piedi di uno di loro. Decide di
raggiungerlo, ancora una volta. Ormai lo sa che deve tirargli fuori con le
tenaglie le parole che riguardano sé stesso, ha già deciso che vuole farlo,
insistere. Gli si avvicina, siede accanto a lui, azzarda ancora il tocco delle
loro mani e aspetta i suoi tempi.
«Remus, raccontami.» osa dirgli.
Riesce quasi a sentire il rumore dei suoi pensieri, la difficoltà che ha
nel capire cosa dirle prima, sempre preoccupato di riuscire a turbarla.
Lo vede prendere un sospiro, infine, e indicare il centro della radura,
quella casa abbandonata e trascurata. Somiglia a Remus.
«Abbiamo cambiato spesso casa, dopo che sono stato morso. I vicini si
insospettivano ogni volta… i miei genitori erano sempre in difficoltà. Alla
fine mio padre decise di costruire questa casa. Qui eravamo isolati dal mondo.
Nessuno poteva avere sospetti sulla mia condizione.»
«Potevi essere libero, ogni tanto? Come a scuola?»
«Cosa? No, Dora. Non sono mai stato libero, prima di Hogwarts. Non avrei dovuto esserlo nemmeno in quelle
occasioni. È pericoloso…» lascia di nuovo andare la sua mano per strofinarsi gli
occhi e lei ha paura di perdere terreno in quel rapporto ancora indefinito ogni
volta che lo vede allontanarsi.
«Cosa ti ha fatto preferire questa casa?» si azzarda a chiedere. Se
riuscisse a trovare la prospettiva giusta, forse riuscirebbe a fargli
rivalutare un po' del suo passato e di sé stesso.
«Le stelle. Erano così tante e così luminose, in questo cielo, da far
sperare a quel bambino che avessero più potere della luna.» Remus
sbotta in una risata amara e scuote la testa «Non so perché siamo venuti
qui.»
«Remus...»
Tonks vorrebbe fermarlo quando lo vede alzarsi e muovere qualche passo veloce
verso quell’abitazione abbandonata, ma qualcosa nel suo impeto la ferma
abituata com’è a vederlo soppesare ogni gesto, ogni parola.
«Sai cosa ricordo, Dora?» lo sente urlare e poi lo vede estrarre la
bacchetta puntandola verso quelle mura al centro della radura. «Il suono delle
catene» un fiotto di luce rossa esplode improvviso colpendo quelle mura al
centro della radura, lasciandola di sasso, ché non solo sta perdendo terreno ma
quel poco che hanno costruito potrebbe addirittura franare da un momento
all’altro.
«Chissà se sono ancora lì dentro, le catene. Le spalle di mio padre che
sparivano su per le scale.»
Un altro incantesimo si scaglia con forza contro una finestra, e poi un
altro ancora. Remus continua, crea crepe in quella
casa così come le sente dentro sé stesso e le mostra tutte a lei. E Tonks pensa, allora, che forse non è un modo per fuggirle
ma per avvicinarsi.
«I passi di mia madre che arrivava per medicarmi le ferite»
Lo vede puntare la bacchetta verso un punto imprecisato, un altro colpo va
a finire sulla porta mentre lui continua a snocciolare la sua lista di ricordi
e lei non sa come calmarlo. Dovrebbe essere terrorizzata nel momento in cui si
presenta nella sua mente l’ipotesi che Remus sia instabile,
invece con semplicità azzarda uno sguardo al cielo, prima di ricordarsi che è
Luna Nuova come nuovo è il coraggio che gli servirebbe per lasciarsi alle
spalle quei ricordi.
È con questi pensieri che si avvicina svelta alle sue spalle e gli cinge i
fianchi fino ad appoggiare i palmi delle mani sul suo petto. Tonks lo stringe e posa la testa sulla sua schiena, lo sente
irrigidirsi. Continua a farlo, come se Remus fosse un
bambino che non sa gestire le sue emozioni, lo fa finché lo sente abbandonare
le braccia e il respiro tornare regolare.
Un pensiero si affaccia nelle riflessioni di Tonks
per la prima volta. Pensa che la belva faccia parte di lui anche quando non si
mostra. Che Remus l'abbia inglobata e resa parte di
sé anche quando il plenilunio è lontano e potrebbe invece tenerla relegata in
un angolo e guardare il mondo con gli occhi di un uomo e non di un lupo. Invece
capita spesso che le mostri se stesso con modi duri e
imprevedibili come quella sera.
Con gli occhi chiusi contro la sua schiena, le braccia che stringono Remus e il suo dolore, non fa fatica a immaginare quel
bambino che sperava nel potere delle stelle.
Non sono passati che pochi minuti da quando il respiro di Remus si è calmato, Tonks lascia
che lui la prenda per mano e che una smaterializzazione la porti nella stanza
che lui ha affittato al Paiolo Magico da qualche tempo.
Va bene che impari a gestire le emozioni con i baci. Va bene la bocca di Remus che cerca la sua, le sue mani che non stringono più
la bacchetta ma trovano la sua schiena, fianchi e pelle.
Instabile è una parola che si ripropone ancora nella sua testa e che Tonks decide di ignorare ancora, così come ignora che
nessuno dei due si sia mai sbilanciato su quello che provano l'uno verso l'altra o cosa abbiano significato i baci che si sono
scambiati fino a quel momento.
«Sto impazzendo o cosa?» lo sente sussurrare, gli occhi che catturano i
suoi, verdi dalla prima volta che si sono baciati.
«Cosa» risponde, ché di pazzia non può trattarsi.
E il sorriso che scorge a distanza ravvicinata è sufficiente a scacciare
via dubbi e ripensamenti.
Non sono più sotto il cielo di un bosco, ma Tonks
spera che la luce delle stelle che vede entrare dalla finestra mentre fanno
l'amore per la prima volta, stavolta abbia davvero più potere della luna.
***
Ciao a tutti!
Arrivo con un altro momento per questa raccolta. È un progetto che porto avanti con tempi biblici e soprattutto senza grandi pretese. Stavolta è tutto dal punto di vista di Tonks che si fa tante pare mentali quante sono le mie per questa pubblicazione. Ma se non l’avessi tirata fuori sarei impazzita a breve quindi eccoci qui, con la piccola speranza che abbia senso. Poco, credo.
Grazie, se avete letto, come sempre! Spero di non avervi annoiato troppo!
Mano sul cuore,
gabry