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Autore: Gaia Bessie    11/01/2022    2 recensioni
Era ottobre.
Le ragazze cominciavano a fare la muta, mettendo via le penne per poi riscoprirsi imbacuccate fin dentro le ossa, rivestite di pile e lana, che del loro viso si scorgeva solamente il naso arrossato e qualcosa degli occhi, il sorriso mai più. E poi si prendevano in giro a vicenda – tu hai la sciarpa fino agli occhi, pensa! E tu hai messo le calze in lana, e non è nemmeno metà mese! – finché, a ridere, non faceva male la pancia, anche quando da ridere c’era poco.
Poi, quando a fine mese qualcuna s’innamorava e finiva a farlo nel primo angolo buio disponibile, le altre non ridevano più: la guardavano con invidia e con malcelata ammirazione, perché ci voleva un coraggio superiore a quello dei Grifondoro per appartarsi in un’aula vuota o in un bagno, alla sera, sfidando il rischio d’incontrare professori o Caposcuola.
E, se qualcuna ci rimaneva, erano cazzi suoi.
[Fred/Astoria | Long-fic]
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Fred Weasley | Coppie: Astoria/Fred, Draco/Astoria
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Avrei solo voluto (che t'innamorassi di me)

1.
Lividi in mezzo alla neve
 
Non lo aveva detto a nessuno – Astoria se l’era cucito nel cuore, quel segreto, nascondendolo alle domande di sua sorella e Pansy, finché non aveva iniziato a farle male, male per davvero. Ma anche allora, quando Daphne le domandava perché piangesse in bagno, alla sera, e perché mangiasse sempre di meno, Astoria non aveva voluto (o saputo) rispondere.
E pensi di conoscermi, le aveva detto, solamente perché siamo sorelle: Daphne aveva stretto il labbro in una smorfia, ma non si era degnata di risponderle – che l’aveva tenuta per mano mentre muoveva i primi passi e le aveva prestato orecchio quando balbettava deboli accenni di parole: e adesso mi dici che non basta, voleva dire quella smorfia, e adesso mi dici che essere tua sorella non mi basta per poter dire di conoscerti?
Astoria aveva scosso il capo e inghiottito le parole.
Nemmeno nei giorni successivi si era fatta scucire mezzo suono su chi, controvoglia o meno, le avesse rapito il cuore – ma sua sorella non possedeva solamente la glacialità degli Auror, ne aveva assunto anche la capacità investigativa: così, quando finalmente si presentò al suo cospetto, brandendo uno dei suoi sguardi color erba piena di nevischio, Astoria rabbrividì.
«Fred o George?».
Una domanda – Astoria non nutriva alcun dubbio che, sebbene sua sorella le avesse concesso di poterle rispondere, sapesse già quale dei due nomi fosse quello corretto: ma non le riuscì di dire una parola, ritrovandosi così ad abbassare il capo con aria disorientata. Daphne si fece sciogliere in un sospiro, con aria drammatica: materna, lei, mai.
Astoria non aveva mai saputo una parola che fosse una sulla misteriosa malattia di sua sorella ma, e di ciò nutriva certezza assoluta e incontrovertibile, Daphne non avrebbe saputo esser madre: non se lo fosse cavato dal ventre, quell’ipotetico bambino, sicuramente l’avrebbe soffocato nel sonno o nella veglia. Daphne non possedeva dolcezza, pazienza, amore da dare – a nessuno.
E tutti, ad Hogwarts, si domandavano il perché: Astoria, che ne sapeva se possibile ancor meno degli altri, aveva sempre pensato che, alla fine di tutto quel gioco di ombre e specchi che era il cuore di Daphne, la colpa fosse di Blaise.
Sì, tu, Zabini – quando t’aggiri per il castello come se avessi qualcosa che non t’appartenesse e lo sai, certo che lo sai, che è il suo cuore: lo hai preso in prestito, restituito mai.
«Non fare domande» le ingiunse Astoria, scrollando le spalle. «Io non ti dico niente e tu smetterai di fare domande in giro: la gente parla, Daphne».
«Misteriosa» commentò la sorella. «Forse vuol dire che, da qualche parte in quella tua testolina piena di farfalle, ti rendi conto dell’enorme cazzata che stai architettando».
«Io non…».
«Più grande di te, Grifondoro, feccia» elencò Daphne, alzando un dito dopo ogni parola. «Magari ti convincerà che non c’è niente di male a farlo senza incantesimo? E poi cosa succederà, Astoria, ti prego spiegamelo perché io pecco di fantasia».
«Tu non lo conosci» sibilò la minore, con aria corrucciata. «Non sai niente di lui, come puoi…».
«Io conosco te» rispose a tono l’altra. «So che gli ronzerai sotto il naso con occhi da cucciolo spaurito, mettendoti sulla linea del suo sguardo appena potrai e, quando lui sarà saturo di vederti in ogni fottuto angolo di Hogwarts, tu sarai già innamorata persa e disposta a fare tutto quello che ti chiederà. Sei una ragazzina, Ria, non sei diversa da nessun’altra che lo è stata prima di te».
Astoria fece per replicare, ma l’espressione tronfia e sicura di sé di sua sorella le tolse, ancora una volta, le parole di bocca: Daphne le carezzò il capo, scompigliando i capelli così accuratamente pettinati, con un sorrisetto.
«Andiamo, Ria» sussurrò, con finta dolcezza. «Cos’altro potrebbe mai volere da te, Fred Weasley?».
Lei non le domandò come facesse a sapere con quel grado di certezza che fosse proprio Fred e non George – ma, se solamente si fosse permessa di domandarlo, sua sorella l’avrebbe squadrata con sufficienza e le avrebbe detto: io so sempre tutto, non dimenticartelo.
Ed era vero. Daphne teneva il conto dei segreti del castello come si fa con gli Zellini nel borsello e, quando gliene avanzava uno di troppo, lo gettava in pasto ai mendicanti: e qualcuno domandava perché la Greengrass maggiore si comportava come se non avesse niente da perdere, di rimando.
Astoria lo sapeva bene – che Daphne, alla fine dei giochi, non aveva per davvero assolutamente niente da perdere: perché s’era persa lei stessa, in una selva di endecasillabi sciolti delle poesie che le aveva scritto Blaise quand’avevano dieci anni e prendevano troppe lezioni private di letteratura, con gran soddisfazione delle loro madri. Ma, se la signora Greengrass avrebbe voluto quel matrimonio, Blaise Zabini e sua madre s’erano mostrati solamente sfuggenti: nessuna promessa, solamente un attimo squallido e insensato in cui lui s’era preso quello che più contava per Daphne e non gliel’aveva restituito indietro.
E, se sua sorella aveva perso il cuore come la verginità, Astoria non lo sapeva: Daphne era sempre stata parca di confessioni e, quando Blaise l’aveva scaricata per scoprire il mondo, non aveva detto una parola che fosse una. Nemmeno quando anche lei aveva cominciato a scoprirsi e, allora, era finita in infermeria per giorni con una brutta influenza.
Chissà se è inciampata sul suo cazzo ed è caduta dalla neve, commentavano a Serpeverde, parlando di Daphne e qualcuno più grande, senza volto, senza nome: ad Astoria non lo aveva detto mai. E sua sorella, che era segnata da lividi ghiacciati come se ci fosse caduta davvero, tra la neve, non si sarebbe confessata nemmeno se gliel’avesse domandato Salazar in persona.
«Che ne sai, tu, di cosa voglia o meno Fred Weasley» sibilò Astoria, coraggiosamente. «E se dovesse volere me…».
Per caso o per fortuna – Daphne si morse le labbra per non lasciarsi sfuggire quell’osservazione: per caso o per fortuna, il giorno in cui diranno che sei inciampata sul suo cazzo per cadere in mezzo al fuoco. Astoria non si sarebbe congelata mai – ustionata, ferita (perduta).
Daphne guarda sua sorella e ne presoffre la delusione: non lo dice mai, alla piccola Ria, ma le persone condividono comune sostanza – e quella di Fred Weasley, al pari di quella di Blaise Zabini, sa di rimpianto e lacrime amarissime.
«Cosa pensi che voglia?» domanda, calma. «Dimmi che pensi che sia amore e io non dirò più una parola – ti giudicherò irrecuperabile».
Ma Ria non sa che dire.
   
 
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