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Autore: MaikoxMilo    15/01/2022    5 recensioni
Sulla scia del racconto de "Il Piccolo Principe", la storia dell'evolversi del difficoltoso rapporto tra Camus e Hyoga, maestro e allievo, padre e figlio, tra inciampi vari, incomprensioni, modi di essere così apparentemente distanti eppure così simili. Perché proprio come l'aviatore, anche Camus impara a ritrovare sè stesso solo grazie al bimbetto dai capelli color del grano che, un giorno di febbraio lontano, in Siberia, entra nella sua vita, per lasciarci il segno.
DAL CAPITOLO SECONDO:
“Devi guardare dritto davanti a te, sempre! - rimarcai, rialzandomi in piedi, prendendolo però per mano per aiutarlo a muoversi in mezzo a tutta quella neve – Non dietro, non di fianco, dritto!”
Hyoga sembrò rimuginare su quella frase durante tutto il corso del nostro viaggio per tornare all’isba, il luogo che gli avrebbe fatto da casa da quel momento in avanti… speravo… se il suo fisico avesse retto a tali climi.
“Dritto davanti a sé, però… non si può andare poi così lontano!” mi fece notare al termine della sua riflessione, un poco meno timidamente di prima, guardandomi con quegli occhioni e stringendo la presa sulle mie dita.
Imparai a mie spese che 'dritto davanti a sé' era davvero sin troppo limitato!
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Nuovo Personaggio
Note: AU, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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7

 

 

“Maestro, cosa vuol dire effimero?”

La voce acuta di Isaac mi riscosse dalla lettura che stavo portando a termine su Dostoevskij. Lo guardai brevemente, era ritto sulla porta di entrata con la solita espressione curiosa e un poco determinata nell’attesa di ricevere una risposta.

“Significa che è minacciato di scomparire in un tempo breve, anf” gli dissi, pratico, posando il libro al mio fianco sul letto.

Non ero ancora completamente guarito dal ‘raffreddamento’ che avevo avuto, mi mancava ancora il fiato. I miei ragazzi invece erano sulla via della guarigione, anche se ogni tanto tossivano e tiravano ancora su con il naso. Elisey fortunatamente aveva levato le tende dopo essersi raccomandato, direttamente minacciandomi, di rimanere a riposo ancora per tre giorni. Il catarro era in scioglimento, l’infiammazione stava passando ma io avrei dovuto rimanere a riposare ancora per un po’, almeno secondo le sue direttive.

A letto, chiaro?! -mi aveva infatti redarguito, muovendo il bastone, che aveva sempre con sé, sotto il mio naso per esemplificare l’avvertimento- Non uscire dall’isba e rimani al caldo, intesi? Non una gita a Pevek, non a spasso per la Siberia incontaminata, né a sgranchirti le gambe appena qui fuori! Le faccende domestiche lasciale ai bambini per alcuni giorni, tanto sanno come fare. Non compiere sforzo alcuno, capito? Altrimenti sai che so sempre tutto, lo verrò a sapere e lì sono botte, ragazzino, non ho la pazienza di Fyodor!

Ragazzino… io!!!

Sbuffai nel ripensare alla paternale non richiesta. Fortuna che il vecchio se ne era andato, lasciandomi finalmente quietare. Ovviamente avrei fatto di testa mia, tre giorni erano troppi, gliene avrei potuto concedere ancora uno e giusto perché volevo terminare la lettura di ‘Memorie dal sottosuolo’, non di certo per un’altra ragione.

Isaac zampettò verso di me, raggiungendomi vicino alla testata del letto, continuando a fissarmi con espressione partecipante e la solita lucetta negli occhi che, da sola, era in grado di rinfrancarmi.

“Quindi i fiori sono effimeri?”

“Sì...”

“E anche Nikita, Sasha e gli altri Husky della muta, giusto?” chiese conferma lui, un poco corrucciato.

“Esattamente”

“Oh...” mormorò, quasi dispiaciuto, guardando altrove.

Isaac non era uno sprovveduto, aveva avuto già a che fare con la Nera Signora, troppe volte per essere solo un bimbo di 8 anni, ma ci rimase comunque male perché quella parola dal retrogusto così amaro -effimero- non la conosceva bene e, dal suo punto di vista, era troppo lapidale.

Avvertii il suo sconforto (anche se conosceva la morte sperava, in cuor suo di rimanere eternamente con me, Hyoga e gli Husky della muta) mi chiesi come raggiungerlo, come confortarlo, ma non c’erano parole da dire e la sentenza era davvero capitale.

Chi veniva al mondo si ritrovava circondato da cose destinate a scomparire in un arco di tempo brevissimo, lo stesso nascere decretava la morte. Era spietato, era crudele, per questo avrei dovuto rafforzarli il prima possibile, renderli capaci di sorreggere un simile peso.

Sentivo le sue emozioni, ma non avevo parole da dire in un frangente simile…

Fortunatamente il suo visetto si illuminò improvvisamente, tornando a guardarmi. Mi sorrise, come se avesse trovato una soluzione a tutto.

“Però la vetta dello Iskhodnaya nella catena montuosa dello Chantal, che mi avete mostrato voi, lei non è effimera, vero?”

“In tempi umani, quindi brevi… no!”

Fu di nuovo deluso dalla mia frase, vidi quella lucetta spegnersi, mentre un leggero broncio gli solcò le guance.

“Come sarebbe a dire in tempi brevi no?!?” volle sapere con tutte le sue forze.

“Isaac… - rimisi il libro compostamente sul comodino, voltandomi verso di lui per fissarlo bene negli occhi – Nulla su questo pianeta, nello stesso universo, è eterno… la nascita reca in sé il gene della distruzione.”

Lo vidi annuire, un poco circospetto, prendendo comunque per vero quanto gli dicevo. Non mi fece osservare che io ripetevo all’infinito di prendere come esempio di robustezza e inflessibilità cose che, a loro volta, erano destinate a scomparire, in tempi molto più lunghi, certo, ma pur sempre effimeri; tuttavia ben sapevo che lo stavo pensando, chiedendosi perché rimarcassi la compostezza e la fierezza di cose a loro volta così… vacue…

“La differenza la fa la durata” gli dissi, alzandogli un poco il visetto con due dita per far sì che mi guardasse negli occhi.

“La… durata?”

“Sì, quanto tempo puoi resistere sotto il diluvio senza essere vinto dalla tempesta!”

“Non capisco, Maestro...”

“Conosci il mito di Sisifo?”

“Me ne avete parlato voi! - rispose lesto Isaac, desideroso di mostrarmi quanto avesse imparato da me – Il re Sisifo, costretto, per punizione, a spingere eternamente una grossa roccia fino alla cima di una vetta, ma poi questa crollava nuovamente a valle, obbligando lui a ricominciare...”

“Sì, la versione del mito è grossomodo così – acconsentii, soddisfatto, chiudendo e riaprendo gli occhi - Un autore del secolo scorso, però, ne da una visione affascinante, anf...” rimasi in sospeso, studiando la sua reazione, che si era fatta più attenta.

Non gli dissi, no, che quell’autore portava il mio stesso nome, anche se il suo era un cognome. Inavvertitamente sorrisi.

“Sembra tutto così assurdo e inconsistente portare una roccia che poi frana a valle, non ti sembra, Isaac? Quale è lo scopo di una vita simile?”

“S-sì è… strano, u-un po’… - rispose lui, lesto, prima di rimuginarci su e confermare – Un po’ TANTO strano!”

“Eppure… persino in un compito così ingrato e gravoso una volta arrivati in cima si può godere di un paesaggio stupendo. Ciò basta per riempire l’animo umano”

“Q-quindi...”

Giustamente aveva difficoltà a comprendere. Era un bambino fin troppo sveglio, ma quei discorsi Metafisici lo confondevano e smarrivano. Ne cercava testardamente il filo conduttore per rimanermi dietro, per dimostrarsi degno, il non riuscirci lo umiliava. Gli carezzai brevemente la testolina, regalandogli un nuovo sorriso, prima di posare la mano sul tomo che avevo lasciato sul comodino per toccarne gentilmente la copertina con le dita. Farlo mi dava un brivido, soprattutto con i volumi antichi, era come tornare a casa.

“Tutti noi nasciamo in questo mondo con un fardello, Isaac, è la vita stessa a richiederlo. Nel momento in cui nasci, l’unica certezza è che un giorno morirai, non importa cosa farai della tua vita, chi avrai conosciuto, le emozioni provate… tutto verrà cancellato, i tuoi atomi, disfacendosi, torneranno nel Grande Cerchio del mondo per poi raggrupparsi nuovamente, ma non sarai più tu, questo lo sai fin troppo bene, soldo di cacio...”

“S-sì” annuì, gli occhi un poco lucidi che tuttavia rigettavano le lacrime.

“Ciò che fa la differenza è però quanto tempo tu riesca a resistere… i fiori, lo hai ben visto nei tuoi 8 anni di vita, sono effimeri, non durano che una stagione, poi appassiscono. Anche le montagne verranno erose dalle intemperie, molte di loro si abbassano di pochissimo ogni anno, lo sapevi? - gli chiesi retoricamente, guardando istintivamente fuori dalla finestra – Ma passeranno ere geologiche prima di cedere, a differenza dei fiori… tu devi essere montagna per gli altri!”

“Devo… essere montagna!” si ripeté, determinato.

“Questo è il nostro fardello; il fardello del Cavaliere, il suo percorso per salvaguardare gli altri, la giustizia sulla Terra, e per permettere... ecco, per permettere a quella piccola campanula che nasce sulle sue pendici di continuare a vivere, allietando così il bosco”

“Io montagna… sarò montagna allora, Maestro!” mi rispose Isaac, sorridendo raggiante, più determinato di prima.

Gli sorrisi a mia volta, sollevato nello spirito, il cuore gremito di orgoglio mentre, tornando a concentrarmi sul libro, lo riaprii alla pagina che avevo lasciato.

Lo pensavo veramente, davvero ne ero convinto e, in cuor mio, desideravo che Isaac perseguisse il mio cammino, che fosse fortezza, dura roccia che resisteva fiera alle intemperie. Ma sottovalutavo la potenza dei fiori, la VOSTRA forza, Marta e Hyoga: i fiori sanno essere persino più duri e coriacei di alcuni minerali, non hanno paura di sfiorire per poi rinascere a nuova vita l’anno dopo, così come gli alberi, che cambiano le foglie, le perdono, prima di reinventarsi. E questo, piccola mia, è un principio molto più infinito di qualsiasi altro, ma all’epoca non me ne rendevo affatto conto, ero… troppo immaturo!

“Hyoga è… strano! - mi disse ad un certo punto Isaac, dopo un lungo silenzio, come a soppesare se fosse il caso di riferirmelo oppure no – E’ un po’ giù...”

Era vero, lo sapevo bene, da quando mi ero ripreso grazie alle cure di Elisey non aveva che dato qualche sbirciatina dall’esterno della mia camera, come a controllare che fossi vivo e in buone condizioni, ma quando provavo a contraccambiare lo sguardo, immediatamente si nascondeva, tutto vergognoso. In quei giorni fumosi, quello era stato l’unico contatto, prettamente visivo, tra me e l’altro mio allievo.

“Definisci meglio il suo essere un po’ giù”

“Ecco… parla poco, voglio dire, meno del solito. E’ successo da quando ha conosciuto Elisey, credo lo ammiri, tze!” mi spiegò, non nascondendo il biasimo nella sua voce.

“Isaac, anf, dovresti ammirarlo anche tu, è comunque più grande di te, ha molta più esperienza sulle sue spalle, conosce un sacco di cose e...”

“A ME NON PIACE, MAESTRO! - mi fermò, brusco, gli occhi lampeggiarono come lapilli di lava – Non mi è mai piaciuto, e poi… e poi quello che vi ha fatto!”

“Isaac… - sospirai, cercando di attirare la sua attenzione nel tirargli dolcemente uno dei due piccoli ciuffi verdi che gli scendevano dall’orecchio. Era un rimprovero il mio, ma velato di dolcezza – Ciò che c’è tra me e lui, i nostri problemi, non sono cose che devono offuscare il tuo giudizio. A te non ha mai torto nemmeno un capello, no?”

“No… - confermò Isaac, attento, fremendo però un poco – Ma a voi sì, vi ha fatto del male quel giorno che era ubriaco e vi ha alzato le mani addosso, ed anche prima, da quanto ho capito, per questo non lo posso perdonare!”

Il mio ometto era sempre stato molto protettivo nei miei confronti, ancora una volta troppo per essere solo un bimbo di 8 anni, mi lusingava, ma non potevo permettere che quello, solo quello, ombrasse i suoi pensieri. Sapevo bene a che contesto si riferisse, vedevo bene la rabbia dentro di lui, quel furore che lo aveva sempre contraddistinto e dal quale dipendevano gran parte delle sue energie, ne ero perfettamente consapevole e tuttavia il mio compito di maestro mi obbligava ad inibire il più possibile una tale attitudine. Del resto, cedere alla rabbia era sbagliato per chiunque, ancora di più per un futuro Cavaliere di Atena che avrebbe dovuto essere solenne e incorruttibile perché agiva per un bene superiore.

“Isaac, Elisey ha le sue ragioni per reagire così, le aveva anche quel giorno, il fatto che fosse ubriaco ha eliminato in lui ogni più piccolo controllo sul suo corpo. Tu non devi seguire il suo esempio, perseguendo la rabbia, ma, allo stesso tempo, non devi avercelo in odio per quanto ha fatto a me”

“P-però...”

“Un Cavaliere di Atena ha un cuore grandissimo, deve essere l’ago della bilancia tra il bene e il male, essere dotato di capacità di discernimento e giudizio, questo lo sai bene, vero, mio ometto?”

“S-sì!”

“E allora, se puoi, rispetta il fardello che si porta dietro lui stesso, e che, in gran parte, gli ho inflitto io. Questa è la mia richiesta, Isaac, anche se concepisco sia difficile per te”

“Non ha ragioni per essere così… scorbutico!” soffiò fuori Isaac, ancora restio ad accontentarmi.

“Le ha… le ha! Gli ho strappato la persona per lui più importante...” biascicai, socchiudendo dolorosamente gli occhi, il mio respiro si spezzò per un istante, malgrado cercassi di controllarmi.

“Il Sommo Fyodor?”

“Lui, sì...” dissi ancora, prima di tacere.

Il piccolo rispettò per l’ennesima volta il mio silenzio su quella questione.

“Me lo prometti, Isaac? Ci proverai, almeno?” rinvenni poco dopo dalle tenebre, scrollandomi via quel torpore che mi avvolgeva quando il suo nome veniva pronunciato difficoltosamente dalle mie labbra-

“Sì, Maestro!”

Annuii ancora una volta, sentendomi più rilassato, prima di tornare all’argomento centrale: “Quindi mi dicevi che Hyoga..?”

“E’ molto giù di morale, Maestro, ogni tanto straparla fra sé sé, dice cose come ‘effimero’, ‘morte’, ‘destino’… non so come prenderlo, non sapevo neanche che significasse effimero prima di arrivare da voi e chiedervelo”

Sì, di certo in quel periodo in cui io mi ero ammalato aveva parlato molto con Elisey per uscirsene con frasi simili. Ciò era male, perché lui era molto ruvido, aspro, persino crudo, non nascondeva né camuffava la verità per addolcirla, essendo fin troppo diretto, ma con un bambino così instabile come Hyoga era deleterio. Pensai che dovevo cercare di porvi rimedio ad ogni costo, io, come suo maestro.

“Pensi di riuscire a portarmelo qui, anf? Vorrei parlarci!” chiesi al mio allievo, sebbene mi costasse non alzarmi di mio per prenderlo io stesso. Mi sentivo ancora debole, sebbene non lo manifestassi apertamente.

Il visetto di Isaac si illuminò di nuovo, mi diede un’occhiata adorante per poi raddrizzare la schiena nel cercare di assumere un’espressione estremamente solenne.

“Certo che sì!” affermò, prima di trotterellare via.

Non dovetti attendere molto per il suo ritorno. Avvertii un brusio, poi un incespicare, un colpo, e poi ancora le piante dei piedi che strisciavano sul sul pavimento. Infine dall’uscio della porta si palesò una chioma bionda, seguita da un’altra verdolina subito dietro di lui. I suoi occhi azzurri si incrociarono con i miei, guizzarono quindi velocemente altrove, mentre, liberandosi dalla spinta di Isaac che lo tallonava senza pietà, fece per scappare fuori, trovandovi però una valida resistenza.

“Daaaaaaai, Hyoga, il Maestro Camus ti vuole parlare!” esclamò temerario Isaac, allargando le braccia e le gambe per ostruire l’uscita

“No, no no… spostati!” si oppose Hyoga, cercando una falla per svignarsela ma finendo per essere trattenuto dal compagno.

“Non fare lo scemo, ravanello giallo! - lo rimproverò Isaac, utilizzando un vocabolo con il quale era solito chiamare Hyoga nei (rari) momenti di screzio – Tutti i giorni mi chiedi come sta, ti preoccupi, però non entri, eddaaaaaai!”

“No, no, no!” ribadì il biondo, tutto vergognoso (gli si erano arrossate le orecchie, lo potevo vedere dalla mia posizione), opponendo una fiera, quanto testarda, resistenza.

“Sei proprio tonto, eh, perché fai così?!”

“Lasciami stare, Isaac! Lasciami...” non ebbe il tempo di ultimare la frase che una spinta più forte delle precedenti lo sbilanciò, facendolo finire sul pavimento e il compagno sopra di lui.

Si ritrovarono così uno sopra l’altro, entrambi per terra, e presero a litigare come due lupetti.

“Mi hai fatto male!!! Pesi troppo, Isaac!” si lagnò Hyoga, massaggiandosi la spalla.

“Anche tu mi hai fatto male, mi hai graffiato nel tentativo di scappare via!”

“La colpa è tua, se mi avessi lasciato stare di là non sarebbe successo!” ribatté il biondo, grintoso, sollevandosi un poco sui gomiti nel guardarlo negli occhi.

“Di là a essere tutto solo e catatocoso?!”

“Cata-che???”

“Cata… - Isaac aveva in mente una parola, ma non gli sovveniva – Insomma, privo di iniziativa, nel tuo mondo, a fissare la parete e straparlare!”

“Aaaaaah catatonico, allora!”

“Cat… sì, quello!” tagliò corto Isaac, ferito nell’orgoglio dal fatto che Hyoga, suo coetaneo, avesse un lessico ben più sviluppato.

“Non è affar tuo quello che faccio, o non faccio!”

“Sì che lo è; lo è se ci fai preoccupare!”

A quel punto Hyoga, spazientito, esplose: “Io sto bene da solo, tra me stesso e me stesso, se mi chiudo c’è un motivo, non ho bisogno di… di!!!”

Si stava vistosamente agitando, decisi di interrompere la baruffa tra i due, anche se i loro piccoli alterchi allietavano le mie giornate e mi spingevano a guarire più velocemente.

“Hyoga… - lo chiamai semplicemente, facendolo rizzare e interrompere. Sussultò, alzando timoroso il capo nella mia direzione – Isaac ti ha condotto qui perché sono stato io a chiederlo. Volevo parlarti!”

Lo vidi tremare per poi annuire, perdendo istantaneamente tutta la vivacità. Si alzò in piedi ma era bigio, cosa che permise al compagno di prendere la palla al balzo.

“Visto? Era lui a volerti parlare, ci stai facendo preoccupare, Hyoga!”

“I-io...”

“Vieni qui, Hyoga, al mio fianco!” lo incitai, cercando di non apparire troppo rude.

Il piccolo lentamente si avvicinò al letto, pur rimanendo con lo sguardo basso e distante. Faceva tenerezza, dovetti ammettere, ma non potevamo continuare così, ad inseguirci senza raggiungerci.

“Che succede, Maestro?” mi chiese poi, sempre avendo premura di non guardarmi negli occhi. Era troppo difficile per lui.

“Sono io a chiederlo a te… mi dice Isaac che sei giù”

“U-un poco...”

“Quale è la ragione?”

“I-io, ecco...”

Hyoga non riusciva a comunicare bene con me, con Isaac era stato molto più facile. Si era aperto, ci discuteva, mostrava la sua volontà, con me invece qualcosa lo frenava, non sapevo bene cosa, ma era la stessa cosa che frenava me. Era così difficile il rapporto con lui... per quanto ci provassi sembrava irraggiungibile, per quanto tentassi mi trovavo sempre un muro davanti, e lo stesso probabilmente provava lui nei miei confronti.

Ma era entrato nel mio cuore molto velocemente, il vedermelo lì, così corrucciato, mi inteneriva. Sapevo di sua madre, dei suoi desideri, del considerare la sua vita come una maledizione e nient’altro, lo vedevo fragile, esattamente come Svetlan, e il pensare di rischiare di perdere anche lui, di vederlo arrendersi all’esistenza, mi dilaniava.

Hyoga non riuscì a rispondermi verbalmente, i suoi occhi si diressero verso la finestra, fuori, palpitarono nel distinguere i fiocchi di neve che cadevano e si accumulavano sugli infissi, poi tornò dentro, si concentrò sulle coperte del letto, sul il macchinario dell’aerosol posto sopra comodino. Assottigliò le labbra, le sue pupille tremarono, ed io compresi quello che non era in grado di esprimere.

“E’ per me… che ti senti così?”

Annuì, laconico, continuando a non guardarmi.

“Ti senti in colpa perché ti reputi responsabile del mio stato fisico e di quello di Isaac?”

Annuì ancora, stavolta il suo sguardo si alzò un poco. Mi osservò con insistenza il torace un poco lucido per via della miscela di erbe medicinali che mi aveva dato in dotazione Elisey e che mi ero spalmato poco prima sulla pelle. Ero ancora a petto nudo, in effetti, davanti ai miei ragazzi, ciò mi metteva a disagio anche se tentavo di non darlo a vedere.

“E’ per questo che arrivi, sbuchi dall’uscio, mi guardi, ci guardiamo, ma poi scappi via?”

Annuì per la terza volta, ingoiando a vuoto.

“H-Hyoga, ascolta, t-tu s-sei...”

“...Sei proprio scemo allora, eh!!! - l’esclamazione di Isaac troncò di netto le mie intenzioni, nondimeno fece sussultare il piccolo che, basito, si voltò nella sua direzione – Tu fai parte della nostra famiglia, è normale che ci preoccupiamo per te e che ti veniamo a cercare quando ti perdi, tonto!”

“F-famiglia...”

“E’ così, tontastro! - ribadì Isaac, dandogli una pugnetto sulla nuca per esemplificare quanto diceva – E’ questo che fa una famiglia… ti raggiunge, anche quando sei troppo lontano per essere raggiunto!”

Hyoga era rimasto senza parole, rabboccava aria, osservando prima lui poi me, o meglio la mia spalla, perché sembrava del tutto incapace di osare di più. Vidi i suoi occhi farsi lucidi, le sue labbra si incresparono in diversi punti, come a trattenere un singhiozzo.

L’exploit di Isaac lo aveva colpito e scosso, non sapeva più cosa dire, si emozionò visibilmente.

“Ascolta, Hyoga… - ripresi il controllo sulla mia voce, grato ancora una volta del fatto che qualcuno avesse espresso ciò che sentivo al posto mio, facilitandomi il continuo del discorso – Se ti senti così in colpa per quello che mi, ci, è successo, allora prometti che non lo farai più, non… non proverai più a scappare!”

“M-Maestro, i-io...”

“Non… farlo, va bene? La Siberia non perdona, lo hai ben visto, stavolta siamo riusciti a raggiungerti, Isaac ti ha coperto in tempo, ma… molti altri, prima di te, non sono stati così fortunati!”

Svetlan… e poi ancora Lisakki, ed altri volti senza nome.

“Mi… dispiace!” biascicò ancora lui, torturandosi le mani, lo sguardo perennemente basso.

“E puoi guardami in faccia, piccolo, non hai nulla di cui vergognarti: un uomo guarda sempre in faccia gli altri, senza remore, conscio e certo della strada intrapresa!”

Hyoga annuì per la quarta volta, riuscendo finalmente a incrociare il suo sguardo azzurrino con il mio. Vidi nelle sue iridi l’intenzione di azzerare la distanza tra noi e abbracciarmi, poi stoicamente trattenuta.

Fu il mio turno di annuire, soddisfatto. Allungai io il braccio nella sua direzione, sfiorandogli delicatamente i capelli del color del grano mentre, con il pollice, gli stuzzicavo leggermente la guancia sinistra. Lui socchiuse gli occhi, lo avvertii tremare, un unica volta, prima di vedere le sue mani alzarsi per toccare la mia, premendola contro di sé come se non riuscisse quasi più a celare il suo bisogno di stipulare un contatto con me.

Non gli rimproverai quella manifestazione genuina, ma, pur nella delicatezza del gesto, lentamente, abbandonai quel contatto, costringendomi a non mostrare oltre altre effusioni. Loro erano pur sempre gli allievi, io il maestro!

“Hai parlato molto con Elisey in questi giorni, vero?” gli chiesi, cambiando argomento.

“Sì...”

“E’ anche per questo che ti sei demoralizzato?”

“U-un po’. Mi ha detto cose che… mmh!”

Di nuovo aveva problemi a comunicare, fui costretto io ad ultimare la sua frase.

“Aspre? Crude?”

“S-sì… - si confidò, pur non approfondendo il discorso, prima di sussultare e scrollare il capo, come se avesse paura che le sue parole potessero essere fraintese – N-non è il Sommo Elisey ad essere brutale, eh, no, lui è stato gentile, ma i suoi discorsi...”

“SONO SOLO STRONZATE!”

“ISAAC! - lo rimproverai, saltando su, mentre lui si tappava la bocca, capendo di aver esagerato – Dove hai imparato questa brutta parola?!?”

“I-io, ecco…” si mise a ridacchiare, incrociando le braccia dietro la testa e cominciando a ciondolare con aria innocente.

“Erano discorsi molto profondi, ma… duri… difficile da accettare!” continuò Hyoga, un poco teso.

“Elisey è sempre stato diretto in qualsiasi frangente… ma dovrebbe imparare a ponderare il linguaggio, soprattutto con bambini come voi”

“Però, Maestro… - mi fece notare Isaac, lesto – Anche voi non siete molto diverso, eh, la prima volta che sono giunto qui mi avete riferito che il 70% dei bimbi muore nel primo anno di addestramento!”

Fu il mio turno di arrossire, colto in fallo, gabbato, mi voltai dall’altra parte, in direzione della finestra, borbottando un: “Sciocchezze...” che fece scoppiare a ridere entrambi i miei allievi.

“A-anche a me ha riferito qualcosa di simile, che sarei potuto morire sotto l’Aurora!” alzò la mano Hyoga, già in pace con Isaac e felice di ritrovare l’alleato di sempre.

“Vedete?!” sottolineò quest’ultimo, sempre più divertito.

“Sciocchezze, anf!” ribadii, un poco infastidito dal loro darsi manforte a scapito mio, come due veri fratelli.

Isaac si accorse nitidamente del mio fiatone che non riuscivo più a sopperire, pertanto, non facendomelo pesare, perché sapeva bene quanto mi costasse, propose a Hyoga di andare un po’ a giocare in soggiorno prima di mettersi ad apparecchiare la tavola. Lo faceva per non farmi ulteriormente stancare, lo sapevo, ma mal tolleravo stare su un letto a non far niente, delegare le faccende domestiche ai due piccoli, insomma, in una parola: essere un peso!

Mi stesi quindi sul letto, sistemandomi il cuscino, ripromettendomi che mi sarebbero bastate poche ore di riposo per riuscire a recuperare, altro che i tre giorni che paventava quel vecchio. I due lupetti si stavano preparando per uscire dalla camera, mi tirai su le coperte fino a metà torace, socchiudendo gli occhi per addormentarmi, ma un altro pensiero mi percorse.

“Hyoga, ancora un attimo, per favore... ti ha detto qualcos’altro Elisey? - volli sapere, fermando il piccolo sullo stipite della porta – Qualcosa circa… me, anf? O… sé stesso?”

“Di voi ha solo detto che vi conosce da anni, mentre su di lui ha semplicemente definito sé stesso come un geografo ed esploratore.

Geografo ed esploratore, eh?

“Ho capito, grazie, vai pure a giocare con Isaac, Hyoga, io… giusto poche ore di riposo e poi torno operativo” gli dissi, chiudendo stancamente gli occhi.

Attesi che la porta si chiudesse dietro alle sue spalle per lasciar trapelare un lungo sospiro dalle mie labbra. Riaprii le palpebre, sentendomi bagordo, posai una mano sulla mia fronte, avvertendola sudata, l’altra sopra lo sterno, le mie dita ne percorsero brevemente l’insenatura. La mia temperatura corporea era nuovamente in aumento e non di poco, ciò mi seccava. Buttai un occhio alla scatoletta di erbe medicamentose che mi aveva lasciato Elisey, ritrovandomi a sbuffare infastidito.

Mi odiava, ma si prendeva cura di me… sempre!

Mi detestava… ma non mi avrebbe mai permesso di morire.

Era forse perché, quel supplizio, quel peso di essere stato responsabile della morte di colui che mi aveva cresciuto come un figlio, doveva necessariamente accompagnarmi per un lungo, lunghissimo, periodo senza darmi più respiro?! Vi erano dei momenti in cui avrei voluto non sentire più nulla, NULLA, ma Elisey non me lo consentiva.

Vivere per continuare a convivere con le mie colpe…

Vivere per continuare a convivere con il ribrezzo che provavo per me stesso...

Geografo ed esploratore, eh? -sibilai tra me e me ad un certo punto, quasi non riconoscendo la mia voce da quanto snaturata fosse – Ci stai provando con tutte le tue forze ad essere con gli altri come era tuo fratello, lo vedo bene, ma il punto è che non lo sarai mai, Elisey, non potrai mai essere come lui, MAI! Sei troppo arido dentro, ed io… io ti odio!

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Trovo che Camus che cita Camus (Albert) sia sempre sensazionale, per cui… eccovelo servito su un piatto d’argento, aha!

Capitoletto che fila come l’olio, senza il bisogno di tante spiegazioni a riguardo. Si situa alcuni giorni dopo il precedente e sottolinea ancora di più l’impossibilità di raggiungere pienamente l’altro tra i personaggi di Camus ed Elisey ma anche di Hyoga.

La domanda ricorrente è di sicuro: ma quindi, in tutto questo, cosa diavolo è successo a Fyodor, è davvero morto per colpa di Camus?! Ma temo dovrete aspettare un bel po’ per questa risposta, l’importante, ai fini della trama, è che l’Acquario si senta il solo responsabile e tanto basta, perché questo lo condizionerà per sempre anche nei rapporti futuri.

Al di là di ciò, Camus che parla, che spiega, a me affascina sempre moltissimo, e vederlo relazionarsi con gli allievi, pur in due modi diversi, è una delle cose che mi piace descrivere maggiormente nelle mie storie anche se non è sempre possibile.

Non mi resta che augurarvi buona serata e di rinnovare l’appuntamento per la prossima volta, grazie a tutti :)

  
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