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Autore: Sweet Pink    16/01/2022    4 recensioni
Impero Britannico, 1730.
Saffie Lynwood e Arthur Worthington non si potrebbero dire più diversi di così: freddo quanto implacabile giovane Ammiraglio della Royal Navy lui, allegra e irriverente ragazza aristocratica lei. Dire che fra i due non scorre buon sangue è dire poco, soprattutto da quando sono stati costretti a diventare marito e moglie contro la loro stessa volontà e inclinazione!
Entrambi si giurano infatti odio reciproco, in barba non solo al fatto di essere i discendenti di due delle più ricche e antiche famiglie dell'Impero, ma pure alla vita che sono sfortunatamente costretti a condividere.
Eppure, il destino non è un giocatore tanto prevedibile quanto ci si potrebbe aspettare, poiché sono innumerevoli i segreti che li tengono incatenati l'uno all'altra; segreti, che risalgono il passato dei Worthington e dei Lynwood.
E se, con il tempo, i due nemici si scoprissero più simili di quanto avrebbero mai immaginato, quale tremendo desiderio ne potrebbe mai derivare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO DECIMO

CONOSCERSI

Seconda parte





“Oh, che amore potente!

Che a volte fa di un uomo una bestia,

e altre, di una bestia un uomo!”

Keeran Byrne smise di leggere ad alta voce e, rassegnata, lanciò uno sguardo al di sopra delle pagine del libro che teneva ben stretto fra le mani pallide. Era tutto inutile.

La figura deperita e malata di Douglas Jackson giaceva davanti ai suoi occhi nero pece, apparentemente insensibile a qualsiasi stimolo proveniente dal mondo esterno. Il povero ragazzo si trovava da parecchi giorni accasciato sulla brandina che lo stesso Benjamin Rochester aveva sistemato nei suoi comodi alloggi: viste le condizioni disperate del mozzo, il dottore aveva ritenuto una vera crudeltà anche solo l’idea di lasciarlo sottocoperta insieme al resto dei marinai, in balia di precarie condizioni igieniche e chissà Dio che altro.

In effetti, il resto dei feriti – o almeno, coloro che non erano spirati nelle ore successive alla battaglia – stava già riprendendosi con discreto successo ma, ugualmente, la decisione del medico di bordo aveva lasciato di stucco gli Alti Ufficiali dell’Atlantic Stinger, non abituati alle eccentriche pratiche del signor Rochester: già era sconvolgente che l’Ammiragliato gli avesse concesso l’aiuto di un gran numero di personale medico ma, addirittura, egli aveva proibito categoricamente a chiunque di praticare il tanto famoso salasso e di aiutare i pazienti facendo assumere loro ingenti quantità di liquore. Di sanguisughe, poi, non voleva nemmeno sentir parlare!

Un sorrisetto triste si fece strada sul volto paffuto di Keeran che, sospirando, decise di poggiare momentaneamente il volume sulle ginocchia. Grazie alle instancabili cure del dottore, tutti i feriti avevano potuto tirare un sospiro di sollievo e sperare di cavarsela; tutti, tranne il gradino più basso della gerarchia, il mozzo più giovane della nave. “Il signor Rochester non vuole dirmelo, ma è convinto non ci sia più nulla da fare” pensò l’irlandese, stringendo con forza le dita bianche sulla copertina ruvida del libro. Lottava con le sue stesse lacrime, contro un sofferente pianto che non vedeva l’ora di traboccare fuori. “Dovevo aspettarmelo. Dovevo sapere che è questo il destino di chi è come me.”

“La tua stessa nascita è una disgrazia.”

La ragazza abbassò il capo e lunghe onde di capelli corvini, lucidi come le piume di un corvo, nascosero il suo volto rabbuiato. “Lo so molto bene io per prima” si disse ancora, mentre una smorfia di sofferenza trasfigurava i suoi lineamenti da ammaliante sirena. “Di cosa, allora, dovrei sorprendermi?”

Le lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance paffute senza che lei se ne rendesse conto, tanto era concentrata su quell’unico pensiero, quella sola sensazione di bruciante delusione.

“…perché tu sei il nulla.”

Non desiderare un paradiso che non puoi raggiungere, che non ti apparterrà mai.

Il sorriso gaio e incoraggiante della signora Worthington si fece strada nella sua mente e, a tradimento, si sovrappose con quello non troppo diverso di Douglas. Keeran alzò lo sguardo sul corpo martoriato del ragazzo biondo di fronte a lei e pensò che la gente come Saffie o Benjamin Rochester avrebbero potuto provare e riprovare all’infinito, ma non sarebbe mai cambiato nulla. Alla fine, loro non sapevano un bel niente.

Non avrebbe mai voluto illudersi, perché ora provava un sentimento nuovo e difficile da gestire, che non sapeva riconoscere.

Inoltre, la diciassettenne poteva dire di aver visto la sua padroncina solo per pochi minuti in quei due giorni, vista e considerata la situazione in cui versava l’Ammiraglio Worthington: senza fornire alcuna spiegazione, la Duchessina era infine sparita negli alloggi del marito per non fare più ritorno. “Non che lei sia tenuta a dare attenzione, né a giustificare le sue azioni alla sua serva” concluse Keeran, con una dolorosa stretta al cuore. I suoi occhi se ne stavano inchiodati su un Douglas quasi esanime, dal respiro pesante, e lei si sentì sola come non mai; dentro alla sua anima, quella nuova emozione che faticava a comprendere continuò a contorcersi, a crescere in silenzio.

Una rabbia vergognosa, che non sapeva a chi rivolgere.

“Il pianto non vi si addice affatto”

Inizialmente, Keeran pensò di esserselo sognato. Le sue iridi color carbone si spostarono impercettibilmente e incontrarono subito quelle azzurre e stanche del signor Jackson, socchiuse tra due palpebre livide. “Si-signore!” esclamò, balzando in piedi e facendosi il segno della croce con goffa agitazione. “Si- siete sve-sveglio! Co-come state?”

Un sorriso strano, tinto di amarezza, si fece vedere sulle labbra screpolate del ragazzo che, misteriosamente, decise di non rispondere alla domanda. “Siete rimasta a vegliarmi tutto il tempo?” chiese infine, alzando gli occhi sul soffitto di legno sopra alla sua testa, e Keeran notò immediatamente quanta difficoltà lui avesse nell’articolare le parole, quanta energia gli costasse anche solo muovere la bocca.

“Sì, qu-quasi tutti i giorni” gli rispose allora la ragazza, facendo il patetico tentativo di sorridere a sua volta.

“Non so se doverne essere onorato oppure detestarmi per questo.”

Al suono di quel commento ironico, il cuore dell’irlandese si strinse in una morsa costituita di paura e inadeguatezza: sentiva che non sarebbe riuscita a sopportarlo, se pure Douglas ora le avesse detto di quanto fosse stata inutile quella sua ridicola decisione. “Perché di-dite così?” pigolò quindi, accostandosi lentamente alla brandina e chinando appena il busto su di lui. “Io l’ho fat-fatto senza nessun obbligo, ma-ma solamente per mia vo-volontà.”

Di nuovo, un’enigmatica espressione si palesò sul voltò sconvolto del mozzo che, davvero, pareva invecchiato di vent’anni nell’arco di cinque giorni. “Eppure è mia la colpa se ora piangete” le sussurrò, tornando a guardarla con due occhi colmi di malinconia e a Keeran parve quasi che Douglas le stesse per dare un addio. “Per niente al mondo avrei voluto vedere la vostra bellezza sporcarsi a causa di uno come me, che non vale niente al vostro confronto.”

“Andrà tutto bene. Puoi riuscire in tutto ciò che vuoi e, fra le altre cose, ci sono io qui con te.”

Prendendo in mano un’abbondante manciata di coraggio, la ragazza allungò il braccio e intrecciò le dita con quelle lunghe e inerti del signor Jackson, che non oppose alcuna resistenza. Rassicurata dal ricordo delle parole gentili della signora Worthington, Keeran avvicinò il suo adorabile viso tondo a quello sorpreso del ragazzo, portandosi la mano di quest’ultimo contro la guancia arrossata e calda. “Non dovete parlare in questo modo” gli sussurrò dolcemente, ignorando il rossore furioso comparso sul volto di Douglas. “Poiché è grazie a voi se mi sono sentita meno sola, in mezzo a persone che non ci riconoscono.”

“Ah! Mi sento fortunato, allora” scherzò il mozzo, facendo forza sulla sua voce affaticata. La sua mano grande si mosse appena sulla pelle morbida dell’irlandese e la punta delle sue dita sfiorò i capelli neri di quest’ultima, in un tocco di intima delicatezza. “Non sono riuscito a imparare a scrivere il mio nome per intero” aggiunse, socchiudendo gli occhi azzurri, lucidi di febbre. “Eppure, sono così felice di avervi potuto incontrare, dopo aver sofferto per una vita intera…somigliate ad un angelo caduto, Keeran Byrne.”

No, tutti gli illegittimi sono dannati.

Altre lacrime scesero dalle lunghe ciglia nere della diciassettenne e bagnarono la mano tremante di un Douglas di nuovo sul punto di perdere conoscenza. In quei giorni, più di una persona aveva cominciato a complimentarsi con lei per una bellezza che non riusciva a riconoscere come sua ma, in quel momento, Keeran realizzò che sentirselo dire da Douglas le provocava una felicità insperata e nuova, come se quelle parole le stesse aspettando proprio da lui. “Voi siete un angelo, Douglas Jackson” asserì sottovoce, fermandosi per un lungo secondo ad osservare i riccioli biondi del ragazzo, adagiati sulla sua fronte pallida. “E il vostro valore è mille volte superiore a quello di qualsiasi membro dell’equipaggio, pomposi Ufficiali compresi.”

“Che espressione temeraria” commentò il mozzo, mentre un’espressione di fugace divertimento attraversava il suo volto esausto, seppure paradossalmente sereno. Il ragazzo si arrese alla stanchezza e le sue palpebre ebbero la meglio su di lui, occultando le sue splendide iridi celesti, ma vi fu il tempo per un’ultima frase, mormorata teneramente fra le labbra secche: “Avete smesso di balbettare, Keeran.”

Un opprimente silenzio cadde nella stanza, mentre la mano di Douglas ricadeva inerte sulle morbide coperte bianche, scivolando via dalla presa dell’irlandese. Un sonno profondo e febbricitante si era ripreso indietro il signor Jackson e sembrava volerle far intendere che – meglio non illudersi – egli non sarebbe mai stato suo per davvero.

Non voleva illudersi, eppure continuava a sperare.

Alla ragazza non rimase altro da fare se non allontanarsi con cautela e riporre il volume prestatole dal medico di bordo sul primo scaffale della piccola libreria sistemata contro la parete. Chiusa in un cupo mutismo, Keeran raggiunse lentamente l’uscio della camera e fu grata di uscire sopracoperta, respirare l’aria salata dell’oceano e venire abbagliata da un sole cocente, cucito su una infinita coperta celeste.

Come i suoi occhi. Come il paradiso a me proibito, perché mi è stato insegnato a essere il nulla.

“Ammetto di aver preso un bello spavento.”

La diciassettenne non ebbe bisogno di alcun aiuto per riconoscere la voce che aveva fatto prepotentemente irruzione nei suoi pensieri visto che, in quelle settimane, aveva conosciuto solo una persona dotata di un tono così fastidioso e arrogante. I suoi occhi neri si discostarono dal cielo azzurro per abbattersi al suolo, dritti sulla figura alta del tenente James Chapman: il giovane se ne stava mollemente appoggiato con la schiena al parapetto dell’Atlantic, le braccia incrociate sul petto e tutta l’aria di chi era in attesa dell’arrivo di qualcuno.

Keeran fece del suo meglio per trattenere un brivido di soggezione e timore; poteva dire di aver preso più sicurezza in sé stessa ma, ugualmente, l’ufficiale in questione continuava a provocarle una diffidenza di cui lei aveva paura. In fondo, due giorni prima si era alzata in difesa della sua padroncina, affrontando con rabbia un uomo, un tenente dell’Impero che – stando a sentire i pettegolezzi dei marinai – era sotto la diretta protezione del Generale Implacabile. Come dimenticare poi di averlo intravisto di sfuggita poco dopo la conclusione della battaglia, visto che era passato davanti agli alloggi degli Alti Ufficiali coperto da cima a fondo di sangue!

“Avevo notato una figura di donna entrare di soppiatto nella camera da letto del signor Rochester, ma eravate solo voi, dopotutto” continuò a dire il ragazzo in tono piatto, forando le iridi dell’irlandese con il suo superbo sguardo grigio. “Per quale ragione vi siete spinta negli alloggi del medico di bordo?”

Veloce quanto una folata di vento, il timore annidato nel petto prosperoso di Keeran si trasformò in ruggente fastidio, sopita collera. Il nuovo sentimento a cui non era abituata ora pareva essersi insinuato con troppa facilità dentro di lei, e con altrettanta semplicità la diciassettenne scoprì che era naturale farlo scaturire fuori. Questo perché Chapman conosceva benissimo il motivo per cui era andata nelle camere del signor Rochester, ma voleva farglielo ammettere direttamente.

Sapeva che la signorina Byrne era tenuta ad obbedirgli, soprattutto se la signora Worthington non era nei paraggi.

“Ho pens-pensato fosse cosa da buo-buoni cristiani fare vista al povero signor Jackson” gli rispose infine, serrando i denti per non trovarsi a ripetere lo spiacevole incidente avvenuto nei giorni precedenti. In più, si accorse con amarezza di aver ripreso a balbettare come una sciocca. “Ora, se-se volete scu-scusarmi.”

Fece due timidi passi in avanti, con l’intenzione di passargli di fianco e superarlo, ma James alzò pigramente il braccio in avanti, sbarrandole la strada. “Non così di fretta, serva” le fece freddamente, scrutando in due iridi che, spaventate, si alzarono di scatto sul suo volto sbarbato; e, proprio come era accaduto a Douglas qualche istante prima, il tenente pensò che Keeran assomigliasse veramente ad un angelo triste.

“De-desiderate altro?”

Dal basso, a nemmeno un metro da lui, l’irlandese lo guardava con un’espressione di timoroso coraggio stampata sul visino paffuto, le guance arrossate da quello che sembrava essere stato un pianto a dirotto. L’arrogante senso di superiorità e possesso con cui i suoi genitori l’avevano cresciuto si fece sentire con insistenza dentro alla sua anima, sussurrandogli all’orecchio un pensiero folle e altrettanto ripugnante.

Oh sì, desidero molto altro.

Ciò che invece rispose fu un distaccato: “Avete dimenticato il vostro libro a prua, l’altro giorno”. Sollevò la mano stretta attorno al volume davanti agli occhi inebetiti di Keeran e cominciò a sventolarla con noncuranza, come se volesse gettare l’opera di Shakespeare in pasto al mare sotto di loro. “Forse eravate troppo impegnata a scordare di stare al vostro posto.”

Alla vista del libro affidatole dalla signora Saffie in persona, l’irlandese protese subito le braccia in avanti, cercando goffamente di salvarlo dalla presa delle dita forti del tenente Chapman. “Re-restituitelo!” esclamò, incurante dell’ultima frase di James, evidentemente pronunciata con l’intenzione di offenderla o umiliarla; tutte cose a cui comunque Keeran poteva dirsi abituata. “No-non è vostro!”

Non vedendo la diciassettenne reagire come si sarebbe aspettato da una servetta del suo calibro, l’espressione di James si rabbuiò e quest’ultimo sollevò sopra la testa il libro, allontanandolo dalla portata della bella irlandese. “Vi date arie da signorina perbene, ma agite da contadinotta di provincia” asserì e seppe di aver colto nel segno nel medesimo secondo in cui gli occhi oscuri della ragazza scattarono su di lui con uno strano misto di indignazione e paura. “Re Lear è una lettura fuori dalla vostra portata, non trovate?”

“Io non-non sono una signorina perbene, però.”

Perché mio padre è un barone che si è innamorato di una misera contadina irlandese.

All’improvviso, Keeran si vergognò di aver reagito alle provocazioni dell’insopportabile Chapman, di aver sofferto per la lontananza della signora Worthington e, addirittura, di non essersi sistemata a dovere l’acconciatura, perché al tenente doveva essere sembrata veramente una ridicola nullità la signorina Byrne, mentre saltellava con il suo impacciato grosso corpo e una marea disordinata di capelli corvini si sparpagliava tutt’intorno alle sue spalle.

“La mia padro-padrona mi sta insegnando a leggere” disse infine, abbassando il capo scuro e arrossendo dall’imbarazzo, come se le costasse ammettere una cosa che in effetti era fuori dall’ordine naturale del mondo. “Ho impa-imparato tutto quello che mi ha insegnato con successo.”

“Hai fiducia in ciò che dico?”

Di nuovo, il sorriso gentile e comprensivo di Saffie galleggiò davanti al suo sguardo combattuto e la diciassettenne chiuse le mani tremanti a pugno, tentando di mantenersi coraggiosa di fronte all’assalto del borioso Chapman. O almeno, si ripeté, la signora Worthington avrebbe esattamente fatto la stessa cosa al suo posto. “La mia padrona ha detto che sono una gentildonna…e io le credo!” esclamò poi con forza, senza nemmeno un balbettio o un’incertezza.

Un taglio netto e sottile, all’ingiù, trasformò le labbra di James in un attimo: il ragazzo socchiuse le iridi metalliche ed osservò Keeran con sprezzante scetticismo, poiché tutta la sua baldanzosa superiorità stava lasciando il posto ad un’insofferenza sempre più fastidiosa, incollerita. Fu forse questo motivo ad indurlo a chinarsi sulla ragazza, facendola arretrare indietro di qualche passo e riuscendo così a imprigionarla tra lui e la porta chiusa degli alloggi del signor Rochester; alle sue spalle, un viavai lontano e indaffarato di marinai si agitava sul ponte dell’Atlantic Stinger, ma nessuno sembrò far caso al predatore che aveva appena messo all’angolo la sua preda.

Il cuore in gola, Keeran aderì con la schiena alla superficie di legno e sgranò gli occhi di fronte al sorrisetto soddisfatto che si dipinse sul volto da principe capriccioso del tenente Chapman. Malgrado ciò che avevano sempre sostenuto su di lei, la diciassettenne non era affatto una stupida: dentro di sé, si rendeva benissimo conto che l’ufficiale desiderava vendicarsi per l’affronto subito due giorni prima, eppure – considerò follemente – davvero avrebbe osato colpirla di fronte a tutto l’equipaggio?!

Il ragazzo alzò un braccio e la signorina Byrne si irrigidì sul posto, sussultando. Al contrario di ciò che si era immaginata, le dita di James la superarono ed egli si puntellò alla porta, premendo la mano aperta sopra la testa corvina dell’irlandese. “Voi lo credete” la prese in giro a bassa voce, abbassandosi su di lei e godendosi la sua espressione da creatura sperduta. “Oh, ma sapete benissimo di essere una signorina nessuno, non è vero?”

“…tu sei il nulla.”

No. La signora Saffie e Douglas non la pensano così.

E fu nel medesimo istante in cui James Chapman pensò di aver siglato la sua vittoria sulla inutile servetta della signora Worthington, che la ragazza decise di fare la sua inaspettata mossa letale. “È fa-facile parlare e da-darmi ordini” sibilò, uccidendolo con due iridi di oscurità profonda. “Eppure, io stessa credo di non ricordare nemmeno il vostro nome, visto che siete un tenente fra i tanti.”

“E voi dimenticate ancora il vostro posto, Chapman.”

Non potrai mai diventare come l’Implacabile, né paragonarti ai tuoi tanto odiati fratelli maggiori.

“Riprendete il libro” sbottò James, senza riuscire in alcun modo a controllare la sua collera. Spinse di malagrazia il volume contro lo stomaco di Keeran e aspettò di vedere le sue dita bianche stringersi attorno alla copertina, prima di aggiungere, in un tono stranamente più serio: “Lui non ce la farà. Se desiderate illudervi, fate pure; ma sappiate che ciò vi porterà solamente sofferenza.”

Non cambierà mai nulla. Illuditi, e ne pagherai il prezzo.

Una parte di Keeran si stupì delle parole che il tenete Chapman le aveva rivolto, ma lo stupore non superò il dolore e il rifiuto provati istintivamente: Douglas non si sarebbe arreso, malgrado chiunque continuasse ad affermare il contrario; era un ragazzo valoroso e gentile, che meritava di sopravvivere. Di avere una possibilità.

“Le vos-vostre parole sono dis-disgustose” commentò piano, incurante del fatto che il viso affilato di James fosse a pochi centimetri dal suo, come se le stesse per rivelare un’intima confidenza.

“Mai quanto il vostro atteggiamento da…”

“Allontanatevi immediatamente dalla mia dama di compagnia, tenente Chapman.”

Una voce di donna proruppe da dietro le ampie spalle del ragazzo e quest’ultimo – insieme a Keeran Byrne, del resto – si stupì dello spasmo spaventato che agguantò la bocca del suo stomaco a tradimento. James voltò la testa imparruccata con un gesto meccanico, da marionetta, e i suoi occhi grigi inquadrano la piccola figura della signora Worthington ergersi in piedi a qualche metro da loro: la moglie dell’Ammiraglio li fissava vibrante di indignazione e di collera, le mani poggiate sui fianchi e tutte le intenzioni di rovesciare la sua proverbiale saccenza su di lui.

Siccome lo sguardo della Duchessina non sembrava promettere nulla di buono, Chapman decise di attuare una prudente ritirata strategica e così disse, raddrizzandosi rigidamente: “Signora Worthington, è un piacere rivedervi. Stavo giustappunto per chiedere alla vostra domestica se vi erano buone nuove riguardo a vostro marito, il nostro Generale Implacabile”.

“Keeran, vieni” asserì in tutta risposta Saffie, allungando una mano in direzione dell’irlandese e facendole cenno di raggiungerla. Aspettò di vedere la sua serva sgusciare via dalle braccia di James e avvicinarsi di gran carriera a lei, prima di aggiungere in tono scettico: “È bizzarra davvero questa vostra richiesta, se contiamo che avete passato l’intera mattinata a piantonare gli alloggi di mio marito”.

Il tenente spalancò la bocca di botto, dallo sbalordimento, mentre un rossore violento imporporò il suo volto per intero, facendolo assomigliare ad un’aragosta con la parrucca. Di certo, non si era aspettato di scoprire la signora a conoscenza delle ore che aveva trascorso a passeggiare avanti e indietro per il corridoio, senza riuscire ad accumulare il coraggio di bussare alla porta ma – stava cominciando a crederlo – forse l’ammiraglio non aveva avuto poi tutti i torti, a definire Saffie Lynwood una strega.

“Io non…non volevo disturbare Sua Eccellenza” borbottò infine, abbassando gli occhi e tradendo per un attimo tutti i suoi diciannove anni. “Non quando è gravemente malato.”

In questo scambio di battute, Keeran aveva fatto in tempo a nascondersi dietro le esili spalle della sua padroncina e lanciava sporadiche occhiate di timido interesse al tenente Chapman, incredula di fronte alla preoccupazione dimostrata da colui che finora aveva palesato solo sprezzante superiorità.

Dal canto suo, la Duchessina si lasciò sfuggire un sorrisetto comprensivo: le sue iridi attente avevano infatti colto al volo il libro tenuto da Keeran, ed era ovviamente lo stesso che avevano dimenticato a prua due giorni prima. “Signor James, signor James” pensò Saffie, sospirando. “Siete proprio simile a un bambino viziato, che non sa bene come esprimersi con gli altri.”

E, proprio per questo, siete una persona altrettanto imprevedibile.

“L’Ammiraglio è un uomo dalla volontà di ferro, questo lo sapete anche voi” concesse la Duchessina, intenerendosi un poco di fronte all’espressione rabbuiata del tenente Chapman. “Ha già ripreso conoscenza, pure se rimane alquanto…come dire, intrattabile.”

“Oh, bene” biascicò il ragazzo, nascondendo gli occhi metallici dietro alla falda del suo tricorno scuro. “Sono sollevato di sentirlo.”

Forse accorgendosi della situazione sconveniente in cui si era andato ad infilare, quest’ultimo comprese di dover prendere congedo al più presto dalle due donne e filarsela al sicuro sul suo amato ponte di comando, dove avrebbe potuto maledirsi e metabolizzare la rabbiosa vergogna di cui in quel momento si sentiva preda impotente.

Sì, impotente: era quella la definizione più giusta.

“…l’ultimogenito che ha la spina dorsale di una femminuccia! Non è vero, James?”

“Perdonate” fece il ragazzo, inchinandosi profondamente e assumendo di nuovo il modo ossequioso con cui Saffie era abituata a vederlo. “I miei doveri di Ufficiale della Corona mi attendono. Vi auguro una serena giornata.”

Per la seconda volta nell’arco di dieci minuti, l’espressione che comparve sul viso grazioso della signora Worthington non promise nulla di buono, né di sereno. Una determinazione ferma e tagliente trasformò lo sguardo sempre gentile della ragazza, mentre quest’ultima esclamava, in un tono tanto allegro quanto inquietante: “Un’ultima, ridicola e irrilevante questione!”

Un brivido premonitore corse sotto la pelle bianca di Keeran, che aveva ben riconosciuto la sfumatura pericolosa assunta dalla voce della sua padrona. All’orizzonte, si profilava un mare di guai.

“Come posso farvi onore, mia signora?”

Saffie unì le mani davanti a sé, quasi avesse intenzione di iniziare ad applaudire o a pregare. “Se devo essere sincera, stavo proprio cercando voi” cominciò a spiegare, soave. “Avrei un favore da chiedervi, in nome della vostra lealtà nei confronti di mio marito.”

Ed allora anche James sentì l’identico brivido provato dall’irlandese, davanti al sorriso di furbizia intelligente sfoderato dalla Duchessina di Lynwood.

Un sorriso da serpente, o da strega.

“Sono incastrato” pensò il ragazzo, sudando freddo.



§



Una settimana dopo.

3 Aprile 1730.




“Tradite ancora tutta la vostra inesperienza” commentò in tono saccente James Chapman, facendo un gesto vago con la mano pallida. “Dovete tenere più alta la vostra guardia, signora Worthington.”

“Siete un maestro piuttosto esigente” lo rimbeccò la dama a cui quel rimprovero era rivolto, alzando appena la spada nella sua direzione e guardandolo come una scolaretta punta sul vivo. “Le voci su di voi non mentivano affatto.”

“E, sentiamo, cosa dicono queste misteriose voci?”

Un piccolo sbuffo esasperato sfuggì dalle labbra rosee di una Saffie impegnata a sopportare tutta la pomposa superbia del tenente più sfrontato dell’intera Marina Britannica di sua maestà: in quei giorni, aveva imparato come il giovane Chapman avesse una maniera tutta sua di mostrarle il rispetto dovuto e, per quanto si prodigasse in cerimoniose reverenze e manfrine, non mancava mai di punzecchiarla sottilmente con il suo solito sorrisetto da ragazzino presuntuoso.

Doveva avere pochi anni in più rispetto a Keeran e a Douglas Jackson, ma ugualmente pareva comportarsi alla stregua di un bambino capriccioso e volubile. Poteva atteggiarsi da integerrimo Ufficiale ma, secondo Saffie, i suoi perspicaci occhi grigi tradivano un ironia pericolosa e lei pensò che da una persona del genere ci si potesse aspettare qualsiasi cosa.

“Oh, ma sapete benissimo di essere una signorina nessuno, non è vero?”

“Niente di segreto, temo” rispose freddamente la Duchessina, cercando di allontanare l’immagine del viso pallido e impaurito della sua domestica personale. “Vi tacciano di avere un talento di cui andate fiero oltre misura, poiché non c’è uomo che possa sfuggire al giudizio della vostra lama.”

Allora James sorrise a sua volta, di pomposa soddisfazione, seppure l’espressione incisa nei suoi lineamenti raffinati non assomigliasse per nulla a quella dell’altrettanto letale Ammiraglio Worthington: era palese che il ragazzo puntasse ad essere simile a lui, ma c’era qualcosa di diverso nel suo viso da leoncino ambizioso. “Eppure siete qui” commentò infine, alzando la sua arma verso la ragazza castana. “Credo sia a causa di questa mia particolare abilità, se vi siete spinta a chiedermi di insegnarvi almeno le basi dell’arte della spada.”

“…ho un favore da chiedervi, in nome della vostra lealtà nei confronti di mio marito.”

L’interessata si morse un labbro, colpita e affondata dalle parole del tenente. Era ormai passata una settimana dall’inizio delle loro lezioni private e, puntuali come un orologio, lei e James si erano incontrati a prua dell’Atlantic Stinger, lontani dal ponte superiore e dagli indignati sguardi degli altri Ufficiali al comando: rivelandosi di giorno in giorno più simile al Duca Alastair, Saffie aveva fatto leva sulla sua posizione di moglie di Worthington e così era non solo riuscita a convincere il riluttante Chapman, ma pure a tacere i restanti gentiluomini che – forse per timore rispettoso – si erano ben guardati dal riferire alcunché all’Ammiraglio convalescente. Rimaneva fuori dal suo raggio di influenza l’inflessibile e sveglio Benjamin Rochester ma, per qualche ignota ragione, il medico di bordo sembrava guardare con ammirata simpatia al progetto di Saffie di imparare a tenere in mano una spada.

Tanto lo verrà a sapere ugualmente, prima o poi.

Un brivido lieve aggredì le spalle esili della ragazza e lei cercò di scuotersi di dosso la sensazione di ansia ghiacciata che le si era infilata sottopelle a tradimento. Non voleva nemmeno immaginare la reazione di Arthur, una volta scoperto che stava prendendo lezioni di scherma alle sue spalle…proprio lei, la donna insopportabile che aveva sposato per obbligo e vendetta. La sua dolorosa spina nel fianco.

“Resta, ti prego. Ancora un poco.”

Ma qualcosa è cambiato adesso. Non è forse così?

Un leggero imbarazzo tinse le gote della Duchessina, mentre la sua mente tornava indietro alle ore successive al crollo di Arthur, a quando le era stato concesso di rimanere accanto al marito febbricitante e aveva potuto passare le ore di una lunga notte a vegliare su di lui, visto che il signor Rochester si era professato troppo impegnato a soccorrere un povero Douglas quasi morente; a Saffie era sembrato come se il medico di bordo fosse in un qual modo in collera con l’ammiraglio Worthington, ma aveva pure considerato che non era di certo quello il momento più indicato per fare alcuna domanda.

Ovvio, Arthur si era dimostrato piuttosto intrattabile – non che fosse una novità – ma alla fine le aveva permesso di prendersi cura di lui e, nei giorni successivi, aveva persino sopportato con calma granitica il vederla entrare e uscire dalla sua cabina come una solerte quanto testarda balia.

Per quanto il dottore fosse dovuto intervenire a più riprese ed avesse aiutato Saffie nell’impresa di convincere un imbronciato Arthur ad assumere un discreto quantitativo di medicine, nonché a lasciare che cambiassero la sua fasciatura almeno due volte al giorno, la ragazza aveva dovuto ammettere che le brevi conversazioni fra lei e il suo stoico marito non erano mai state né sterili, né noiose. O, almeno, non tanto quanto avrebbe preventivato: certo, non riuscivano ancora ad avere un intero dialogo senza provocarsi o sfidarsi a vicenda, ma poteva dirsi un inizio.

Pure oggi sei venuta qui. Non c’è qualche altro marinaio bisognoso delle tue preziose lezioni di ortografia?” le aveva detto un giorno, perforando con due splendenti occhi verdi il suo viso seppellito tra le pagine di un libro piuttosto importante. Di tutta risposta, Saffie non si era nemmeno degnata di alzare lo sguardo e aveva commentato, in tono apparentemente casuale: “Sì, Ammiraglio. Quale curiosa coincidenza, che io stia leggendo per lui proprio in questo momento”.

E aveva osato lanciargli una fugace occhiata divertita da sopra il volume, solo per vederlo voltare la testa bruna dall’altra parte, nascondendo con scarso successo il lieve rossore che aveva invaso il suo volto virile. “Stai giocando con la mia pazienza, ragazzina” le aveva mormorato poi, con voce indecifrabile.

Prometteva a sé stessa di essergli amica ma, in quell’istante, l’aveva trovato stupendo.

“Non trovi che sia bellissimo, Saffie?”

Un nauseante senso di colpa si fece sentire dentro la sua coscienza nello stesso secondo in cui il rumore metallico prodotto dalla lama di Chapman arrivò alle sue orecchie arrossate. Ritornata alla realtà, la ragazza castana alzò di scatto gli occhi sorpresi sul giovane di fronte a lei, trovandolo a neanche un metro di distanza, già pronto a fare breccia nelle sue fragili e patetiche difese.

“Signora Worthington” esordì James, sollevando il sopracciglio con insofferente scetticismo. “Essere distratti è il primo errore da non commettere, o vi troverete a cadere senza aver messo a segno un colpo.”

Il tenente non aspettò di sentirla rispondere per incrociare di nuovo la spada con quella di Saffie, costringendola ad arretrare e difendersi, a utilizzare le nozioni basilari imparate in una settimana. I suoi attenti occhi grigi osservarono le posizioni assunte dalla Duchessina ed egli si disse comunque soddisfatto dei progressi che era faticosamente riuscito a farle raggiungere: poteva pure essere una pacata donna cresciuta nei pigri salotti cittadini, ma la graziosa moglie di Worthington imparava piuttosto in fretta, bisognava ammetterlo.

“Mi avete chiesto di insegnarvi a difendervi” le disse ancora, parlando senza troppa difficoltà un timido attacco di Saffie. Ghignò nel vedere la sua piccola figura ansante cercare di stare dietro al suo passo, mentre lui sembrava stare compiendo una passeggiata di piacere; così aggiunse: “Ma siete comunque una donna. Non sarebbe meglio lasciar perdere queste sciocchezze, e delegare la vostra protezione a chi di dovere?”

Imparare qual è il tuo posto.

A sua volta, la Duchessina schivò un affondo con incredibile naturalezza, prima di rispondere, sbalordendolo: “Sono una donna che ha già ucciso per salvare qualcuno, tenente. Niente mi ha mai impedito di proteggere chi amo.”

Non essere bugiarda. Amandine è morta per colpa della tua noncuranza.

James Chapman la vide incupirsi leggermente e ripensò alle iridi piene di annichilente terrore che aveva visto nelle cucine della nave, a battaglia conclusa; alla Saffie sotto shock che sì aveva tolto la vita ad un pirata, ma allo stesso tempo non si era fatta vedere per due giorni consecutivi sul ponte sopracoperta, come se avesse voluto nascondersi agli occhi del mondo. Forse, si trovò a considerare il giovane, era questa la risposta che la ragazza aveva trovato per affrontare il suo trauma e, per un folle momento, la Duchessina gli ricordò Arthur Worthington.

Due elementi così diversi eppure paradossalmente eguali.

Un sole rosso si immergeva con lenta cautela sotto la linea dell’orizzonte, penetrando in un mare tranquillo e sereno, ammantando la nave e i suoi abitanti di una dolce luce aranciata. La Mad Veteran era di giorno in giorno più vicina – esausta come un animale ferito a morte – ma nessuno sembrò volerci fare troppo caso...e prendere coscienza che, di lì a poco, ci sarebbe stato un altro bagno di sangue.

“Le vos-vostre parole sono dis-disgustose!”

James si diede dello stupido, per aver richiamato alla memoria la paffuta figura di Keeran Byrne senza nemmeno comprenderne il motivo; eppure gli era venuto spontaneo pensare anche a lei, ora che si trovava davanti allo sguardo determinato della Duchessina di Lynwood.

L’irlandese non era altro se non un anatroccolo impaurito, al confronto con il grazioso cigno a cui ubbidiva.

Nelle viscere del ragazzo cominciò ad agitarsi un disagio che non gli era famigliare, poiché sapeva quanto lui stesso si fosse spesso e volentieri sentito in quel modo, ogni qual volta si trovasse ad osservare l’incrollabile Arthur Worthington.

Così inadeguato, così lontano.

“Ricorda, James: tu sarai sempre l’ultimo di noi quattro!”

Le sue iridi ghiacciate si sollevarono pigramente su Saffie e, in un attimo, il suo cuore sembrò fermarsi del tutto, paralizzato da un sentimento di impotente orrore. James pensò subito di essere letteralmente fregato e, senza alcun dubbio, poté dire di sentire il suo piedistallo di pluridecorato tenente cigolare in maniera fastidiosa perché, alle spalle di una ignara Duchessina, si ergeva in piedi l’unica persona che non avrebbe mai dovuto vederli.

“Non era mia intenzione ammutolirvi, caro James” sogghignò la ragazza castana, facendo un passetto indietro e cercando di mettersi in posizione di difesa. “Spero almeno ammettiate che sono stata capace di imparare!”

In maniera inaspettata, la schiena di Saffie non incontrò il vuoto ma bensì un solido ostacolo.

“Imparare…che cosa, esattamente?”

Una voce profonda e seria si levò sopra la sua testa e la signora Worthington sentì una secchiata di brividi ghiacciati cascarle addosso, visto che aveva immediatamente riconosciuto il tono autoritario di Arthur. Le sue piccole spalle si irrigidirono appena e lei pensò – a ragion veduta – di essere nei guai.

Oh, cielo.

Fu il suono strozzato uscito dalla bocca di un tenente Chapman inchiodato alle assi del pavimento a svegliarla di botto. Di sicuro, James non era in condizioni di prestarle alcun aiuto e così Saffie decise di voltarsi di scatto, pronta ad affrontare a denti stretti l’ira del nuovo venuto. “Niente, signore!” rispose fin troppo allegramente, con dipinta in viso una falsissima maschera di noncuranza. “Solo, il solerte Chapman ha accettato di assecondare i miei capricci e insegnarmi qualche trucco per potermi difendere!”

Il tempo di incatenare il suo sguardo con quello del marito, che la ragazza fu fulminata da due occhi immobili, difficili da decifrare. Arthur aveva indossato nuovamente la sua sfolgorante divisa dorata ed effettivamente incombeva su di lei minaccioso come sempre, ma la fissava senza lasciar trasparire alcunché. “Qualche trucco?” ripeté freddamente l’ammiraglio, apparentemente tornato in perfetta forma. “È un modo tutto vostro per dirmi che vi è saltato in testa di cominciare a tirar di spada?”

Senza attendere alcun commento da parte della moglie, l’uomo si chinò sul suo viso e un’espressione di malvagio divertimento trasformò i suoi lineamenti. “Una decisione riprovevole” aggiunse soave, sfoderando un inquietante sorrisetto pieno di scetticismo, di quelli che a Saffie ricordavano il Worthington della prima notte di nozze. “Vediamo quanto avete imparato dal caro James.”

Un coro di deboli proteste si levò alla sua affermazione: Saffie odiò con tutta sé stessa il suo cuore impazzito e sbottò un patetico “Ammiraglio, siete ancora convalescente!”; al contempo, Chapman si era ripreso quel tanto dallo shock per poter pronunciare un balbettante “Signore, le ho so-solo insegnato le basi! Nulla di pericoloso e inopportuno, ave-avete la mia parola!”.

Chiaramente, fu come se non avessero parlato affatto. Worthington ignorò le loro suppliche e superò la figura minuta della ragazza come se nemmeno la vedesse, mentre imprimeva negli occhi spaventati del suo più fedele tenente uno sguardo costituito di una calma tagliente, pericolosa. E Saffie poté scommettere di non averlo mai visto guardare qualcuno in quel modo.

“Vi siete rivelato inopportuno nell’istante in cui avete deciso di prendere mia moglie come allieva” asserì l’uomo, marmoreo. “Ora vorrete perdonarmi, se desidero accertare di persona l’efficacia delle vostre lezioni private.

Perplessa, la Duchessina osservava lo strano atteggiamento del marito, chiedendosi perché non l’avesse ancora ripresa per essersi rivelata una scandalosa donna che non riusciva a stare al suo posto e, come un fulmine a ciel sereno, una consapevolezza impossibile le piombò fra capo e collo.

No, Arthur non poteva essere geloso di lei.

Non di Saffie Lynwood, la giovane donna che non aveva mai guardato una seconda volta.

Un luccichio abbagliante attirò la sua confusa attenzione e la ragazza si volse a guardare i due Ufficiali in piedi di fronte a lei. Una fitta di panico colpì il suo stomaco, poiché inquadrò alla perfezione l’ammiraglio Worthington sfoderare l’elaborata spada con un gesto elegante e fluido, senza sbavature. “Siete congedato dai vostri doveri, James Chapman. Andatevene.” ordinò monocorde l’uomo. I suoi occhi smeraldini scattarono su Saffie e la trafissero da sopra la lama affilata. “Vogliamo cominciare?”

La sua voce era di seta, ipnotica come il sibilo di un serpente velenoso. La Duchessina di Lynwood puntò i piedi a terra e prese in mano una dose di abbondante coraggio, per tentare di affrontare l’atteggiamento distaccato del Generale Implacabile; aspettò di vedere il giovane tenente sparire dal suo campo visivo – diretto al ponte di Comando con la stessa aria di un prigioniero scampato alla pena capitale – prima di asserire, sommessamente: “Non è necessario tutto questo, davvero. So che può sembrare sconveniente, ma desideravo solo potermi difendere da sola.”

“E hai pensato bene di coinvolgere un ragazzino in questa tua piccola missione segreta” la rimbeccò sarcastico Arthur, lasciando intendere il suo fastidio più di quanto in realtà avrebbe voluto. “Ora affrontami con tutto quello che hai da offrire, Duchessina; poiché io non sono uomo da concedere alcuna pietà.”

Illuso. Credevi veramente che te ne avrebbe parlato?

Lei non si fiderà mai di te.



§



La differenza di abilità fra il Generale Implacabile e il ragazzino che rispondeva al nome di James Chapman era tanto grande quanto l’oceano rosso fuoco che li circondava. Arthur era talmente veloce e preciso, letale, da far dubitare a Saffie di aver effettivamente imparato a tener in mano la spada e, vergognandosi, ella si sentì come un bambino impacciato che brandiva la sua rozza arma di legno: non era ovviamente riuscita a mettere a segno nemmeno un affondo, mentre al suo insopportabile marito veniva fin troppo facile sbaragliare le sue difese senza sprecare energia alcuna; Worthington l’attaccava infatti con il braccio sinistro elegantemente piegato dietro la schiena e sembrava godersela un mondo a vederla in difficoltà. A schiacciarla con il peso di tutta la sua superiorità.

“Stai esagerando!” sbottò infine la ragazza, gonfiando le guance rosse e parendo improvvisamente più un criceto furibondo, che una ventisettenne sul lastrico. “Non puoi pretendere che io riesca a sostenere questo ritmo, e lo sai bene!”

La lama dell’uomo fendette l’aria con un sibilo leggero e Saffie lo vide tornare rigidamente in posizione con noncuranza, nemmeno un capello scuro fuori posto. “Se avessi fatto sul serio, saresti già morta” commentò, senza in flessioni di tono. “Piuttosto, avresti dovuto rivolgerti ad un vero maestro di spada e non a quello sconsiderato di Chapman.”

“Non avrei saputo a chi chiedere aiuto!”

Un sopracciglio castano si inarcò leggermente, dando al volto virile di Arthur un’aria scettica. “Permettimi l’ardire, ma dicono io sia piuttosto ferrato sull’argomento.”

Dal canto suo, Saffie sgranò tanto d’occhi: il Generale Implacabile stava dicendo sul serio?

“Se non ti conoscessi, azzarderei che tu ti stia divertendo a prendermi in giro” gli disse quindi, dopo un secondo di silenzio sbalordito.

“Potrei dire lo stesso di te, ragazzina.”

“Non devi chiamarmi così! Io sono una donna!”

“D’accordo, d’accordo!” acconsentì l’uomo, concedendosi un pesante sospiro di insofferenza. “Touché.”

La brezza fresca della sera mosse un poco le onde ribelli dei capelli di Arthur, ed esse si agitarono su un’espressione di lieve divertimento che non si confaceva per nulla alla sua reputazione di Ufficiale inflessibile e autoritario. Il cuore furioso di Saffie saltò un altro battito ed ella pensò per la seconda volta che Worthington fosse stupendo.

E parlare con questa naturalezza, ogni qual volta facciamo cadere la nostra maschera.

La Duchessina ripensò nuovamente ai momenti passati in compagnia dell’odiato marito durante la settimana passata e realizzò che, inconsciamente, entrambi si erano avvicinati l’uno all’altra in maniera impercettibile; era come se avessero deciso di assottigliare la famosa linea di confine sulla quale si ergevano in piedi, dandosi le spalle a vicenda. Voltarsi indietro e guardarsi negli occhi, questa volta per davvero.

Un sorriso spontaneo e adorabile comparve sul viso di Saffie che disse, quasi ridendo: “Pensavo saresti andato in collera con me, una volta venuto a sapere di questa mia idea da signorina così poco nobile e perfetta.”

“Saffie Lynwood, voi non sarete mai nemmeno la metà di quello che è stata Amandine.”

Un mutismo strano fece seguito alla sua battuta e la ragazza se ne stava quasi per chiedere il motivo, che la voce profonda di Arthur venne a sorprenderla di nuovo: “Sono…ammirato” sussurrò, tradendo un lieve rossore imbarazzato che – secondo la ragazza – lo rese ancora più attraente. “Non ho mai conosciuto una donna come te.”

“Sei stata molto coraggiosa, Duchessina.”

Quello sguardo, quelle parole gentili, non erano mai state per lei.

L’uomo abbassò il capo scuro e si portò rigidamente una mano alla base del collo, massaggiandola con un impaccio da ragazzino intimidito, alla prima cotta; spostò gli occhi smeraldini altrove, sulle assi del pavimento umido, evadendo lo sguardo luminoso della moglie. E allora Saffie pensò, arrossendo a dismisura, che forse lui si era veramente dimostrato geloso nei suoi confronti, poco prima.

“Come se io lo volessi davvero. Questo è un contratto che entrambi siamo costretti a onorare”.

Le sue piccole dita si strinsero sull’elsa della spada, convulsamente.

No, non doveva lasciarsi ingannare dai suoi stupidi e insensati sentimenti.

Nemmeno se fosse stata figlia unica, lui l’avrebbe mai considerata…guardata.

“Torna alla realtà, stupida ingenua che non sei altro” riproverò sé stessa con forza, mandando giù un enorme groppo di vergognoso risentimento e cercando di focalizzarsi sul perché fosse a prua dell’Atlantic Stinger con un’arma in mano. Doveva imparare a difendere sé stessa e chi amava, così da non dover più sperare nell’impossibile arrivo di un salvatore.

“Il tuo posto non è al mio fianco, Duchessina.”

Di dover appoggiarsi a Worthington che, al massimo, per lei provava simpatica compassione.

Approfittando del momento di distrazione dell’Ammiraglio, Saffie portò il braccio in avanti con un unico gesto fulmineo e, proprio come aveva imparato da Chapman, riuscì a disarmare l’uomo di fronte a lei, che si girò subito a guardarla sorpreso oltre ogni dire. L’elaborata spada di Arthur cadde a terra con un suono metallico, decretando così l’improbabile vittoria della Duchessina di Lynwood.

“Ah!” esclamò quest’ultima, il tono trionfante da bambina gioiosa. “Pare io abbia appreso almeno come coglierti di sorpresa, Generale.”

Worthington si poteva effettivamente dire sbalordito dall’atteggiamento di sfida della smorfiosetta che aveva preso in moglie, perché – per quanto credeva di conoscerla – gli sembrava di riscoprire di volta in volta un lato diverso di Saffie Lynwood: la ragazza lo fissava con il suo miglior sguardo di innocenza irriverente a pochi metri di distanza, le lunghe ciocche di capelli castano chiaro cadevano attraenti sul viso arrossato dalla fatica, ma un sorrisetto adorabile stampato su un’espressione da piccola combinaguai. Ancora, come stava accadendo fin troppo spesso in quegli ultimi giorni, l’uomo la trovò di una bellezza quasi insopportabile e provò il tremendo bisogno di avvicinarsi a lei più di quanto mai avesse fatto in quel momento.

O rovinarla più di quanto tu abbia già fatto, a causa della tua fame insaziabile?

Arthur decise di trincerarsi dietro a un ghigno di laconica ironia e scosse la testa bruna con noncuranza, prima di commentare, sardonico: “Una mossa a dir poco sleale, per una signorina tanto ligia alla giustizia e alla bontà come te”.

“Non siete obbligato a farlo. Potete decidere di concedere loro almeno la possibilità di un processo.”

Colpita dall’affermazione del marito, Saffie sgranò gli occhi castani e abbassò la sua arma lentamente, come presa da un’improvvisa incertezza. “Di fronte alla battaglia, alla morte, non c’è alcun tempo per essere leali” gli sussurrò infine, vergognandosi al contempo delle sue stesse parole perché, lo sapeva, era esattamente ciò che suo padre avrebbe detto al suo posto. L’allegra Saffie di un tempo non avrebbe mai pronunciato parole simili.

Ma, lo sai, che quando si nuota in mezzo agli squali solo chi vuole sopravvivere vince sempre.

Lo sai, perché hai ucciso una persona.

La mano stretta attorno all’elsa della spada si abbassò del tutto, mentre le iridi della Duchessina si tingevano di una tristezza lontana e segreta. Il suo sguardo cadde quasi per caso sulla mano destra di Arthur, dove poté vedere un misero taglio a malapena sanguinante aprirsi sul dorso, proprio nel punto in cui la lama della ragazza l’aveva colpito.

Lo sai, perché hai scelto di voltare le spalle a chi avevi giurato e spergiurato di amare.

In fondo, hai fatto del male agli altri solo per proteggere te stessa.

Nel medesimo istante in cui intravide la nuova ferita dell’Ammiraglio, il cuore di Saffie sembrò stringersi su sé stesso, stritolarsi in una morsa di doloroso senso di colpa, e lei avanzò subito di un passo verso l’uomo, allungando le piccole dita in direzione della mano grande di lui. “Cielo! Io…ti ho ferito!” disse preoccupata e, forse per questo, del tutto insensibile all’espressione interessata con cui Arthur la stava osservando. “Dobbiamo subito portarti dal signor Rochester! Lascia che dia un’occhiata, prima di tutto!”

Gli occhi chiari di Worthington si posarono sulla ragazza pigramente, limpidi di quel desiderio che a tutti i costi non desiderava provare e di cui, al contempo, non riusciva a fare a meno.

Sei ancora così ingenua, ragazzina.

Passò un eterno secondo e, dal niente, apparve la sottile lama di un pugnale d’acciaio, tanto elaborato quanto mortale. Worthington chinò il volto serio su quello sbalordito della moglie e si portò a pochi centimetri dalle sue labbra senza nemmeno rendersene conto. “È solo un graffio da nulla” le sussurrò neutro, esercitando una leggera pressione sullo stomaco della ragazza con il fedele coltello da cui non si separava mai. “Non esiste nessuna lealtà di fronte alla morte. Hai centrato subito il punto, ma comunque sei caduta in un grave errore.”

“…poiché non esiste alcuna pietà per chi incrocia il suo cammino!”

Due enormi occhi da preda indifesa si sollevarono di scatto su di lui e Worthington si pentì immediatamente del suo gesto improvviso, perché pensò di aver esagerato nei confronti della piccola strega, di aver sopravvalutato la sua sfrontata testardaggine. Degno di nota, Arthur maledì fra le altre cose sia sé stesso che l’orgoglio adamantino di cui solitamente andava fiero, visto il suo inspiegabile desiderio di dimostrare a Saffie di essere un maestro di spada superiore a James Chapman.

La verità è che ultimamente mi sento un perfetto idiota, ogni qual volta mi trovo insieme a lei.

E, a conferma della sua considerazione, l’uomo udì la ragazza castana ridere di quello che a prima vista sembrò sommesso divertimento. “Come immaginavo, sei sempre tu a vincere, Ammiraglio” fece Saffie con quieta ironia, sorridendo serena come una dama intenta a giocare a carte e non sotto la minaccia di un pugnale affilato; si arrese del tutto a Worthington e mollò la presa sulla sua spada, lasciandola cadere sulle assi del pavimento senza battere ciglio, poiché il suo sguardo era del tutto catalizzato dalle iridi incredibili di Arthur. Erano così profonde e ipnotiche, che desiderò cascarci dentro. “Spero tu voglia concedermi pietà” lo sfidò infine, prendendolo in giro in maniera neanche troppo sottile.

Sono una vera sciocca, poiché non riesco più a distinguere la differenza fra ciò che temo e ciò che desidero.

L’espressione da demone crudele dell’uomo si fece vicina al suo volto bruciante e Saffie seppe di essere perduta per sempre. “Pietà?” le fece eco l’ammiraglio con beffardo sarcasmo, soffiando quell’unica parola sulle sue graziose labbra schiuse, quasi quest’ultime fossero solo in attesa di essere imprigionate.

Sull’Atlantic Stinger era ormai calata la sera e il sole si era totalmente immerso al di sotto della linea dell’orizzonte, tuffandosi in un oceano color petrolio, congelando il paesaggio in una stasi silenziosa e innaturale. Alla stessa maniera, in un silenzio muto e carico di inconscia attesa, il Generale Implacabile e la Duchessina di Lynwood si resero conto di essere troppo vicini: soli a prua della nave, entrambi videro l’inesistente confine e – di nuovo – qualcosa dentro di loro li spinse a cancellarlo.

Due respiri divennero uno, e fu il solo suono che poterono udire. Come guidato da un incantesimo, Arthur abbassò il capo scuro su Saffie con una lentezza estenuante, timorosa, e il suo naso dritto sfiorò appena quello di lei.

Un brivido violento colse la ragazza castana e quest’ultima si rese conto di non riuscire più a pensare a nulla, al di fuori del suo doloroso desiderio: una tremenda forza aveva soggiogato la sua mente e sembrava volerla attrarre verso le labbra sottili dell’Ammiraglio, come se le loro bocche fossero due magneti dai poli opposti.

Nient’altro pareva esistere.

Fallo” si trovò a pensare Saffie all’improvviso, vittima di quell’impulso irrefrenabile che era nato dentro alla suo animo straziato; e, per un vergognoso attimo, ricordò che c’era stato un tempo in cui la sola prospettiva di essere baciata da Worthington l’avrebbe riempita di disgusto e odio.

Mentre ora lo voleva tanto da soffrirne, persino.

E fu una lucida scintilla nell’oscurità, di quelle che avevano il potere nascosto di stravolgere qualsiasi cosa. Le labbra dei due si incontrarono lentamente, in un tocco timido e timoroso. Nemmeno il tempo di saggiare la morbidezza del labbro inferiore della ragazza, che Arthur si allontanò appena dalla sua bocca, cercando di ignorare l’attrazione disperata su cui non riusciva ad avere alcun controllo; i suoi occhi verdi si sollevarono su quelli di Saffie ed egli venne ucciso da un lucido sguardo costituito di irresistibile aspettativa.

Non sarebbe riuscito a resistere.

No, non voleva resistere.

Guidato da una nuova determinazione, Arthur portò nuovamente il viso su quello di Saffie, il respiro a mescolarsi con quello di lei. “Permettimelo” pensò, follemente. “Solo questa volta. Ti prego, permettimelo.”

Con pessimo tempismo, il suono ovattato e lontano del rintocco di una campana si intromise fra loro, rinsavendoli di botto. Si accorsero solo in quell’istante della prua totalmente deserta, del buio opaco delle prime ore della sera e di come, in effetti, la maggior parte dei membri dell’equipaggio fosse riunito a poppa della nave, impegnato ad elemosinare una misera ciotola di zuppa calda.

Saffie distolse lo sguardo dal nutrito gruppo di ignari marinai e si volse in silenzio a guardare l’alta figura del marito, ora intento a fissarla in maniera indecifrabile. Si erano allontanati automaticamente l’uno dall’altra eppure, a differenza da altre volte, la ragazza non volle affatto darsela a gambe, né dire alcunché per levarsi dall’imbarazzo della situazione: in fondo al suo cuore, sapeva che se avessero parlato la realtà di sempre li avrebbe inghiottiti, facendoli tornare nei ruoli prestabiliti, nella tormentata sofferenza che avevano abbracciato e scelto come loro.

L’abisso di oscurità accecante.

La ragazza osservò la mano di lui protendersi sul suo viso e sistemarle una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio con gentilezza, prima di ritirarsi lentamente e arrendersi. Il cuore in doloroso tumulto, lo guardò raccogliere la sua spada e fare per allontanarsi, dimenticare ciò che era appena accaduto. Fu quello l’istante in cui Saffie decise di puntare i piedi sul suo odiato confine e trattenere con sé l’ammiraglio Worthington, aggrappandosi al tessuto della sua giacca blu senza che lei stessa sapesse bene cosa le fosse preso.

No, era solo una ridicola bugiarda.

Arthur si voltò verso di lei, impassibile come una statua di pietra. Non la respinse, né parlo in alcun modo, ma la Duchessina seppe con assoluta certezza di aver appena firmato la sua condanna a morte: lui non aveva alcuna espressione, ma le sue iridi verdi rilucevano di un desiderio pericoloso e inamovibile, molto simile a quello che la ragazza aveva veduto poco prima della battaglia.

Le dita dell’uomo si agganciarono sul suo sottile polso con decisione e, in uno strano silenzio, la guidarono lungo tutto il ponte sopracoperta, fin sulla soglia degli alloggi degli Alti Ufficiali dove due guardie in divisa rosso fuoco stavano ritte in piedi, pompose ed eleganti.

Bugiarda. Sai benissimo cosa ti è preso.

“Non voglio essere disturbato per alcuna ragione” ordinò Arthur monocorde, superando le giovani sagome degli Ufficiali di guardia senza nemmeno degnarle di una sola occhiata mentre, dal canto suo, la signora Worthington lo seguiva a testa rigorosamente china, un rossore acceso che le infiammava il viso grazioso.

“Che cosa sto facendo?” si chiese scioccamente Saffie, senza però mostrare alcuna incertezza nel varcare la soglia dello studio di Arthur, dopo che quest’ultimo le aveva aperto la porta e si era fatto elegantemente da parte con l’intento di farla passare. La ragazza avanzò fino al centro della stanza e, quando udì la porta chiudersi di scatto alle sue spalle, seppe che il momento era infine giunto: non c'era più alcun tempo per tornare indietro, scappare.

Si girò in direzione dell’Ammiraglio e lo vide appoggiato alla porta chiusa, gli occhi smeraldini inchiodati su di lei. Un brivido violento la scosse da capo a piedi e, ancora, Saffie seppe di star mentendo a sé stessa: non voleva tornare indietro, fuggire via.

Un battito di ciglia e Arthur si trovò a pochi centimetri dalla moglie senza neanche sapere come fosse giunto fin lì; forse era stata tutta colpa della misteriosa forza che da tempo complottava contro di lui e contro la sua volontà, poiché sentiva di non aver alcun controllo né sulle sue azioni, né sui suoi sentimenti. Permettimelo. Ora più un imperativo, che una richiesta.

Come un serpente avrebbe stretto le sue spire su una preda, allo stesso modo l’uomo allacciò con lentezza ipnotica le sue braccia forti attorno alla vita di Saffie, imprigionandola in una stretta decisa e ferma. Due piccole mani si allungarono incerte sul suo viso sbarbato, schiudendosi in una carezza tanto innocente quanto sensuale e lui strinse la ragazza a sé, portando i loro bacini a contatto.

Di nuovo, i loro nasi si trovarono a sfiorarsi, e il loro respiro divenne l’unico suono udibile. Il microcosmo di quella stanza immersa nella penombra il solo esistente.

Permettimelo.

E quando Saffie chiuse gli occhi, non ci fu più bisogno di chiedere.

Fallo.

Stavano sbagliando, superando un confine all’apparenza invalicabile, ma a entrambi non sembrò importare affatto. Le loro labbra si incontrarono senza alcuna esitazione e niente era più urgente di ciò che stava accadendo, nessuna situazione dolorosa: l’odio che per mesi avevano nutrito l’uno per l’altra, il senso di colpa causato dalla morte di Amandine e Amandine stessa…tutto sparì in una nuvola di incoscienza. Ogni pensiero venne inghiottito da quella misteriosa forza che – ancora non sapevano – poteva liberarli dalle loro opprimenti catene, tanto quanto era in grado di renderli prigionieri.

Il legame crudele che temevano e desideravano.

Saffie allacciò le braccia al collo di Arthur, inseguendo con la testa castana il movimento che la lingua dell’uomo imprimeva dentro di lei, mentre combatteva con la sua una battaglia mortale. Non c'era alcun impaccio o imbarazzo in quel bacio così poco casto, così passionale, che la ragazza credette che entrambi stessero riversando l’uno nell’altra un’identica sofferenza, infliggendosi a vicenda le stesse cicatrici e sfogando così quel morboso sentimento cresciuto scontro dopo scontro, mentre erano occupati ad accusare sé stessi e l’altro della tragedia che era avvenuta a causa della loro noncuranza.

Le mani grandi dell’Ammiraglio risalirono fino alle spalle esili di Saffie e strinsero il suo piccolo corpo a sé con forza, avvolgendolo quasi del tutto, inghiottendolo. La Duchessina aderì al torace tonico dell’uomo, la pelle nuda della scollatura premuta contro le fredde abbottonature dorate della sua divisa altolocata; ed era la stessa uniforme che aveva smesso di detestare, perché ora contributiva a sfamare il tremendo bisogno esploso nella sua anima: Arthur era un uomo dal potere incrollabile, ma il suo sguardo nascondeva in realtà il tormento di un Re imprigionato. E Saffie lo trovò talmente irresistibile da non credere di poterne più fare a meno.

A conferma di ciò, l’uomo passò con lenta malizia la lingua fra le labbra schiuse della moglie, prima di entrarvi nuovamente e conquistare quella bocca che sembrava in attesa della sua. La sentì lasciarsi sfuggire un lieve gemito, che si perse dentro di lui, e fu fulminato da una scarica di desiderio tale da lasciarlo senza fiato.

Quasi senza rendersene conto, Worthington aveva fatto arretrare la ragazza fino a raggiungere la scrivania alle sue spalle, mentre continuava a baciarla con una voracità strana, dalla delicatezza ferma seppure inarrestabile. Malgrado l’avesse messa con le spalle al muro, Saffie non cedeva terreno e gli teneva testa con grande testardaggine e coraggio, senza mostrargli alcun segno di timidezza o indignato pudore: in fondo, era sempre stata una degna avversaria.

Quella cocciutaggine che aveva sempre dichiarato di odiare, ora risultava sensuale ai suoi occhi; come l’insopportabile Duchessina gli sembrava una donna tanto triste quanto bellissima. Così tanto da non volerla più lasciar andare, pure se sapeva di non poterla tenere vicino a sé.

Ma faceva parte del suo terribile carattere, impossessarsi di tutto ciò che non poteva avere.

Perché credeva di averla seppellita, la persona che era stata un tempo.

Senza alcuno sforzo, le dita dell’uomo si agganciarono ai fianchi di Saffie e la sollevarono, mettendola seduta sulla lussuosa scrivania con un unico gesto costituito di affamata urgenza. Un fruscio leggero di carte, e i documenti importanti di Arthur caddero sul tappeto indiano in un disordine caotico a cui nessuno sembrò dare attenzione.

In effetti, Saffie stessa era troppo impegnata a duellare con la famelica lingua di un Worthington intenzionato a non concedere né tregua, né un briciolo di pietà. Fu forse per questo che la ragazza intrecciò le dita con i capelli scuri di Arthur e cercò di imprimere più forza al loro ennesimo bacio…voleva fargli comprendere che – oh no – lei di certo non si sarebbe per nulla arresa.

Avrebbe riversato fino all’ultima goccia della sua sofferenza repressa dentro di lui.

L’ammiraglio sembrava pensare la stessa cosa. Saffie sentì il tocco ruvido delle mani dell’uomo salirle lungo la schiena e aggrapparsi al tessuto del suo abito verde con fin troppa forza, per poi tirarne bruscamente i lembi di stoffa pregiata e scoprire due esili spalle tremanti di aspettativa.

Fu quello il momento in cui Arthur abbandonò la bocca ansante della moglie, seppur con riluttanza. Quest’ultima aprì gli occhi castani, lucidi di eccitazione, e seguì con lo sguardo la testa bruna di Worthington abbassarsi su di lei, superare il suo volto arrossato; il suo cuore perse un battito non appena sentì l’alito bollente dell’uomo sfiorarle delicatamente il collo: sapeva ciò che stava per succedere. Lo ricordava.

Arthur leccò appena la sua pelle accaldata, prima di morderla con la stessa crudeltà tentatrice della prima volta. E, ancora, aveva deciso di colpirla nello stesso identico punto, come a volerle far intendere che il messaggio non era affatto cambiato.

Tu sei mia.

Una tempesta si abbatté su Saffie e lei seppe che l’unica differenza stava nel fatto che, questa volta, lei lo voleva. Voleva essere travolta dai brividi provocati dalla bocca maledetta di Arthur, voleva esser presa da quelle mani forti che non avevano fatto altro se non respingerla, allontanarla. Voleva provare piacere dalla tortura che il detestato marito le stava infliggendo e illudersi che, in qualche perversa maniera, loro non si stessero in effetti usando a vicenda, ma che ci fosse qualcosa di diverso.

Condividiamo il medesimo dolore, ma…

Saffie si protese in avanti e abbracciò stretto il corpo imponente dell’uomo. Seppellì la chioma castana nella sua spalla mentre, con grande imbarazzo, lasciò il suo corpo agire per lei, schiudendo leggermente le esili gambe: un taciuto permesso a valicare l’altro confine, quello che avevano spergiurato di non voler mai più attraversare.

Eppure entrambi lo desideravano.

Arthur si portò nuovamente di fronte alla ragazza e, malgrado i suoi occhi chiari non comunicassero altro che vorace lussuria, dentro alla coscienza dell’uomo era bruciante la consapevolezza di non aver mai visto niente di più bello della piccola strega, ora intenta a fissarlo con due luminose iridi piene di controversa innocenza.

Anche se non puoi tenerla per sempre con te, chiusa dentro al tuo soffocante abisso.

Come una falena attratta dalla fiamma, le labbra di Worthington si fecero vicine a quelle di Saffie. “Solo questa volta” soffiò infine su di esse, facendo scorrere le lunghe dita sotto la gonna della ragazza, assaporando con i polpastrelli la morbidezza tiepida delle sue cosce.

Perché proprio tu, fra tutti, sei l’ultima persona che dovrebbe avvicinarsi a me.

Una punta di dolorosa amarezza si fece sentire dentro all’anima della Duchessina, ma lei l’accantonò subito in un angolo buio della sua corrotta coscienza. “Solo questa volta” ripeté contro la bocca del marito, mescolando il suo respiro a quello di lui.

So di non poter lasciare ai miei stessi sentimenti il controllo.

Condividiamo il medesimo dolore, ma non potremo mai amarci per davvero.

Un battito di ciglia, e di nuovo le loro labbra erano unite in un bacio di passione feroce, dal sapore amaro.

Tu non potresti mai amarmi.

Proprio nell’istante in cui le dita di Saffie stavano per raggiungere le abbottonature dei pantaloni bianchi dell’uomo, un rumore continuo quanto timoroso irruppe nelle loro orecchie, facendoli sobbalzare. Qualcuno stava bussando timidamente alla porta dello studio e pareva non essere intenzionato ad andarsene troppo presto.

“Siano dannati” sbottò sottovoce Arthur, con voce roca, prima di allontanarsi leggermente dalla figura minuta della moglie e asserire, senza nascondere il suo evidente fastidio: “Da quando in qua nessuno ascolta più i miei ordini, su questa nave?”

“Vi chiedo perdono, Eccellenza” rispose la voce contrita da dietro la porta, che apparteneva ovviamente al seccante e pomposo James Chapman. “Ma penso voleste sapere che siamo ormai addosso alla Mad Veteran. Appena un giorno di vantaggio.”

“Muoia all’inferno, se ha dimenticato chi è l’uomo che l’ha cresciuto!”

Saffie lo vide subito, il cambiamento inquietante nell’espressione dell’Ammiraglio Worthington: I lineamenti nobili e raffinati del suo volto si incurvarono fino a formare un ghigno di soddisfazione brutale, malvagia attesa. Lo sguardo tagliente di un predatore che sta per azzannare la preda.

“Proprio il momento che stavo aspettando con tanta ansia” commentò l’uomo, sorridendo impercettibilmente.

Fu come se l’Arthur protettivo e gentile degli ultimi giorni fosse stato spazzato via in meno di un secondo, sostituito dal Generale Implacabile che tutti conoscevano e ammiravano, ciechi però di fronte alla crudeltà che s’accompagnava alle sue brillanti conquiste, ai massacri sanguinosi che precedevano i suoi successi.

All’oscura ambizione che tutto inghiottiva, consumando Worthington stesso.

“Quali sono le direttive, Ammiraglio?”

“Dite a McCavoy di lasciare al capitano Inrving il comando della nave” fece monocorde l’interessato, voltandosi a fissare negli occhi una preoccupata Duchessina di Lynwood. “Io lo raggiungerò a breve.”

“Come desiderate, signore” commentò con solerzia James che, memore dello spiacevole incontro avuto poco prima con Arthur, decise saggiamente di dileguarsi sul ponte di comando senza aggiungere una sillaba in più del dovuto.

“È la stessa nave che ci ha attaccato, non è vero?” chiese Saffie, abbassando lo sguardo castano sulle rifiniture eleganti della sua uniforme dorata. Allungò lentamente una mano e cominciò ad accarezzarle con cautela, come se volesse in realtà studiarle; cercava di nascondere la sua ansia crescente, di parere a Worthington disinteressata e calma.

“Sì” ammise Arthur, osservando i movimenti delle dita piccole della ragazza con freddo distacco. “Non poteva sfuggirmi tanto a lungo.”

Due occhi grandi e perplessi si alzarono di scatto sui suoi, ed erano tanto profondi da affogarci dentro. “E cosa farai, una volta che l’avrai raggiunta?” domandò ancora la Duchessina, fermando la mano sulle larghe spalline dell’Ammiraglio, vicina al suo viso, ma altrettanto timorosa nel toccarlo nuovamente.

“Non siete obbligato a farlo.”

Un’espressione di disarmante malinconia attraversò veloce il volto di Arthur, pure se si trattò solo di un istante. L’uomo passò un’ultima volta la mano fra i capelli sciolti della moglie, godendosi la visione delle sue umide labbra schiuse, del suo sguardo ancora troppo ingenuo…che non sapeva nulla. “Quello che deve essere fatto” le rispose infine, trincerandosi dietro al suo consueto orgoglio e staccandosi da lei definitivamente.

Non si voltò indietro, né Saffie cercò di trattenerlo e questo, in un certo qual modo, gli provocò una sensazione di delusione tanto inusuale, che lui rifiutò di pensarci seriamente. A che sarebbe servito?

Lei era l’elemento al di fuori dalla perfetta cornice.

Uscì allo scoperto, sul ponte sopracoperta gremito di gente indaffarata e respirò a pieni polmoni l’aria fresca e pungente della sera, cercando di dimenticare che era stato a un passo dal possedere Saffie, farla sua per davvero.

E che vantaggio mi promettete, in cambio?

Oh, figliolo. Vedi, ho appena stretto un patto davvero interessante: è ora di negoziare un’unione a noi favorevole.”

Il senso di colpa si insinuò infimo nelle sue viscere e Arthur non poté fare a meno di sentirsi un disgustoso bastardo.



§



La battaglia incombeva su tutti loro, Saffie Worthington ne era questa volta dolorosamente consapevole.

Lei e Keeran stavano passando la serata come la consuetudine sociale richiedeva alle giovani signorine di fare: sedute l’una di fronte all’altra, le due graziose dame ricamavano in silenzio e assorta concentrazione. O, per lo meno, stavano cercando di metterci tutto l’impegno possibile perché, ovviamente, erano ben altri i pensieri che si affollavano nelle menti di entrambe.

Erano ormai passate diversi giorni da quando l’irlandese si era offerta di insegnare alla padroncina la delicata arte del cucito – attività nella quale la Duchessina si era sempre calata senza troppo entusiasmo – ma ancora Saffie faceva fatica a mettere insieme due punti senza pungersi le dita. Anche quella sera, quindi, la diciassettenne aveva consumato insieme a lei la cena in cabina e aveva poi timidamente proposto di riprendere le loro lezioni di ricamo, riempendo di gratitudine l’animo della signora Worthington.

Saffie sapeva che la sua domestica si era lanciata in quest’idea del cucito perché desiderava sdebitarsi in una qualche maniera per tutto l’aiuto che le era stato fornito in quei mesi ma, ugualmente, era una distrazione come un’altra, utile a distogliere l’attenzione su ciò che le turbava per davvero.

Tra le due ragazze non volava nemmeno una mosca e questo era forse il segnale più evidente di una serata destinata a non essere come tutte le altre perché, a prescindere dall’attività in cui erano impegnate, il chiacchiericcio era sempre stato una costante fra le due: la Duchessina era la fonte degli argomenti e delle risate, mentre Keeran ascoltava assorta e rispondeva infine con le sue timide affermazioni.

C’era qualcosa…un presentimento opprimente.

In quei giorni, Keeran non era riuscita a stare insieme alla sua padroncina tanto quanto avrebbe voluto, visto che quest’ultima sembrava esser stata assorbita da Arthur Worthington e dall’urgenza di assisterlo nel suo percorso di guarigione; la diciassettenne non comprendeva chiaramente come Saffie potesse stare accanto ad una persona che aveva dimostrato di odiare, e che reciprocamente non voleva avere niente a che fare con lei.

L’irlandese si rese conto di non sapere praticamente nulla del passato della Duchessina di Lynwood, se si escludeva la morte prematura dell’amata sorella Amandine. Solo di una triste realtà era ormai praticamente certa: il matrimonio fra la signora e l’Ammiraglio non era stato altro se non l’ennesimo concordato tra famiglie potenti, il classico contratto imprescindibile che garantiva vantaggi e sacrificava la felicità degli individui.

Le iridi nere di Keeran scivolarono lentamente sulla ragazza seduta a nemmeno un metro da lei e le lanciarono una segreta occhiata: dolcemente illuminata dalla luce soffusa delle candele accese, Saffie tentava goffamente di ricamare un centrino tutto storto, mentre una strana espressione di assorto imbarazzo non accennava ad abbandonare il suo viso tanto rosso quanto quello di una ciliegia matura. Di nuovo, un sentimento sgradevole si contorse nello stomaco della diciassettenne e quest’ultima comprese subito che qualcosa doveva essere accaduto tra la sua padroncina e il Generale Implacabile.

“Lui non ce la farà. Se desiderate illudervi, fate pure; ma sappiate che ciò vi porterà solamente sofferenza.”

Keeran abbassò lo sguardo sulle sue mani pallide, stette attorno ai ferri dorati. Si odiò per aver richiamato alla memoria le parole che l’arrogante tenente Chapman le aveva dedicato una settimana prima, perché in effetti Douglas non accennava a migliorare, mentre Arthur Worthington già aveva ricominciato a terrorizzare la gente sopracoperta come se nulla fosse accaduto.

“Eppure, sono così felice di avervi potuto incontrare, dopo aver sofferto per una vita intera…”

Perché deve essere tutto così ingiusto?

E ora le avevano costrette a starsene rinchiuse negli alloggi della Duchessina fino a contrordine. Come Saffie, pure l’irlandese sapeva che il giorno dopo ci sarebbe stata l’ultima battaglia, quella che avrebbe condannato a morte certa la Mad Veteran, garantendo a tutti loro di poter finalmente arrivare a Kingston senza altri impedimenti di sorta; ed era anche consapevole del turbamento presente nell’anima della sua padrona, ma qualcosa di indefinito sembrava impedirle di indagare oltre. “Non è tenuta a mettermi a parte dei suoi sentimenti” pensò la domestica, con amarezza. “È più grande di me e io sono di sua proprietà e…e comunque non mi avrebbe raccontato nulla in ogni caso.”

“Sei come una grossa oca che vaga senza padrone: né bella, né intelligente.”

Nel medesimo istante in cui la pendola scoccò le undici di sera, un visitatore inaspettato bussò alla porta. Sorprese, le due ragazze si voltarono in direzione dell’uscio della camera contemporaneamente e uno strano brivido scorse lungo la loro spina dorsale.

“Sì?” fece solamente Saffie, sgranando gli occhi castani come una bambina spaventata.

La porta si aprì un poco e la testa bionda di Benjamin Rochester fece capolino, rivelando ad entrambe un viso esausto ed altrettanto combattuto. Triste.

“Mi dispiace disturbarvi a quest’ora, ma ho pensato fosse giusto informarvi” cominciò a dire, a bassa voce. I suoi occhi neri si sollevarono su quelli dell’irlandese ed egli la guardò con un dispiacere che le trafisse il cuore. “Douglas Jackson è morto.”




Angolo dell’autrice:

IMPORTANTE! Giusto due piccole precisazioni, prima di salutarvi: no, non ho intenzione di trasformare questo Romance storico in una storia alla Pirati dei Caraibi (per quanto io AMI alla follia la saga cinematografica), quindi non vedrete mai Saffie duellare con strane creature marine in cima al pennone dell’albero maestro di una nave. In ultimo, quest’ultima rivelazione finale è l’esatto motivo per cui non ho mai portato troppo a fondo la caratterizzazione del povero Douglas, che è sempre rimasto sulla superficie.

Ora! A noi! :D

Buongiorno e Buona Domenica!

Sono riuscita a pubblicare entro la settimana, visto?

Un po’all’ultimo, lo so. (T.T) Scusatemi, ma volevo sistemare alcune cose!

Per quanto io sia l’autrice, mi dispiace molto per Douglas Jackson: la vita non è mai giusta tanto quanto vorremmo, ed è ironico il fato che infine ha unito lui e Shaoul Brown. Vittima e persecutore, eppure entrambi sacrificati di fronte all’altare della battaglia, del potere...no, Keeran ha ragione: come può tutto questo essere giusto?

Passando ad argomenti più allegri…

Voglio ringraziare tutti voi! Un grazie enorme a chi ha speso un po’del suo tempo per recensirmi, a chi ha votato la mia storia, ma pure a coloro che l’hanno aggiunta nelle loro letture/seguite/preferite ecc. Mi date un sacco di forza!

Quindi, grazie sia a chi mi segue su Efp che su Wattpad! \(*w*)/

Sono felice di aver potuto approfondire James Chapman, questo odioso e insicuro tenente!

E che mi dite di Saffie e Arthur?

L’ambiguità del loro rapporto è sicuramente uno dei cardini centrali dell’intera storia, quindi finalmente l’attrazione tormentata che provano è riuscita a fare breccia! Sarebbe bello poter scrivere un bel “Fine, vissero tutti felici e contenti” a breve, ma chi ci crede!

Io no (^.^)”

Credo ci sia ancora troppa carne al fuoco e, di certo, se c’è qualcuno che non è onesto con sé stesso e con l’altra persona…beh, questi penso siano proprio i nostri due protagonisti!

Vi va di farmi sapere che ne pensate del capitolo? Io ne sono sempre molto felice! :D

Vi abbraccio forte, forte!

Sweet Pink

P.S: Direi che avrete mie notizie nel mese di Febbraio! :)

P.P.S: Sto molto meglio di salute! Questo per rispondere e ringraziare coloro che mi hanno scritto! Thanks!

  
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