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Autore: Kimando714    19/01/2022    1 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLO 11 - RUNAWAY



 
I wanna runaway
Never say goodbye
I wanna know the truth
Instead of wondering why
I wanna know the answers
No more lies
I wanna shut the door
And open up my mind
 
Le mani le tremavano in modo quasi incontrollato, mentre cercava di spostare i capelli dal viso. Faceva fatica a reggersi in piedi, più per la testa che girava per l’agitazione che per la pressione bassa che doveva effettivamente avere.
Caterina fece qualche passo incerto, tirando lo sciacquone del water prima di dirigersi verso il lavandino, lentamente e ancora scossa dai tremiti. Si risciacquò la bocca il più possibile, il sapore odiato del vomito che però sembrava non volersene andare facilmente.
Restò ferma aggrappata al lavandino per minuti che le sembrarono interminabili, osservando la propria figura riflessa nello specchio: era terribilmente pallida, i capelli scomposti ed arruffati, gli occhi vagamente arrossati e lucidi per lo sforzo di vomitare. Cercò di reggersi dritta, senza più appoggiarsi con le mani sui bordi del lavabo, girandosi di fianco. Secondo i calcoli che aveva fatto con l’aiuto di Giulia, doveva aver appena concluso il primo mese di gravidanza. Non sapeva quanto fossero affidabili i calcolatori automatici che si potevano trovare su internet, ma a quanto pareva il 1°maggio doveva essere il primo giorno del secondo mese. Probabilmente lo avrebbe saputo con più certezza solo dopo la visita con la ginecologa, alla quale mancava ancora una settimana.
Spostò verso l’alto il tessuto della maglietta, lentamente e con gesti malfermi: studiò il riflesso che le restituiva lo specchio, e ad una prima occhiata la sua pancia le sembrò già più gonfia e piena rispetto a qualche giorno prima. Probabilmente era soltanto un’impressione – era decisamente troppo presto perché la pancia sporgesse davvero-, ma le bastò per ritirare giù la maglietta e coprire la pelle di nuovo.
Per un breve momento si immaginò nella stessa posizione, lì davanti allo specchio, di lì a qualche mese: si sarebbe rivista con il pancione, o tutto sarebbe finito ben prima di arrivare a quel punto?
D’altro canto, avrebbe sempre potuto perderlo spontaneamente.
O forse, semplicemente, non l’avrebbe tenuto.
Caterina tirò un sospiro, allontanandosi da quell’angolo del bagno, per fermarsi un attimo davanti alla finestra: il cielo era talmente scuro e grigio da minacciare sicuramente qualche temporale. Tutto preannunciava una turbolenza, un po’ come stava capitando in lei da una settimana.
Avrebbe dovuto pensare seriamente a cosa fare. Sapeva che doveva farlo: avrebbe dovuto informarsi meglio su come fare per prenotare un’interruzione di gravidanza, o capire se il Comune disponesse qualche aiuto alle giovani donne incinte. Doveva tenere presente tutte le possibilità da ambo le parti, ma la concentrazione negli ultimi giorni sembrava essere andata persa completamente.
L’unica consolazione era che era riuscita a fare quelle maledette analisi del sangue e prendere un appuntamento per una visita ginecologica. E a decidere, finalmente, che era decisamente giunto il momento per parlare con Nicola.
Per quanto si fosse sforzata di iniziare il discorso, non c’era davvero stata una vera occasione, fino a quel momento, in cui se l’era sentita sul serio: sabato se ne era tornato a Torre San Donato, per il compleanno della madre, e Caterina era rimasta a casa giustificandosi come non si sentisse affatto bene. Nicola non aveva nemmeno indagato oltre, né aveva insistito ulteriormente. E poi domenica, una volta tornato, era dovuto praticamente andare subito al lavoro, nel ristorante dove lavorava da un anno come cameriere.
E a Caterina non era rimasto che quell’unico giorno, quell’unico 1°maggio in cui Nicola non sembrava avere impegni che venissero prima di lei.
Al solo pensiero di doverlo affrontare di nuovo Caterina sentiva la nausea tornare a tormentarla, la testa che le girava più di prima.
Aveva cercato il più possibile di convincersi che Nicola, stavolta, non le avrebbe voltato le spalle. Non era più il ragazzino distaccato ed egoista com’era stato anni prima. Era cresciuto, era maturato, era più responsabile verso se stesso e verso di lei.
Si ripeteva quelle parole tra sé e sé per tranquillizzarsi, per lasciarsi aperta almeno una possibilità di riuscita; non avrebbe saputo immaginare come si sarebbe sentita, o che avrebbe mai potuto fare, se si fosse ritrovata di nuovo sola, con un peso simile sulle spalle.
In ogni caso, qualunque cosa fosse successa, glielo doveva dire: non poteva permettersi di tenerglielo segreto per sempre, né ce l’avrebbe fatta. Prima o poi si sarebbe comunque arresa alla paura che la divorava da giorni; preferiva parlare quando ancora riusciva a conservare un po’ di razionalità, piuttosto che aspettare di parlare per conto della disperazione.
Uscì dal bagno velocemente, prima di cambiare idea un’altra volta, ma dovette fermarsi subito e rallentare: la nausea era già tornata a farsi sentire, come se non se ne fosse mai andata nemmeno per un secondo.
Era decisamente peggiorata negli ultimi giorni, e Caterina aveva accolto malamente quel segnale che il suo corpo in trasformazione continuava a mandarle, come a volerle ricordare la condizione in cui si ritrovava ormai da un mese.
Fece qualche passo, temendo di avere qualche altro forte attacco di nausea mentre si avviava verso la cucina: Nicola stava preparando il pranzo, e a Caterina gli odori forti avevano già cominciato a dare fastidio. Quasi si sorprese, stupita positivamente, quando si accorse di riuscire a respirare l’odore di pasta allo scoglio senza accusare una nausea più accentuata.
Si fermò sulla soglia della cucina per qualche attimo, gli occhi che vagavano liberi sulla figura di Nicola, che in quel momento le dava le spalle: sembrava sereno, totalmente ignaro di ciò che sarebbe successo. Eppure il cambiamento imminente era lì, Caterina riusciva a respirarlo, lo sentiva nell’aria: si domandava solo come avesse fatto Nicola a non accorgersene dopo tutti quei giorni.
Probabilmente aveva preferito ignorare e non chiederle nulla, rispettando quel silenzio che Caterina, invece, avrebbe tanto voluto rompere. Le sembrava quasi impossibile non si fosse chiesto almeno una volta a cosa fosse dovuto il suo distacco, la sua inquietudine, quel senso di stranezza che aveva avvolto tutto quanto.
Forse aspettava solamente una sua spiegazione spontanea, facendo finta di nulla fino a quel momento.
-Che fai lì ferma?- la voce di Nicola la distrasse, e Caterina si accorse solo in quel momento che si era girato verso di lei – Stai meglio ora?-.
-Un po’ sì- mormorò lei, mordendosi il labbro. Non era quella la risposta che voleva e che avrebbe dovuto dargli, ma si era accorta troppo tardi di non essere riuscita ancora una volta ad instradare la conversazione come avrebbe voluto.
Nicola annuì, voltandosi di nuovo verso il fornello, osservando la pentola che bolliva sul fuoco:
-Hai ancora un po’ di fame? Ormai è pronto-.
-Proverò a mangiare qualcosa- annuì lei, avvicinandosi piano. Mantenne una certa distanza da Nicola, accostandosi al tavolo della cucina. Le venne quasi da ridere nel rendersi conto, per un attimo, che ironicamente si ritrovava di nuovo in quella stanza a cercare di parlare apertamente della sua gravidanza; e se non era stato facile con Alessio, non riusciva proprio a convincersi di come sarebbe potuto esserlo con Nicola.
Si sedette lentamente a tavola, congiungendo le mani in grembo ed aspettando che Nicola impiattasse e che la raggiungesse. Non aveva fame, quasi per nulla, ma doveva perlomeno sforzarsi di ingurgitare qualcosa: per quanto le facesse strano pensarlo, e per quanto non conoscesse ancora ciò che avrebbe deciso di fare in proposito, ciò che la spingeva a farlo era una sorta di responsabilità verso se stessa e verso ciò che portava in grembo.
-Ecco qua- Nicola si avvicinò alla tavola, porgendole un piatto ricolmo, prima di sedersi a sua volta.
Caterina abbassò gli occhi verso il piatto di pasta che si trovava davanti: in una qualsiasi altra occasione inspirarne il profumo non avrebbe fatto altro che aumentarle l’appetito, ma non fu quello il caso. Così come poco prima la nausea sembrava essersene andata, l’odore del pomodoro e del pesce che respirò non fecero altro che fargliela tornare prepotentemente.
Si portò velocemente una mano alla bocca, come se fosse sufficiente quel gesto per frenare l’impulso di vomitare; cercò di respirare a fondo, ma servì a poco. Si alzò velocemente, quasi correndo, diretta di nuovo al bagno, senza più riuscire ad ignorare altri conati.
Si sentì prendere dal nervoso più nero, quando finalmente i conati sembrarono calmarsi. Si rialzò lentamente per andarsi a sciacquare la bocca e il viso, gli occhi che le bruciavano per le lacrime dovute allo sforzo e alla rabbia, sentendosi esausta, senza energie e collerica con il mondo intero.
Cominciava a sentirsi stanca. Stanca per tutto quello che il suo corpo doveva subire, stanca per doversi tenere tutto dentro, stanca per tutta quella situazione che non aveva mai voluto nemmeno lontanamente.
Non fece nulla per frenare il pianto che la colse in quel preciso momento, e non fece nulla nemmeno per nasconderlo. Lasciò andare i singhiozzi, aggrappandosi al bordo del lavandino con una mano e nascondendosi gli occhi con l’altra.
-Caterina-.
Lei si voltò di scatto, quasi sobbalzando, e sgranò gli occhi nel notare che Nicola l’aveva raggiunta, standosene fermo sulla soglia a guardarla con aria stranita e preoccupata allo stesso tempo.
Non l’aveva sentito avvicinarsi, probabilmente non ci aveva nemmeno fatto caso. Si era perfino scordata di chiudere la porta del bagno, a causa della fretta con cui ci si era precipitata pochi minuti prima.
Rimase a fissare Nicola a sua volta, agitata ed arrabbiata insieme, senza dire nulla.
-Ma è tutto a posto?- azzardò lui, in difficoltà. Caterina non riuscì a trattenersi dal guardarlo come se fosse pazzo, come se non fosse già abbastanza evidente che qualcosa dietro tutto quello c’era eccome.
-Ovvio che non è tutto a posto, cazzo! Non è tutto a posto- urlò, la voce spezzata e le lacrime che ricominciarono a rigarle il viso.
-Che ti prende? Volevo solo sapere come stavi- Nicola non alzò la voce, ma non nascose l’angoscia nello sguardo. Cercò di avvicinarsi a Caterina, che si divincolò violentemente:
-Lo puoi vedere anche da te come sto, ma come al solito tu non ti accorgi mai di niente! O fai finta di non accorgertene- sibilò, cercando di scostare Nicola per uscirsene di lì. Venne bloccata da lui all’istante, e Caterina sussultò di nuovo nel sentire le sue mani sul proprio corpo, posate sui fianchi e così dannatamente vicine alla pancia.
-Di che stai parlando?-.
La tenne bloccata di fronte a sé per alcuni attimi, prima che Caterina provasse a divincolarsi nuovamente, più piano. Fece qualche passo indietro, passandosi una mano sul viso come a cancellare le ultime lacrime.
-Sto parlando di me. Sto parlando del fatto che sono giorni che non sto bene, che sono giorni che non ti parlo, e tu non ti sei nemmeno chiesto il motivo-.
-Forse me lo sono chiesto. Semplicemente forse preferivo che me ne parlassi tu, quando avresti voluto- cercò di mantenere la calma Nicola, anche se Caterina non poté fare a meno di notare come cominciasse ad agitarsi a sua volta. Lo vedeva nei gesti secchi delle mani, nello sguardo aggrottato, e nel respiro lievemente accelerato.
Anche lei sentiva il respiro farsi più rapido, respiri più corti e rapidi come i battiti del cuore. Lo sentiva battere nel petto come se fosse sul punto di esplodere, tanto si sentiva in ansia. Si stupì nell’accorgersi che non stava affatto tremando, e che all’esterno doveva apparire quanto meno abbastanza calma.
Restituì lo sguardo a Nicola, e in quel momento si rese conto che avrebbe potuto contare solo sulle sue forze per parlargli davvero di tutto ciò che si stava portando dentro. Lo avrebbe fatto in quel momento, o non lo avrebbe fatto mai più.
-Sono incinta, Nicola-.
Il tempo sembrò fermarsi nell’esatto momento in cui aveva articolato quelle parole, con voce ferma e senza bisbigliarle esitante.
Caterina rimase in quella che le sembrò l’attesa più lunga della sua vita, forse ancora più lunga e dolorosa di quella che aveva anticipato l’esito del test. Non staccò gli occhi dal viso di Nicola nemmeno per un secondo, per captarne anche il più piccolo cambiamento, anche il più piccolo segnale che le potesse far capire cosa stesse pensando.
Il volto di Nicola, però, rimaneva impassibile, le iridi chiare spalancate e sgranate, la mascella rigida e la bocca serrata. Poteva sembrare una statua di ghiaccio, e Caterina si sentì gelare a quella reazione immobile.
-Che hai detto?-.
Nicola aveva a malapena sussurrato quelle parole, muovendo appena le labbra.
-Non farmelo ripetere-.
-Stai scherzando, vero?-. Nicola assottigliò lo sguardo, e Caterina si strinse nelle spalle, guardando altrove. Cominciava a temere quella maschera di freddo panico che iniziava ad apparire sul viso di Nicola, e in quel momento ebbe la terribile certezza che quella discussione non sarebbe proseguita nel migliore dei modi.
Si sforzò di alzare appena lo sguardo, incrociando quello dell’altro: Nicola sembrava perso in riflessioni che Caterina non poteva conoscere, anche se credeva di poterle intuire. Probabilmente stava cominciando a comprendere solo in quel momento che Filippo aveva capito erroneamente che fosse Giulia ad essere incinta.
Forse stava cominciando a realizzare per la prima volta come dovevano essere andate le cose.
Caterina continuò a rimanere in silenzio, troppo ferita per poter dire qualcosa; Nicola dovette prendere quel silenzio come ammissione che no, non era solo uno scherzo.
-Può essere un errore, deve esserci un errore!- esclamò d’un tratto lui, allarmato. Sembrava quanto mai scioccato, e Caterina si rese conto di non averlo mai visto in uno stato simile da quando lo conosceva.
-Non c’è nessun errore, invece-.
Lo spintonò indietro, più lontano da lei, d’un tratto rabbiosa.
-Pensi che te lo avrei detto se non fossi stata sicura? Pensi che avrei prenotato una visita dalla ginecologa se non ne fossi certa?- urlò di nuovo Caterina, cercando inutilmente di trattenere altre lacrime che premevano per uscire – Sono incinta, aspetto un bambino, e non c’è più nessun errore che possa metterlo in dubbio. Mi devi credere-.
Nicola rimase ancora una volta impassibile, come se non avesse dato ascolto a nessuna parola pronunciata. Rimase con le braccia distese lungo il corpo, il volto duro e teso che non tradiva alcuna emozione, se non quella paura serpeggiante che continuava a minare ogni sicurezza rimasta a Caterina.
-Hai prenotato una visita?- borbottò Nicola, a voce bassa e atona.
Caterina si ritrovò ad annuire, ancora con l’impressione che Nicola l’avesse ascoltata solo in parte:
-Sì, per capire almeno come muoverci. Nel caso decidessimo se tenerlo ... O no. Dobbiamo parlarne in entrambi i casi-.
-Dobbiamo parlare se tenerlo o no l’attimo dopo in cui mi hai detto di essere incinta?- sbuffò sonoramente, portando le braccia incrociate contro il petto – Da quanto sai di esserlo?-.
Caterina si morse il labbro inferiore, esitante. Sapeva che dire la verità non avrebbe fatto altro che irritarlo ancora di più, ma non le rimaneva altra scelta: ingannarlo così, a quel punto, sarebbe stato solo inutile ed ingiusto.
-Quasi una settimana-.
Nicola la guardò ancora una volta ad occhi sgranati, prima di avvicinarsi a lei di un passo, guardandola con astio e incredulità. Caterina cercò di non arretrare, sforzandosi di non abbassare neanche lo sguardo.
-Perché cazzo hai aspettato così tanto per dirmelo?- Nicola alzò di nuovo la voce, gesticolando freneticamente e nervosamente – Spiegami, e dammi una ragione valida, per cui sono stato l’ultimo idiota a venirlo a sapere, quando avresti dovuto parlarmene ancora prima di fare il test!-.
-Non te ne ho parlato prima perché non ero sicura di poter sopportare una reazione come questa da parte tua!- Caterina urlò a sua volta, con tutta la voce che si trovava in corpo. Non fece nemmeno più nulla per trattenere le lacrime, né nient’altro per nascondere quanto facessero male le ferite che le stava provocando Nicola.
-E non mi sbagliavo, infatti. Non mi sbagliavo-.
Il silenzio che ricevette da Nicola come risposta fu più tagliente di qualsiasi altra parola. Ne osservò lo sguardo duro e freddo, e Caterina non poté fare altro che sentirsi davvero sola.
Nicola annuì piano, freddamente, indietreggiando e continuando a tenerla fissata:
-Ah, davvero? Sono contento del fatto che tu non sbagli mai-.
C’era ironia nella sua voce, e un’amarezza che Caterina non seppe quantificare.
-Non sbagli davvero mai-.
Caterina non fece in tempo a replicare, né fece in tempo a realizzare davvero il significato di quella frase. Vide solamente Nicola allontanarsi, dopo averle riservato un ultimo sguardo tagliente, e sparire completamente dalla sua visuale.
Sentì i suoi passi allontanarsi lungo il corridoio, e dopo alcuni minuti nei quali Caterina non riuscì a fare altro che rimanere lì, immobile ed impotente, sentì la porta di casa aprirsi e richiudersi con un tonfo secco.
Nicola se ne era andato.
 
*
 
Nonostante fosse solo primo pomeriggio in una giornata di maggio l’aria di Venezia era fredda, gelida e sferzante. Alzando il capo Nicola si accorse che il cielo si era fatto più plumbeo e tetro di quanto non lo fosse quella stessa mattina; si pentì di non aver portato con sé almeno un ombrello o un giubbino, ma se ne era uscito di casa così in fretta e furia che non ci aveva minimamente pensato.
Aveva camminato velocemente per diverso tempo, anche se a lui sembrava essere passato solamente qualche minuto da quando aveva sbattuto la porta di casa dietro di sé. Aveva preso strade in automatico, senza nemmeno pensare a dove andare, continuando ad avanzare a testa bassa e arrabbiato con il mondo intero.
Si stupì un po’ nel rendersi conto di essere giunto in piazza San Marco: non era certo il posto che frequentava di più, né quello più vicino a casa. Decise comunque di proseguire per di lì, senza guardarsi indietro e senza deviare quel percorso improvvisato.
Camminò cercando di scansare il più possibile la folla di turisti ammassata davanti alla Basilica, continuando imperterrito ad avanzare senza remore. In poco tempo giunse al molo, dove erano attraccate diverse imbarcazioni di pescatori e gondole usate apposta per i turisti.
Proseguì lungo quel tratto, stringendosi nelle spalle per cercare di trattenere il poco calore che gli era rimasto in corpo; qualche metro più avanti vide una panchina non ancora occupata da nessuno, e senza pensarci ci si sedette dopo averla finalmente raggiunta.
Per i primi momenti rimase lì inerme, senza pensare a nulla, come se la sua mente si fosse improvvisamente svuotata di ogni pensiero. Osservò le acque del bacino di San Marco ondeggiare al ritmo del vento che cominciava a farsi più sferzante, facendo cozzare le barche attraccate tra di loro.
Era una melodia rilassate, quella delle onde che si infrangevano contro le pance dei pescherecci e delle gondole: lo aiutava a riprendere contatto con la realtà, a ricordare ciò da cui era appena scappato e dove si ritrovava ora, dopo un tempo infinito passato a vagare.
Era sicuro che di lì a poco avrebbe piovuto, e che avrebbe fatto bene ad andarsene e tornare indietro, ma le gambe parvero improvvisamente troppo pesanti per muoversi. Forse sarebbe rimasto lì ancora un po’, nell’aria grigia di quella giornata.
Forse aveva solo bisogno di stare un po’ da solo, per mettere insieme i pezzi di quella giornata che – cominciava a realizzarlo solo in quel momento- gli avrebbe inevitabilmente cambiato la vita, in un senso o nell’altro.
Non riusciva bene a capire come si sentisse in quel momento. Quando aveva litigato con Caterina – perché avevano litigato, non avrebbe saputo definire in un’altra maniera quello scambio di parole gridate che avevano avuto- era sicuro di essersi sentito tremendamente in collera con lei. Arrabbiato per essere stato tenuto all’oscuro di tutto per giorni, arrabbiato per non essersi accorto di nulla, arrabbiato per quella specie di tradimento, per quella fiducia in lui che a Caterina era mancata.
E non poteva nemmeno darle torto, si rese conto spiazzandosi da solo. Che aveva fatto subito dopo aver saputo che era incinta? Se ne era andato, era uscito di casa senza farle sapere dove fosse diretto né quando sarebbe tornato.
Se mai sarebbe ritornato.
Nicola scosse piano il capo, incredulo, nel rendersi conto che Caterina ci aveva visto giusto davvero: non era rimasto a casa con lei, magari in silenzio e ritirato in camera da solo per sbollire la rabbia e il terrore che l’avevano assalito. Non aveva cercato di calmarsi, di ragionare a mente fredda.
Non aveva nemmeno cercato di chiederle qualcosa sulla gravidanza. Non le aveva chiesto come stava, come si sentiva, niente di niente.
Se ne era semplicemente andato, come fosse la cosa più facile da fare. E lo era stata davvero: era stato molto meno problematico lasciare Caterina in quella casa da sola, piuttosto che mettersi in discussione e rimanere lì con lei, a cercare di darle il sostegno che le sarebbe servito.
Una prima goccia di pioggia gli bagnò la pelle del viso, facendogli portare gli occhi in alto verso il cielo; cominciava a piovere, e lui ancora non aveva deciso nulla su cosa fare.
Sapeva solo che a casa non ci voleva tornare, non ancora. E si sentiva egoista, codardo e tutto ciò che di peggio poteva esistere a quel mondo, ma non sarebbe tornato. Avrebbe atteso un altro po’, prima di affrontare quella paura immensa che cominciava ad apparire sempre meno sfumata e più reale davanti ai suoi occhi.
Un’altra goccia gli arrivò sui capelli, ma Nicola non si mosse ancora. Pensò a Caterina, e per quanto lo facesse stare male, cercò di immaginarsela in quel momento, a casa e completamente da sola: forse aveva già finito tutte le lacrime che aveva in corpo, abbandonata com’era. O forse non era riuscita nemmeno a piangere, troppo ferita e stanca per poter spendere ulteriori energie per sfogarsi.
Forse si stava domandando chi glielo aveva fatto fare di tornare con uno come lui, che se ne era fregato per molto meno e che l’aveva lasciata a se stessa già una volta.
Nicola chiuse gli occhi, abbassando il capo e prendendoselo tra le mani. Avrebbe avuto voglia di gridare, ma si morse le labbra per impedirsi anche solo di emettere il più piccolo lamento.
Tre anni prima si era ripromesso di essere una persona migliore, meno prigioniero delle sue paure e delle sue insicurezze, più disposto a mettersi in gioco per se stesso e per coloro che amava. Ma allora perché era lì, perché era scappato di nuovo?
Non era lo stesso ragazzino di tre anni prima, non doveva.
Non era più lo sprovveduto che aveva toccato il fondo una volta resosi conto che stava perdendo tutto ciò a cui aveva tenuto fino ad un attimo prima dello schianto, non era più il ragazzino che preferiva fare finta di nulla di fronte alle difficoltà.
Era un uomo, e non poteva più scappare dalle paure e dagli errori. Non poteva scappare da Caterina e lasciarla sola solo perché lui si sentiva troppo insicuro; non era lei che doveva pagare per le sue esitazioni, per i suoi tracolli. Era più forte di come appariva, era cresciuto imparando dagli errori che si era ripromesso di non ripetere di nuovo. Doveva essere forte, per se stesso, per Caterina ... Per lui.
Per lui – se Caterina avrebbe deciso di tenerlo.
Rimase per un attimo a soppesare quelle due parole, ritrovandosi stupito e meravigliato di come risuonavano nella sua mente. Intontito e stravolto, come se si trovasse davanti a qualcosa che non avrebbe saputo definire, ma per cui già sapeva che, nonostante tutto, avrebbe dovuto lottare.
Riaprì lentamente gli occhi, ritrovando davanti agli occhi la stessa immagine del cielo plumbeo e delle acque ondeggianti che lo aveva accompagnato fino a quel momento.
La pioggia cominciò a scendere più fitta, iniziando a bagnare il marciapiede e i capelli di Nicola. Avrebbe dovuto alzarsi di lì, ritrovare il coraggio che gli mancava e che stava cercando disperatamente dentro di sé.
Doveva trovare il coraggio per dimostrare a sé e a Caterina che era davvero una persona migliore, che non sarebbe scappato di nuovo per rifuggire ogni responsabilità.
Alzarsi da quella panchina fu il primo vero passo verso quella consapevolezza di forza che cominciava ad avere. Rimase per qualche attimo ancora immobile, forse ancora un po’ esitante in ciò che doveva fare.
L’immagine di Caterina gli balenò di nuovo tra i pensieri, lasciandolo nuovamente sconfortato. Non era davvero sicuro di potercela fare, ad affrontare tutto quello, ma doveva almeno provarci.
E doveva parlarne con qualcun altro pronto ad ascoltare ogni suo timore, per ritrovare l’ultima spinta capace di riportarlo lontano da quel baratro.
 
*
 
Paper bags and angry voices
Under a sky of dust
Another wave of tension
Has more than filled me up
All my talk of taking action
These words were never true
Now I find myself in question
Guilty by association*
 
Nicola si spinse dentro all’androne del palazzo giusto poco prima che la pioggia si intensificasse ancor di più. Lasciò che il portone si richiudesse alle sue spalle, e senza attendere oltre si avviò verso il corridoio dove si trovava l’appartamento verso il quale era diretto.
Era quasi senza fiato, e fu un sollievo e un tormento allo stesso tempo per lui, quando finalmente si fermò davanti alla porta agognata: il fiato cominciò a tornargli, in respiri profondi, ma restandosene fermo troppo a lungo i brividi di freddo lo colsero immediatamente. Aveva i vestiti completamente bagnati, così come lo erano i capelli, appiccicati alla fronte. Aveva corso lungo la strada per fare il prima possibile, ma non aveva potuto evitare di beccarsi ogni singola goccia di pioggia che era caduta fino a quando non si era rifugiato in quel palazzo.
Trovandosi lì davanti a quella porta per la prima volta da quando aveva deciso di recarsi fino a lì, attraversando mezza Venezia sotto la pioggia, venne colto dal dubbio. Non aveva idea se ci fosse qualcuno in casa, né aveva idea di come avrebbe reagito lui nel trovarselo lì di fronte. Non sapeva nemmeno bene come avrebbe potuto spiegargli la sua presenza lì, né sapeva se sarebbe davvero riuscito a sfogarsi almeno in parte.
Rimase ancora un po’ a fissare la superficie liscia e lucida del legno della porta, ancora indeciso se restare o andarsene via. Ma dove poteva andare? Non aveva ancora il coraggio e la convinzione sufficienti per tornare a casa, non ancora, non subito. Doveva prima assolutamente parlare con qualcuno, o gli sarebbe scoppiata la testa.
Nell’impulso del momento bussò contro la porta, abbastanza forte per poter farsi sentire.
Attese qualche altro secondo, in cui meditò ancora se andarsene o no. Alla fine, prima che potesse prendere una decisione definitiva, la porta si aprì, dissipando ogni sua esitazione.
Nicola rimase ad osservare l’espressione stupefatta di Alessio senza dire nulla: in una qualsiasi altra occasione vederlo così, gli occhi spalancati e sorpresi in un’espressione più comica che altro, lo avrebbe fatto ridere. In quell’istante, invece, si sentiva solo piccolo e meschino.
-Nicola!- esclamò Alessio, ricomponendosi subito e cercando di mascherare quella sua espressione di sorpresa subito dopo – Ciao, io ... Non mi aspettavo di trovarti qui-.
Nicola non poteva saperlo con certezza, ma ebbe la netta sensazione che Alessio sapesse benissimo quello che poteva essere successo tra lui e Caterina. Probabilmente non sapeva che avevano discusso, che lui se ne era andato di casa per quel motivo, ma era quasi certo che sapesse della gravidanza. Gli occhi di Alessio dicevano molto di più di quanto non avrebbe mai potuto dire a voce.
-Ti disturbo?- chiese Nicola, parlando lentamente. Faticò ad articolare quelle parole, la voce che sembrava venirgli a mancare proprio nel momento in cui gli serviva di più.
Alessio fece segno di diniego, ricambiando lo sguardo di Nicola con uno angosciato.
-Devo parlarti- proseguì, abbassando il capo – Ho bisogno di parlare con qualcuno-.
Alessio rimase immobile per alcuni attimi, prima di annuire e fargli strada dentro casa, con Nicola che lo seguiva in silenzio dopo essersi richiuso la porta alle spalle.
-Alice è uscita poco fa, quindi possiamo parlare quanto vuoi noi due da soli- gli disse Alessio, senza voltarsi e senza aggiungere ulteriori spiegazioni, proseguendo verso il piccolo soggiorno dell’appartamento.
Nicola si lasciò cadere pesantemente in un angolo del divano, ancora ben deciso a non incrociare lo sguardo di Alessio. Era sicuro che lo stesse fissando: non si era ancora seduto da nessuna parte, e rimaneva in piedi, come in attesa di qualcosa, combattuto su cosa fare.
Alla fine Nicola si sforzò di alzare gli occhi verso di lui: Alessio non dava segni di nervosismo, ma il suo viso pareva rabbuiato. Prese un sospiro profondo, prima di rivolgersi a Nicola con voce stanca:
-Speravo di non vederti in questo stato-.
Non tradiva alcuna rabbia, né particolare preoccupazione. Sembrava solamente deluso, e bastò solo quella prima impressione per far sentire Nicola ancor più in colpa.
-Credo di sapere il perché- borbottò lui di rimando, riabbassando di nuovo gli occhi: la vergogna era troppo forte anche solo per immaginare di poter sostenere gli occhi limpidi di Alessio.
Non ricevette alcuna risposta, e Nicola si costrinse di nuovo ad osservarlo: le guance dell’amico erano appena arrossate, come se anche lui fosse in preda all’imbarazzo.
-Sai di Caterina, vero?-.
Alessio annuì impercettibilmente, incrociando le braccia contro il petto:
-Da qualche giorno- ammise.
“Come volevasi dimostrare”.
-A quanto pare lo sapevate già tutti, tranne me-.
-Solo perché Caterina doveva trovare il coraggio e il modo giusto per dirtelo- Alessio parlò con una delicatezza che Nicola trovò quasi stonata, dovendola associare proprio a lui. Forse era solo un modo per scusarsi implicitamente con lui, o un tentativo di farlo restare calmo.
O forse, semplicemente, era solo la verità.
-Era così difficile dirmelo subito?- mormorò Nicola, più a se stesso che ad Alessio. Non era andato fin lì per parlare di quello, ma ora non poteva fare a meno di domandarselo: come aveva fatto Caterina a tenerlo all’oscuro di una cosa del genere per così tanti giorni? E lui, come diavolo aveva fatto a non accorgersi davvero che qualcosa non andava?
-Tu cosa credi? Ma poi, è davvero questa la questione più importante?- gli domandò a sua volta Alessio, e Nicola non rispose nemmeno, talmente ovvia era la risposta.
No, non era certo quella la questione più importante.
-Ce ne sono talmente tante, di questioni, che non ci capisco più niente-.
Nicola si scostò nervosamente i capelli umidi appiccicati sulla fronte; si sentiva dannatamente patetico, e quasi si aspettò di ricevere da Alessio una risposta tutt’altro che incoraggiante. Forse avrebbe preferito quasi che gli urlasse addosso di tornarsene a casa, di darsi una scrollata e prendersi le sue responsabilità.
L’unica reazione che ottenne fu, invece, un unico sospiro quanto mai sconsolato:
-Perché sei qui, Nicola? Perché sei qui e non a casa con Caterina?-.
La risposta a quella domanda era senz’altro quella che lo faceva più vergognare di se stesso, ma mentire, a quel punto, non avrebbe migliorato le cose.
-Me ne sono andato-.
-Cosa?-.
A Nicola non sarebbe nemmeno servito alzare lo sguardo verso Alessio per immaginarsi l’espressione che doveva esserglisi dipinta in viso: lo teneva osservato con occhi sgranati, il volto sempre più pallido e sconvolto.
Non sembrava in grado di formulare una qualsiasi altra parola.
-Mi sono incazzato. E mi sono spaventato- borbottò a stento Nicola, stringendo le mani a pugno per lottare contro il senso di colpa ed inadeguatezza che s’insinuava in lui – Non ho più ragionato, e dopo che mi ha detto che si aspettava già che avrei reagito male alla notizia ho preferito andarmene. E così le ho pure dato  ragione-.
-Spero almeno tu te ne sia andato momentaneamente solo per sbollire la rabbia- replicò subito Alessio, che sembrava aver perlomeno recuperato la facoltà di parola. Continuava a guardare l’altro con occhi costernati, e Nicola avrebbe solamente voluto sparire da lì, smetterla di sentirsi il verme che era.
-Io ... Sì, credo di sì- sembrava aver parlato più a se stesso che ad Alessio, come per rassicurarsi che quella sarebbe stata la sua prossima azione.
Si era ripromesso di non scappare di nuovo di fronte alle difficoltà, e ce l’avrebbe messa tutta per farlo: non poteva tirarsi indietro proprio in quel momento.
Si torturò le mani a lungo, prima di alzare gli occhi ed incrociare ancora quelli di Alessio: lo avrebbe giudicato, se gli avesse parlato apertamente di tutte le sue paure e dei suoi timori? Lo avrebbe reputato una cattiva persona, o avrebbe perso la sua stima e la sua amicizia?
Eppure gli occhi di Alessio non tradivano alcuna rabbia. C’era angoscia, forse una traccia di dissenso per la sua fuga da casa, ma quelli non erano occhi di una persona che lo stava giudicando più di quanto si meritasse.
E per quanto Alessio fosse sempre stato sincero, fin troppo schietto, si fidava di lui.
-Non so cosa fare-.
Nicola si portò le mani al viso, coprendosi gli occhi come a volersi schermare dal resto del mondo. Era l’unico modo per mostrare solo in parte tutta la fragilità che lo teneva sotto scacco in quel momento.
Avvertì i passi di Alessio, segno che si stava avvicinando velocemente a lui fino a sederglisi accanto, senza dire nulla. Gli rimase lì affianco, fermo e silenzioso, aspettando che quel momento passasse, che Nicola abbassasse lentamente le mani lasciando il viso nuovamente visibile.
-Non me l’aspettavo-.
-Credo che nemmeno lei se l’aspettasse- mormorò di rimando Alessio, una nota di dolcezza nella voce. Posò una mano sulla spalla di Nicola, muovendo il pollice in una carezza che trovò confortante.
-Sono stato ingiusto con lei- riprese a parlare ancora una volta, e stavolta le parole gli uscirono più facilmente e con meno vergogna – Le ho detto cose che non penso sul serio. Mi sono fatto prendere dal panico-.
-Non devi farti una colpa per questo, chiunque si sarebbe ritrovato spaventato in una situazione simile-.
-Ma non è una giustificazione sufficiente, e non voglio essere giustificato- Nicola si rese conto di essersi lasciato andare con troppa enfasi, come se quelle parole stessere premendo fin troppo per uscire – Vorrei solo ... Non so come dirlo-.
-Non devi per forza parlarne, non per forza ora- cercò di calmarlo Alessio, la mano ancora posata sulla sua spalla.
Nicola rimase in silenzio, lo sguardo fisso davanti a sé come se intorno a lui non ci fosse niente e nessun altro. Aveva fatto tutta quella strada fino a lì solo per parlare con qualcuno, e si ritrovava bloccato ancora una volta, incapace di esternare tutto quello che si stava tenendo dentro.
Aveva sempre detestato quelle situazioni, quelle in cui doveva esporsi e scoprirsi di fronte agli altri, quelle in cui doveva calare la maschera fatta di sicurezza e indifferenza che teneva sempre. Eppure cominciava a sentire che quella stessa maschera stesse iniziando a sgretolarsi pian piano.
Rivide in un flash velocissimo tutto ciò che era successo fino a quel momento, tutto ciò che aveva pensato, urlato ed ascoltato. Forse fu solo la disperazione e il bisogno di aggrapparsi a qualcosa – a qualsiasi cosa, anche il più piccolo segno- che lo spinse ad ignorare la vergogna una volta per tutte, e spingerlo a parlare.
In un primo momento non seppe nemmeno da dove iniziare, se nascondere la sua cecità nei confronti di Caterina o se dire ad alta voce per quanto tempo avesse ignorato segnali che ora gli sembravano inequivocabili e che lui aveva considerato semplice stress per l’università. Riportò alla mente il loro litigio, quella discussione che in quel momento, raccontandola ad Alessio, gli sembrava stupida ed inutile.
Le parole scivolavano come un fiume in piena, nel cercare di esternare tutte le paure egoistiche che lo avevano accompagnato per tutte le ore precedenti, quei timori di non essere all’altezza della situazione, quella promessa di aver maggior coraggio che voleva mantenere ma per cui gli mancava la spinta giusta.
Rimase con lo sguardo fisso per tutti quei minuti, consapevole che, se si fosse voltato verso Alessio in un qualsiasi momento, si sarebbe bloccato all’istante. Non era abituato a parlare così apertamente, e non lo sarebbe mai stato se la situazione non lo avesse richiesto, ma era arrivato ad un punto così basso che, alla fine, non gli importava nemmeno più di come sarebbe potuto apparire.
Quando finì di raccontare rimase immobile ancora per un po’, le labbra secche e le gote che bruciavano. Si spinse a voltarsi appena verso Alessio solo perché quel silenzio in cui erano piombati sembrava più rumoroso di qualsiasi altra cosa.
-Hai paura, è evidente che tu sia terrorizzato- Alessio lo teneva fissato, e Nicola si sentì sollevato nel leggergli negli occhi l’apprensione e la comprensione di cui aveva bisogno.
-Non voglio andarmene, non sul serio, e ho sbagliato ad essermi allontanato oggi- ammise Nicola, a mezza voce – Ma non sono nemmeno sicuro di essere in grado di affrontare tutto questo-.
“Dovrei essere più forte di così, ma non so se ne sono capace”.
-Se non credi di poter affrontare tutto questo, vorrebbe dire che lasceresti Caterina sola ... E forse anche tuo figlio, se deciderà di tenerlo comunque, con o senza di te-.
Nicola rabbrividì, sentendosi ancor più raggelato da quelle parole. Si immaginò Caterina e loro figlio, entrambi lontani da lui, senza alcun legame a tenerlo legati a loro. Cercò di immaginarsi un futuro simile, ma non ce la fece: poteva aver tutte le paure del mondo, ma sapeva anche che non sarebbe mai riuscito a fregarsene così facilmente.
-Se Caterina decidesse di tenerlo … - Nicola sentì la propria voce morirgli in gola – Come posso abbandonare sia lei che mio figlio?-.
Tornò a specchiarsi nelle iridi limpide di Alessio, scorgendovi quella malinconia che le caratterizzavano il più delle volte. Era sicuro che la stessa malinconia degli occhi di Alessio fosse presente anche nei suoi.
-Ti dico solo una cosa: non ho l'intenzione di dirti che devi per forza crescere tuo figlio, se lo fai controvoglia. Non sentirai mai parole del genere da me- Nicola non ebbe nemmeno il coraggio di cercare di interrompere Alessio, troppo bisognoso di sentire come avrebbe proseguito – Ma se decidi di tornare, e di restare, non potrai più tirarti indietro. Quindi pensaci bene. Non decidere di crescere tuo figlio sapendo che non vuoi farlo, perché ad essere infelici, un giorno, sareste in due. D’altra parte, riusciresti a convivere con la consapevolezza di non essere rimasto accanto a Caterina e a vostro figlio? Devi darti una risposta a questo-.
No, urlò Nicola solo nella sua mente. No, non ce l’avrebbe mai fatta. Come avrebbe anche solo potuto pensare una cosa del genere?
-So cosa sarebbe giusto fare, ma non sono sicuro di essere in grado di farlo davvero-.
Rimase con il volto verso quello di Alessio, gli occhi che cominciavano a farsi lucidi. Cercò di trattenersi dal piangere, dal fare qualsiasi cosa che potesse renderlo ancor più esposto di quanto già non si sentisse, ma la sua resistenza cominciava inevitabilmente a vacillare.
Il sorriso che Alessio gli rivolse, appena accennato e sincero, non fece altro che farlo sentire ancora peggio. Si sentiva scosso dentro di sé, in preda ad una tempesta analoga a quella che stava ormai imperversando fuori dalla finestra, allagando sempre di più Venezia e le sue calli.
-Non posso dirti cosa sia più giusto per te e cosa no. Sei tu l’unico che può saperlo davvero. Anche se credo che, anche se ancora non te ne rendi conto, tu abbia già capito cosa fare-.
 

“Domani sarò ciò che oggi ho scelto di essere” - James Joyce






*il copyright della canzone (Linkin Park - "Runaway") appartiene esclusivamente alla band e ai suoi autori.
NOTE DELLE AUTRICI
Beh, che dire... Forse questo capitolo si commenta da solo!
Caterina ha finalmente lanciato la bomba a Nicola, rivelando così la sua gravidanza, su cui nemmeno lei stessa ha le idee chiare. E non sembra averle nemmeno lui, anche se al momento non ha reagito proprio benissimo.
E, se non si fosse già capito, ve lo confermiamo noi: il primo flash forward del prologo proviene direttamente da questo capitolo, dove vediamo infatti un Nicola che  dopo la litigata con Caterina ha preferito andarsene, spaventato per la notizia ma anche ferito per la sfiducia nei suoi confronti che la sua ragazza sembra aver fatto trasparire in certe affermazioni.
Insomma, non sembra profilarsi una situazione molto rosea! Forse la conversazione con Alessio porterà a qualche nuovo scenario … Sarà davvero così? E soprattutto come evolverà questa tesissima situazione?
Tornate mercoledì prossimo (sì, avete letto bene 😊) con un nuovo capitolo!
Kiara & Greyjoy

 
 

 
   
 
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