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Autore: Mary P_Stark    22/01/2022    0 recensioni
Bradford - 2010
Lorainne Simmons e Kennard Palmer sono entrambi volontari presso il Centro Diurno Rainbow, che si occupa di bambini e di famiglie in difficoltà. La loro amicizia si sviluppa entro le mura del Centro, oltre che fuori, e il suono di un pianoforte accompagna le loro giornate, pur se un'oscura minaccia sembra avvicinarsi per tentare di incrinare il loro neonato rapporto.
Riusciranno i due a fare fronte comune contro questo pericolo, o le loro differenze li divideranno per sempre?
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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1.
 
 
Luglio 2010 – Bradford
 
La sveglia suonò, come sempre, alle cinque. 

Non importava se fuori vi fosse ancora buio, o se stesse o meno albeggiando. Sia che fosse inverno inoltrato, oppure estate piena, la sveglia sarebbe sempre stata alle cinque. 

Ogni santa mattina.

Tutto ciò perché? Di certo, non perché il suo orario di lavoro coincidesse con quell’ora antelucana quanto piuttosto perché, se si nasceva nella casa di un Tribuno, era così che iniziava sempre la giornata; allenarsi al meglio e prepararsi al peggio.

I Tribuni erano le guide indiscusse delle Centurie e delle Decurie, piccoli drappelli di uomini e donne sparsi per mezzo continente europeo al solo scopo di trovare – ed eliminare, se possibile – la minaccia posta in essere dai licantropi.

Licantropi, sì. Per quanto la sola parola potesse far pensare a film di serie B o a oscure quanto terrificanti storie dell’orrore, la minaccia dei lupi mannari era reale quanto la luce del sole o lo splendore etereo della luna.

I figli della stirpe maledetta del dio-demone Fenrir, supremi nemici del genere umano, calpestavano da migliaia di anni le terre dell’emisfero nord del pianeta e per millenni i beadurincas, i guerrieri di Fryc, si erano battuti per eliminarli.

Naturalmente, lottare contro nemici sommamente più forti e veloci di un essere umano, era costato moltissimo in termini di vite ma, nel corso del tempo, la lotta era comunque perdurata.

Lo scopo ultimo di quella battaglia era parso troppo importante, troppo sommamente onorevole, per desistere di fronte alle innegabili difficoltà. La scomparsa dei licantropi dalla faccia della Terra era un imperativo per qualsiasi guerriero di Fryc, imperativo che veniva portato avanti fino all’ultimo respiro.

Fin da quando aveva memoria per ricordare, nella vita di Kennard Leopold Palmer vi era sempre stata un'unica legge da tenere bene a mente; imparare a contrastare i lupi mannari a qualsiasi costo, e proteggere gli ignari da una simile, terribile realtà.

Tutto era cominciato, per lui come per sua sorella Eve, con storie della buonanotte che avrebbero fatto accapponare la pelle anche ai Fratelli Grimm, ma che in lui avevano fatto sorgere sia orgoglio che curiosità.

Essere ligio ai precetti e rendere fiero il proprio zio, Tribuno della Centuria di Bradford, era sempre stato molto importante, per Kennard, fin da quando aveva imbracciato il suo primo stiletto d’argento.

Rintracciare il nemico, fare rapporto e, nel caso, unirsi alla lotta per mettere fine all'odiato avversario, era ciò che aveva imparato a fare nel corso degli anni, addestrato dai genitori prima, e dallo zio poi.

A ogni suo nuovo studio sul passato dei beadurincas, divenuti poi Legionari di Fryc, aveva fatto propri i racconti dei crimini commessi dal dio-demone Fenrir per comprenderne meglio le dinamiche e le eventuali logiche tattiche.

Era rimasto sgomento di fronte alla sua efferatezza, a come avesse insozzato la terra di Albion – l’attuale Gran Bretagna – e a come il suo immondo sangue fosse stato trasmesso alle generazioni future.

Lo scoprire che, in giovane età, una donna umana si fosse resa partecipe del perpetrarsi della sua discendenza, lo aveva lasciato sgomento e pieno di domande, a cui però nessuno aveva potuto rispondere.

Chi mai avrebbe potuto spiegargli, infatti, come una donna avesse potuto piegarsi al volere di Fenrir per concepire il frutto di quella immonda unione?

Eppure, ciò era avvenuto e, a causa dei due figli avuti dalla coppia, era nata la guerra intestina tra i successori di Fryc - fratello della donna che aveva dato alla luce le creature demoniache - e i licantropi.

Ben poco era stato scoperto, nel corso dei millenni, sui reali poteri di quelle terribili creature e, pur se il tempo e gli incroci ne avevano indebolito la razza, erano rimasti in ogni caso dei nemici temibili e pericolosi.

Quanto ai beadurincas, purtroppo, erano divenuti sempre meno, così come ancor meno motivati e pronti a dare battaglia fino all’ultimo brandello di energia.

Il mondo era cambiato, così come le genti, i pensieri e la percezione del pericolo, e questo aveva minato nel profondo ogni gruppo, riducendo così di secolo in secolo l’esercito dei combattenti di Fryc.

Di una cosa, però, Kennard era sempre stato certo; essere una Vedetta, un laniatum excubiarum, era un impegno che lui non avrebbe mai accantonato. Qualcosa, nel suo sangue, gli gridava a gran voce che, presto o tardi, i suoi sforzi sarebbero stati ripagati.

Facendo parte di una Centuria, però, il suo gruppo poteva contare soltanto su un centinaio di membri all’effettivo, di cui facevano parte solo sedici Vedette. Un numero davvero esiguo, su una città multiforme e variegata come Bradford.
 
***

Ci pensi? Ha ucciso suo padre con un coltello! Io non ci sarei mai riuscito!

Ha avuto un coraggio incredibile! Pensa a quello che suo padre faceva alla piccola Patty! Che mostro orrendo! Ha fatto bene!

La sveglia suonò come sempre alle cinque, strappandolo a quelle ultime parole, retaggio di un passato lontano e che, per qualche recondito motivo, erano tornate ad aleggiare nella sua mente già da qualche tempo.

Kennard aveva avuto all'incirca dodici anni quando una mattina, nel raggiungere la Bradford Academy per recarsi a lezione come al solito, aveva sentito parlare di ciò che era avvenuto a un loro compagno di corso.

Di un anno più grande, Alec Dawson aveva assassinato il padre per legittima difesa, reo di aver commesso atti di violenza reiterata e terribile contro la moglie e i figli.

La sola idea che un ragazzo così giovane avesse avuto il coraggio di levare la mano contro un uomo grosso il doppio di lui - perché Roland Dawson era stato un Marcantonio spaventoso e dell'aria burbera - glielo aveva fatto sembrare subito un eroe.

Kennard si era persino spinto a stringergli la mano per dargli il suo appoggio morale, pur non conoscendolo bene e, forse per la prima volta, aveva avuto paura.

Quel ragazzo non gli aveva fatto nulla di male, si era limitato ad accettare la sua stretta di mano e a biascicare qualche frase di circostanza ma, nei suoi occhi, aveva visto la morte.

Nei mesi successivi, il processo si era dipanato veloce e a favore del giovane, le colpe del padre erano state ampiamente riconosciute - anche tramite prove che, a molti, avevano fatto accapponare la pelle - e, poco alla volta, la notizia era svaporata.

Roland Dawson era stato riconosciuto come violentatore seriale – i poliziotti avevano addebitato all’uomo anche l’assassinio di una bambina, avvenuto poco meno di un anno prima. Un terribile molestatore era morto, la famiglia era salva e tutto poteva riprendere a girare come al solito.

A quel punto, però, il suo addestramento come futura Vedetta aveva iniziato a metterlo in allarme, pur se il suo sesto senso non lo aveva mai portato da nessuna parte.
Pur non volendo, aveva tenuto d'occhio Alec - quando si vede tante volte alla televisione una faccia, ci si abitua a cercarla con lo sguardo anche senza volere - e, nel corso dei mesi, aveva notato in lui un netto, enorme cambiamento.

Non solo la cerchia ristretta dei suoi amici aveva finito con l’essere composta da ragazzini dalla taglia XXL, ma il suo modo di fare era diventato più adulto e freddo, quasi raggelante.

Con un retroterra come il suo, aveva ipotizzato che avrebbe finito con il diventare a sua volta un bullo e, nel darsi questa spiegazione come motivazione per i suoi dubbi sul coetaneo, aveva proseguito a tenerlo d’occhio.

Nel corso degli anni, invece, e in maniera inversamente proporzionale alla crescita del suo fisico, Alec Dawson si era fatto silenzioso e attento a non farsi notare, sempre lesto a tenersi lontano da qualsiasi guaio.

Guardingo come pochi, il coetaneo era avanzato a passo di marcia fino al giorno del diploma, ottenendo dei buoni risultati scolastici ma mantenendosi perennemente nell'ombra, nonostante la sua mole lo rendesse quasi impossibile.

Proprio a causa di questo comportamento schivo, si era però fatto notare da lui che, per qualche motivo che non era mai stato in grado di spiegare, si era sempre sentito attratto da quel giovane ombroso e feroce.

Non avendo però nessuna prova contro di lui, né avendo all'attivo comportamenti che avrebbero potuto farglielo credere un licantropo, non aveva fatto menzione a nessuno dei suoi sospetti.

La prima cosa che si imparava a fare, come Vedette, era non lasciarsi andare all’illusione di aver trovato un potenziale nemico. La superbia e la vendetta erano da bandire, la rabbia e il risentimento erano assolutamente vietati e, più di tutto, non si poteva rischiare di far del male a un innocente.

Per tutti questi motivi, Kennard non aveva mai fatto menzione allo zio delle strane sensazioni da lui provate a ogni nuovo incontro con Alec.

Come spiegarle, d’altronde?

Il diploma, infine, li aveva separati e, senza più pensare a quello strano compagno di scuola, Ken aveva intrapreso studi umanistici e si era dato da fare per superare gli esami per divenire una Vedetta a tutti gli effetti.

Per due settimane, compiuti i diciotto anni, era stato lasciato solo nel bel mezzo della Foresta di Gisburg, a nord-ovest di Bradford. Privo di qualsiasi attrezzatura moderna - cellulari, accendini o coltellini svizzeri – aveva dovuto dimostrare di sapersi orientare, sfamare e sopravvivere senza l’altrui aiuto.

Naturalmente, in pieno inverno.

Aveva rischiato il congelamento, era caduto con un piede nella tana di un tasso - maledicendone la razza per i successivi due giorni - e si era ridotto a mangiare radici ma, alla fine delle due settimane, era uscito dalla foresta con ancora tutti i pezzi attaccati al corpo.

Suo padre lo aveva abbracciato, lo aveva avvolto in una calda coperta e, una volta raggiunta la loro casa su Lynton Drive, avevano festeggiato assieme alla sorella Evelin, la madre Liberty – o Libbie, come la chiamavano tutti – e lo zio Cassian.

In quell’occasione, era stato insignito del titolo di laniatum excubiarum e, da quel momento in poi, si era impegnato a portare il risultato dei suoi appostamenti ai Segugi - o Tracciatori - della Centuria.

Kennard Leopold Palmer, dopo tanti sacrifici, era infine diventato una delle sedici Vedette di Bradford.

Questo era il nome che era stato apposto nel registro della loro Centuria pur se, da quel momento, non avrebbe mai potuto usarlo con i suoi compagni di lotte.

La segretezza era parte integrante della vita di qualsiasi legionario, e lui non era esente da questa regola, pur essendo il nipote del Tribuno locale.

Inoltre, non usare i propri nomi proteggeva le famiglie da eventuali retate da parte dei licantropi, poiché nessun legionario avrebbe mai permesso che, a causa di un loro errore, i propri affetti venissero colpiti dal nemico.
 
***

Il Centro Diurno Rainbow non era soltanto un luogo in cui poteva rilassarsi e, per qualche ora, non pensare al suo perenne stato di legionario. Per Kennard, era anche un posto in cui dare libero sfogo al suo bisogno di aiutare le persone e, nel caso specifico, i bambini affetti da disabilità motorie.

Già da un paio d’anni, ogni domenica pomeriggio, dedicava il suo tempo a quell’attività di volontariato. Per ogni bambino che aveva aiutato, una parte del suo cuore si era sentito meno in colpa per quelli che non aveva potuto salvare.

Lavorando come operatore dei Servizi Sociali, gli era capitato spesso di non poter intervenire per salvare coloro i quali avevano avuto bisogno del suo intervento. In parte, a causa delle leggi che legavano loro le mani, in parte a causa della furbizia con cui certi genitori sapevano circuire – e spesso ingannare – il sistema.

Più volte aveva desiderato lanciare tutto alle ortiche e scaricare un destro in faccia a qualche padre troppo violento, o a fratelli così scellerati da non capire i danni psicologici lasciati sui fratellini minori.

Il rispetto inflessibile per la legge, però, lo aveva sempre fermato e, per lui, il Centro Diurno era divenuto un’ancora di salvezza che gli aveva impedito di impazzire dalla frustrazione.

Occuparsi di quei bambini – amati, ma debilitati dalle malattie o da malformazioni congenite – lo aveva aiutato a sentirsi meno inutile, meno schiavo di un mondo che non ruotava per il verso giusto.

I suoi compagni legionari lo avevano spesso canzonato, per questo suo lato così dolce e delicato (come lo avevano definito loro), ma Kennard non li aveva mai presi davvero sul serio.

Sapeva che il loro era solo un tentativo di sdrammatizzare un problema che, ormai da tempo, sapevano lo stesse angustiando.

Il suo lavoro ufficiale gli stava divenendo stretto ogni giorno di più, e la frustrazione non portava mai a nulla di buono. Quando, poi, dovevi dare la caccia a dei lupi mannari, non si poteva mai abbassare la guardia e lui sapeva bene che, negli ultimi tempi, era stato ben più che distratto.

Il fatto di essere sommamente pochi, per controllare una città come Bradford, non aiutava né la causa né lui a sentirsi adeguatamente adatto al compito di Vedetta che gli era stato affidato.

Suo zio Cassian si era spesso spiaciuto per questo lento degradarsi delle forze messe in campo, e questo aveva altresì portato la loro Centuria a non ottenere nessun risultato utile, negli ultimi vent’anni.

Il Legatus Legionis di Londra, somma guida di ogni gruppo della sacra terra inglese, non si era mai speso in loro favore perché ottenessero nuovi membri, troppo impegnato a difendere la capitale per pensare al resto di loro.

Questo non lo aveva mai pienamente accettato, né suo zio Cassian aveva mai approvato pubblicamente quel comportamento e, in totale autonomia, aveva stretto un’alleanza con le Centurie delle città vicine per ottimizzare i loro sforzi.

Erano praticamente tutti certi che, a Bradford, vi fossero dei licantropi – e un recente omicidio dalle tinte fosche, aveva rinfocolato quella certezza – ma l’evidenza dei loro insuccessi era palese.

Erano dannatamente pochi per coprire un’estensione di territorio pari alla città di Bradford e, anche se suo zio Cassian non ne aveva mai fatto un loro demerito, Kennard si era sentito spesso inadeguato al proprio compito.

Inoltre, ed era inutile che vi girasse intorno, c’era anche un altro motivo per cui, il Centro Diurno, era divenuto per lui un luogo in cui ritemprarsi e scacciare pensieri e incertezze..

Lorainne Simmons era, come lui, una volontaria del Centro, e i ragazzi letteralmente la adoravano.

Non soltanto i ragazzi, a voler essere del tutto onesti.

Si erano conosciuti un paio di mesi addietro, quando lei aveva cambiato il suo turno del lunedì per presentarsi la domenica pomeriggio al pari suo e, da quel momento, per Kennard quel giorno era diventato ancor più speciale.

Come sempre, la vide entrare dalla porta secondaria che dava sul parcheggio, imbracciando un paio di voluminose borse ricolme di formine di cartapesta e, nell’accostarsi a lei, la liberò in parte dell’ingombro asserendo: “Hai svaligiato una cartoleria, stavolta?”

Lei sorrise allegra – mettendo in evidenza due graziose fossette sulle gote rosee – e, nello scuotere il capo, asserì: “Una mia amica aveva degli avanti di magazzino, e così ho preparato degli aeroplani di carta e delle casette colorate perché i bambini ci possano giocare.”

“Io non ho la tua manualità…” si lagnò Kennard, afferrando una casetta color cannella e verde lime per ammirarla pieno di sorpresa. “…e, se mai dovessi cimentarmi in tal senso, i bambini rimarrebbero inorriditi dal risultato.”

Ancora, Lorainne sorrise ma, nello scuotere il capo, replicò: “Dubito che tu possa essere questo gran disastro, visto come sai suonare la pianola.”

Ciò detto, indicò lo strumento che si trovava in un angolo del grande salone dei giochi e Kennard, sorridendo imbarazzato, si grattò nervosamente la nuca per poi replicare: “Suonare non implica avere fantasia, e tu dimostri di averne molta.”

“Continuerò a pensare che ti sminuisci” ribatté allora lei prima di piegarsi su un ginocchio, aprire le braccia ed esclamare: “Mi chica! Buenos dias!

Volgendosi per capire chi fosse arrivato, Kennard sorrise nel veder giungere una bambina di chiara discendenza ispanica, che si gettò tra le braccia di Lorainne zoppicando fino a lei a causa della protesi che portava alla gamba sinistra.

La madre della bimba, dalla porta principale, sorrise commossa nell’osservare la scena dopodiché, nello scambiare un paio di parole con la titolare del Centro Diurno, si defilò per andare al lavoro.

Doversi impegnare in tre lavori per sbarcare il lunario, comportava lasciare la piccola Luna Maria in Centri come il Rainbow e Kennard, nel conoscerne i motivi, fu portato a digrignare i denti per la rabbia.

L’ex marito di Carmen, la madre di Luna Maria, era scappato di casa portandosi via fino all’ultimo centesimo e lasciando la moglie in un mare di guai, unica depositaria dei suoi debiti.

Il Tribunale dei Minori aveva più volte minacciato di toglierle la bambina, ma lui si era variamente impegnato perché tutto ciò non avvenisse, anche aiutandola economicamente perché riuscissero a rimanere assieme.

Venuta a sapere della cosa, Lorainne aveva quindi organizzato una colletta all’interno del Centro Diurno e, da parte sua, aveva contribuito a pagarle anche un paio di mesi d’affitto. A quel punto, però, Carmen si era rifiutata di accettare altri regali, e nessuno se l’era sentita di criticarla.

Il senso dell’onore era un’arma pesante da portare con sé, e Carmen non voleva sentirsi in debito anche con loro, che già molto stavano facendo per la piccola Luna Maria.

Luna Maria che, arrancando fino a raggiungere Kennard dopo aver abbracciato Lorainne, lo tirò per i pantaloni e disse: “Lo-Lo mi ha detto che oggi suonerai. E’ vero?”

Lo-Lo. I bambini la chiamavano tutti così e, in fondo, Kennard era dell’idea che una persona con un viso tanto dolce, così come dai modi tanto materni e protettivi, ben si prestasse a un nomignolo così carino.

Ken era più abituato a chiamarla Lore, ma era capitato più volte che anche lui, sovrappensiero, si fosse lasciato andare a quel nome così infantile. Quando era capitato, Lorainne gli aveva sorriso con calore, e Kennard non si era sentito poi così stupido, nell’averlo usato.

Quel sorriso, però, aveva avuto anche un effetto collaterale che, da principio, lui non aveva considerato ma che, almeno ultimamente, stava iniziando a dargli qualche problema.

Quando Lorainne sorrideva, il suo cervello andava in tilt.

Anche in quel caso, quando lui levò lo sguardo per incrociare quello color fumo di Londra di Lorainne, faticò non poco a non lasciarsi andare a un sospiro e, dubbioso, domandò: “Ho davvero promesso questo?”

“Ma certo” ammiccò lei, accentuando sorriso e fossette.

Bene,… tradito da me stesso, pensò tra sé, sentendosi un emerito idiota al solo pensiero di essere stato piegato ai voleri di una donna da un semplice sorriso.

Andava però detto che, in primo luogo, il sorriso di Lore non aveva nulla di semplice e, in seconda istanza, lui amava suonare la pianola e, più di una volta, si era lasciato tentare dal pianoforte che Lorainne teneva nel suo negozio di strumenti musicali.

“Allora suonerò” dichiarò a quel punto Kennard, offrendo la mano a Luna Maria perché lo seguisse.

Lorainne li accompagnò a sua volta e, con fare distratto, si sistemò su un cuscino nei pressi della pianola, senza notare come le sue movenze aggraziate procurassero un brivido segreto nell’animo di Kennard.

E’ così maledettamente sexy che mi verrebbe voglia di baciarla qui, ora, alla faccia di tutto il resto, brontolò tra sé, sedendosi sulla panca imbottita dinanzi alla pianola per attaccare un brano di Ed Sheeran.

Luna Maria, nel frattempo, si accomodò in grembo a Lorainne, subito abbracciata dalla donna dopodiché, sorridente e sognante, contemplò Kennard in trepidante ascolto della sua melodia.

Kennard, a quel punto, cercò di non pensare a come mettere le mani addosso a una bella donna come Lorainne perché, a onore del vero, non era il sistema migliore per suonare in maniera decente. Così, tralasciando quel pensiero piuttosto piacevole – anche se fuori luogo – si concentrò sul brano e sulla sua giovane spettatrice.

Cercando di dimenticarsi di quella adulta, almeno per qualche minuto.
 
***

Ascoltare Kennard mentre era impegnato a suonare era un ottimo metodo per non apparire una completa idiota ai suoi occhi, o almeno così Lorainne sperava.

Ogni qualvolta lo incontrava al Centro Diurno, le risultava sempre più difficile distogliere gli occhi da lui e, quando Ken la guardava, la cosa si faceva addirittura quasi impossibile.

I suoi occhi nocciola avevano lo stesso calore del sole e, quando parlava con la sua voce profonda e leggermente roca, i suoi sensi di lupa si risvegliavano come per magia. Le dava quasi l’impressione che Kennard fosse in grado di pizzicare i suoi nervi quasi che lei fosse un’arpa, e lui un abile musicista.

E, a ben vedere, un bravo musicista lo era davvero, ma Lorainne non era del tutto sicura di cosa avrebbe voluto dire farsi pizzicare come un’arpa da lui. Da donna a uomo.

Se fosse stata soltanto la Lorainne Simmons di cinque anni prima, non vi sarebbero stati problemi e, anzi, suo padre e sua madre avrebbero ben visto un eventuale fidanzato capace ed elegante come Kennard.

Dopo anni e anni passati a cambiare case e famiglie, sballottata da un sistema di adozioni imperfetto e freddo alla sensibilità dei bambini, era finalmente giunta in quella dei Simmons. Di comune accordo, l’anziana coppia aveva deciso di adottarla ufficialmente, facendo di lei la loro adorata figlia.

Per dieci anni era stata tenuta al sicuro tra le calde braccia di Winston e Mia Simmons e, grazie al padre adottivo, aveva imparato l’arte della musica e a diventarne padrona.

Divenuta adulta, aveva poi intrapreso un corso di laurea triennale a Londra, così da diventare insegnante di musica e, come ultimo regalo a lei, Winston e Mia l’avevano aiutata ad aprire un negozio di strumenti musicali a Bradford.

Un terribile cancro al pancreas le aveva però strappato il padre nel giro di pochi mesi e Mia, neppure un anno dopo, l’aveva seguito, divorata dal dolore per la perdita dell’amato marito.

Nuovamente sola e senza più appoggi parentali nel mondo, Lorainne era stata facile preda dell’allora fidanzato Paul e, a lui, si era quindi attaccata come una disperata alla ricerca d’amore.

Paul l’aveva a quel punto introdotta nel mondo dei lupi, raccontandone meraviglie e dandole la speranza di poter riavere una nuova famiglia a cui appoggiarsi per il futuro.

Fiduciosa e piena di un desiderio insaziabile di essere amata, gli aveva permesso di ribaltare del tutto la sua esistenza, e questa aveva fatto una giravolta su se stessa, catapultandola in una nuova realtà di cui non sapeva quasi niente.

A quel punto, Paul aveva tradito la sua fiducia in tutti i modi possibili e l’aveva ferita come pochi altri erano stati in grado di fare.

Aveva sofferto le pene dell’inferno, quando aveva mutato forma per la prima volta ma, più ancora, aveva patito un dolore inimmaginabile quando Paul, ridendole in faccia, le aveva dato della stupida per aver ceduto alle sue lusinghe.

Trasformare un’umana in mannara senza il permesso del capoclan, soprattutto se il tuo capoclan si chiamava Alec Dawson, era però equivalso a Paul lo scavarsi la fossa con le proprie mani.

Tradita in tutti i modi possibili, Lorainne aveva infatti preso il coraggio a due mani e, pur temendo una sonora punizione, si era rivolta all’ombroso e terribile capoclan di Bradford per ottenere giustizia.

Non soltanto, però, Alec Dawson si era dimostrato più umano di quanto lei non avesse immaginato, ma aveva comminato a Paul una punizione esemplare, cacciandolo poi dal branco per sempre.

Ciò fatto, si era quindi preso il personale incarico di addestrarla perché lei diventasse una brava lupa, in grado di sostenere qualsiasi impiccio e, grazie a questa stretta vicinanza, erano ben presto divenuti amici.

Da quel momento, il branco era davvero divenuto davvero la sua casa e il suo negozio – lo Stereophonic – la sua ragione di vita.

Alec le aveva permesso di essere se stessa nel suo nuovo corpo di lupa, e questo le aveva permesso di trovare una ragione d’essere in quella sua nuova esistenza.

Vedere come, l’arrivo di Brianna, avesse smosso qualcosa nel cuore del loro Fenrir, l’aveva infine riempita di speranza per un più luminoso futuro per tutti loro. E, pur se ora il suo capobranco era impegnato in una pericolosa Cerca al fianco della potente wicca, lei confidava che sarebbero tornati vittoriosi.

Quando, però, si perdeva negli occhi di Kennard, né il pensiero del capoclan, né di qualsiasi altra cosa al mondo, sembrava turbarla.

Tutto, grazie a un umano.

Davvero, sapeva scegliersele bene, le situazioni complicate.




N.d.A.: alcune note tecniche. L'uso dei termini latini deriva da un antico patto stretto tra i Cacciatori e le legioni romane che, all'epoca dell'invasione della Britannia, si trovarono a combattere contro il popolo britanno dei Pitti. Se ricordate in Figli della Luna, quando Duncan spiega la loro storia a Brianna, si fa menzione a una alleanza tra licantropi e Pitti. E con chi potevano stare, i Cacciatori, se non coi romani?
Da qui il passaggio "di testimone", per così dire. I Cacciatori passarono dal termine old english "Beadurincas" (che significa guerriero), al titolo di Legionari di Fryc e all'utilizzo delle terminologie militari romane per identificare le loro coorti.



 

 
  
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