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Autore: drisinil    23/01/2022    7 recensioni
[KageHina]
«Hai mai fatto una partita sotto la neve?» chiede Shoyo, senza smettere di fissare il cielo. I fiocchi gli colpiscono gli zigomi, la fronte, le labbra e si sciolgono a contatto col suo calore, lasciando tracce umide, che rifletttono la luce.
Tobio chiude gli occhi. «Ma quanto sei stupido? No! Ti pare possibile giocare a pallavolo in esterno con la neve?»
«Facciamolo!» esclama Shoyo, per tutta risposta, rosso in viso, eccitato.
Le fiamme gli danzano negli occhi, tutto in lui è sorriso.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Quegli ultimi sospiri d'estate sono una bugia. Poche cicale stanche che cantano già del vento da occidente, del freddo che incombe, di giornate più corte e più buie. Eppure, mentre corre con i pugni stretti e il fiato cadenzato, Tobio sente il sole bruciare sulle braccia e sulle spalle scoperte.
La sua vita, fino a un paio di settimane fa, era perfetta. Perfettamente rotonda, come una Molten nuova di zecca in volo verso un futuro facile da prevedere.
Scoprirlo era stato sorprendente. Non sapeva quando fosse successo, ma a un certo punto, in un qualche momento negli ultimi due anni, si erano smussati tutti gli spigoli, e le asperità erano sparite, portandosi via, come ricordi sbiaditi, i tormenti del passato, le insicurezze e quell'infida sensazione di incastrarsi di continuo nelle sporgenze ostiche del quotidiano.
Neanche una sfera perfetta, però, rotola in salita. Per la salita, occorre una spinta, un motore, una motivazione.
Una buona corsa richiede falcate corte e veloci, regolari, il baricentro in linea, padronanza del respiro, il peso che poggia sull'avampiede. Allo stesso modo, secondo Tobio, si dovrebbe vivere: con equilibrio e con ritmo, restando bene in linea, senza complicarsi la vita.
Strizza gli occhi e accelera l'andatura. Troppo veloce per pretendere di tenere a lungo il ritmo. Un errore che uno come lui non commette praticamente mai.
Un errore da boke. Da boke che parte e se ne va dall'altra parte del mondo.
E si lascia dietro un povero idiota, che una volta era re di non si sa bene cosa, e che non ha la minima idea di come ce la farà ad affrontare una salita come quella.
Uno dovrebbe arrivarci prima dei diciassette anni (quasi diciotto), all'idea che le cose non facciano altro che cambiare. Doveva capirlo quando è morto il nonno. Quando mamma e papà si sono separati. Quando Miwa si è fidanzata e ha iniziato a parlare di matrimonio. Doveva capirlo il primo giorno di liceo, quando lo stupido Hinata ha iniziato a scombinargli la vita.
E invece niente. Fino a pochi giorni fa lui non lo aveva ancora afferrato. Adesso, invece è chiarissimo. E un modo per conviverci bisogna che lo trovi.

***

«Hinata boke! Si può sapere dov'eri finito?»
Shoyou si volta, asciugandosi le labbra con il dorso della mano. «Guarda che sei tu in ritardo!»
«Perché ho sprecato un sacco di tempo a cercarti.»
«Ero in sala professori, te lo avevo pure detto che ci andavo.»
«Quaranta minuti? Come facevo a pensare che ci avresti messo le tende! Cos'è quella roba?» domanda Tobio, sedendosi accanto a lui.
«Cosa dev'essere? E' la solita aranciata.» Shoyou mostra la lattina piena di goccioline di condensa, Kageyama gliela strappa dalle mani.
«Hey! Ridammela, baka!»
«La bevo io» risponde Tobio.
«Ma se ti fa schifo!»
Tobio distende il braccio, tenendo la lattina fuori portata dei tentativi di Hinata di riprendersela, mentre con l'altra mano fruga nella borsa.
«Tieni, boke» grugnisce, sbattendo sul petto di Shoyou una lattina identica, a temperatura ambiente. «Quante volte te lo devo dire che la roba gelata non la devi bere? Ti viene la diarrea.» La manata punitiva sulla nuca si trasforma in un'arruffata di capelli.
Shoyou la accetta con un sorriso: una piccola dose di luce che Tobio ingoia con gli occhi socchiusi e l'espressione sconclusionata della dipendenza appagata. «Quindi?»
«Quindi cosa?»
«Quindi che hai fatto quaranta minuti in sala professori?»
Hinata strappa la linguetta di metallo e beve un sorso, con calma. «Ho parlato con Takeda-sensai e con il coach Ukai.»
Il sesto senso di Kageyama comunica allerta immediata. L'aranciata schifosa gli va di traverso. «Che volevano da te? C'è qualche problema?»
Shoyou scuote la testa mentre manda giù un altro sorso. Nella vena d'oro dei suoi occhi, Tobio ha individuato una piccola ombra, un'impurità. Un segnale di tensione.
Di un tipo sconosciuto. Né l'ansia stringente prima della partita, che lo costringe a correre in bagno tutte le volte, né la collera trattenuta dei loro battibecchi, e nemmeno la tensione atletica, un istante prima che la palla tocchi terra e si sciolga nella detonazione di un sorriso da milioni di watt. Qualcosa di nuovo e di diverso.
Infatti Hinata non risponde. Guarda in alto, dove il cielo promette l'ennesima giornata estiva di  sfacciata bellezza. Beve a sorsi piccoli. Sorride di pensieri solo suoi.
Qualche volta, Tobio si sente geloso persino di quelli.
«Perciò, che volevano da te?» insiste.
Hinata finisce l'aranciata, gettando indietro la testa per scolare anche l'ultima goccia.
«Ho pensato una cosa, Kags»
«Di solito vai meglio quando non pensi.»
«Baka!»
«Dai, sentiamo questo pensiero.»
«Riguarda l'anno prossimo... »
Kageyama sente un altro brivido alla base della schiena. «E che c'è da pensare? Abbiamo già deciso tutto» grugnisce. Appeso alla sua borsa, il portachiavi con la maglia della nazionale numero dieci oscilla mosso da una mano invisibile.
«Tu hai deciso.»
«Perché tu con la logistica fai schifo.»
«A parte il fatto che fai schifo anche tu. E poi è la mia vita, Kags, non è logistica
Sua. La sua vita. Quelle parole tracciano un confine che il cuore di Tobio ha superato già da tempo. Senza bisogno di definizioni o di giri di parole, o di chissà quali dimostrazioni pratiche. Gli sembra all'improvviso che gli abbiano rubato qualcosa di prezioso, perché fino a un attimo fa quella vita era anche sua, intrecciata alla propria, come fossero una sola.
«Senti, boke, non ho capito di che stiamo parlando. E non me ne frega neanche niente. Noi l'anno prossimo giochiamo e vinciamo, ecco che facciamo. E anche l'anno dopo. E quello dopo ancora, finché non spacchiamo tutto alle olimpiadi. Insieme. Questo è il programma.»
Hinata si alza in piedi, le mani affondate nelle tasche, gli occhi accesi. «Non succederà» dice.
Kageyama si alza a sua volta e lo fissa, in bilico fra la collera e il terrore. Ma gli occhi di Shoyou non si abbassano. Anzi, è Tobio che si trova perduto nei marosi infuocati, ad annaspare in cerca di ossigeno.
«Che cazzo dici, boke?»
«Vieni dentro, te lo faccio vedere» risponde Hinata, scattando in avanti e trascinandolo in palestra per il polso.
«Adesso Kags voglio che mi spari addosso uno dei tuoi servizi bomba e poi mi dici che problemi ho.»
«Lo so già che problema hai: sei cretino!» risponde Tobio, facendo ruotare la palla fra le dita. E' il gesto più rassicurante del mondo. A pari merito con le dita che corrono sulla pelle di Shoyou, sul profilo liscio della guancia, lungo l'insenatura bianca del collo, sulla sporgenza della clavicola. Più in là di così, non si è mai spinto.
«Mira su di me! Vacci giù pesante» urla Hinata da fondo campo.
Come se Kageyama Tobio facesse sconti a qualcuno, sul campo. Non importa che tipo di partita è, e chi ha davanti. La differenza la fanno le quattro linee del perimetro e la rete: dentro quell'arena, non c'è pietà per nessuno.
Lancia la palla in aria con sicurezza, la insegue, piega le ginocchia e spicca il salto. E' un'azione pulita, elegante, la palla arriva esattamente dove deve arrivare, alla naturale estensione del braccio che colpisce. Nell'ultimo anno si è irrobustito, la tecnica si è affinata, la potenza è aumentata senza inficiare la precisione.
La palla è un bolide che supera la rete e va schiantarsi sul bagher di Shoyou con violenza e poi viene sparata di lato, fin a schiantarsi contro una sedia di plastica appoggiata contro la parete. Il rumore scomposto dei rimbalzi è l'unico suono.
«Allora? Dove ho sbagliato?» chiede Hinata, avvicinandosi alla rete.
Tobio alza le spalle. «Il mio servizio non lo prende nessuno.»
«Kags, io non sono nessuno
E' una verità assoluta e anche ovvia, per Tobio. Le sue dita si infilano nelle maglie della rete. Le stringe forte. Gli scoppia la testa da tutte le cose che vorrebbe dire e non riesce.
Prende fiato, alza lo sguardo. «E' troppo potente. E' normale che non lo prendi.»
«Io non sono neanche normale» protesta Hinata, aggrappato anche lui alla rete. Si sporge in avanti come se volesse attraversarla.
«Questo è sicuro!» ribatte Tobio. Vorrebbe essere una battuta, ma il riso gli si inceppa fra le labbra e l'ironia si disperde nell'eco della palestra vuota.
La mano di Shoyou gli afferra la maglietta. «Sono serio, Kageyama, per la miseria!»
Kageyama. Sentire il proprio nome usato per scavare un solco fra loro è una forma di dolore nuova. Si ribella, divincolandosi. E volta le spalle alla rete.
«Coraggio, dimmi dove ho sbagliato!» insiste Shoyou. Fa il giro, lo raggiunge e lo blocca, afferrandolo per il braccio. La presa è solida, anche lui si è irrobustito.
Kageyama sospira. «Eri posizionato bene. Solo non sei riuscito a controllare la traiettoria» risponde, asciutto.
Hinata sbuffa e lo strattona. «Hai mirato su di me, quindi eri tu quello posizionato bene. Avanti, muoviti: voglio sapere dove ho sbagliato. Di preciso.»
«Equilibrio scarso, principalmente. E poi anche spalle contratte. Troppa spinta con le braccia, troppa fretta. Piano di rimbalzo diagonale, infatti la palla è scappata di là.»
«Sei un mostro.» La mano di Shoyou abbandona la presa, la voce vibra di ammirazione. Le ombre passano nei suoi occhi come banchi di nuvole spinti da venti tempestosi. Il sereno torna in un attimo, con lampi accecanti di sole. «Però hai detto proprio quello che penso anch'io, Kags. Un problema di equilibrio, principalmente. Errori di tempismo. Scarso controllo.»
«Non ho ancora capito di che stiamo parlando, Boke. E mi stai dando sui nervi.» Kageyama  scosta Shoyou con il braccio e si avvia a lunghe falcate verso il magazzino.
Hinata gli si para di fronte, con entrambe le mani che spingono contro le sue spalle. «Aspetta un attimo. Kags, un attimo. Dimmi se secondo te posso farcela. Onestamente.»
«A ricevere il mio servizio?»
«Mn.» Gli occhi di Shoyou brillano di sfida, la luce entra di traverso dai finestroni e lo colpisce in diagonale. La bellezza del suo viso è un colpo dritto nel diaframma di Tobio.
«Hinata boke! Pensi che lo farei per chiunque?»
«Cosa?»
Alzare. Servire. Dare. Dare. Dare. Dare tutto, con tutto il corpo, con tutto il cuore. Boke. «Lascia perdere. Sì, per me ce la puoi fare.»
«E allora perché non miglioro?»
Tobio volta lo sguardo di lato e tace.
«Perché non miglioro, Kags?» ripete.
«Non lo so» risponde Tobio collerico. E non è abbastanza lucido per decidere se sia una verità o una menzogna.
«Lo so io. Perché siamo in sei in campo. Perché uno di quelli sei tu, Kags.»
Tobio lo spintona a due braccia. «Che c'è? All'improvviso le regole della pallavolo ti stanno strette? O sono io che non ti vado più bene?»
«Baka, ma che dici? Tu sei...»  alza lo sguardo, mordendosi le labbra. Non trova le parole per esprimere a voce le perfezioni della persona che ammira di più al mondo. «Tu sei un campione, Kags. Sei il meglio del meglio. E le regole mi vanno benissimo, ma se la mia squadra di liceo non ha mai pensato di farmi giocare in difesa, pensi che lo farebbe una squadra di professionisti più avanti?»
Tobio tace ancora, cercando di dissimulare la paura.
«No, Kags. Non lo faranno. Non lo faranno per niente. Mi terranno a fare il centrale, a schiacciare veloci su alzate centomila volte peggio delle tue e io non migliorerò mai veramente, resterò uno da seconda divisione, se mi va bene. E alla nazionale con te non ci arriverò mai.»
A Tobio si secca la bocca. C'è della verità in quelle parole. Un tipo di verità che brucia.
«Kags, forse è colpa mia, se non ho fatto abbastanza. E mi dispiace. Ma la sai una cosa? Io non me lo merito di finire messo da parte. Io la nazionale la voglio.»
Voglio. Tutto di lui pronuncia quel voglio. I pugni stretti, le guance arrossate, i capelli che catturano la luce e la incendiano.
Tobio sente l'influenza di quella volontà come una forza invincibile, la gravità dentro di lui si muove intorno ai desideri di Shoyou. Da anni.
Scappare non servirà, ma ci prova lo stesso: scarta di lato con agilità, lo supera e si infila nel magazzino.
«Kags, non hai niente da dire?» gli urla dietro Shoyou. Lo raggiunge e si chiude la porta alle spalle.
«Non vuoi sapere cosa ho pensato?»
Tobio si volta, la mano sul fianco, la palla incastrata nello spazio fra il braccio piegato e il polso. I suoi occhi sono feroci. «No.»
Shoyou gli assesta uno spintone violento, la palla gli sfugge di mano e rotola fermandosi a ridosso di un materassino azzurro.
«Voglio giocare a beach volley.»
«Cosa?»
«Beach. Volley» scandisce Hinata. «Sai quella pallavolo sulla spiaggia, due contro due che...»
Tobio sgrana gli occhi e scopre di non avere una replica adeguata per un'affermazione simile, il livello di assurdità è oltre ogni possibilità di una risposta razionale. E' quasi comico.
«Idiota. Lo so cos'è. Ma non ha il minimo senso.»
«E invece sì. Sulla sabbia il mio potenziale di salto sarà inferiore, quindi non potrò basarmi su quello. Essere solo in due mi costringerà a migliorare in difesa e al servizio. Dovrò anche alzare. Dovrò fare tutto. E l'equilibrio, su quel terreno, uno è costretto a impararlo, per forza.»
«Hinata Boke, ma parli sul serio?» Tobio alza la voce di un tono, incredulo e indispettito. «Tu vaneggi! Vuoi sprecare altro tempo prezioso in una palestra piena di sabbia finta? E dove li trovi, qui, questi geni del beach volley? Persino la squadra olimpica è piena di sfigati.»
«Chi dice che voglio farlo qui
Tobio si sente precipitare, allunga la mano per appoggiarsi alla cesta dei palloni. «E dove?»
«Dove stanno i migliori: in Brasile!» Gli occhi gli luccicano di speranza, tutto il suo corpo freme di aspettativa. Era questa la tensione di prima, che ora straripa dagli occhi e supera i confini del suo corpo.
Tobio la sente dentro forte e chiara, espressa senza mezzi termini in quel linguaggio senza parole che ormai è diventata un'intesa completa. Un'intesa perfetta, che ora lui sta buttando nel cesso.
«Non so nemmeno dove cazzo sta il Brasile.»
«In sudamerica, penso» Shoyou si era ripromesso di guardare bene su internet, ma poi non lo ha fatto. «Ho visto un sacco di video che... »
«Sembra lontano.»
«Dall'altra parte del mondo. Trenta ore di volo. Io però... »
«Okay» dice la voce di Kageyama. Il suo cervello sta elaborando una distanza di trenta ore di volo. Senza riuscirci.
«Okay?» ripete Shoyou incredulo.
«Fai come ti pare» concede Kageyama con noncuranza, mentre impila con ordine i materassi, facendo combaciare gli angoli. I primini li lanciano uno sull'altro a caso, in un modo sciatto che lo innervosisce.
«Tutto qui?»
«Che vuoi che ti dica?»
Shoyou non lo sa. Non sa cosa si aspettava. Tutto, ma non questo. Non il disinteresse, non l'indifferenza.
«Io... »
Tu, boke? E io invece?  «Tu cosa, stupido? Non hai bisogno del mio permesso. E' la tua vita. Lo hai detto tu.»
«Non fare così... »
«Così come?» Tobio continua a rassettare gli attrezzi, dandogli le spalle.
«Baka!» gli urla Hinata. «Baka! Baka! Baka! Baka! Baka!Ba...»
«Piantala!»
Hinata lo afferra per un braccio e lo strattona, per costringerlo a voltarsi. «Senza di te la pallavolo è solo pallavolo.»
«E allora, cazzo, Shoyou, perché stai scappando?» Da me.
«Perché il divario fra noi aumenta invece che diminuire. E finché ti corro dietro, non ti raggiungerò mai. Devo aggirarti, e arrivarti di fronte.»
«Che stronzata» borbotta Tobio, afferrandolo alla vita e circondandolo con le braccia.  «Boke! Tu mi hai raggiunto da un sacco di tempo. Sei qui, non lo vedi? Più vicino di così è impossibile» gli sussurra fra i capelli. «E questa cosa che vuoi fare io non la capisco. Non la voglio capire. Non la sopporto.»
«Kags... » Shoyou gli appoggia la mano aperta sulla guancia. «Kags, ascoltami. Sai cosa non sopporto io? Che arrivi uno più bravo di te e ti trovi. Uno che non sono io. Voglio essere io. Devo essere io. Lo capisci?»
Tobio non risponde. Lo stringe più forte.
La voce di Shoyou è flebile, triste. «Come faccio a comprare un biglietto e starmene buono su uno spalto a guardare una cosa del genere? A guardarti mentre fai volare un altro, mentre vinci con lui. E sul tetto del mondo ci sali con lui. Voglio essere io... »
«E io, boke? E io che faccio?» Al buio. Da solo.
«Tu segui il piano Kags. Diventi l'atleta più giovane della nazionale. Spacchi tutto alle olimpiadi fra due anni. E ti prepari ad affrontarmi. Perché io torno. Io torno, capito? Torno più forte. Con le ali grandi il doppio. Più forte di Ushiwaka. Di Hoshiumi. Più forte di Kageyama Tobio.»
Ci crede. Hinata è un boke e quindi ci crede davvero. La materia del suo corpo, la sostanza di cui è fatto è energia pura, pronta a esplodere di  luce. Dicono che sia una delle equazioni più complicate del mondo, ma per Tobio, in questo momento, che materia ed energia siano la stessa cosa è di un'evidenza lampante. Spalanca gli occhi, per accecarsi e inizia in quel preciso momento a struggersi di nostalgia.
«Quanto tempo?» la voce di Tobio è cambiata, ma non la forza con cui lo stringe.
«Un paio d' anni. E comunque manca un sacco di tempo, prima che... »
«Zitto, boke. Due anni, non un giorno di più. Giura.»
Shoyou esplode in un singhiozzo.
«Non piangere. Giura.»
Shoyou quelle lacrime non può controllarle. Tenta invano di fermarle strofinandosi gli occhi. «Giuro» balbetta, fra un singhiozzo e l'altro. E intanto sorride. E intanto l'aspettativa e la tristezza lottano dentro il suo stomaco.
Tobio inizia ad asciugargli le lacrime con le dita, appena scivolano lungo le guance. Una a una. Con calma, con metodo.
«Se ti azzardi a perdere tempo, a essere pigro o svogliato anche solo un giorno, vengo in Brasile, dovunque sia, e ti picchio.»
Shoyou scuote la testa con decisione, aggrappato con tutte le forze al suo alzatore, al suo partner, al suo idolo, al suo rivale, al suo amore. Le labbra mormorano tutte quelle parole, come una preghiera. Tranne l'ultima, perché neanche il suo cuore la conosce.
Le lacrime che restano, Tobio le bacia. Impara quel giorno che per amore si soffre così, riempiendosi di sale la bocca.
Ma può solo baciarlo di più. Come non lo ha mai baciato prima. Cerca ancora, e sempre, la luce. Gliela ruba, la respira, la trangugia senza misura. Si lascia stordire dal sapore di zucchero sulla lingua. Gli sembra di cullare un'alba fra le braccia. E nel delirio dei sensi sopraffatti, gli resta lo spazio per un pensiero lucido: che non lo lascerà mai andare. Che non ne avrà le forze. Che non potrà mai più affrontare il buio che c'era prima che lui arrivasse.
E che ne vuole di più. Adesso.
Lo solleva, Shoyou è talmente sopraffatto da non opporre alcuna resistenza, anzi, gli allaccia le caviglie sulla schiena. E si trova premuto contro lo scaffale di metallo sul fondo della stanza, con i pensieri prosciugati da una tensione fisica mai provata, un desiderio insopportabile e meraviglioso.
Nessuno dei due ha idea di cosa stia succedendo esattamente. Stanno solo seguendo la corrente, annusano il vento, sentono l'aria vibrare sotto le ali per un volo nuovo.
Lo scaffale protesta, è soltanto una vecchia scansia di metallo arrugginito. Non che non ne abbia viste parecchie, in quel magazzino, ma a tutto c'è un limite. Reagisce vibrando contrariata: un grosso scatolone frana dall'ultimo ripiano, rovesciandosi in una nevicata fuori stagione
Piccoli fiocchi di polistirolo, leggeri ed elettrizzati, che si aggrappano ai capelli e alle fibre dei vestiti, imbiancano il pavimento, si insinuano nel poco spazio fra i loro corpi, entrano in bocca e nel naso, li fanno tossire. Shoyou scoppia a ridere, tornando a toccare terra con i piedi.
Prende una manata di polistirolo da terra e la tira contro Kageyama, ancora sconvolto e senza fiato. Un attimo dopo, Tobio gli sta scrollando sulla testa l'intero scatolone, con una smorfia in faccia che somiglia molto alla premessa di una risata. Shoyou cerca di scappare e scivola, ridendo ancora più forte.
In quel momento la porta si spalanca e Yamaguchi, con le mani sui fianchi e l'aria truce, appare sull'uscio. Il magazzino è un disastro. I colpevoli ridono a crepapelle anziché scusarsi.
Qualsiasi cosa stesse succedendo un attimo prima, resta sepolta in quella neve che non si scioglie. E poiché non la sapevano, non la capivano, non l'avevano cercata, va bene così.

   
 
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