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Autore: arashinosora5927    29/01/2022    1 recensioni
[Dear Evan Hansen]
Evan ha raccontato la sua storia ora il palco è di Connor, okay e anche di Evan che si ritroverà a convivere con una strana presenza.
Riporto parte delle cose così come sono state scritte nel libro limitandomi solo a tradurle, ma per il resto l'idea è mia e nei prossimi capitoli sarà apprezzabile la differenza.
TW: suicidio, Ghost!Connor, disturbi mentali, autolesionismo
Spero possiate apprezzare
[Treebros]
Genere: Angst, Fluff, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Lezioni annullate a causa della rivoluzione, è letteralmente questo che ha detto il preside Howard dopo che intere classi si sono riversate in corridoio protestando contro il corpo docenti.

Questo ha fatto in modo da anticipare l'appuntamento con mia sorella, motivo per il quale Hansen sta andando in fibrillazione.

"Zoe... è un problema se lo trasformiamo in un pranzo al parco?" le chiede Evan da lontano, cerca di mostrarsi disinvolto e sereno fallendo miseramente.

Zoe nega, si porta una mano davanti alle labbra per nascondere una risatina, poi si avvicina, da Evan la separavano solo pochi metri di corridoio. "Fammi sognare" gli dice con un tono canzonatorio.

Hansen non si scompone, la raggiunge e insieme si dirigono al luogo dell'appuntamento, Ellison park.


Stiamo per varcare il cancello quando Hansen si improvvisa benda portando ambo le mani sugli occhi di Zoe dal retro e dicendole di continuare a camminare e fidarsi di lui.

Zoe ridacchia, segue i suoi passi abbandonata, si lascia completamente guidare.

"Non sbirciare!" sussurra Hansen.

"Non lo sto facendo" conferma Zoe.

"Avrei dovuto bendarti" ribatte Evan.

No, per favore, già è abbastanza uno strazio così senza che io debba immaginare scenari più piccanti.

"La prossima volta allora usa la tua cravatta" lo provoca Zoe.

Ecco per l'appunto, anche meno, risparmiatemi.

Hansen arrossisce, così tanto che un pomodoro al confronto sfigurerebbe. Non gli si addice il ruolo del dominatore, le allusioni di Zoe potrebbero stroncarlo.

"C-Ci siamo quasi" balbetta Hansen. "Fa attenzione a dove metti i piedi perché da qui in poi il terreno diventa piuttosto accidentato."

Qualche istante di silenzio prima di arrivare al luogo designato per il picnic romantico e poi Zoe, tenendo ancora obbedientemente gli occhi chiusi, esordisce con "sono emozionata."

Le mani di Evan sudano, i suoi occhi sono lucidi mentre confessa un timido "anche io."

Come un perfetto gentleman si toglie la felpa e la dispone sul prato in maniera tale che entrambi possano accomodarsi.

"Era così che tu e Connor passavate le giornate qui?" gli domanda Zoe.

Vorrei che potesse rispondere di sì, ma sappiamo entrambi che non c'era nessuna giornata insieme.

"Qualcosa del genere" risponde Hansen mantenendosi vago. Prende dalla cartella due panini avvolti nel domopac e ne porge uno a Zoe.

"Oggi avevo già intenzione di chiederti di pranzare insieme... spero che prosciutto e formaggio non sia troppo banale" le spiega.

Zoe gli sorride. "Niente è troppo banale quando si tratta di te" lo rassicura."Quindi è qui che hai lavorato tutta l'estate?" gli domanda.

Evan annuisce. "Sì, è strano essere di nuovo qui."

Zoe lo fissa cercando qualcosa nella sua espressione. "È strano venirci senza mio fratello?" chiede.

Evan sospira. "Forse è strano pensare che noi siamo qui" le risponde.

"E lui invece non ci verrà mai più..." decide la conclusione della frase mia sorella.

Vorrei quasi urlarle che sono qui, che vedo le sue stupide converse viola e ascolto le sue stupide parole commemorative, ma resto zitto per ovvi motivi.

"Forse è una domanda stupida, ma cosa fa esattamente un apprendista ranger del parco?" gli domanda mia sorella.

Neanche a dirlo, quella domanda fa illuminare gli occhi di Hansen come se fossero stelle in un cielo notturno. Io non ho mai osato spingermi a tanto, mi preparo per due ore di eccesso di informazioni a raffica.

"Non è affatto una domanda stupida, credimi, nemmeno io sapevo cosa fosse precisamente. Pensavo che si trattasse di camminare molto, sai, circondato dalla natura, ma c'è ben altro. Devi sapere tutto del parco, del suo ecosistema, della geografia, delle risorse naturali, della storia, perché se un visitatore ti fa una domanda, devi avere una risposta. Poi c'è la manutenzione, la pulizia dei bagni, il rifornimento mappe e non dimentichiamo il cambio lampadine. Inoltre, devi conoscere le basi del primo soccorso per essere pronto in caso di emergenza. È come se fossi una specie di poliziotto, ma del parco, il che significa anche imparare tutte le sue regole e assicurarsi che le persone le seguano."

Appunto, questa frase l'ha detta senza prendere un solo respiro.

"Sembra che ti sia piaciuto molto" commenta Zoe, suppongo che non sappia cosa dire, ma senza dubbio ha ascoltato.

"Sì, tanto. È stato un sollievo alla mia ordinaria esistenza. Avere un posto dove andare, qualcosa da fare. La metà delle volte dimenticavo che ero qui per lavorare, mi fermavo a guardarmi intorno e mi sentivo, non lo so, calmo, calmo, immagino e in pace."

Mi piace che Evan si stia aprendo tanto con mia sorella, suppongo di poterlo capire il discorso che sta facendo, sento di poterlo capire. Avere un disturbo stravolge la tua esistenza, ciò che dovrebbe venire naturale non lo fa più ed è tutta un'incessante ricerca, uno scopo e anche solo quel piccolo sprono che ti permetta di andare avanti per il minuto successivo.

"Quindi dopotutto tu e Connor parlavate davvero degli alberi nelle vostre e-mail" dice Zoe.

"Certo" risponde immediamente Hansen. "Pensavi ancora che si trattasse di droga?"

Zoe annuisce, ma poi scuote la testa. "È che non riesco a immaginarlo mio fratello come un botanico, mentre con te mi viene facile. Suppongo sia un lato di sé che ha offerto solo a te."

Beh Zoe, in effetti è difficile immaginare un lato di me che non esisteva, ma visto come sono stato dipinto per anni di certo non mi lamento con questa nuova immagine la cui unica bugia è nella mia passione sfegatata per gli alberi.

Evan si mette una mano dietro la testa e si gratta la nuca imbarazzato. "Non era lui così appassionato... ero io a contagiarlo o meglio a tormentarlo con informazioni che in fondo non gli interessavano davvero, ma che ascoltava ugualmente perché ero io a condividerle."

Salvataggio in calcio d'angolo, apprezzo davvero tanto quanto Evan stia cercando di mantenere la mia integrità per riportare un'immagine veritiera.

C'è un po' di silenzio, Zoe sembra meditare su ciò che ha appena appreso. "Senti e tu sei sempre stato così preso dalla natura?" gli domanda.

"Penso di sì" risponde Hansen. Nessuno dei due si è ancora degnato di dare un morso a quel panino che sembra buonissimo. Se potessi lo farei io.

"Probabilmente me l'ha trasmesso mio padre. Ecco perché si è trasferito in Colorado. Pensava che la costa orientale fosse troppo affollata. Mia madre è convinta che tutta la storia di mio padre sugli spazi verdi fosse una scusa e che in realtà stesse solo seguendo Theresa."

Io e Zoe ascoltiamo incuriositi, Hansen si incupisce, fa una piccola pausa poi riprende.

"Ma è stato tanto tempo fa quindi forse mi sto confondendo. Sai, prima che i miei genitori divorziassero, mio ​​padre mi ha portato a pescare un paio di volte e una volta abbiamo passato un intero weekend in campeggio qui in questo parco. Ricordo che mio padre appese un'amaca tra due alberi perché potesse dormire sotto le stelle e io gli chiesi come poteva essere sicuro che gli alberi lo avrebbero sostenuto. "Credimi" mi disse "anche se passasse un uragano questi due alberi resterebbero ancora in piedi, hanno radici solide e profonde." Io gli credevo, ma non riuscivo a smettere di preoccuparmi. Continuavo a immaginare gli alberi crollargli addosso o che un colpo di vento lo sbalzasse dall'amaca, immaginavo che mio padre si sarebbe fatto male e saremmo dovuti correre in ospedale. Tuttavia il giorno dopo era ancora lì, disteso su quell'amaca, nel suo elemento e disse che era stata la dormita migliore degli ultimi dieci anni."

Quei ricordi erano tanto nostalgici quanto vividi al punto tale che mi parve figurare il padre di Hansen, la sua amaca e il figlio allarmista che non sapeva come farsi ascoltare perché nessuno gli aveva insegnato che non succede sempre il peggio.

"L'ultimo giorno di campeggio prima di andarcene abbiamo inciso le mie iniziali sul tronco di uno degli alberi in modo che potessimo ritornare nello stesso posto la volta successiva. Non c'è mai stata una volta successiva."

Evan si incupisce di brutto, ora i suoi occhi sono lucidi, sembra lottare per scacciare le lacrime che vogliono scorrere. Dà un morso al panino forse per farsi forza, non vuole mostrarsi così fragile a mia sorella.

"La prima cosa che ho fatto quando ho iniziato il mio apprendistato al parco è stata cercare quell'albero. Ogni volta che percorrevo un nuovo sentiero lo cercavo, ma non riuscivo a trovarlo. Alla fine ci ho rinunciato. Il parco è troppo grande ed è stato troppo tempo fa. Mio padre se ne è andato e probabilmente il tempo ha cancellato le mie iniziali."

"Cosa ne pensa del tuo discorso?" gli domanda Zoe.

Evan non risponde e Zoe trae le conclusioni perché anche il silenzio vuol dire qualcosa. "Non glielo hai fatto vedere, vero?"chiede.

"Questo panino è buonissimo" cerca di evadere l'argomento Hansen.

"Evan!" lo richiama mia sorella.

"Mi piace quando dici il mio nome" pensa ad alta voce Hansen. Il rossore sulle sue guance per aver realizzato cosa ha detto fa sorridere mia sorella.

"Se ti fiderai di me allora ti chiamerò in tanti altri modi che ti piaceranno" commenta Zoe.

Hansen tossisce, si schiarisce la gola, ma in realtà si stava affogando con le emozioni e le aspettative della sua immaginazione. Ho la nausea solo al pensiero di quei nomignoli.

"Ho intenzione di mostrarglielo" parla lentamente. "Prima che qualcun altro lo faccia al posto tuo" conviene Zoe.

"Sì, credo di stare solo aspettando il momento giusto. Ultimamente è molto impegnato con il lavoro e Theresa è incinta. Inoltre, stanno cercando una nuova casa e so che sperano davvero di riuscire a trasferirsi prima che nasca il bambino."

Zoe ascolta entusiasta, gli occhi le si illuminano. "Non mi avevi detto che aspettavano un bambino. Maschietto o femminuccia?"

"Un maschio" risponde Evan senza entusiasmo.

Gli occhi di Zoe già luminosi ora brillano. "È fantastico, avrai un fratellino."

Evan annuisce.

Zoe non aveva questa grande passione per i neonati, suppongo che parli così solo perché mi ha perso.

"Non sei contento?" gli domanda.

"Penso di non avere ancora realizzato, ma non ho il diritto di essere amareggiato quando tuo fratello invece..."

Zoe lo mette a tacere, un dito ben piazzato sulle sue labbra. "Hai tutto il diritto di vivere i tuoi sentimenti così come vengono, non mi devi niente."

Evan sorride, poi sospira. "A volte vorrei poter scegliere come mi sento. Vorrei che mio padre si degnasse di informarsi sulla mia vita senza che sia io a tartassarlo di messaggi per sperare che risponda almeno a uno o alternativamente vorrei che non facesse così male avere un padre che ha deciso di occuparsi di un'altra famiglia perché sua moglie e suo figlio non erano abbastanza per lui."

Silenzio, un lungo silenzio, poi Zoe posa una mano sulla schiena di Evan accarezzandola, dà un morso al suo panino e sorride.

"Hai ragione, è buonissimo" gli dice.

"Comunque sono certa che te la caverai alla grande come fratello maggiore e ci sarà un momento in cui tuo padre non sarà troppo impegnato per essere orgoglioso di quello che hai fatto."

Evan sorride, ma il suo sorriso non raggiunge gli occhi, mangia il panino in silenzio e Zoe fa lo stesso.

Sicuramente Evan sarà un fratello maggiore migliore di come lo sono stato io.


"Tutto questo era proprietà privata" dice Evan indicando i dintorni. Finito il picnic ci siamo spostati per un'altra lezione di storia. "Negli anni venti c'era questo uomo che viveva qui con la sua famiglia. La gente pensa che si chiamasse El Lison, ma in realtà si chiamava Hewitt. Ellison è un nome inventato."

Evan tentenna, esita, ha un momento di smarrimento poi si mette le mani tra i capelli e sospira. "Scusami, non so perché ti sto dicendo tutto questo, probabilmente neanche ti interessa."

"No, mi piace. Continua, ti prego" ribatte Zoe. "Non so chi te lo abbia detto prima, ma non sei noioso e non parli troppo, sei interessante e la passione con cui ti esprimi è coinvolgente. Ora capisco perché Connor avesse iniziato ad apprezzare così tanto gli alberi."

Evan sorride come un ebete, anzi come un bambino al quale hanno appena detto che ha fatto bene il compito e ora può andare a giocare. "Okay, beh, quello che è successo è che c'è stato un grande incendio a casa di John Hewitt ed è bruciato tutto, compresi sua moglie e i suoi figli. Non poteva più sopportare di vivere qui, quindi ha fatto un accordo con lo stato per trasformare il terreno in un parco memoriale per la sua famiglia. Ha chiesto che si chiamasse Ellison perché è una combinazione del nome di sua moglie, Ellen, e dei suoi figli, Lila e Nelson" racconta con rinnovato entusiasmo.

"Caspita..." mormora Zoe. "Ho i brividi."

"Agghiacciante, vero? Me l'ha detto il mio capo" racconta Hansen. "Secondo me la parte più importante della storia è che l'uomo avrebbe potuto scegliere, Hewitt, il nome di famiglia e questo li avrebbe inclusi tutti, invece si è voluto tirare fuori come se non avesse più il diritto a stare con loro."

"Sai dove era situata la casa?" chiede Zoe. "Dove viveva la famiglia prima che..."

Hansen scuote la testa. "Forse il ranger Gus lo sa, ma dovrei chiederglielo."

Zoe si ferma sui suoi passi e fa un'ampia scansione oculare dei dintorni. "A essere sincera dimentico sempre che questo posto esiste. Anche se è proprio sotto il mio naso" dice.

"Il tuo naso perfetto" commenta di nuovo ad alta voce Hansen arrossendo subito dopo. Zoe gli schiocca un bacio sulla guancia e devo ammetterlo sono carini e non avevo mai visto mia sorella tanto presa da qualcuno.

"A-Allora" balbetta Hansen. "Mentre io ho trascorso qui tutta l'estate, tu dov'eri?" chiede.

Zoe annuisce. "Ho lavorato in un campo a Riverside durante il giorno e qualche notte in quella nuova yogurteria sul viale" dice.

"In realtà lo so" confessa Hansen imbarazzato. "Dopo che ho saputo che lavoravi lì sono passato spesso, ma non ti ho mai vista."

"Forse sei passato quando non c'ero" commenta mia sorella.

"È possibile..." mormora Hansen. "Comunque ti sei tenuta occupata, insomma" cerca di mandare avanti la conversazione.

"Ho fatto di tutto per stare a casa il meno possibile" sospira Zoe, riprende a camminare, le sue converse non aderiscono bene al terreno del pendio che stanno percorrendo.

"Fa attenzione" le dice Hansen. "Si scivola." Prima che possa dire altro Zoe inciampa ed Evan le impedisce di cadere. Sono così vicini, le mani di Evan la sorreggono con sicurezza, lei ha gli occhi sgranati, i secondi sembrano interminabili.

"Grazie" mormora. Evan mantiene il silenzio, la aiuta a rimettersi in equilibrio e poi la prende per mano, le loro dita si intrecciano e niente sembra avere più importanza.

"Quando avevo circa dodici anni..." racconta serenamente mia sorella. "Sono scappata di casa. I miei erano così presi da Connor, tipo  ventiquattro ore per sette giorni alla settimana e così studiai un piano per intrufolarmi nel parco con il mio sacco a pelo e restare qui finché non fossero venuti a cercarmi. Mi domandavo quanto tempo ci avrebbero messo per rendersi conto che non c'ero più, mi domandavo se mi vedessero."

Resto in silenzio, la mia sofferenza era accecante e non mi ero mai reso conto di tutto questo. Io la vedevo come la figlia perfetta che non sarei mai stata, lei mi vedeva come la persona che le toglieva ogni attenzione, anche quelle fondamentali per sopravvivere.

"Ho preparato una borsa piena di provviste come in quel film" dice Zoe. "Conosci "Moonrise Kingdom"? Era tutto uguale solo che non avevo un giradischi nella borsa, né un fidanzato pazzo di me ad aspettarmi."

Hansen e Zoe giungono a un bivio, le loro dita sono ancora saldamente legate e posso vedere degli angeli danzare sulla testa di Evan sussurrandogli allo orecchio le sembianze del paradiso.

"Comunque, in realtà non l'ho mai fatto" dice Zoe. "Sono arrivata fino all'entrata del parco ed era già così buio che mi sono spaventata e sono corsa dritta a casa. Ho dormito sotto al letto, pensavo che i mostri mi avrebbero tenuto compagnia e immaginavo che mia madre sarebbe venuta a svegliarmi, ma non è successo... la mattina dopo non se ne era nemmeno accorta e quando sono scesa per fare colazione non mi ha neanche dato il buongiorno. "Connor è intrattabile oggi" mi ha detto senza aggiungere altro."

Mia sorella sospira, si gratta nervosamente il braccio con la mano libera. "Tu non hai idea di cosa significhi condividere una casa con Connor, è come avere un tornado per coinquilino."

Hansen sussulta, avrebbe da ridire, ma non può, nel frattempo io mi tengo stretto questo nuovo soprannome.

"Una persona che ti urla addosso senza motivo, ti minaccia, rompe le tue cose, lancia gli oggetti e poi piange, disperatamente così tanto che non sai nemmeno tu se arrabbiarti con lui o essere distrutta dal suo dolore" racconta Zoe.

"Non lo nego, da quando Connor se ne è andato sono più tranquilla, ma... Evan che darei per vederlo ancora una volta, fosse anche solo per urlarmi in faccia che sono una stronza. Mi manca..."

Le sue parole sono lame, così come lo è vedere quell'abbraccio così forte, così intimo che ha il sapore di qualcosa che non potrò mai più dare a mia sorella e che non ho fatto in tempo a darle per l'ultima volta quando ero ancora carne e ossa con consistenza.

Una lacrima le bagna il viso, Evan prontamente l'asciuga. Silenziosamente mi metto dietro mia sorella, ascolto il suo respiro concitato, il suo cuore dilaniato. "Ti voglio bene" sussurro, il vento le porta il mio messaggio e Zoe resta per un attimo in silenzio senza più neanche emettere un suono.

"A volte mi sembra di sentire la sua voce" confessa.

"Io la sento continuamente" si fa sfuggire Hansen. Sussulto, ho il terrore di questa conversazione.

"Già, i ricordi sono duri a lasciare spazio a nuove realtà, vero?" mia sorella ha salvato la situazione senza saperlo.

"È come se fosse ancora qui, è ovunque..." mormora Zoe. "Nei ricordi, nei pensieri, nelle parole, nelle emozioni, in questo parco, sul tuo braccio..."

Evan abbassa gli occhi sul gesso dove ancora spicca il mio nome a caratteri cubitali. "E va bene così..." mormora facendo una carezza al gesso. "Va bene che sia con noi, qui, adesso e per tutto il tempo che ne avremo bisogno."

Zoe sorride, si asciuga le lacrime e sospira. "Hey" dice cambiando completamente tono verso l'entusiasmo. "La prossima settimana faccio un'altra serata al Capitol. Ci vieni questa volta? Non devi cantare anche tu, puoi anche solo ascoltarmi."

Evan annuisce ripetutamente come se volesse staccare la testa dal collo e Zoe ride. Un uccellino sfreccia davanti a loro per poi salire verso il cielo infinito e a questo punto mancano solo delle rose spuntate dal nulla e siamo ufficialmente in uno shoujo.

Un cinguettiò mi distrae, ma non è dell'uccellino è piuttosto il cellulare di Zoe. "Mia madre chiede se hai altre e-mail da farle leggere... scusa, lo so che è fastidiosa."

Evan rabbrividisce, per la prima volta da quando questo appuntamento è iniziato mi rivolge uno sguardo.

"Beh dici che hai perso i backup o stronzat-" cerco di suggerire, ma Evan ha già detto "va bene" prima che io possa finire la frase.

"Con calma però, prenditi tutto il tempo di cui necessiti" sussurra Zoe. Evan le sorride, sembra essere finito su una nuvola a fluttuare. La prende nuovamente per mano e la guarda intensamente negli occhi.

"Adesso quindi sei la mia ragazza, vero?" le domanda.

Zoe ride a crepapelle, così tanto che Evan abbassa lo sguardo imbarazzato. Un bacio è la risposta di cui ha bisogno e mia sorella non lo fa attendere.

"Pensavo fosse ovvio" gli dice con un'aria biricchina.

Guardo la neocoppia con una forma di invidia, questo tipo di felicità così non l'ho mai vissuta.
   
 
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