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Autore: Ombrone    30/01/2022    1 recensioni
Questa è diventata la mia storia più vista e più seguita. Grazie a tutti! Farò del mio meglio perché i prossimi capitoli siano all'altezza!
Una storia d’amore di 2000 anni fa.
Il giovane patrizio Marco Valerio Corvino torna a Roma nella sua casa dopo aver prestato servizio sul limes in una lontana provincia, troverà qualcosa che non si aspettava e per capire come affrontarla dovrà scoprire il lato nascosto di se stesso.
Il mio è un tentativo, mi direte voi quanto riuscito, di scrivere una storia d’amore, romantica, ma verosimile per la sua epoca, questo significa che al suo interno troverete situazioni, discorsi, atteggiamenti e comportamenti che potrebbero disturbare ed offendere, e che per gli standard del XXI sono inammissibili (o addirittura illegali). I personaggi stessi potrebbero sembrarvi antipatici o immorali o violenti: mi son sforzato di renderli realistici rispetto all’ambientazione e fargli seguire comportamenti considerati normali, morali o addirittura meritori per il primo secolo dopo cristo, un epoca molto lontana e molta diversa dalla nostra.
Commenti e anche critiche benvenuti e incoraggiati. Stimolano a scrivere e servono a migliorare!
Genere: Erotico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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I rotoli delle poesie rimasero immobili da quel giorno e la ragazza quando la incontravo era talmente intimidita da riuscire a malapena a salutare decentemente. 
Avevo compiuto in grave errore di giudizio, il mio comportamento era stato scorretto, lo capivo perfettamente con il senno di poi, avevo permesso una eccessiva familiarità dove non avrebbe dovuto essercene e il risultato era scontato: imbarazzo e mancanza d’armonia nella casa. Il rispetto è quello che regola una casa ben amministrata non certo la paura. La conoscenza del proprio ruolo e dei propri doveri, non certo l’anarchia.
Era stato molto divertente, trattarla in quella maniera, discutendo di lettere e poesia su un piano di parità, ma estremamente vano da parte mia, cosa mai doveva pensare uno schiavo se il suo stesso padrone mancava così palesemente a sé stesso? La sua confusione era colpa mia, il fatto che apprezzassi la sua intelligenza e fosse oggettivamente una fanciulla attraente, era solo una parziale scusante. Anzi imponeva da parte mia maggiore senso del dovere e che, ristabilissi in maniera chiara la situazione proprio per aiutarla a comportarsi in maniera appropriata. Dovevo prendermi le mie responsabilità: le avrei dovuto parlare, ammonendola con gentilezza, viste le mie responsabilità nel suo smarrimento, dandole corrette indicazioni.
Questo era però un pensiero ed una preoccupazione secondaria in quei giorni, ben altri impegni e affari mi attendevano. Nei giorni successivi partii per Tuscolo per la villa di un amico di famiglia dove mi trattenni alcuni giorni discutendo con lui e con i suoi ospiti del mio futuro e delle mie prospettive. Le loro parole mi rincuorarono e mi incoraggiarono: tutti si dichiararono pronti ad appoggiarmi nel mio desiderio di recuperare il seggio in senato che era stato di mio padre e di tutti i miei antenati.
Ben presto avrei raggiunto l’età necessaria a candidarmi a Questore e questa carica mi avrebbe aperto le porte del senato. Potevo contare sul loro appoggio per essere eletto, ma nel frattempo, il parere era unanime, non dovevo impigrirmi e perdere occasioni di mostrare le mie qualità e farmi notare. La cosa migliore era trovare un altro incarico militare in qualche provincia di confine che mi desse la possibilità di distinguermi, magari raggiungendo il grado tribuno in qualche legione.
Ritornai a Roma dopo alcuni giorni, motivato e di buon umore, con la vita che mi sorrideva.
Non dovrebbe destare meraviglia, se, concentrato su questi affari, nei giorni seguenti non pensai né a Filinna né al proposito che avevo fatto di parlarle. Fino a che, un pomeriggio, mi ero al solito ritirato nel piccolo studio quando la sentii entrare per riempire e accendere le lampade.
Quel rumore familiare, mi fece tornare in mente quello che avevo troppo a lungo posposto e decisi di cogliere l’occasione, mi voltai, già sorridendo cordiale, per non intimorirla e predispormi a parlarle con salda cortesia, ma quando alzai gli occhi, invece di trovare la graziosa figura di Filinna, vidi un giovane schiavo, un ragazzetto ossuto a cui iniziavamo appena a spuntare i primi sgraziati ciuffi di barba, di cui non ricordavo il nome.
Lo fissai meravigliato per un attimo.
“Chi saresti tu? Questo lavoro non è di solito svolto da ragazza?”
Lo schiavo si fermò di colpo, l’anforetta dell’olio sollevata a metà nell’atto di riempire una lucerna, e mi fissò giustamente sbigottito dal mio tono di voce e della mia aria irritata. 
Il poveretto balbetto addirittura incespicando nella risposta:
“Sì, padrone. Ci dividiamo il lavoro, ognuno metà casa.”
Ecco una cosa che non sapevo, ma sono dettagli che sfuggono in case così grandi.
“Ah, capisco. Non ti avevo mai visto qui al secondo piano.”
“Io di solito faccio l’altro lato della casa, Padrone.” Si sentì in dovere di spiegare, balbettando un po’ di meno. “Filinna, la ragazza, padrone, mi ha chiesto di scambiarci i posti. Io ho accettato padrone, ci sono meno lampade da sistemare qui.”
Non mi accorsi neppure della sua confessione di pigrizia, preso com’ero da un altro pensiero: aveva chiesto di cambiare lato. Era evidente che volesse evitare questa stanza e di incontrarmi. Il che era ridicolo o forse addirittura offensivo, in qualunque caso non ammissibile.
“Valla a chiamare ragazzo: dille di venire qui perché le voglio parlare.” Ordinai, brusco.
Il ragazzo svanì immediatamente, fin troppo contento di sfuggire a qualsiasi cosa mi stesse innervosendo e io tornai alle mie carte ed aspettai.
Aspettai, finii di scrivere quello che dovevo e ancora nessuno si presentò.
Tutto ciò era veramente eccessivo, mi alzai, quasi contando di sentire i suoi passi nel corridoio che si affrettava, ma era vuoto. Scesi al piano terreno e trovai Eryx nell’atrio intento a controllare la pulizia del pavimento e chiesi direttamente a lui di trovarla.
Non era in cucina, non era negli alloggi degli schiavi. Il ragazzetto che avevo mandato a cercarla per primo venne rintracciato e ci confermò che l’aveva trovata a sistemare le lampade nella camera da letto di mia madre e di averle comunicato il mio ordine.
Chiamammo Cleone, ma non aveva idea di dove fosse la figlia. Due altri schiavi vennero mandati a cercarla in altre parti della casa, ma non c’era traccia di lei, anche se venne ritrovata, in uno degli stanzini, l’anfora d’olio che usava per riempire le lucerne. Mi rattristai ad osservare il volto di Cleone riempirsi di apprensione man mano che risultava sempre più chiaro che Filinna non era più dentro le mura di casa.
A quel punto ci raggiunse anche mia madre attirata da tutto quel movimento.
“Cosa mai sta succedendo? Cos’è tutta questa agitazione? È forse scoppiato un incendio? È in corso una rivolta di gladiatori?”
“No, Padrona.” Le rispose Eryx, usando la sua voce più suadente e serena. “È solo una giovane schiava che è scappata.” Eryx sarebbe davvero stato in grado di far sembrare un incendio o una rivolta un banale inconveniente.
“Tutto questa agitazione, per una fuggitiva? Queste sciocche ragazze stanno sempre a scappare o a fare altre stupidaggini simili. Mandate un messaggio alla milizia con la descrizione e domani fate fare un annuncio dal banditore nel foro, con una ricompensa. La ritroveranno.”
Diretta ed efficace come un generale sul campo di battaglia, la mia cara madre, se non di più. Senza dire altro si girò e se ne andò seguita dalle sue ancelle.
Eryx mi guardò cercando approvazione, l’idea di mia madre era decisamente sensata e pratica, il modo più sicuro per ritrovarla, ma come capendo i nostri pensieri Cleone si aggrappò alla mia tunica e si intromise. 
“Per favore, Padrone! Non so di quale follia sia in preda mia figlia, ma vi prego aiutatemi a ritrovarla padrone! La mia bambina è sola là fuori e sta per calare la notte!” La sua voce era angosciata e piena di paura.
In effetti, malgrado gli sforzi dei Prefetti, Roma era tutt’altro che un luogo sicuro. Al calar del buio era prudente per un uomo girare armato, meglio se scortato. Una ragazza, come Filinna, da sola era decisamente in pericolo, un pericolo molto probabilmente peggiore della punizione spettante a uno schiavo fuggitivo.
Quale follia aveva fatto. Ero arrabbiato con quella sciocca ragazza, ma mi sentivo anche in colpa per i miei errori e non potevo ignorare la disperazione del buon Cleone. 
“Eryx, per favore, avvisa Romolo di preparare i suoi uomini per andare a cercarla e scegli anche degli altri schiavi fidati perché si uniscano a noi. Fai che tutti abbiano un’arma, almeno un bastone robusto o un coltello affilato. Tu, Cleone, vai a parlare con tua moglie e interroga le amiche di tua figlia, se hanno notizie o se anche solo hanno idea di dove potrebbe cercare rifugio. Vado a prepararmi, ci vediamo all’uscita sul retro.”

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All’uscita posteriore, eravamo una ventina di persone, rimandai in casa Cleone, troppo vecchio e troppo agitato, ma accettai con noi suo figlio. Divisi i presenti in 5 gruppi uno diretto di me, uno da Romolo e scelsi dei servi capaci per gli altri, saremmo andati in direzioni diverse, iniziando a cercare nei posti suggeriti dalla madre e dalle sue amiche.
Fu Romolo a trovarla, sui confini della Suburra, dove sicuramente sarebbe scomparsa per sempre inghiottita nei vicoli.  
“Ho tentato di pensare come una ragazza per immaginare dove potesse essere.” Disse Romolo.
“E per fortuna non ne è capace, perché lei aveva sbagliato strada e si era persa e l’abbiamo incrociata solo per caso! Padrone” Lo prese in giro uno dei suoi figli allegro di aver ritrovato la fuggitiva. Romolo gli tirò una affettuosa scoppola.
“Vi ha dato problemi?”
“No Padron Marco, era spaventatissima, aveva capito in che guaio si era messa, era contenta l’avessimo trovato ed è venuta con noi spontaneamente.” Tacque un attimo, poi aggiunse con voce grave. “Filinna è una brava ragazza.” Considerato quanto era taciturno Romolo, questo era l’equivalente dell’intera arringa di un oratore nel foro e di certo era più sincera.
I suoi figli schierati dietro di lui annuirono, le facce serie, quasi perfette imitazioni del loro padre. Eryx mi guardò tentando di nascondere la sua espressione insicuro di come potessi reagire a quella opinione non richiesta. Aveva condotto Filinna, in uno dei magazzini che sotterranei che usavamo come cella quando ce ne era bisogno ed era tornato a controllare con me che tutti fossero rientrati sani e salvi.
“Lo so, Romolo, lo so.” Gli risposi dopo un lungo istante di silenzio. Volevo bene a Romolo, era lui che mi aveva sopportato e mi scortato nelle mie scorribande da ragazzino, proteggendomi, coprendomi e a volte prendendosi le mie colpe. Anche se ora avevo spalle larghe come le sue ed ero addirittura un paio di pollici più alto, per me rimaneva sempre il gigante che da bambino mi sollevava con una mano. Gli posai una mano sulla spalla da uomo a uomo.
“Domani, domani affronteremo la questione, intanto è a casa. Se sono rientrati tutti è venuto il tempo di andare a riposare.” 
Mi avviai ormai stanco e quasi barcollante verso la mia camera, ma le prove di giornata non erano finite, sotto il peristilio mi aspettava Cleone. Dovetti sopportare lunghi minuti di ringraziamenti e di lacrime prima che arrivasse al punto:
“Cosa sarà della mia bambina, Padrone?”
“Domani, dopo una buona notte di sonno che porterà consiglio a tutti sarà giudicata da mia madre.” Ero sfinito e mi si chiudevano le palpebre, ma non ebbi problemi ad interpretare quello che dicevano gli occhi di Cleone e lo fermai prima che si dilungasse a parole: “No, Cleone. È una ragazza e il giudizio spetta a mia madre, questa è l’usanza dei Corvino!” Poi tentati di tranquillizzarlo. “Non farti travolgere dalla preoccupazione. È qui, al sicuro, e nessuno dimenticherà che è tua figlia, e di quanto ci sei stato fedele negli anni. Non ti preoccupare.”
“Grazie Padrone! Grazie… una sola ultima domanda, scusate questo povero padre, le avete parlato? avete idea perché abbia compiuto questa pazzia? Perché?”
Sono stato più volte lodato per il mio coraggio in battaglia, lo stesso Flavio Vespasiano mi rese onore una volta, ma guardando gli occhi di Cleone non ebbi il coraggio di essere sincero.
“No, non mi ha detto nulla.” Ed era vero ed era una menzogna.

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La mattina dopo mi svegliai con uno schiavo, imbarazzatissimo, accanto al mio letto: era stato mandato da mia madre, mi disse per assicurarsi che mi alzassi in tempo per unirmi a lei nell’Atrio.
Quando scesi, le porte erano ancora chiuse e non vi era solita folla di visitatori e postulanti, era assente anche il solito andirivieni e la frenetica attività dei servitori, la casa era silenziosa e immobile.
Mia madre era già arrivata e sedeva, eretta e regale, su uno sgabello, vestita in una austera tunica di lana scura, il viso severo, nel posto più sacro che esiste in una casa, il sacrario dove sono esposte le maschere funebri degli antenati. I Valeri sono una gens antica, risalente ai primi giorni della repubblica. Molte file di maschere di cera coprono il muro dell’atrio, alcune così antiche e consumate dal tempo da avere a malapena conservato dei tratti umani, altre più recenti e riconoscibili, le ultime erano i volti cari e amati di mio padre e di mio fratello Gaio, che si erano suicidati per ordine di Seiano quando io ero un ragazzino.
Passando di fronte all’altare dei Lari non potei fare a meno di notare delle offerte recenti, dei dolci e una piccola pagnotta. Mi domandai se fosse stato Cleone chiedendo la protezione degli Dei per la sua figliola o magari fosse stata mia madre chiedendo aiuto per giudicare saggiamente. 
La raggiunsi, accanto a lei c’era uno sgabello vuoto, per me, dall’altro lato sedeva Zio Aulo, dietro immancabili erano in piedi le sue due ancelle.
“Finalmente sei arrivato.” Mi accolse senza sorridere. “Così possiamo sbrigare questa faccenda.” Aveva preso la cosa in maniera decisamente seria, notai con una certa apprensione. Si girò verso Eryx “Fai portare la schiava fuggitiva.”
Il silenzio e la quiete di quel posto solitamente pieno di vita e movimento era inquietante, eravamo soli, ma ero sicuro che dietro tutte quelle porte chiuse la servitù fosse in attesa, trattenendo il fiato e tendendo le orecchie per ascoltare quello che si sarebbe detto e capire cosa sarebbe successo.
Eryx tornò conducendo Filinna seguita da Cleone e da sua moglie, entrambi, si vedeva chiaramente, avevano l’aria di chi ha passato una notte insonne per l’ansia e la paura. Forse più della stessa Filinna che indossava la sua solita tunica, ma sporca e in disordine dopo la fuga e una notte in cella, anche i suoi bei capelli era scomposti e numerose ciocche le erano sfuggite dalla coda e la coprivano il viso, teneva la testa bassa, con aspetto umile e sottomesso, un atteggiamento prudente e adeguato. Era libera, non aveva né catene né altre costrizioni, sarebbe stato forse esagerato per una ragazza così minuta e poi, mi rendevo conto, anche Eryx, come tutti, la conosceva fin da quando era una bambina e doveva essere a disagio in quella situazione e all’idea di quello che poteva capitarle. Persino la sua grande abilità nel nascondere le emozioni e le opinioni questa volta non bastava.
Si fermarono di fronte a noi ed Eryx proclamò con voce cantilenante: “Padrona, questa schiava, Filinna figlia di Cleone, ieri è fuggita, ma è stata ritrovata e ora è di fronte a voi per essere giudicata.”
A quelle parole Cleone si inginocchiò e fece inginocchiare la figlia.
Uno schiavo non ha famiglia e non ha origini e il fatto che, persino il sempre diplomatico Eryx, invece, evidenziasse chi era il padre era un chiaro segno, una richiesta di considerazione e clemenza Si meritò per tanto ardire uno sguardo di fuoco di mia madre.
“Quindi, ragazza, hai provato a scappare.” Disse mia madre, la voce fredda, dura e con una ostilità che mi soprese spiacevolmente. “Trovi così sgradevole questa casa? Sei insoddisfatta della vita che conduci?” Tanto sarcasmo ovviamente non aspettava risposta, Filinna si limitò saggiamente a piegare la testa ancora di più. “Se davvero desideri lasciarci possiamo accontentarti. Al mercato degli schiavi di sicuro troveresti un nuovo padrone che ti porterebbe lontano da qui ad una nuova vita.”
La madre di Filinna si lasciò sfuggire un gemito di sgomento. Il commento di mia madre era molto crudele: era evidente che al mercato una schiava giovane e graziosa come lei sarebbe stata comprata per qualche bordello, un destino assai triste.
Mia madre girò gli occhi inferocita su Cleone.
“Cleone, controlla il comportamento di tua moglie!” E il pover’uomo ancora prostrato come un mendicante lasciò il fianco della figlia per zittire la moglie.
“Madre,” intervenni, “sappiamo tutti che tentare di fuggire è una colpa e una colpa grave, ma è cresciuta in questa casa e ha sempre servito bene e con fedeltà.”
Mia madre mi guardò dubbiosa, per poi riportare gli occhi su Filinna che aveva silenziosamente iniziato a piangere.
“E allora le daremo un’altra possibilità. Non la venderemo. Allo stesso modo, non credo sia il caso marchiarla come fuggitiva, è una fanciulla graziosa e non voglio sfigurarla.” Mi fissò, come a cercare una mia reazione. Mi limitai ad un cenno di assenso. “Come punire il suo gesto dunque? Se solo si potesse capire le sue ragioni, se di ragione si possa parlare.” Lo sguardo si poggiò di nuovo su di me, chiaro che mi ritenesse coinvolto. “Ma forse sarebbe solo una perdita di tempo indagare sulle motivazioni di una simile follia!”
Tacque un momento, riflettendo.
“Venti colpi di verga. E che venga mandata in qualche fattoria lontana da questa casa.”
Filinna, alzò gli occhi di colpo a guardare mia madre gli occhi terrorizzati, più che per i colpi, per la terribile all’idea di dover lasciare quella casa, poi, unica mossa sensata che poteva fare, piegò di nuovo il capo, soffocando un singhiozzo, la madre invece non riuscì a trattenersi e inizio a gemere. Cleone aveva un’aria sconvolta, all’idea di perdere la figlia, e apriva e chiudeva la bocca senza emettere suono, lui sempre ricco di parole appropriate. Sapevo di dover intervenire, ma prima che potessi dire qualcosa, fu zio Aulo a intromettersi.
“Mia cara sorella, permettimi di dire che il tuo giudizio è forse eccessivamente duro vista la situazione, la ragazza….
Zio, malgrado tutti gli anni di esperienza, malgrado fosse dello stesso sangue di mia madre, ancora non sapeva come prenderla purtroppo, venne bruscamente interrotto, con un gesto e con un’aspra risposta.
“Basta, le lacrime di una fanciulla graziosa ed ecco voi uomini siete disposti a dimenticare e perdonare tutto. Trenta colpi e se sento un altro lamento o pianto finirà in Spagna o in Africa.”
Persino il sempre prudente Eryx sembro guardarmi con la coda dell’occhio come a chiedermi di fare qualcosa.
“Madre,” esordii, meritando un immediato sguardo infuriato, come se la stessi colpendo a tradimento, “il tuo giudizio è severo, ma giusto e saggio.” Parlavo con prudenza, tentando di mettere a frutto tutti gli anni di studio della retorica e dell’oratoria. Sapevo di muovermi in un terreno infido, una parola sbagliata e avrei solo peggiorato la situazione. “Un fuggitivo merita di essere punito e di essere da monito, su una cosa, però ti chiederei rispettosamente di riflettere e rivalutare. Scacciandola e condannandola ad una vita lontana da Roma non punisci solo lei, ma anche chi le vuole bene. Privi un padre dell’amore della sua progenie, spezzi il cuore a un uomo e non ad un uomo qualunque, ma del nostro buon Cleone.” Lo indicai con un gesto del braccio forse un po’ troppo da retore, ma ormai ero lanciato e sapevo dove volevo arrivare. “Madre, non possiamo dimenticare i suoi anni di fedele servizio e la dedizione che ha sempre mostrato per la casa e per l’educazione mia e del mio povero fratello Gaio.” Nominare mio fratello in una conversazione con mia madre non è molto leale, ma visto che ormai eravamo ai Triari qualunque arma era buona, e conclusi. “Se non lei, almeno lui merita misericordia e considerazione. Non diamogli un simile dolore, e non scacciare la sua unica figlia in una terra lontana.”
Scese un attimo di silenzio, gli sguardi dei presenti si appuntavano su mia madre tentando di capire le sue reazioni, escluso quello di Cleone, che colse l’occasione per prostrarsi ancora più profondamente chiedendo clemenza. Al nome di Gaio avevo visto lo sguardo di mia madre vacillare per cui forse una piccola speranza c’era.
“Il fatto che sia proprio la figlia di Cleone ad averci tradito, rende la cosa, forse, ancora più grave.” Furono le sue prime parole, facendomi temere di avere fallito, poi la sua bocca si piego un attimo in una smorfia triste e si arrese. “Rimarrà a Roma, dunque, e speriamo che sappia meritarsi il nostro perdono e riguadagnare la nostra fiducia.”
Rimanevano i trenta i colpi, ed erano tanti per una ragazza minuta come Filinna, ma conoscevo mia madre e di più non ci si poteva spingere, così decisi di interrompere quello spettacolo prima che le cose potessero complicarsi.
“Questa è la decisione di mia madre, ed è saggia, giusta e clemente. Che sia fatto.” Mi alzai. “Sovraintenderò personalmente.” Con un passo mi avvicinai a Eryx e gli dissi, a voce più bassa. “Portala di sotto, non facciamone uno spettacolo e rispettiamo il suo pudore. Ti raggiungerò, appena mangiato un boccone. Poi fai aprire le porte e fai accogliere i visitatori, ma se non ci sono persone importanti e affari urgenti avvisateli di ritornare domani.” Mi voltai verso mia madre come a chiedergli licenza e me ne andai verso il triclinio per fare finalmente colazione.
Qui a servire trovai uno schiavo fidato e che conoscevo bene, dall’esageratissimo nome di Alcmeone, lo feci avvicinare con un gesto.
“Ho un compito per te. Invero ne ho tre. Il primo è trovare Sabra e mandarmela, che le devo parlare. Sai di chi parlo?” Aspettai un suo cenno di assenso. “Poi dovrai andare nella mia camera. Sullo scaffale accanto al letto, in alto, vi è un vasetto di ceramica scura, chiuso con un tappo di cera, prendilo, poi vai nelle stalle e ti fai dare il frustino leggero, quello usato per i puledri, mi hai capito?” Annuii di nuovo e sperai che avesse capito tutto veramente, malgrado il nome da pitagorico non aveva fama di grande intelligenza. “E devi portare tutto ad Eryx giù nel seminterrato ti è chiaro?” Altro cenno con la testa. “Ripeti.” Ordinai per sicurezza. Soddisfatto della sua risposta lo mandai in azione.
Sabra arrivò che avevo appena finito di mangiare finalmente un boccone. Bevetti una coppia di vino per mandarlo giù.
“Sabra, ho bisogno delle tue doti. Una pozione delle tue qualcosa che allievi il dolore.”
“Certo, Padrone, so cosa fare, ma non va presa spesso.” Poi a voce bassa. “È per la figlia di Cleone, vero?” 
Annuii e lei mi sorrise con aria complice. “Vado e ve la porto di sotto.”

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Quando scesi, Eryx era già lì di fronte alla porta chiusa di una delle celle. C’era anche Cleone, con la moglie lacrimosa e singhiozzante, tentarono di aggrapparsi alla mia tunica, ma riuscii a staccarmeli e ad evitare ringraziamenti e implorazioni, feci cenno ad Eryx ed entrammo insieme.
Filinna si alzò in piedi quasi di scatto, ma quando mi vide abbasso la testa evitando il mio sguardo. La tunica sporca, i bei capelli in disordine e il viso rigato di lacrime ne facevano una figura assai pietosa. Se mai avessi voluto rimproverarla di quanto era stata sciocca e folle e di quanto avesse rischiato, mi sarebbe morto in gola a vederla così disperata e spaventata.
MI guardai intorno, quel piccolo magazzino era quello che veniva improvvisato a cella quando ce ne era bisogno. In un angolo c’era uno sgabello su cui Filinna era seduta prima che entrassimo, accanto un tavolato coperto di paglia che funzionava da giaciglio e sull’altro lato un piccolo tavolino di rozza fattura, su cui vidi il vasetto di unguento e il frustino che avevo mandato a cercare 
Non doveva essere un posto piacevole per passare la notte in attesa di essere giudicati, mentre la paura per quello che ti può accadere ti scava nelle viscere.
L’unica luce arrivava da una finestrella poco sotto il soffitto assicurata da grosse sbarre. Sul muro era assicurato un robusto anello di ferro a cui si poteva fissare, se necessario una catena. Da una delle travi del soffitto pendevano delle manette a 4, 5 cubiti dal pavimento e per finire accanto alla porta erano appesi vari tipi di fruste e verghe e un flagrum dall’aria crudele con piccoli pesi di piombo all’estremità delle cordicelle di pelle intrecciata.
Filinna seguì il mio sguardo con preoccupazione. 
“Perdonatemi padrone.” Disse a voce bassa, la prima volta che la sentivo aprir bocca da quando l’avevamo ritrovata.
“È un po’ tardi per chiedere perdono, ragazza. Quello che è fatto e fatto e mia madre ti ha giudicato, ma è quasi finita e presto sarà tutto passato.” 
Non ci furono repliche e feci un cenno a Eryx di procedere.
Fu lui a legarla a con le braccia sollevate, poi prese un piccolo coltello e le taglio il retro della tunica, scoprendole la schiena fino alla vita. I suoi gesti erano esperti, non era certo la prima volta che era incaricato di punire uno schiavo, ma c’era gentilezza nei suoi modi e nelle parole con cui provava a rassicurarla.
Alla fine, prese dalla cintura una striscia di cuoio lunga poco più di un palmo.
“Stringi questo tra i denti, bambina, ti aiuterà a sopportare il dolore, e non ti farà mordere la lingua. Non avrai cicatrici prometto.” Nella su voce c’era apprensione e sollecitudine. Gli penava punirla. 
Andò al tavolo e prese il frustino lo soppesò e mi guardò annuendo.
“Grazie, padrone, avete avuto un ottima idea.”
“Te la senti Eryx? Vuoi.. vuoi che faccia io?”
Impiegò un attimo prima di scuotere la testa.
“No, grazie, padrone, è il mio compito. Tocca a me.”
Mi scostati per lasciargli spazio. Non era certo la prima volta che sovraintendevo a una fustigazione. Era una punizione comune per le mancanze dei legionari, ma era una cosa diversa osservare un uomo robusto, dalla schiena larga e imponente, che, con sguardi di sfida e parole spavalde, era pronto ad affrontare il dolore e la punizione con coraggio. Filinna invece aveva gli occhi sbarrati e tremava dalla paura, la schiena inarcata e tesa era snella e si vedevano le vertebre e la forma delle costole sotto la pelle delicata e faceva pena al cuore a vederla così.
Il primo colpo la colse di sorpresa ed emise un grido a denti stretti, ondeggiando sulle punte dei piedi.
Quando si fermò, Eryx le diede il secondo colpo e poi, seguendo il ritmo, il terzo e il quarto. Colpiva dosando la forza, senza esagerare, mirando ogni volta ad una parte diversa della schiena per non sovrapporli e non ferirla.
Quando, arrivati verso la decima frustrata, Filinna iniziò ad agitarsi come a provare vanamente ad evitare i colpi, fece una pausa.
“Se puoi, bambina, tenta di stare di ferma, più che puoi, se no rischio di farti ancora più male.” Disse. 
Filinna assenti, voltandosi a guardarci con gli occhi lucidi e sbarrati e quando Eryx la colpì di nuovo iniziò a piangere. Dopo il quindicesimo colpo malgrado tutta l‘esperienza e tutte le attenzioni la pelle si iniziò a tagliare e la schiena a macchiarsi di sangue. Quando ne vidi troppo feci fermare Eryx con un gesto della mano.
“Basta così, abbiamo finito.”
“Padrone?” Mi guardò meravigliato.
“Io ho contato trenta colpi, corretto vero?”
Ci fu un attimo di esitazione nella risposta, poi capì e annuì. “Sì padron Marco.”
“Sleghiamola.”
Ci accostammo a Filinna, le spalle scosse dai singhiozzi.
È finita tranquilla, è finita. Adesso ti liberiamo, ce la fai a stare in piedi?” Chiese Eryx. Lei fece un cenno affermativo mentre la scioglieva, ma appena libera fu chiaro che le sue gambe non la sorreggevano. La afferrammo ognuno per un braccio prima che cedessero e la conducemmo verso il pagliericcio. La pelle era fredda, bagnata del sudore gelato della sofferenza.
Quando provò a distendersi a pancia in giù la tunica tagliata rischiò di aprirsi, distolsi lo sguardo per decenza mentre lei si provava a coprire con le mani e il movimento brusco la fece gemere di dolore.
“Tranquilla, è finita.” Le disse Eryx “È tutto finito.” Le accarezzò la testa per consolarla.
“Lasciaci soli un attimo, voglio parlarle.” Dissi io.
Quando la porta si chiuse alle sue spalle e sul viso di ansioso di Cleone, presi lo sgabello e mi sedetti accanto a lei. 
“Perché hai fatto questa pazzia, Filinna?” Le chiesi finalmente, tenendo un tono gentile per non spaventarla ulteriormente.
Lei alzo gli occhi ancora umidi su di me, una mano salì al volto ad asciugarsi le lacrime. Le tremava la mascella per la tensione.
“Avevo paura che foste arrabbiato con me, padrone.” Rispose alfine.
La fissai perplesso e lei distolse lo sguardo. Forse mia madre aveva ragione: inutile indagare di più della logica che c’era dietro tutto questo, se ce ne era. 
“Beh di certo sei riuscita a farmi arrabbiare e non solo a me.”
“Scusatemi, Padrone.” Ripetè.
“Hai sbagliato, sei stata punita. La questione si chiude qui.” Si mosse per cercare una posizione più comoda e le labbra amabili si piegarono in una smorfia di dolore. La aiutai a sistemarsi. “Non fare altre sciocchezze simili, Filinna, non ti aiuterò come ho fatto questa volta. Ti chiamerò ancora, ma tu non fare sciocchezze. Anche volendo non ti potrei aiutare.” 
I suoi occhi mi evitarono per un attimo mentre rispondeva. “Sì, Padrone.”
“I tuoi genitori sono fuori adesso, li farò entrare. Nel vasetto sul tavolino c’è un unguento che comprai in Gallia, fa meraviglia per rimarginare le ferite e non lasciare le cicatrici, fattelo mettere la sera. Ho chiesto a Sabra di prepararti una delle sue pozioni per alleviare il dolore. Sono sicuro che Eryx ti darà compiti leggeri nei prossimi giorni. Presto tutta questa faccenda sarà solo un brutto ricordo.”
Quando uscii dalla c’era una piccola folla, la madre di Filinna, Sabra e un'altra schiava, che entrarono subito cariche di bende e vasi di acqua tiepida per pulirle le ferite e prendersi cura di lei, Eryx, Cleone e il figlio di questi.
Cleone sembrava finalmente aver recuperato un po’ di colore e un po’ di spirito, questa volta non mi si appese alla tunica o si gettò in terra, si limitò alle parole, di cui era maestro. Partì da un semplice ringraziamento, per iniziare a lodare la mia bontà, si dichiarò commosso dalla mia benevolenza, di quanto avrebbe sofferto nel perdere la sua unica figlia e tanto, tanto, altro, fino ad arrivare a chiudere in maniera che mi soprese e mi fece capire che aveva parlato con la figlia. “Scusatela, se vi ha offeso, Padron Marco, per amor mio perdonatela.”

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Per fortuna, una volta risalito, trovai l’atrio vuoto e nessuno da dover ricevere, così mi cambiai e uscii di casa, accompagnato da un paio di schiavi e puntai verso le terme di Agrippa deciso a svagarmi e a non pensare. Avevo il cuore pesante e avevo bisogno d’aria.
Rientrai a notte fonda e piuttosto alticcio. Avevo passato la giornata nelle terme, rilassandomi e parlando con gli amici che vi avevo incontrato e successivamente la serata a girare per la città in loro compagnia.
Purtroppo, mia madre era ancora in piedi quando arrivai, ancora seduta nel triclinio a filare in compagnia delle sue ancelle, una perfetta rappresentazione della madre dei Gracchi rediviva. Mi guardo attraverso l’atrio con profondo disprezzo, poggiò il fuso in grembo e disse a voce alta e chiara:
“Dovresti andare a dormire Marco, non hai l’aspetto degno di un Valerio.”
Mi avvicinai, tentando di darmi un certo contegno e di fingermi, senza molto successo, in qualche maniera sobrio.
“Ho incontrato degli amici alle Terme e ci siamo… ehm, fermati insieme.”
Lei fece un gesto con la mano come a scostare le mie parole.
“Sciocchezze. Comunque, visto che sei qui e visto che stai prendendo in mano il tuo ruolo di capo famiglia, volevo consigliarti di fare una visita a Baia. Mentre eri via ho iniziato a rinnovare la villa laggiù, è rimasta disabitata per troppi anni, da quando tuo padre e tuo fratello… “La voce sfumò senza completare la frase. “Comunque, ora abbiamo bisogno di nuovo di un posto appropriato fuori Roma. Se vuoi darti alla politica ti servirà un luogo adeguato a ospitare e dare feste. Le tenute a Nomento e a Tusculo sono poco più che fattorie, ottime se ti serve un ritiro agreste e aria buona e fresca, ma non sono un posto per ospiti di riguardo.
“Certo madre, hai ragione.” Biascicai sentendo il ventre in subbuglio, ma mia madre continuò imperterrita.
“C’è bisogno che tu vada a controllare i lavori, tutti dicono che le cose vanno magnificamente, ma di certo nella realtà ci staranno rapinando indegnamente e solo facendo finta di lavorare. Se il padrone si fa vedere forse si limiteranno un poco, non è certo un compito che possiamo svolgere io o tuo zio.”

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Baia è una piccola località a circa 150 miglia a sud di Roma sulla sponda settentrionale del golfo di Napoli, forse uno dei posti più belli che ci sia sulla faccia di questa terra ed è soprattutto una delle località favorite da qualsiasi persone di una certa importanza. Il posto giusto per incontrare gente e avere buona compagnia.
Personalmente non mi dispiaceva minimamente recarmici, in quel posto avevo alcune dei migliori ricordi della mia infanzia, momenti felici che mi riscaldavano il cuore. Non persi tempo a organizzarmi.
Per accompagnarmi scelsi due schiavi fidati a cui aggiunsi il figlio di Cleone, come segretario e, se ci fosse stato bisogno, contabile, era anche un modo di segnalare come lui e la sua famiglia avessero ancora il mio favore e la mia fiducia. Poi, con grande gioia, trovai anche un paio di amici disponibili ad accompagnarmi e a godersi il viaggio con me.
Per raggiungere Baia ci sono due possibili vie, la più lenta è quella via terra, percorrendo la via Appia verso sud, sono 5 forse 6 giorni di viaggio, un po’ di meno se uno sforza i cavalli e la schiena, l’altra, decisamente più rapida è scendere ad Ostia e da lì procedere via mare, in quel caso sono poco più di due giorni, se il tempo è buono e il vento favorevole. 
Fummo seriamente tentati di andare via terra, eravamo tutti giovani e la cavalcata e le soste nelle locande per la notte, promettevano di regalare avventure ed incontri, magari fugaci, ma piacevoli, ma alla fine propendemmo per la saggezza e procedemmo via mare.
Erano anni che non tornavo a Baia, ma ricordavo ogni singolo angolo ancora a memoria. I lavori non avevano modificato la struttura della villa, o cambiato la disposizione dei luoghi, avevano solo rinfrescato e riparato. Solamente gli affreschi e le decorazioni era stato necessario rifarli quasi da capo: il tempo e la salsedine del mare li aveva danneggiati troppo.
Altra cosa che era stata interamente ricostruita erano i Bagni, la vasca del frigidarium era ora esagonale e molto più grande di quella precedente, il fondo decorato da un bel mosaico raffigurante il ratto Proserpina e di come sua madre Cerere la andò cercando e anche il calidarium era stato spostato.
Capivo perfettamente le ragioni di mia madre. Mio padre e mio fratello erano morti in quel posto e voleva cancellare qualsiasi eventuale ricordo, qualsiasi triste memoria. Se mai fosse possibile.
Uscii all’aria aperta, nei giardini, che stavano venendo ripiantati e risistemati. Il mio umore si sollevò assaporando l’aria fresca del mare e alla vista che si apriva ai miei occhi: il golfo si estendeva in tutto il suo splendore di fronte a me e l’occhio spaziava fino a Capri e alla imponente massa del monte Vesuvio, con la cima ancora coperta di neve malgrado la stagione avanzata.
Malgrado tutto non credo che fosse possibile scacciare le memorie da quel posto, forse, a rifletterci bene, non era nemmeno giusto. C’erano ricordi tristi, ma anche tanti altri che sarebbe stato delittuoso anche solo provare a cancellare. Tra quelle siepi giocavo ricorrendo Gaio, su quella panchina in pietra di fronte a me mi sedevo a leggere Omero insieme a mio padre.
“Ma perché padre?! Ma il mare non è rosso, perché mai Omero scrive una cosa simile?!” dicevo con voce alta e acuta
“Marco, cosa scrive Omero? Cosa scrive esattamente? Quali sono le parole che usa? Le ricordi?”
Orgogliosamente citai senza esitazioni: “Oἶνοψ πόντος, padre.”
“Cosa significa esattamente, Oἶνοψ πόντος? Non dice rosso, dice il mare color del vino. Scuro come il vino, il mare è sempre in movimento sempre a cambiare, ma le sue profondità sono sempre scure, Marco. Devi pensare a come lo vedeva Odisseo durante i suoi viaggi, sentendo nel cuore il desiderio di rivedere Itaca, la sua patria, e sua moglie e suo figlio, la sua famiglia. E cosa c’è di più importante della patria e della famiglia?
Padre… Lui non c’era più, stava sulle mie spalle riportare la famiglia al posto che gli spettava.

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Rientrato a Roma ripresi i soliti compiti e i soliti impegni, la routine quotidiana degli incontri e delle udienze, delle cene e delle feste, mi concentrai su quello che erano i miei doveri e miei compiti, poi un pomeriggio, ero sulla porta del tablinium, avevo appena congedato uno degli amministratori venuto a portare i conti e i numeri, quando vidi passare sul lato opposto dell’atrio Filinna, che trasportava una cesta. 
Era alcuni giorni che non l’avevo incrociata, e fui contento di vederla che si muoveva senza problemi, segno che la battitura non le dava più fastidio. Aveva la testa eretta, i capelli, sempre raccolti in una coda ondeggiava audacemente da un lato all’altro al ritmo dei suoi passi la sua schiena flessuosa era inarcata per bilanciare il peso dell’ignoto contenuto della cesta. Si accorse del mio sguardo e chinò la testa, ma mi accorsi  i osservò di sottecchi, gli occhi nascosti sotto quelle belle ciglia. Ammirando la curva del suo collo, il profilo del suo viso, e il suo passo elegante, scoprii di desiderarla di nuovo. Mi voltai verso Eryx che era accanto a me.
“Eryx.”
“Sì, Padrone, ditemi.”
“Per favore, dì a Filinna, che vorrei mi raggiungesse in camera, questa sera, dopo la cena.”
Mi guardò e rispose con voce tranquilla e pacata.
“Certo, Padron Marco. Ci sarà.”
   
 
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