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Autore: giuliacaesar    06/02/2022    1 recensioni
⚠️POTREBBE CONTENERE SPOILER DEL MANGA DAL CAPITOLO 290 IN POI⚠️
La vita a volte ci pone davanti a delle scelte, facili o difficili che siano. Se ne scegliamo una non sapremo mai il finale dell'altra, il che ci porta a porci una serie infinita di domande che iniziano con un "e se...".
«Ha presente cosa sono gli otome game?» [...] «Insomma, quello che voglio dire è che in base alle scelte che fai ti ritrovi finali diversi, no? Quello bello, quello brutto e, a volte, quello neutrale. Basta una sola azione per compromettere il risultato finale, come nelle equazioni di matematica. Ecco, in quella stanza di ospedale potevo scegliere due strade che mi avrebbero portato a due finali differenti.».
E se... Enji fosse andato alla collina Sekoto quella fredda serata d'inverno?
ATTENZIONE! Il rating potrebbe cambiare!
Pubblicata anche su wattpad su @/giulia_caesar
Ispirazione: @/keiidakamya su Twitter e @/juniperjadelove su Twitter e Instagram.
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, League of Villains, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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CAPITOLO 8 - FILI DI MENZOGNE
 

La pioggia scrosciava fuori dalla finestra del salottino d’attesa, creando un rumore di sottofondo piacevole, rilassante. Se chiudeva gli occhi poteva confondere quel mormorio incessante con le fiamme di un fuoco che brucia in un camino, magari nella loro casa in campagna a Satoyama, in autunno quando le nuvole sono gronde di acqua e la pioggia sembra non finire mai. Il cielo era grigio, il sole faceva fatica a farsi spazio tra i piccoli sprazzi di cielo che riusciva a scorgere. La strada, di solito colorata da centinaia di ombrelli, ora invece era sgombra, solo pochi avventurieri, tutti imbacuccati nei loro cappotti neri, si affacciavano al loro palazzo per raggiungere l’unico combini ancora integro della via. Anche le macchine erano diminuite, di solito quella zona era sempre piena di automobilisti arrabbiati col traffico ed era una continua sinfonia di clacson assordanti, mentre da quando il mondo sembrava andare a rotoli anche le automobili erano quasi del tutto sparite. Ogni tanto si sentiva il rombo di un motore, ma poi spariva quasi subito come se non fosse mai passato. La gente aveva paura e Touya lo capiva fin troppo bene. 

In quel momento era nel salottino d’attesa del dottor Miura, aspettando che lo accogliesse. Stava osservando le gocce di pioggia che scendevano sul vetro della finestra, tracciando con gli occhi la loro strada, ma senza realmente vederle. Quando era piccolo faceva un gioco con i suoi fratelli: ognuno sceglieva la goccia che secondo loro sarebbe arrivata per prima al traguardo che poteva essere o il davanzale della finestra o lo sportello della macchina. Tutti e tre puntavano il dito sul vetro per tracciare il percorso della propria goccia, lasciando aloni col fiato e sudicie impronte che facevano arrabbiare loro madre. Se le gocce si univano ad altre si veniva eliminati, anche se non c’era un vero e proprio premio per chi vinceva, c’era solo la gloria e la soddisfazione di aver battuto gli altri due. 

Sebbene la sua infanzia non fosse stata rosea, a Touya mancavano quei momenti. Gli mancava essere un bambino la cui unica preoccupazione era battere i propri fratelli a più giochi possibili per accaparrarsi la fetta di torta più grande. Gli mancava quando Fuyumi lo trascinava fuori dalla sua camera da letto per fare qualche tiro a pallone, quando Natsu correva da lui disperato perché aveva fatto cadere un vaso oppure quando Shoto si metteva in silenzio a guardare i cartoni animati con lui in salotto. Da piccolo hai fretta di diventare grande, di fare le cose “che fanno gli adulti”, come guidare la macchina, avere i soldi propri per comprare quel giocattolo che si desiderava tanto o uscire di casa da solo. Una volta con la patente in mano, bollette infinite da pagare e un bagaglio di stress e di traumi così grande da rischiare di affogarci dentro, ti rendi conto quanto in realtà la tua vita sia stata una fregatura fin dalla nascita e che, se prima pensavi che essere grandi fosse figo, ora vuoi solo tornare ad avere quattro anni con l’unica preoccupazione di esserti sbucciato il ginocchio giocando a nascondino. 

Lo doveva ammettere: essere grandi faceva schifo e la sua vita era stata un’enorme truffa. Ma chi glielo aveva fatto fare di diventare un eroe, accettare una missione suicida e fare un disastro dopo l’altro? Voleva tornare indietro e prendere a sberle il sé stesso bambino per farlo desistere, ma, conoscendo fin troppo bene la sua indole testarda che lo portava a fare l’opposto di quello che gli viene chiesto, anche se poi a rimetterci era lui stesso, non avrebbe funzionato lo stesso. Quindi era punto e a capo, nulla di tutto quello che gli era successo sarebbe cambiato. Tanto meno avrebbe intrapreso la vita da criminale, gli veniva da ridere al solo pensiero. Glielo aveva detto anche Mitsuha 

Sei troppo dolce per questo mondo, Zuccherino. 

Sbuffò chiudendo gli occhi pronto a un’altra reazione esagerata e totalmente fuori luogo, ma non arrivò nulla. La sua testa rimase limpida nonostante i pensieri ingarbugliati tra di loro, quasi riusciva a vedere un filo che lo avrebbe aiutato a sbrogliare la matassa. Non si sentiva meglio, anzi lo era ben lontano, però era qualche giorno che aveva una sensazione incredibile di leggerezza addosso, come se avesse un peso in meno. Aveva perso il conto delle visite che aveva fatto, ma ogni volta che tirava fuori dal vaso disordinato che era la sua testa in quel momento un ricordo, un evento che lo aveva segnato nel profondo, nel bene o nel male, aveva un ago in meno che gli punzecchiava il cuore. Improvvisamente tutti i problemi che nella sua testa sembravano un elefante imbizzarrito pronto a investirlo si trasformavano in un micino spaventato appena uscivano dalla sua bocca. 

Ma sul serio? Sono davvero così cretino? si ritrovava a pensare quando finalmente poteva toccare quei pensieri negativi e quasi prenderli a sberle. E tutto questo semplicemente parlando, era la cosa che lo sconvolgeva di più! Com'era possibile che dando semplicemente aria alla bocca si riuscisse a far diventare il masso enorme che gli opprimeva lo stomaco in vapore? Era qualcosa che non riusciva assolutamente a spiegarsi. 

Aveva così tanti sassolini nelle scarpe da togliersi da avere i pieni martoriati e pieni di cicatrici, ma sentiva che pian piano, un passo alla volta, stava arrivando alla sua meta. Forse un giorno sarebbe riuscito finalmente a svuotare quel vaso di Pandora che si ostinava a tenere sigillato, era ancora tutto da vedere però. Considerava già un grande traguardo anche solo riuscire a specchiarsi e non provare disgusto oppure, come poco prima, pensare a Mitsuha senza avere una crisi di pianto. 

La sua mano si mosse in maniera automatica andando a prendere il cellulare nella tasca della giacca che portava. Dopo aver sbloccato il telefono, pigiò il dito sulla galleria e puntò gli occhi su un album che ne teneva imboscato in mezzo a tutti gli altri. Era maniacale con le foto: ogni evento importante aveva la sua raccolta di foto, ogni persona che gli stava a cuore aveva un album di foto tutto suo. C'era quello di Keigo di cui la maggior parte erano foto imbarazzanti e incriminanti con cui minacciava il suo migliore amico di inviarle a qualche giornaletto di gossip come ricatto molto poco serio se non gli avesse fatto un favore. C'era quello dedicato alla sua famiglia, con tutte le foto delle loro poche vacanze insieme e anche uno interamente dedicato alla festa di laurea di Fuyumi, anche quello per scopi minatori. C'era quello con le vecchie foto fatte durante l’addestramento, quando ancora era un ragazzino pieno di sogni e speranze. E infine, c’era quello su Mitsuha, anche se non erano tante, a malapena riusciva ad arrivare alla cinquantina. 

Deglutì e ci pensò su qualche secondo, prima di schiacciare l’icona anonima dell’album, neanche stesse premendo il famoso pulsante rosso con la scritta “non toccare”. Invece di un’esplosione assordante, fu avvolto da una brezza di nostalgia. Anche se poche, era come ricevere un pugno nello stomaco. E non da una persona qualsiasi, ma da Mitsuha stessa. Si erano fatti male a vicenda, si erano presi in giro riempiendosi la bocca di parole dolci e avvelenate di menzogne, eppure gli era così difficile selezionare tutte le foto ed eliminarle. Quei sorrisi sembravano così genuini, così veri. Si poteva davvero simulare la felicità così bene? Recitare così bene la parte della coppia innamorata, per poi pugnalarsi a vicenda appena ci si voltava. 

Non sapeva cosa faceva più male, se averle mentito per mesi sul reale scopo con cui si era avvicinato a lei o girarsi e vedere che Mitsuha aveva già un coltello puntato alla sua gola. Si era sentito usato, una bambola di pezza che, quando ti stufi, butti nell’immondizia dimenticandotene. Non poteva neanche permettersi di fare troppo la vittima in realtà, sapeva di avere la sua buona dose di bugie e menzogne in quella storia. Sapeva di aver fatto del male anche lei, seppur in un modo decisamente più velato e meschino. 

Mitsuha era sempre stata diretta, andava dritta al punto. In un certo senso era più magnanima di quello che lei crede, perché, se ti deve fare del male, preferisce piazzarti un pugno in faccia, non lasciarti crogiolare in una vasca piena di stronzate campate per aria. Se Mitsuha l’aveva distrutto con un solo calcio, lui ci aveva impiegato mesi cucendo e intrecciando fili di menzogne e di bugie intorno alla sua gola in una lenta e atroce tortura: per lui, che si sentiva uno stronzo a fare del male a una persona che aveva ricevuto fin troppa merda in faccia dalla vita, e per lei, perché era l’ennesima bastonata ingiusta che riceveva. 

«Touya? Touya, tutto bene?». 

La voce calma del dottor Miura lo riscosse dal torpore che lo aveva invaso. Da quanto tempo stava fissando il suo telefono? Scosse la testa per riprendersi dal vortice di pensieri in cui era stato inghiottito prima di rispondere al dottore. 

«Sì. Sì, sto bene, dottore, non si preoccupi.». 

Si infilò distrattamente il telefono nei pantaloni prima di seguire nell’ufficio il suo psicologo, che sembrava osservarlo con un leggero cipiglio sul volto. Forse, però, era una sua impressione. Una volta seduti, calò un leggero silenzio, mentre il dottore sembrava star scegliendo delle parole con cura. Touya si agitò sulla sua sedia con la strana sensazione che si ha da bambini quando hai combinato una marachella e non sai se tua madre se ne sia accorta o meno. Dopo qualche secondo di silenzio infinito, il dottore alzò lo sguardo su lui, limpido e caloroso come sempre. 

«Nelle nostre sedute abbiamo parlato di tante cose, giusto, Touya? Della tua infanzia, dei tuoi genitori, dei tuoi fratelli, di Keigo e di altri ancora. Mi hai raccontato persino di cose molto intime e molto segrete e sono contento del modo in cui stai elaborando il tuo dolore e il tuo passato, stai facendo passi da gigante...». 

Nella stanza galleggiava un implicito “ma” grande quanto una macchina. Quasi poteva vedere quelle due lettere accigliate in piedi sulla scrivania a giudicarlo, con toga e martelletto. Sentiva un rivolo di ansia fare capolino nella sua testa, in attesa di saltargli addosso e avvinghiarsi intorno alla sua testa in una morsa mortale. Se persino lo psicologo ce l’aveva con lui, l’ultima spiaggia era un ricovero psichiatrico. Come al solito, però, la mente lo aveva portato a dare per vere cose che in realtà erano solo, appunto, nella sua testa, perché il dottore riprese a parlare. 

«Sei riuscito a sviscerare ogni singola vicenda, a rifletterci sopra e a confrontarti con me ragionandoci a mente lucida. Quando però tocchiamo un altro argomento, una persona che immagino ti stia particolarmente a cuore e che in qualche modo ti ha sconvolto, in bene o in male lo dovrai scegliere tu, ti tiri indietro. Mi spiego meglio, se parlando di Keigo, con cui ti sei lasciato in malo modo, riesci a parlare con più serenità rispetto all’inizio, quando parliamo di... - prese una pausa per cercare di prepararlo alla bomba – Mitsuha, sembra quasi che ti rinchiuda a riccio e che debba rifare tutta la strada da capo.». 

Concluse il suo discorso intrecciando le dita di fronte a sé e osservandolo dai suoi occhiali tondi. Non vi era aspettativa in quello sguardo, né alcun tipo di accusa, come sempre, erano cristallini, si poteva leggere una pazienza infinita in quegli occhi, quel tipo di pazienza calma e rilassata, che ti lascia il tempo di riflettere senza dire qualcosa di affrettato. Anche se in realtà Touya aveva già capito dove voleva andare a parare, come sempre il dottore era provvidenziale. Sentiva che un sassolino iniziava a dargli particolarmente fastidio, che un ago era più in profondità rispetto agli altri nel suo cuore. Qualcosa nel vaso che si ostinava a tenere chiuso sgomitava tentando di uscire. 

E lui per una volta sentiva proprio il bisogno di buttare fuori tutto, tante verità nascoste, troppe palesi bugie. Guardò il dottore dritto negli occhi, mentre prendeva di nuovo il telefono e se lo stringeva in mano. Poi ebbe un’illuminazione e andò alla ricerca di un messaggio ben preciso. Ci volle qualche minuto, quella chat, che custodiva gelosamente come un tesoro, era piena zeppa di cose, alcune che lo fecero ridere, altre invece arrossire fino alla punta delle orecchie. Quando trovò il messaggio incriminato piazzò il telefono di fronte al professore, che lo stava guardando un po’ confuso. 

Da Mitsuha: 

23, Viper. Da solo. In borghese. 

Non fare tardi, Zuccherino. 

Il dottore Miura inclinò leggermente la testa di lato facendogli segno di spiegarsi. Touya si sfregò le mani sudate e calde e raccolse tutta l’aria possibile nei polmoni. 

«Da quel messaggio è andato tutto a rotoli nella mia vita. Il mio lavoro, i miei ideali, le mie amicizie, anche quelle che credevo indistruttibili. La mia intera esistenza prese un’altra piega, fu come se... - gli faceva ancora strano pronunciare quel nome dopo mesi di silenzio, gli scivolò sulla lingua come una canzone che si sa a memoria. - Mitsuha avesse stracciato il percorso che mi ero prefissato. È stata un tornado che ha mandato all’aria tutte le poche certezze della mia vita. Non ho ben capito se sia stata una cosa bella o brutta, ma di certo ha lasciato qualcosa.».  

*** 

Quella sera era umida e afosa. Touya, con solo un paio di jeans leggeri e una maglietta pescata a caso dall’armadio, si sentiva dentro a una fornace a cuocere lentamente in una estenuante attesa di essere mangiato. Il sudore appiccicoso gli faceva aderire la maglia alla schiena come una seconda pelle, aveva il viso in fiamme e i pantaloni sembravano essere fatti di lana, su cui, tra l’altro, regolarmente doveva asciugarsi i palmi bagnati. 

Per lui l’estate era l’inferno sceso in terra, ma più caldo e decisamente peggio, almeno l’ultimo girone dei dannati era congelato. A causa del suo quirk, già di suo aveva una temperatura corporea fissa ai 38°, se poi doveva aggiungercene altri 38 dall’esterno si squagliava come un ghiacciolo al sole con tanto di drammatici sfrigolii. La gola gli si seccava, facendolo sentire un vagabondo nel deserto, le ascelle si trasformavano in fontane incontrollate e un cerchio alla testa, che gliela faceva sentire pesante come il marmo, lo seguiva durante quelle caldissime giornate estive. Continuava a sistemarsi gli occhiali, che gli scivolavano sul naso a causa del sudore e delle stanghette troppo larghe. 

Si trovava di fronte all’entrata del Viper, una specie di club in una zona abbastanza tranquilla di Musutafu. Ogni volta che i bodyguard facevano entrare qualcuno usciva una piacevole brezza di fresco che gli rigenerava la nuca accaldata. L'insegna al neon colorata era un pugno in un occhio in quella strada sobria ed elegante, soprattutto per il verde e il rosa fosforescenti che coloravano logo del locale, ovvero sorpresa, una vipera. Non avevano molta fantasia i proprietari, a quanto pare. 

Controllò l’orologio di tela sistemandosi per l’ennesima volta gli occhiali con uno sbuffo infastidito, erano le 22:57. Al solito era in anticipo e, conoscendo il tipetto che era Mitsuha, era certo che si sarebbe come minimo presentata tra un’ora. Si lasciò sfuggire un verso impaziente, perché sapeva che sarebbe stata una lunghissima notte, anche se si doveva ancora riprendere dalla precedente. 

Aveva dormito tutta la mattina fino a mezzogiorno, svegliandosi ancora più rintronato e confuso di prima, per cui si era ordinato il pranzo a domicilio che aveva consumato in compagnia di Heidi sul divano guardando un drama coreano che aveva scelto tra i consigliati di Nile Prime Video. Non aveva capito niente della trama, perché si era riaddormentato con il panino in mano, da cui poi il suo gatto gli aveva rubato l’hamburger lasciandolo solo con il condimento e un due pezzi di pane insipido. Ovviamente a malincuore se li era mangiati lo stesso, non si butta via nulla! 

Alla ronda per fortuna era andato tutto bene, si era solo beccato 7 ore di camminata forzata in giro per i quartieri di Musutafu senza che accadesse nulla di eclatante. L'unico momento di adrenalina era stato un ladro di ciambelle nel parco, non aveva neanche dovuto rincorrerlo, perché gli era proprio passato affianco. Il criminale in questione era un bambino di 8 anni che voleva fare un dispetto alla sorellina, quindi si era limitato a fargli una ramanzina coi fiocchi e di rimandarlo tremante e con le lacrime agli occhi dalla madre. Si era consolato pensando alle scartoffie che si era evitato quel giorno. 

Poi appena era corso dritto lì mangiandosi uno yakitori dal chiosco in fondo alla strada. Ora erano esattamente venti minuti che stava aspettando di fronte al bar, sudato, stanco e anche un po’ irritato. Sentiva sulle spalle il sonno arretrato che si faceva sentire sempre più insistente, rendendolo anche nervoso. Lanciò un’altra occhiata all’orologio, constatando con gioia che erano le 23 spaccate. 

Bene, ora inizia la parte più difficile: aspettarla sperando che compaia. 

In realtà non dovette attendere molto, perché alle 23:02 sentì un fischio dietro di sé. Istintivamente si voltò per curiosità trovandosi di fronte Mitsuha in semplice canotta e pantaloncini a salutarlo con la mano e un sorrisino strafottente in volto. Gli si avvicinò con calma estenuante, fresca come una rosa una mattina di primavera, mentre lui si sentiva un pomodoro lasciato a marcire al sole. Cercò di darsi un contegno, drizzando la schiena e sistemandosi per l’ennesima volta gli occhiali, poi si stampò in faccia un sorriso forzato. 

«Ma che bravo ragazzo! Impari in fretta a rispondere ai richiami eh?». 

Touya strabuzzò gli occhi incredulo. Forse era il sonno che gli stava facendo brutti, orrendi scherzi, ma gli aveva appena dato del cane? Guardò la ragazza per una manciata di secondi, ponderando l’idea di prenderla a schiaffi o se fare il finto tonto. Alla fine gli scappò una risatina isterica, si erano appena visti e già questa faceva la stronza. E lui non aveva ancora aperto bocca! 

«Allora?». 

Mitsuha stava aspettando una risposta, ma lui avrebbe preferito di gran lunga girare i tacchi, mandare a farsi fottere la presidentessa e tutta la sua baraonda e trasferirsi ai Caraibi. Già si vedeva sulla battigia a non fare altro se non dedicarsi a una vita di solitudine e alcool. Si sforzò ancora di più di sorridere, quasi stirandosi tutti i muscoli facciali. 

«Ciao Mitsuha, sono contento che tu mi abbia scritto così in fretta.». 

La ragazza socchiuse gli occhi studiandolo, in particolare sembrava focalizzarsi sugli occhiali dalle grandi lenti rettangolari che portava. Non aveva fatto a tempo a comprare delle nuove lenti a contatto quindi si era dovuto arrangiare così, maledicendo le due diottrie completamente andate. E ora Mitsuha lo stava guardando come una bistecca. Sebbene fossero a qualche passo di distanza, si sentiva quegli occhi addosso sfiorarlo leggermente e non riusciva affatto a capire se la cosa gli piaceva o se lo faceva sentire tremendamente a disagio. 

«Forza, entriamo!». 

Così come era arrivata, Mitsuha all’improvviso si girò verso l’entrata del locale senza neanche aspettarlo. Touya rimase interdetto e, senza ragionare, si lasciò sfuggire un commento. 

«La fila inizia qui!». 

Mitsuha lo guardò da sopra la sua spalla con aria divertita, come si guardano i bambini quando sbagliano qualcosa. 

«Io non  faccio le file. E neanche tu stasera, quindi muovi quel bel culetto sodo ed entra, forza.». 

Poi fece un cenno con la testa bodyguard che fece loro spazio per passare. Nessuno dei clienti in fila osò fiatare quando ricevettero un’occhiata ringhiante dalla mercenaria. Touya, ancora sconvolto dal complimento circa il suo lato b, arrossì e poi si affrettò a seguirla, sforzandosi di non coprirsi il sedere con le mani. 

L'interno del locale era fresco, l’aria condizionata a manetta portava una lieve brezza che fu rigenerante per Touya. Mitsuha al suo fianco invece rabbrividì leggermente lasciandosi sfuggire un commento molto poco carino. Touya fu quasi tentato di passarle la sua felpa, ma lei si era già lanciata in mezzo alla folla. Il ragazzo, per niente entusiasta di passare la seconda serata di fila in mezzo alla gente, si lasciò sfuggire un verso sconsolato prima di seguirla. 

A differenza del The last hour il Viper sembrava messo decisamente meglio: era ampio e conteneva un bar, di fronte all’entrata, un bouffet alla sua destra, mentre alla sua sinistra c’era il deejay con qualche divanetto sparso in giro. Tranne il lato in fondo, tutto era circondato da un soppalco dalla balaustra di vetro, che ospitava i tavoli. 

Una cacofonia di suoni e colori caleidoscopici lo investirono in pieno appena mise piede nel locale. Le persone ballavano scatenate in pista spintonandosi a vicenda o strusciandosi gli uni sull’altri, mentre la musica rombava dalle grandi casse nascoste chissà dove. In quel momento il deejay si stava muovendo da una parte all’altra della console mischiando insieme canzoni di ogni tipo, prima poteva sentire l’assolo di chitarra di una canzone dei Queen che non fece in tempo a riconoscere perché partì il ritmo martellante di una qualche canzone tecno. La scelta opinabile della musica e le urla delle persone che esultavano ogniqualvolta il deejay cambiasse artista gli trapanavano le orecchie stordendolo più di quanto già non fosse. 

Neanche le luci stroboscopiche aiutavano, mutando di colore e direzione ogni secondo, non facendogli vedere nulla al di là del suo naso. La gente in pista era una massa unica che contorceva e si muoveva a ritmo di musica, con i bassi che facevano tremare il pavimento e le sue caviglie in maniera fastidiosa. 

Mitsuha si era gettata in mezzo alla folla, senza premurarsi di vedere dove lui si fosse cacciato, ed ora si trovava incastrato tra due ragazze che non se lo stavano calcolando di striscio. Dopo qualche tentativo fallito di tentare di superare il rumore assordante della musica con la sua voce, scocciato, le spintonò per andare a avanti, in barba a qualsiasi buona maniera impartitagli da sua madre. Le due, probabilmente ubriache, non si erano accorte di nulla, ignorandolo completamente, così si mosse zigzagando tra la gente. 

Ricevette spallate, gli schiacciarono i piedi, gli tirarono schiaffi senza neanche degnarlo di uno sguardo e lui dovette reprimere il fuoco che gli faceva prudere i palmi delle mani. L'aria condizionata faceva poco e niente, immerso com’era nel mare di folla, facendolo sudare ancora più di quando era fuori, se non peggio. Si stava innervosendo sempre di più perché Mitsuha sembrava volatilizzata, quasi fosse un’allucinazione che gli era venuta per il poco sonno. 

Avrebbe tanto voluto che fosse solo frutto della sua testa, ma un altro fischio, fin troppo reale, attirò la sua attenzione verso le scale che conducevano al soppalco. Voltata di spalle e già con un piede sul primo gradino, c’era Mitsuha che gli stava facendo cenno di raggiungerla al piano superiore. Quando constatò che il ragazzo l’aveva vista, continuò a salire le scale. Touya sbuffò perché doveva raggiungere l’altro lato della sala. Si tirò su le maniche della felpa e si fece coraggio, attraversando a testa bassa la pista. 

Accidenti! Non sono un cagnolino! 

Dopo aver schivato qualche ceffone distratto e qualche insulto riuscì a salire le scale due gradini alla volta, sudando come il guanciale sulla padella. Arrivato in cima, si guardò attorno alla ricerca di Mitsuha tra i tavoli bassi addensati a destra, con tanto di panche, e i tavoli alti invece a sinistra, vicino alla balaustra di vetro. Alcune persone erano in piedi ondeggiando a ritmo di musica chiacchierando tra loro, mentre altri preferivano sorseggiare i loro drink in pace sui tavoli, infine c’erano i camerieri che facevano sotto e sopra dal bar. L'aria là sopra era decisamente più respirabile e fresca rispetto al piano inferiore, poté finalmente tirare un grosso respiro e appoggiarsi con i gomiti al corrimano della balaustra per prendersi una pausa. 

Alzò poi il viso guardandosi attorno alla ricerca di Mitsuha, che vide sbracciarsi per farsi notare in fondo alla stanza, seduta su uno sgabello vicino a un tavolo alto. Si affrettò a raggiungerla e a sedersi di fronte a lei dandosi un certo contegno, era pur sempre lavoro quello! Mitsuha stava sorseggiando un drink, spuntato da non sapeva dove, completamente disinteressata a quello che la circondava. Si comportava come se fosse a casa sua. 

Alzò lo sguardo su di lui, con uno strano luccichio degli occhi. Sebbene la luce deformasse completamente i colori delle iridi, tinte di un nero così denso da sembrare blu, non riusciva comunque a nascondere la loro incredibile luminosità. Mitsuha finì di prendere una lunga sorsata del suo drink, che da quella distanza gli pareva essere qualcosa di zuccherino e tropicale. Si leccò le labbra prima di parlare. Senza accorgersene lo sguardo di Touya era finito proprio lì, meno male che le luci confondevano il rossore che gli era salito alle guance. 

«Allora cosa prendi?». 

«Pensavo fossimo qui per parlare, non per bere.». 

Mitsuha alzò gli occhi al cielo sbuffando. 

«Noi siamo qui per parlare E ANCHE per bere, Zuccherino.». 

Touya disse il primo drink che gli venne in mente. 

«Un negroni, grazie.». 

Mistuha arricciò il naso disgustata. 

«Il negroni? Fa schifo al cazzo quella roba, è amara. Poi la prendono solo i vecchi. Quanti anni hai, 70?». 

«Allora, uno spritz?». 

«Lo spritz si beve solo nel pre-serata ed è per ragazzini.». 

«Scegli tu al posto mio se sei così saputella di drink!» gli sfuggì spazientito. 

Mitsuha ridacchiò chiamando un cameriere e sussurrandogli qualcosa all’orecchio, poi riportò gli occhi su di lui. 

«Non hai paura che ti faccia infilare qualche droga nel drink, eroe?». 

«Non credo tu sia una da droga, sai? Se mi volevi fuori dai giochi, ci avresti pensato ieri.». 

Si appoggiò con gli avambracci sul tavolo osservando meglio la sua interlocutrice. Forse era il contesto diverso, forse il modo tranquillo di atteggiarsi, ma sembrava un’altra persona quella sera. Certo, rimaneva pur sempre più alta di lui, ma non gli incuteva il timore del giorno prima. Il modo con cui sorseggiava il suo drink ondeggiando la testa a ritmo di musica, le vans rosse consumate ai suoi piedi che oscillavano neanche fosse una bambina, si rigirava tra le mani la cannuccia mordicchiandola di tanto in tanto. Sembrava una normale e ordinaria ragazza della sua età. 

«Hai ragione, sì. Ti avrei già fatto fuori ieri sera, ma oggi mi tocca capire...». 

Caricò anche lei il peso del suo corpo sul tavolino, avvicinandosi a lui pericolosamente, sfiorandogli le mani, i loro nasi a pochi pollici l’uno dall’altro. A quella distanza rischiosa sentiva perfettamente il rum mischiato a quello aranciato del blu curaçao. Un preoccupante brivido lo scosse dalla nuca ai piedi stordendolo ancora di più quando Mitsuha riprese a parlare. Gli sarebbe bastato abbassare la testa per assaporare il cocktail direttamente dalle labbra dell’altra. 

« … perché non l’abbia già fatto.». 

Touya dovette sforzarsi invocando tutti gli dei sulla terra per non arrossire, ma non bastò visto che il collo e le orecchie iniziarono a bruciargli dall’imbarazzo. Per cosa poi, non lo sapeva, ma il brividino dell’averla così vicina continuava a fare sotto e sopra lungo la sua spina dorsale. Rimase qualche istante in silenzio, mentre lei era ancora lì a predarlo con gli occhi magnetici che senza vergogna continuava a far scorrere dal viso, concentrandosi in particolar modo sul cerchietto argenteo del central labret, fino a seguire la linea morbida della gola arrivando al dermal sulla fossetta giugulare e sulle clavicole, i cui diamantini continuavano a risplendere per le luci. 

Magari la prossima volta una maglietta un po’ più accollata, che ne dici Touya? 

Si sentiva in imbarazzo per quegli sguardi spudorati, non era abituato a essere osservato così a lungo e in quel modo. Come se esistesse solo lui nella stanza e non altri fustacchioni più grandi e grossi di lui e un po’ questo alimentava il suo ego affamato di attenzione. Lui si crogiolava in quel brivido continuo che lo scuoteva fin dentro le ossa, era appagante, come bersi un bicchiere di acqua ghiacciata in un giorno di sole cocente. Forse, per una volta poteva permettersi di darle corda? 

La tensione fu spezzata quando il cameriere gli posò di fronte al naso, tra lui e Mitsuha, il drink che avevano ordinato. Si allontanarono di scatto, come se fosse scoppiata una bolla. Touya si ritrovò davanti un drink di cui non aveva idea che cosa contenesse, quindi un po’ sospettoso lo prese con due dita e se lo avvicinò annusandolo: aveva un leggero sentore di arancia, con una nota dolce di cocco in sottofondo, tutto sommerso dall’intenso odore del rum. Si rese conto che era lo stesso che aveva ordinato Mitsuha e che ne aveva ordinato un altro uguale. La ragazza notò lo sguardo di diffidenza di Touya, che la osservava con occhi socchiusi e le labbra strette tra i denti, facendola ridacchiare.  

«Cosa? Non ti fidi di me?». 

«Posso essere sincero? No.». 

Mitsuha alzò le spalle senza protestare. 

«Non hai tutti i torti, neanche io mi fido di te. Direi che siamo pari.». 

Touya mugugnò un verso di risposta, adocchiando ancora il cocktail. Se fosse drogato lo capirebbe, no? Almeno dall’odore? O forse doveva guardare meglio il colore? Era così distratto dal cercare di capire se fosse una buona idea o meno bere da non accorgersi che Mitsuha aveva scambiato i due bicchieri e si era ingurgitata metà del suo. Calò tra di loro un silenzio quasi comico, mentre Touya sbalordito la guardava con occhi sgranati e lei si sgolava metà drink come se fosse acqua. Mitsuha gli rivolse uno dei suoi fastidiosi sorrisini. 

«Allora? Adesso ti fidi?». 

Touya rimase qualche secondo in silenzio, poi si portò la cannuccia alle labbra, assaggiando il drink. In bocca gli esplosero diversi sapori: l’amarognolo dell’arancia e dell’ananas che si scontravano con la dolcezza zuccherina del cocco, per poi inondare tutto con il forte gusto metallico del rum, che gli avvolse la lingua come fuoco. Anche solo dopo un sorso aveva sentito un’onda calda salirgli alla testa, stordendola per un secondo.  

«Cazzo, ma quanto è forte questa roba?». 

Mitsuha mordicchiò la cannuccia di carta ridendo. Forse era l’alcool, ma sembrava così limpida e sincera. 

«Blu curaçao, rum e malibu.». 

«E basta?!». 

«Ci dovrebbe essere un po’ di ananas.» disse la mercenaria distrattamente, tornando al suo cocktail e sorseggiandoselo con calma. Anche Touya preferì concentrarsi sul suo di drink, non sapendo cos’altro fare. Mitsuha finì il suo secondo cocktail rumoreggiando con la cannuccia, poi mise da parte il bicchiere e si concentrò su di lui. 

«Allora... Cosa mi racconti?». 

Touya sollevò un sopracciglio, allontanando le labbra dalla cannuccia. Ogni sorso era lava incandescente nella gola e nello stomaco vuoto. 

«Cosa dovrei raccontarti?». 

Mitsuha sollevò le spalle appoggiando il mento sulle mani e i gomiti sul tavolo, come una bambina che attende la storia della buonanotte. 

«Qualsiasi cosa.». 

Touya batté le palpebre dall’improvviso cambio di atteggiamento. L'altra sera sembrava una pantera pronto a sbranarlo, ora si comportava come un gatto dispettoso. Decise di bere un’altra lunga sorsata prima di parlare. 

«Allora, la Commissione ha in programma un ricer...». 

Mitsuha sbuffò sollevando un ciuffo di capelli che gli era finito davanti agli occhi, visibilmente scocciata. Alzò la mano a un cameriere a cui fece vedere due dita, poi questo annuì e scese le scale. Tornò a guardarlo con aria seccata. 

«Non mi interessa la Commissione, né tanto meno sul tuo amico pennuto. Come pretendi che io possa fidarmi e prendere per vere le tue parole, se prima non ti conosco?». 

Touya rimase imbambolato. In effetti non faceva una piega come ragionamento, però non è che gli andasse molto a genio raccontare i fatti suoi a una criminale. Bevve di nuovo, rendendosi tristemente conto di aver finito il drink. 

Se devo parlare dei cazzi miei, non voglio farlo da sobrio! 

Come se gli avesse letto nel pensiero, il cameriere arrivò con altri due drink dandone uno ciascuno. 

«Facciamo un gioco: uno dice due bugie e una verità e l’altro deve capire qual è la cosa vera. Se sbaglia, beve. Andata?» disse Mitsuha sollevando il bicchiere per invitarlo a sancire l’accordo con un brindisi. 

Touya ci pensò per qualche secondo, ponderando i pro e i contro, ma il mix di alcool allucinante che si era bevuto già iniziava ad alleggerirgli i pensieri, quindi scontrò il suo bicchiere con quello della ragazza. 

Cin cin! 



- SCLERI DELL'AUTRICE -
Buonasera!
Chi è capace di scrivere ben 14 pagine di pura e semplice *FUFFA*? IO :D! Poi mi viene l'ansia da prestazione quando devo scrivere capitoli un po' più d'azione :"), sono un caso perso.
Ma ciancio alle bande, bando alle ciance!
Fatemi sapere con un recensione, anche piccola piccola, cosa ne pensate e se vi sta piacendo! Non siate timidi, susu, non sono mica Mitsuha!
Buona settimana,
Giuli.

  
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