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Autore: Mary P_Stark    07/02/2022    1 recensioni
Bradford - 2010
Lorainne Simmons e Kennard Palmer sono entrambi volontari presso il Centro Diurno Rainbow, che si occupa di bambini e di famiglie in difficoltà. La loro amicizia si sviluppa entro le mura del Centro, oltre che fuori, e il suono di un pianoforte accompagna le loro giornate, pur se un'oscura minaccia sembra avvicinarsi per tentare di incrinare il loro neonato rapporto.
Riusciranno i due a fare fronte comune contro questo pericolo, o le loro differenze li divideranno per sempre?
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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3.
 
 
 
Quel giorno, aveva preferito aggirarsi per la città in piena notte ed evitare il turno diurno, piuttosto che perdere l’opportunità di vedere Lorainne. Il punto era che, di fronte allo specchio, Kennard stava osservando il più brutto caso di occhiaie da mancanza di sonno che gli fosse mai capitato di vedere.

Neppure sua sorella Evelin, quando rientrava dai turni di notte passati su una volante della polizia, era ridotta peggio di lui in quel momento.

Il motivo? Quando era rientrato dal pattugliamento, intorno alle quattro del mattino, non aveva chiuso occhio al pensiero di poter suonare ancora per Lorainne, e questo era l’indegno risultato.

Essere in ansia per un appuntamento – e di appuntamento non si trattava, tra l’altro – non gli capitava da quando aveva quindici anni e, al solo rendersi conto di questo, si sentì un completo imbecille.

Eppure, il pensiero di poter passare un pomeriggio con Lorainne che non volesse dire il dividerla con i bambini del Centro Diurno, gli era parsa un’idea così piacevole da avergli, per l’appunto, tolto il sonno.

Disgustato da se stesso, scese a pian terreno per fare colazione – abitando in una villetta a pochi passi da quella dei genitori, capitava che loro fossero lì, a volte – ma non trovò nessuno, a parte Evelin.

Girava come suo solito in maglietta e slip, indipendentemente dal fatto che vi fossero quaranta gradi o due e Ken, schifato, borbottò: “L’idea di vestirti, prima di presentarti in cucina, non ti passa mai per l’anticamera del cervello, vero?”

Lei ghignò al suo indirizzo, si mise in posa maliziosa e replicò: “Oh, poverino! Il mio fratellone è inorridito al pensiero di vedere sua sorella senza vestiti addosso… sei così puritano?”

“Non penso” bofonchiò lui, servendosi del caffè appena fatto dalla brocca che Evelin ancora teneva in mano. “Diciamo che preferirei risparmiarmi la vista.”

Per nulla desiderosa di lasciarlo in pace, Eve allora celiò: “Pensi a un fantomatico uomo che potrebbe mettermi le mani qui…” e, nel dirlo, si toccò le natiche. “…oppure qui?”

Ciò detto, si premette i palmi sui seni e scoppiò in una risata sguaiata, che martellò il cranio di Kennard quasi mandandolo al tappeto.

Bene, dopo le occhiaie cadaveriche, stava per esplodergli anche un bel mal di testa.

“Davvero non capisco come tu possa essere una poliziotta così tanto apprezzata dai tuoi superiori. Sei scostumata e sboccata come un trafficante di droga della peggior specie” sbuffò Kennard, dandole un pugno leggero sul capo bruno.

Lei gli fece la linguaccia per bella posta, si accomodò al tavolo della cucina e, nell’accavallare le lunghe gambe toniche, replicò: “E’ ovvio che, in Centrale, non mi comporto così. Ma da qualche parte dovrò pur dare libero sfogo alla mia vena di insaziabile guastafeste. Sono scappata dalla casa di papà e mamma anche per questo.”

“Diciamo piuttosto che mamma mi ha chiesto in ginocchio di ospitarti, perché non ne poteva più di te” ammiccò a quel punto Kennard, ricevendo per diretta conseguenza un pugno volante, che però lui schivò.

“Sei il solito stronzo!” sbottò lei prima di guardarlo con occhio attento e borbottare: “Perché sei ridotto così da schifo?”

“Non ho dormito bene” bofonchiò lui, sorseggiando il caffè. Niente a che fare con quello di Bernardo ma, per svegliarsi, poteva anche andare.

“Non hai affatto dormito, per conto mio! Hai due occhiaie da spavento” replicò lei, facendo tanto d’occhi.

Kennard storse il naso a quell’appunto per nulla carino e, dopo alcuni istanti di dubbiose riflessioni, le domandò: “Qualche rimedio femminile per eliminarle?”

Evelin scoppiò in un’altra risata sguaiata che non migliorò affatto il mal di testa sempre più forte di Kennard. Ugualmente, l’uomo si guardò bene dal rabberciarla come avrebbe fatto di solito perché, alla fine dei conti, aveva bisogno del suo aiuto e fare incazzare Eve era il modo migliore per avere una vendetta in cambio.

Ergo, niente rimbrotti… per un po’.

Asciugandosi una lacrima di ilarità, Evelin si levò dalla sedia e, nell’uscire dalla cucina, gorgogliò: “Devi aver conosciuto una donna pazzesca, per avere bisogno di me per farti bello! Chi è questa Wonder Woman?”

“Perché ci deve essere di mezzo una donna?!” esplose lui, urlando dalla cucina mentre lei, ancora ghignante, si era rifugiata nel bagno a pianterreno per recuperare la sua trousse.

“Da quando in qua ti serve una maschera facciale, Kenny?” ironizzò allora Eve, osservando soddisfatta il necessario per far sparire le occhiaie del fratello.

“Cosa dovrebbe servirmi, scusa?” bofonchiò allora lui, cominciando a preoccuparsi.

Tornandosene in cucina con passo trotterellante, Eve allora mostrò il suo necessaire  di bellezza e, con un ghigno che nulla avrebbe avuto da invidiare a quello di un lupo, ciangottò ironica: “Ma naturalmente, una maschera sgonfiante ai cetrioli!”

“Neanche morto” decretò lapidario lui, facendosi di ghiaccio.

Lei non lo ascoltò minimamente, lo sospinse verso una sedia con ancora la tazza del caffè in mano e, con un tono che non ammetteva repliche, disse: “Se non vuoi che ti segua per scoprire chi ti sta facendo preoccupare tanto per la tua bella faccia, non solo ti metterai la maschera, ma mi lascerai lavorare sulle tue sopracciglia.”

“Cos’hanno che non vanno?” esalò Kennard, fissandola iracondo.

Eve lo fissò con aria di sufficienza e, nello scuotere il capo, borbottò: “Questi uomini… in realtà non lo usate, lo specchio, altrimenti non dovresti neppure chiedermelo.”

Preferendo non indagare in merito alle sue sopracciglia – che aveva sempre creduto perfette – Ken si lasciò andare a un lungo, lento sospiro dopodiché, reclinando indietro il volto, borbottò: “Non farmi sembrare il Joker.”

“La tua donna sbaverà, dopo il mio trattamento” ghignò per contro lei.

“Non è la mia donna” sottolineò acido Kennard.

Eve allora si aprì in un largo sorriso, gli diede un buffetto sulla guancia e, nell’estrarre tutto il necessario per la maschera facciale, replicò arguta: “Ma hai appena ammesso che c’è, una donna.”

Ken fece per replicare ma, dopo un momento di attenta riflessione, preferì tacere. Evelin era una maga, negli interrogatori, e lui si era fatto abbindolare come un allocco. Meglio non ammettere nient’altro o, presto o tardi, avrebbe scoperto anche il numero di scarpe di Lorainne, di quel passo.

Che, per la cronaca, era il quaranta… anche se si sentiva mille volte fesso al solo pensiero di saperlo.
 
***

Ogni cosa era stata predisposta al meglio, nel negozio, e il profumo della frutta candita si accompagnava a quello dello zucchero a velo cosparso come neve sui biscotti. Succhi di frutta si affiancavano a bevande alcoliche per i più grandicelli e, mentre lei sistemava gli ultimi dolci al pan di zenzero, si volse allegra quando udì la porta d’entrata aprirsi.

“Benvenuti! Che bello vedervi tutti!” esordì lei, dando il benvenuto alla famiglia Dawson.

Da quando Alec era tornato dalla sua missione in Irlanda con la piccola Penny, il suo costante e ormai collaudato umor nero era quasi diventato un ricordo del passato.
Quasi.

Di lì a poco, da quel che aveva saputo dalla stessa Penny, la madre – Erin – sarebbe giunta da Belfast per diventare a tutti gli effetti la compagna di Alec e, tra le lupe, questo fatto aveva scatenato non solo cori di giubilo, ma autentiche ovazioni.

Nessuna di loro aveva nascosto, nel corso degli anni, un seppur minimo desiderio di diventare Prima Lupa, anche solo per aiutare Alec nella gestione del branco, non tanto per essere la sua compagna fissa.

Il fatto che lui non volesse per nessun motivo una donna nella sua vita si era palesato più che bene, nel corso degli anni, e la rottura con Beverly aveva messo i chiodi sulla bara di quel sogno agognato da diverse lupe.

Venire a sapere della presenza di Erin – e notare l’affetto palese di Alec nei confronti della figlia di quest’ultima – aveva però ridato speranza a tutti. Speranza che il loro Fenrir potesse, finalmente, liberarsi dai fantasmi di un passato terribile per poter pensare a un futuro più roseo e sereno per tutti, in primis per lui.

Perché, checché potessero aver pensato di Alec gli altri clan, negli anni precedenti, i membri del branco di Bradford avevano sempre tenuto in altissima considerazione il loro Fenrir, pur se a volte era stato duro e inflessibile. Saperlo felice, perciò, aveva fatto piacere a tutti.

Penny le corse incontro per abbracciarla con calore, strappandola ai suoi pensieri errabondi e Lory, nel darle un bacio sui biondi capelli, le sorrise e disse: “Hai già in mente cosa fare, oggi?”

“Vorrei provare il violino. Papà Marcus aveva iniziato a insegnarmi, e papà Aleksej ha detto che posso anche continuare a prendere lezioni” si limitò a dire con candore la bambina, lanciando poi uno sguardo adorante all’uomo oggetto dei suoi pensieri.

Alec si limitò a storcere il naso e annuire – il fatto che la bambina fosse l’unica a poterlo chiamare con il suo vero nome, la diceva lunga – così Lorainne, nell’indicargliene uno, disse: “Conosco un ragazzo in gamba, che potrà darti tutte le lezioni che vuoi.”

“Di chi si tratta?” borbottò immediatamente Alec, mentre Irina – la madre di Alec – si lasciava andare a un sorrisino comprensivo.

Lorainne non se la prese affatto per il tono burbero di Alec e, nell’indirizzare la bimba perché prendesse lo strumento, si avvicinò al suo Fenrir e disse: “E’ uno dei miei ex studenti. Studia al Royal Northern College of Music di Manchester e, nei fine settimana, torna sempre a casa dai suoi. Posso garantire per lui, inoltre è molto bravo coi bambini, e sa come tenere vivo in loro l’interesse per la materia.”

“Voglio conoscerlo comunque” brontolò l’uomo, pur rilassandosi un poco.

“Non avevo dubbi” ammiccò lei prima di indirizzare figlio e madre presso il tavolo dei rinfreschi.

Con Alec, o imparavi a deviare i colpi, o ti riempivi di lividi. L’infanzia terribile che aveva dovuto affrontare aveva lasciato su di lui cicatrici visibili – e altre no, ma ugualmente orrende – ma, almeno nell’ultimo anno, qualcosa aveva iniziato a cambiare.

Il suo regime duro e totalitario, per quanto giusto e corretto, aveva sempre tenuto sul chi vive ogni membro del branco ma, da quando Alec era venuto a più miti consigli con il branco di Matlock, un lento cambiamento era iniziato a venire a galla.

L’arrivo di Penny gli aveva dato il colpo di grazia e, in cuor suo, Lorainne era curiosa di conoscere Erin, l’unica donna in grado di aprire uno squarcio nell’animo buio del loro Fenrir.

La campanella della porta suonò proprio in quel momento e, inconfondibile come il suo dolce preferito, l’aroma di Kennard le solleticò il naso, portandola a volgere lo sguardo e sorridere al tempo stesso.

Quel giorno aveva indossato un morbido maglione di lana color crema a collo alto, jeans schiariti e degli scarponcini di pelle. Sul braccio teneva poggiato il cappotto e, quando lei si avvicinò per prenderlo, disse: “Ben arrivato. Hai fame, spero. Ho cibo per un reggimento.”

“Non rifiuto mai il cibo, credimi” le sorrise lui, dando un’occhiata in giro prima di inquadrare un uomo alto e nerboruto nei pressi degli strumenti ad arco.

Accanto all’uomo, simile a un folletto dei boschi, una bambina stava inscenando un balletto tenendo in mano un violino e mimando di suonarlo mentre, dalle labbra, sgorgava una melodia in una lingua a lui sconosciuta.

Una donna canuta batteva le mani al ritmo con la sua melodia, sul volto un oceano di rimpianti, ma anche la speranza di poterli cancellare proprio grazie al folletto biondo che la stava incantando.

“Sono miei amici” mormorò al suo fianco Lorainne, osservando a sua volta la scena con un caldo sorriso sulle labbra. “La bambina si chiama Penny, e l’uomo accanto a lei e il suo patrigno.”

“E’ davvero splendida” sussurrò Kennard prima di domandare: “Spero che non sia un caso di…”

“Oh, no. Nessun divorzio violento, o cose simili. Il padre della piccola è morto lo scorso anno, e la madre si è presa cura di lei da sola finché, nelle loro vite, non è apparso Alec” gli spiegò lei, accentuando il proprio sorriso. “Alec la adora, e penso che aprirebbe in due la Terra, se lei gli chiedesse di farlo.”

Accennando un risolino, Kennard esalò: “Con un fisico simile, credo ne sarebbe in grado.”

Lorainne annuì in risposta ma, quando Alec si volse verso di loro per seguire con lo sguardo Penny – ora impegnata a sfiorare con reverenziale timore una fila di violini appesi al muro – Kennard venne colto alla sprovvista. Di colpo, neanche si fossero aperte le cateratte del cielo, antiche reminiscenze lo colpirono come fitta pioggia, riportandolo indietro di vent’anni.

Tornò a un altro tempo, a un altro luogo, agli affollati corridoi della sua scuola, al cacofonico via vai dei compagni e a lui… al bambino che il padre aveva sfregiato al volto.

All’epoca, tutti loro ne erano rimasti sconvolti – quale ragazzino non sarebbe rimasto basito di fronte a una simile crudeltà? – ma, quel che più aveva colpito Kennard, era stato vedere quel ragazzino.

La vittima.

Alec Dawson.

Di un anno più grande di lui, Alec era apparso imperturbabile nonostante lo squarcio che suo padre gli aveva procurato al volto. Il suo sguardo gli era parso come morto, inattaccabile in alcun modo da nessun tipo di sciagura o patimento.

Persino i sentiti auguri di una pronta guarigione che tutti loro gli avevano tributato – e la speranza che il padre non tornasse mai più – erano sembrati scorrergli addosso come acqua fredda.

Quel colpo di coltello, probabilmente, aveva ucciso la sua fanciullezza e, nel parlarne con il padre e lo zio, si era dichiarato impressionato dalla forza di volontà di quel ragazzo.

E ora, a distanza di vent’anni, Alec Dawson era lì … perché era sicuro che fosse lui! Quella cicatrice che gli percorreva la guancia era inconfondibile – l’aveva fissata per troppe volte, per non ricordarne anche la più piccola increspatura –,   anche se tutto il resto era cambiato. Inoltre, dubitava fortemente che, in tutta Bradford, vi fosse un altro uomo con uno sfregio del genere in volto.

Perché ricordarsene, però? Dopotutto, non si erano mai frequentati molto, né Alec era mai stato propenso a starsene in compagnia con i bambini più piccoli di lui.
Forse perché quell’episodio aveva sconvolto tutti loro, all’epoca, e lui in particolar modo?

Kennard non seppe spiegarselo ma, quando incrociò gli occhi grigi dell’uomo, vide un altro particolare in netto stridore con l’Alec del passato. Il suo sguardo non era più morto, ma viveva. Viveva per il folletto biondo che, in quel momento, raggiunse tutta sorridente proprio lui, gli strinse una mano e domandò: “Tu sei un amico di Lory?”

“Eh? Oh… sì” assentì Ken, distogliendo a fatica lo sguardo da Alec per posarlo sulla bambina.

“Come l’hai conosciuta?” si informò a quel punto Penny, picchiettandosi l’archetto del violino sul mento, lo sguardo indagatore e attento.

Spalancando leggermente gli occhi per la sorpresa, Kennard si volse a mezzo quando sentì Lorainne ridacchiare divertita e, nello scrollare le spalle, disse: “Io e lei lavoriamo insieme al Centro Diurno.”

“Allora ti piacciono i bambini!” esclamò trillante Penny, balzellando allegra attorno a lui.

“Non disturbare il signore, ranocchietta” intervenne con tono blando Alec, gli occhi grigio ghiaccio ora puntati sulla bimba.

Lei assentì subito, si esibì in una riverenza di fronte a Kennard e disse per contro: “Scusa. Parlo sempre molto… a volte, troppo. Ma non posso farci niente. E’ bello conoscere le persone, e penso che…”

Alec si schiarì la voce e Penny, interrompendo nuovamente il suo fiume di parole, rise con dolcezza di se stessa, fece la lingua a mo’ di scusa e borbottò: “Ecco,… appunto…”

Kennard allora le sorrise comprensivo, scosse il capo e replicò: “Amo molto le persone ciarliere, non temere.”

“Oooh, papà! Allora posso…” iniziò col dire Penny, lanciando uno sguardo speranzoso all’indirizzo di Alec.

A quel punto, Alec sospirò e disse, rivolto a Kennard: “E’ la tua condanna a morte. Non me ne prenderò la responsabilità.”

“Esagerato” chiosò Lorainne, sospingendo poi Ken verso il pianoforte. “Tieni impegnata Penny con un tuo brano, forza. Clarisse ti stava aspettando.”

Lui può usare il piano?!” esalò sconvolta Penny, illuminandosi in viso di fronte a quella notizia inattesa.

“Sì. Clarisse lo adora” ammiccò Lorainne prima di tornare da Alec e Irina, che si erano sistemati accanto al tavolo dei rinfreschi.

Mentre Kennard si sistemava sul panchetto di fronte a Clarisse, Penny si appoggiò con delicatezza al pianoforte e domandò con reverenziale timore: “Ma davvero te lo lascia suonare?”

“Lorainne è davvero così permalosa, riguardo a questo piano?” ironizzò a quel punto Ken, trovando quella domanda un po’ strana.

“Mia mamma dice che alcuni oggetti trattengono parte dell’anima di coloro che più li ha amati e, di sicuro, deve essere successo questo, se Lorainne non vuole che le persone tocchino questo piano. Mi ha raccontato che la sua nonna adottiva lo amava molto.”

“Nonna… adottiva?” mormorò sorpreso Kennard, iniziando ad accennare l’aria di Per Elisa.

Annuendo, Penny lanciò una rapida occhiata in direzione di Lorainne – che stava amabilmente chiacchierando con due nuovi avventori – e, con aria da cospiratore, borbottò: “Il mio papà è morto, e ora Alec è il mio nuovo papà, così come Irina è la mia nuova nonna. Clarisse, invece, divenne la nonna di Lorainne quando fu adottata. Me l’ha detto lei.”

Quell’ultima specifica fece sorridere Kennard, che replicò: “Tranquilla, ti credo.”

Penny allora sorrise grata e mormorò: “A volte, gli adulti non credono ai bambini.”

“Lo so” assentì con tono triste lui, lasciando scivolare con abilità le mani sui tasti d’avorio.

Socchiudendo gli occhi, permise alla musica di sfiorare il suo animo perché lo trasportasse in un luogo più tranquillo. Lì, dove guerre e nemici non erano presenti,  fu con sorpresa che intravide il volto di Lorainne in quel calmo ambiente boschivo ove, di solito, si rifugiava per meditare.

Fu solo una fugace apparizione, subito cancellata dal sospiro incantato di Penny, che lo strappò a quel mondo pacifico per riportarlo al presente.

“Ora capisco perché piaci tanto a Clarisse” mormorò Penny, poggiando il capo sul bordo del pianoforte per tributargli un sorriso tutto fossette.

Kennard ne rimase incantato per un istante, prima di chiederle: “Senti la mancanza del tuo papà? Suonava, per caso?”

“Papà Marcus? Sì, lui suonava il pianoforte, e la mamma passava un sacco di tempo ad ascoltarlo suonare” mormorò pensierosa Penny, giocherellando con una ciocca di capelli mentre la musica di Kennard lentamente si trasformava in un allegro valzer viennese.

“E il tuo nuovo papà suona?”

Penny a quel punto sorrise maliziosa, scosse il capo ma asserì: “Papà suonerebbe il primo che si permettesse di farmi del male. Questo sì.”

Kennard a quel punto rise divertito, mutò il valzer in una spensierata giga spagnola e disse: “Scommetto che ti piace sapere che il tuo nuovo papà è così protettivo con te.”

“Oh sì” ammise con candore Penny prima di avvertire il peso di una mano sulla sua spalla.

Volgendosi a mezzo, sorrise sbarazzina ad Alec, che li aveva raggiunti al pianoforte, e aggiunse: “Adoro il mio nuovo papà perché è forte, mi vuole bene e ne vuole tantissimo alla mamma.”

Alec ammiccò leggermente al suo indirizzo, se la caricò tra le braccia con facilità – nonostante Penny fosse già abbastanza grande per quel genere di servizio – e dichiarò: “E io adoro te, ranocchietta. Hai stordito abbastanza le orecchie di questo pover’uomo?”

“Penso di sì” gorgogliò la bambina, lanciando poi un sorriso pieno di malizia a Kennard prima di salutarlo e allontanarsi tra le braccia del padre.

Alec lo salutò con un cenno e a Ken non restò altro che guardarli allontanarsi, con la certezza che quella bambina fosse finita tra le mani di un buon patrigno.

Nei suoi occhi non aveva scorto dolore per la morte del padre, ma solo il dolce ricordo di lui unito all’amore spassionato e leale nei confronti della sua nuova figura paterna.

Di meglio non si poteva sperare, per un bambino.

Lorainne si sostituì a Penny quand’anche l’ultimo degli avventori – e dei suoi amici – fu uscito dal negozio e, nel poggiare i gomiti sul piano, sorrise a Kennard e disse: “Clarisse sta letteralmente facendo faville, con te. Mi sembra che il suo suono sia addirittura migliore del solito.”

“Non ti so dire… però mi piace suonarlo” mormorò lui, lasciando degradare il suono per poi trasformarlo in una melodia dolce, leggermente melanconica e dai toni antichi, quasi dimenticati dai più.

Lorainne sorrise nell’udire quel brano – un’antica ballata norrena – e, scrutando piena di curiosità Ken, domandò: “Come mai conosci questa melodia?”
Lui allora rispose al suo sguardo e replicò: “E tu, come la conosci?”

“Amo la musica folkloristica” asserì Lorainne scrollando le spalle. “Tu, invece, che scusa hai?”

“Mia nonna la cantava spesso, quando io e mia sorella eravamo piccoli” mormorò Kennard, ripensando ai lunghi Natali passati a Glasgow, dinanzi al focolare dei nonni, intenti ad ascoltare storie di folletti, draghi e lupi.

Nonna Arabell era morta l’anno addietro a causa di una brutta polmonite e, da quel momento, suo nonno si era chiuso in se stesso fin quasi a non parlare più. Inutili erano stati i tentativi di suo padre e dello zio di convincerlo a venire a Bradford; lui sarebbe rimasto dove aveva sempre vissuto con la sua Bells, e niente gli avrebbe fatto cambiare idea.

Gli mancava, ma sapeva che andare a trovarlo proprio in quel periodo lo avrebbe fatto soltanto infuriare. Sarebbe andato da nonno Kieran in un momento meno delicato dal punto di vista emotivo e, da bravo Palmer, avrebbe fatto valere i suoi diritti di nipote.

Checché ne dicesse lui.

A quel pensiero fece un mezzo sorriso, interruppe la melodia e, nell’osservare Lorainne, disse: “Penny è un uccello canterino dalla lingua lunga.”

“Oh… cos’ha spifferato, quella fatina ammaliatrice?” si incuriosì lei, volgendosi a mezzo per poggiare il fianco contro il pianoforte e stringere le braccia sotto i seni.

“Mi ha detto che sei stata adottata. Spero che la cosa non ti disturbi” ammise lui, giocherellando coi tasti e inventandosi un brano lì per lì.

Scrollando una spalla, Lorainne replicò: “Non è un segreto nazionale. Solo, non è un argomento che approccio con tutti.”

“Ti turba che io lo sappia?” volle allora sapere Kennard.

“No” disse soltanto lei, e all’uomo bastò.

Era lieto di aver aperto uno spiraglio nella vita di Lorainne e, al tempo stesso, non era del tutto certo di voler aprire ancor di più la porta che dava sul suo mondo. Sarebbe stato in grado di tirarsi indietro, all’occorrenza, o avrebbe ceduto al suo fascino, lasciando quindi perdere la sua importante missione?

Avrebbe avuto il coraggio di mettere da parte lei per portare avanti la sua lotta contro i licantropi?

Lanciando uno sguardo di sottecchi al volto rilassato di Lorainne, al suo sorriso accennato, a lungo collo inarcato all’indietro – quasi che la sua musica strampalata le stesse dando un piacere inaspettato – Kennard non fu del tutto sicuro dei suoi intenti.

Ma non voleva smettere di suonare per lei, di vedere quel viso disteso e rilassato per merito suo. Il che, di per sé, era già una risposta ai suoi mille quesiti.

Il fatto che volesse o meno rendersene conto, era secondario.
 
***

Sorseggiando un po’ di aranciata mentre Lorainne era intenta a impacchettare un ottavino per una dodicenne dall’aria eccitata e piena di aspettativa, Kennard sollevò leggermente il suo bicchiere di plastica nel veder giungere sua sorella.

Eve si presentò verso le sette di sera, evidentemente appena smontata dal suo turno alla Stazione di Polizia, un borsone sulle spalle e gli anfibi ancora ai piedi.

Il suo abbigliamento, in effetti, era una strana miscellanea di eleganza e trasandatezza, il che era un’autentica stranezza, per Eve. Di solito, non voleva apparire meno che perfetta, quando si trovava fuori casa.

Il lungo impermeabile della polizia, abbinato ai pantaloni della tuta, gli anfibi e una felpa col cappuccio, non erano gli abiti con cui era solita uscire. Perciò, cos’era successo?

Sorprendendosi nel vederla attraversare il negozio per raggiungerlo, lo sguardo corrucciato e ombroso, Kennard le domandò: “Ehi, Eve! Come mai così conciata?”

“Non me ne parlare, Ken…” brontolò Eve, poggiando la sua sacca a terra prima di servirsi un bicchiere di coca-cola, guardarsi intorno incuriosita e aggiungere: “… bel posto. Non ci ero mai entrata ma, passandoci davanti, mi ha sempre incuriosito.”

“Stai cambiando discorso” sottolineò il fratello, offrendole un biscottone alle noci e zenzero.

Addentandolo, Eve se lo gustò con piacere prima di ammettere: “Una perdita nelle tubature dello spogliatoio. Quando sono rientrata dal giro di pattuglia, lo spogliatoio era allagato… e gli abiti negli armadietti erano zuppi.”

"Una tubatura scoppiata?" esalò Kennard prima di esibirsi in un sorrisino vagamente derisorio.

Eve lo frizzò con lo sguardo, accigliandosi non poco, e borbottò: "Non osare aprire bocca, razza di damerino che non sei altro. Pensa piuttosto a passarmi un altro biscotto."

Ken la accontentò subito e, quando vide giungere una incuriosita Lorainne, la avvertì dicendo: "Attenta ad avvicinarti. Mia sorella morde, al momento."

Levando le sopracciglia con aria sorpresa, Lorainne replicò: "Non sapevo che avessi una sorella... e che fosse una poliziotta. Buonasera, io sono Lorainne Simmons, la proprietaria."

"Eve Palmer... gran bel posticino. Ci passo sempre davanti la mattina con l'autopattuglia, ma non ho mai avuto il tempo di entrare" asserì la giovane, allungando la mano libera dal biscotto prima di aggiungere: "Chi ha fatto questa squisitezza?"

Lorainne accennò un sorriso e un cenno del capo ed Eve, nell'afferrare un terzo biscotto, chiosò: "Sarei tentata di requisirli per eccesso di bontà, ma credo che mio fratello si incazzerebbe."

"Eve..." sospirò Kennard, lanciando un'occhiata alla porta d'ingresso, dove avevano fatto capolino un paio di bambini adulto-muniti.

"Ops" sussurrò birichina Eve, ammiccando all'indirizzo di Lorainne, che scrollò appena le spalle.

"C'è musica in sottofondo. Dubito abbiano sentito" replicò in un mormorio Lorainne prima di scusarsi con loro per accogliere i nuovi arrivati.

Volgendo lo sguardo di nero acciaio in direzione del fratello, Eve miagolò: "E' lei, vero, che ti ha obbligato a fare una maschera facciale?"

Kennard tentò con ogni mezzo di non arrossire - ce la mise davvero tutta - ma il profuso calore che avvertì alla base del collo cospirò contro di lui, smascherandolo.

Sbuffando, perciò, si limitò a dire: "Non vederci del marcio. Mi piace stare in sua compagnia, tutto qui."

"E' carina..." mormorò Eve con fare da cospiratore. "... e sa fare ottimi biscotti. Quasi quasi le chiedo se vuole uscire con me."

Passandosi una mano sul volto con espressione esasperata, Kennard squadrò da capo a piedi la sorella e, disgustato, borbottò: "Mangi come un cavernicolo, eppure non metti su un chilo. Dovresti vergognarti. Di solito sono gli uomini che si conquistano col cibo, eppure tu svieni ogni volta che ti si offre una cena."

"Che ci vuoi fare. Sono debole" ammiccò lei, afferrando una tartina di pesce e trovandola squisita. "Dio! Se ha fatto anche questa, me la sposo!"

"Sei pessima" sbuffò Kennard, tornando da Clarisse per rilassarsi un poco.

Eve lo seguì con movenze feline e, poggiandosi al piano, mormorò maliziosa: "Cosa suonerai per me, bell'uomo?"

"Piantala di fare l'idiota e ricordati che indossi ancora i colori del tuo Corpo. Sii un po' più seria di così" borbottò Kennard chiudendo gli occhi e poggiando le mani sulla tastiera d'avorio.

Eve allora ridacchiò, si ammutolì nel rimettersi diritta e in posizione di riposo dopodiché, strizzato l'occhio a uno dei bambini testé entrati in negozio, sussurrò: "Pronto per sentire un artista all'opera?"

Il bambino osservò incuriosito la figura di Kennard e quest'ultimo, nel sogghignare all'indirizzo della sorella, mugugnò: "Meriteresti che non suonassi, ma farò un'eccezione giusto perché ho un pubblico."

Ciò detto, accennò il jingle di Mission Impossible e subito il bambino si illuminò in viso, battendo piano le mani al ritmo con la musica intonata da Kennard.

Dal bancone della cassa, Lorainne sorrise e il padre del bambino, nell'osservare il figlio così preso dall'ascolto, asserì: "Quasi quasi assolderei il tuo fidanzato per tenerlo calmo durante il giorno. E' per caso disponibile?"

Lorainne allora rise, scosse una mano e replicò: "Oh, ma Kennard non è il mio fidanzato. E' solo un amico."

"E gli permetti di suonare Clarisse?" ironizzò allora l'uomo, strizzandole l'occhio.

"Papà, papà... chi è Clarisse?" domandò la figlioletta di cinque anni, aggrappata timidamente ai suoi pantaloni.

"E' il nome che Lory ha dato al pianoforte, tesoro. E lei è mooolto gelosa di quello strumento" ironizzò l'uomo mentre Lorainne lo fissava con espressione accigliata e divertita al tempo stesso.

"Dovrei picchiarti, Conrad, per quello che hai detto, ma non lo farò mai davanti a May" brontolò la giovane, piantando le mani sui fianchi.

"Allora userò May come escamotage per raggiungere il tavolo dei rinfreschi ed evitare i tuoi artigli" ammiccò l'uomo, prendendo in braccio la figlia per poi avventurarsi verso il fondo del negozio.

Lorainne scosse esasperata il capo e sorrise. Persino i neutri del branco erano preoccupati che lei rimanesse sola. Non bastavano le attenzioni assidue di Penny; a quanto pareva, la malattia di Cupido si era estesa a macchia d'olio in tutto il clan.

A quel punto, temeva che per Natale le presentassero dinanzi alla porta un uomo infiocchettato in tutto e per tutto, con tanto di auguri infilati in bocca a mo' di mela come per i porcellini arrosto.

La sola idea la fece scoppiare a ridere e, subitaneo, lo sguardo di Kennard la cercò, quasi che quella risata liberatoria lo avesse sorpreso.

E, in parte, ne aveva anche ben d'onde. Se ne stava da sola, al bancone della cassa, e rideva di cose solo sue. Niente di strano che l'avesse trovata una scena bizzarra.

Per evitare altre pessime figure, quindi, si avviò per raggiungere gli altri e, nell'affiancarsi a Eve e al figlio di Conrad, Peter, domandò a quest'ultimo: "Allora, come ti pare che suoni?"

"Il tuo ragazzo suona davvero bene!" esclamò Peter, facendo avvampare in viso Lorainne e scoppiare a ridere il resto dei presenti.

"Conrad!" esclamò a quel punto Lorainne, fissando l'amico con espressione vendicativa mentre l'uomo cercava di non strozzarsi con la coca-cola e, al tempo stesso, tentava di non far cadere a terra la figlia.

Eve si asciugò una lacrima di ilarità, diede il cinque al bambino ed esalò: "Oddio, è davvero venuta benissimo, come scena. Scusa, ma è così."

Lorainne si passò una mano sul volto ancora arrossato e borbottò: "Sono circondata da complottisti."

Kennard le sorrise complice e dichiarò: "Dovremmo sorprenderli davvero e metterci insieme, che dici?"

"Non ti ci mettere anche tu, Ken, ti prego, o non la finiranno più di ficcanasare!" esalò Lorainne, aprendo così le danze per un nuovo giro di risate. "Oooh,... siete impossibili. Tutti quanti!"

L'istante seguente, si avviò al tavolo dei rinfreschi, si preparò un mix di coca-cola e sprite e lo ingollò in un colpo solo.

A quella vista, Conrad storse naso e bocca e borbottò: "Dio, che schifo, Lory..."

"L'ho fatto apposta. Lo so che odi quando lo faccio" ghignò lei, facendo il bis.

"Non sai stare agli scherzi" si lagnò comicamente lui.

"Quando ne sono la vittima? No. Per niente" ammise con candore la giovane, tornando a osservare il trio accanto al pianoforte.

Peter stava praticamente conducendo un interrogatorio in piena regola a Kennard, mentre Eve lo assecondava, offrendogli sempre nuovi spunti per altre domande.

Ken, per contro, svicolava con abilità qualsiasi argomento troppo personale, lanciando nel contempo occhiate venefiche alla sorella, che però sembrava immune ai suoi strali.

Nel complesso, Lorainne trovò il tutto esilarante e, anche se l'idea di essere presa in mezzo a quel gioco sentimentale ancora le bruciava un po', le piacque conoscere quel lato di Kennard che, ancora, non aveva scoperto.
 
***

Nel chiudere il negozio, Lorainne si volse per ringraziare Eve e Kennard - rimasti con lei per sistemare gli avanzi nei rispettivi contenitori ermetici per alimenti - e, quando si fu assicurata di aver serrato per bene la porta sul retro, disse: "Siete stati davvero gentili a rimanere con me fino a ora. Non ce n'era davvero bisogno."

"Oh, credimi, Lorainne... a casa ci aspetta una noiosissima riunione di famiglia perciò, più me ne tengo lontana, meglio è" chiosò Eve, scrollando le spalle.

Kennard la guardò esasperato, replicando: "Le dai l'idea che la nostra famiglia sia pessima."

"Non sia mai... papà, mamma e lo zio sono a posto... ma quando arrivano i cugini da Manchester, mi darei per morta molto volentieri" sospirò Eve con fare melodrammatico.

"La solita esagerata" celiò Kennard prima di rivolgersi a Lorainne per domandarle: "Hai bisogno di uno strappo a casa?"

"No, tranquillo. Passano a prendermi tra poco" lo rassicurò lei prima di aprirsi in un sorriso quando vide avvicinarsi un pick-up scuro.

Kennard ne seguì lo sguardo e, per poco, non lanciò un'imprecazione quando un vichingo alto poco meno di due metri scese da un pick-up tirato a lucido e munito di roll-bar cromati davvero degni di nota.

"Carico la roba e andiamo" asserì laconico il nuovo arrivato, accennando un saluto con il capo a Kennard ed Eve prima di avviarsi in direzione delle scatole nei pressi della porta sul retro.

"D'accordo" acconsentì Lorainne prima di mormorare: "Lui è William, un mio caro amico."

Ciò detto, aprì lo sportello posteriore del pick-up per permettere a William di caricare le scatole con il cibo rimasto ed Eve, con un sorrisino malizioso, prese sottobraccio il fratello e disse con casualità: "Noi allora andiamo. Buon Natale, e grazie ancora per i biscotti."

Nel dirlo, sollevò la scatola che Lorainne le aveva lasciato e quest'ultima, nel salutarli mentre Eve, letteralmente, trascinava via un accigliato fratello, esclamò: "Ti darò la ricetta, visto che ti piacciono tanto!"

"Sono più buoni se me li preparerai ancora tu!" replicò con una gran risata Eve prima di spingere quasi a pedate Kennard dentro la sua utilitaria.

Lorainne rise divertita di fronte a quella scenetta e, per l'ennesima volta, sentì la mancanza di un fratello o una sorella con cui condividere un simile cameratismo.

Certo, nel suo branco erano tutti più o meno gentili e prodighi di attenzioni nei suoi confronti,  ma non era la stessa cosa.

"Hai notato che puzzavano d'argento?" le domandò a sorpresa William, passandole accanto.

"Eh? Oh, sì. Ken porta un anello di famiglia sul mignolo, mentre Eve ha una collana con un pendente di Swarovsky" assentì Lorainne, chiudendo per lui la sponda prima di salire sul pick-up.

William annuì distrattamente, a quell'accenno, e borbottò: "Stacci attenta, caso mai volesse prenderti per mano, quel bell'imbusto."

Lorainne scoppiò in una grassa risata ed esalò: "Ma pensi che sia nata ieri?"

"Non si sa mai" scrollò le spalle William, mettendo in moto per allontanarsi dal negozio e dal centro città. Quella sera, avevano un'importante riunione al Vigrond e non era il caso che tardassero troppo.

Finalmente avrebbero incontrato Erin, perciò era il caso non tardare. Quell’evento avrebbe anche potuto essere segnato negli annali, e lei non voleva perdersi un solo attimo.
 
***

"Che peccato, fratellone... a quanto pare è già impegnata con Mister Norvegia 2010" chiosò maliziosa Eve, imboccando la via per uscire dal centro città.

Kennard sbuffò al suo indirizzo, replicando: "Sei tu che ti sei fatta dei castelli in aria, pensando a chissà che cosa. Io te l'avevo detto che non dovevi vederci del torbido."

"E' per questo che ti sono cascate le palle, quando hai visto quel concentrato testosteronico di muscoli e bellezza da paura?" ironizzò ancor più maliziosamente la sorella, lasciandosi poi andare a un sospiro di apprezzamento.

"Se ami il genere 'palestrato e steroidato', sono affari tuoi. A me non fa né caldo né freddo" precisò Kennard, pur sentendosi rodere dentro dal tarlo del dubbio.

Quella sorta di armadio a quattro ante era davvero il fidanzato di Lorainne? E se sì, a lui cosa ne sarebbe importato?

Importa, importa, disse una vocetta nella sua testa. Dal tono, poteva essere lo spirito diabolico di Eve che si era infiltrato nel suo cervello al solo scopo di tormentarlo.

"Povero, povero il mio fratellone. L'unica volta che dimostra davvero interesse per una donna, questa è impegnata" ironizzò con ancor più sarcasmo Eve.

Kennard la fissò malissimo e replicò gelido: "Quando mamma ti ha partorito, deve averti dato cicuta, al posto del latte, sennò non si spiega."

Eve scoppiò in una grassa risata di gola e Ken non poté che dichiararsi sconfitto. La sorella era impermeabile a qualsiasi insulto e, soprattutto quando poteva prenderlo in giro per via della sua vita amorosa piuttosto scarsa, non conosceva rivali.

Tanto valeva far finta di niente e pensare ad altro. Semmai vi fosse riuscito.


 
  
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