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Autore: My Pride    12/02/2022    1 recensioni
Il silenzio cadde come un macigno, i muscoli di tutti loro si irrigidirono e il brivido che corse lungo le loro schiene li raggelò seduta stante. Nessuno sembrava voler credere a quelle parole, una bizzarra sensazione di dejavù si affacciò nelle loro menti e rese difficile respirare, quasi stessero annaspando sott’acqua per prendere aria. Persino Jason aveva allentato la presa e fatto cadere a terra le sue pistole, il cuore stretto in una morsa mentre gli mancava il fiato.
Genere: Angst, Avventura, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bat Family, Bruce Wayne, Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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2. Only need the light when its burning low Titolo: Only need the light when its burning low
Titolo del capitolo: For all of the bruises
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo due: 4019 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Alfred Pennyworth, Barbara Gordon, Stephanie Brown, Cassandra Cain, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: 
Angst and Hurt/Comfort, Emotional Hurt/Comfort, Smut, Avventura
Avvertimenti: Descrizioni di violenza, Slash


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
 
    Talia riprese del tutto conoscenza solo il quinto giorno.
    In un primo momento, la donna aveva sgranato gli occhi e si era drizzata a sedere e si era portata una mano alla cintola, come a voler afferrare la sua spada, ma era stata costretta a crollare nuovamente sul materasso quando le ferite le avevano impedito di raddrizzarsi come avrebbe voluto. Aveva imprecato a denti stretti e si era lasciata sfuggire un lamento, cercando di fare mente locale mentre si guardava intorno. E, quando aveva riconosciuto l’arredamento della camera… un po’ aveva sorriso. Tuttora si trovava a letto, la schiena poggiata sui cuscini e una tazza di the che le era stata gentilmente portata dal maggiordomo nonostante tutto in attesa di Bruce. Ammetteva di non ricordare di essere riuscita ad arrivare alla villa, non ricordava nemmeno di aver pensato di andarci, ma il suo subconscio l’aveva guidata nel solo posto in cui sarebbe potuta essere al sicuro. Era una crudele ironia.
    Sospirò, allungando debolmente una mano per afferrare la tazza e soffiare un po’ sul pelo del the. Zenzero e ginseng, con zucchero di canna e una fettina di limone, il suo preferito. E dubitava che Alfred, per quanto fosse un perfetto maggiordomo, conoscesse i suoi gusti a tal punto, quindi doveva essere opera del suo antico amore. Bruce ricordava ancora come beveva il the… che stranezza.
    Bevve un sorso, cercando di fare mente locale, con i ricordi ancora un po’ offuscati come se volessero proteggerla da qualcosa. Si rendeva conto di essere ridotta male, ed era certa che fosse stato anche peggio quando era arrivata al maniero.
    Fu un cigolio a distoglierla dai suoi pensieri e si voltò immediatamente verso la soglia sbattendo le ciglia con fare vagamente curioso. «Amato?» chiamò quando la porta si aprì silenziosamente, ma nell’incontrare lo sguardo di suo figlio entrambi tacquero, senza sapere cosa dire. Tra loro c’erano così tante cose non dette che faticavano ad articolare i pensieri, quindi fu Damian il primo a parlare.
    «Madre», esordì con un pizzico di rispetto, per quanto in quell’unica parola parve risuonare anche una vada nota di disprezzo.
    «Damian», replicò lei, squadrandolo mentre si avvicinava passo dopo passo, con la sicurezza di una tigre. «Non ci vedevamo da molto. Sei diventato un uomo degno del tuo nome».
    Damian non rispose, si limitò solo a prendere posto sulla sedia che in quei giorni era stata occupata da suo padre e osservò il viso di sua madre in silenzio. I lividi avevano cominciato ad assumere una brutta colorazione giallastra, ma le ferite stavano guarendo più rapidamente del normale. La fortuna di avere un corpo che era stato immerso innumerevoli volte nell’acqua di Lazzaro, probabilmente.
    «Cosa ti è successo?» chiese infine, la schiena rigida e composta mentre i suoi occhi verdi catturavano lo sguardo di quelli altrettanto verdi della madre, la quale scosse brevemente il capo.
    «Vorrei poterti rispondere, figlio mio. Ma temo di non ricordarlo ancora», ammise sincera. «Quel che è certo, è che chiunque sia stato…»
    «…pagherà», concluse rapidamente per lei, chiudendo una mano a pugno sulla coscia mentre Talia gli gettava un’occhiata curiosa. Non si vedevano da tre anni e lei di certo non era stata una madre esemplare, ma allungò la mano sprovvista di tazza verso il viso del figlio, poggiandola sulla sua guancia destra.
    «Mentre io guardavo dall’altra parte, sei davvero diventato uno splendido uomo», proferì. Vide Damian poggiare la mano sulla sua, sentendolo stringerla un po’, e sorrise brevemente.
    «Non era per questo che a dieci anni mi lasciasti a mio padre?»
    «Certamente. Anche se… c’è qualcosa di molto più morbido, nel tuo sguardo».
    Damian a quel punto lasciò cadere la mano, allontanando anche quella della donna mentre serrava la mascella. «Non potevi prioprio evitarlo, vero, madre? Dovevi proprio rovinare tutto ricordandomi quanto per te fossi inadeguato».
    «Non era ciò che intendevo», affermò lei in tono schietto. «Mi ricorda il modo in cui io stessa--» la sua frase fu interrotta dalla porta che si apriva nuovamente, poi la figura massiccia di Bruce fece il suo ingresso, gli occhi fissi su Damian e Talia, ma soprattutto sul sorriso che parve far capolino sulle labbra di quest’ultima.
    Adesso che poteva vederli così vicini dopo anni, era sconcertante rendersi conto come suo figlio avesse ereditato così tanto i tratti della madre. Pur essendo muscoloso, condivideva la sua stessa corporatura longilinea, il fisico asciutto e allenato era molto simile, lo si poteva notare anche attraverso i vestiti che indossavano; il volto affilato e gli zigomi alti facevano risaltare quegli occhi verdi e brillanti dal taglio orientale, e il tutto, unito alla sua pelle abbronzata, gli conferiva quella bellezza che anni addietro l’aveva conquistato in Talia.
    Dovette sbattere più volte le palpebre per riscuotersi dal bizzarro torpore in cui l’aveva gettato quella visione, volgendo lo sguardo verso il figlio. «Potresti lasciarci soli, Damian?»
    Come prevedibile, le folte sopracciglia del giovane si sollevarono. «Non sono un bambino. E, anche se lo fossi stato, avrei avuto diritto di sapere».
    «Lascia che resti, Amato». L’ultima parola parve provocare uno strano silenzio tra i tre, prima che la donna continuasse. «Se sei venuto ad interrogarmi», stavolta la voce divenne un po’ più dura, come a voler ristabilire i ruoli fra loro, «devo purtroppo informarti di avere ancora i ricordi molto confusi».
    «Il padre è rimasto qui tutto il tempo, in questi giorni», si intromise Damian, e Talia sbatté le palpebre prima di guardare Bruce dritto negli occhi, quasi a voler cercare la menzogna nelle parole del figlio.
    «Dunque non erano i deliri di una mente stanca».
    «No». Bruce finalmente si avvicinò, indugiando con una mano sospesa come a volerle carezzare i capelli, quei lunghi capelli scuri e lisci come la sera, ma si trattenne. Entrambi cominciarono a fissarsi con un’attenzione tale che Damian cominciò a sentirsi a disagio, nonostante fossero i suoi genitori. Sentiva un'atmosfera stranamente elettrica tra loro, parole non dette e sguardi fugaci, quell’aria un po’ imbarazzata di chi aveva tanto da dire ma non sapeva come esprimerlo, così si batté le mani sulle cosce e si alzò.
    «Forse sarà meglio che vi lasci davvero soli, dopotutto», dichiarò e, per quanto gli furono lanciate due lunghe occhiate, non vi prestò attenzione, facendo solo un breve cenno di saluto col capo per andare alla porta e chiudersela alle spalle. Si appoggiò con la schiena contro di essa e socchiuse le palpebre, sentendo solo qualche breve mormorio sconnesso prima di lasciar loro un po' di privacy.
    Per quanto non stessero insieme da secoli e non si fossero visti per tre anni, salvo qualche rara occasione in cui la madre ideava chissà quale piano malvagio - quindi mai per parlare come due persone normali, ma in fin dei conti loro non erano una ex-coppia comune -, era certo che in quel momento nessuno dei due avrebbe voluto averlo tra i piedi, e lui era ormai abbastanza grande, e soprattutto emotivamente comprensivo, da capire certe cose. Tra loro c'era stato amore, una volta, un amore che si era poi tramutato in un odio referenziale e poi mortale, una guerra in cui lui era stato la vittima prima di tornare alla vita; quando lui stesso aveva cercato la redenzione per le azioni che aveva compiuto in passato, e lui le aveva domandato perché l'avesse ucciso, lei gli aveva risposto che si sarebbe fatta la stessa domanda per l'eternità, smarrita nella visione di qualcun altro e nella bugia di non volerlo più. Aveva chiesto la redenzione, una possibilità di dimostrargli che sarebbe potuta essere la madre che era un tempo, e il suo combattere raramente a fianco di suo padre aveva fatto quasi credere a Damian che le cose si sarebbero potute sistemare... ma la ferita era ancora aperta e aveva appena compiuto dodici anni, all'epoca. Tuttora, seppur a modo suo avesse provato a stargli vicino, non riusciva a fidarsi del tutto della parola di sua madre.
    Frustrato, Damian si passò una mano fra i corti capelli scuri, allontanandosi. Una vocina fastidiosa nella sua testa continuava a dirgli di non abbassare la guardia, ma un bizzarro senso di sollievo si estese nel suo petto alla consapevolezza che sua madre aveva ripreso conoscenza e stava persino avendo una conversazione civile con suo padre. Ma voleva risposte, e soprattutto voleva mettere le mani sul bastardo che aveva osato toccare sua madre.
Stava per dare un pugno contro un muro quando il suo telefono squillò e le parole “I'm more than a bird, I'm more than a plane” risuonarono nel corridoio - okay, mettere il ritornello di “It's not easy” era stato un po' idiota, ma l'idea era stata dell'idiota in questione -, ma fu proprio la suoneria a fargli capire chi era prima ancora di leggere l'ID chiamante non appena afferrato il cellulare. «Ehi, J».
    «Ehi». Dato il suo tono di voce, Damian era certo che stesse sorridendo come suo solito, e la cosa gli fece sollevare un angolo della bocca in un sorriso. «Tutto bene?»
    Damian annuì, ma poi si rese conto che l'altro non avrebbe potuto vederlo, quindi si umettò le labbra e raccolse la calma che poco prima stava per perdere. Jon aveva un tempismo perfetto. «Mia madre si è svegliata».
    «Grande! Come sta?»
    «Spaesata, ma… abbastanza bene», ammise. «Non ricorda ancora cos'è successo, e anche le ricerche che stiamo facendo hanno portato solo a buchi nell'acqua».
    «Riuscirete a trovarlo, ne sono sicuro».
    Lo disse con una tale sicurezza che Damian sorrise sincero, stavolta. Ed era una fortuna che Jon non potesse vederlo, dato che provò a metter su la sua solita maschera scettica. «Che ottimismo, boyscout».
    «Oh, andiamo, lo dici come se Redbird e Batman non potessero risolvere un caso». Ci fu un tonfo metallico e il rumore di qualcosa che si schiantava al suolo, poi la voce di Jon tornò a farsi sentire allegramente. «Senti, mi occupo di questo ragazzone d'acciaio - e non mi riferisco ad un altro kryptoniano - e vengo lì, okay? So cosa ne pensa B dei meta a Gotham... ma tecnicamente sono mezzo alieno e sono il tuo ragazzo, se ne farà una ragione».
    Damian roteò gli occhi, sentendo l'ennesimo schianto che lo costrinse ad allontanare il cellulare dall'orecchio prima di riprendere. «Facciamo che ci vediamo alla nostra Fortezza. Ho intenzione di seguire delle piste al di fuori del raggio d'azione di mio padre, lì potremmo... lavorare indisturbati».
    «Ah-ah...» La voce che scaturì dalla sua gola parve divertita e, se Damian avesse potuto, era certo che avrebbe visto le labbra carnose di Jon incurvarsi in un sorrisetto furbo. «Ricevuto, D. Sarò lì entro dieci minuti. Ti aspetterò».
    Non si salutarono con un “Ti amo”, non era da loro, ma era sottinteso in tutti i gesti e le parole che facevano, quindi l'espressione tranquilla di Damian era un'ovvia conseguenza al semplice fatto che Jon esistesse... e basta. Per quanto avessero avuto i loro trascorsi, fosse sparito nel trentunesimo secolo e fosse tornato molto più vecchio, alla fine entrambi ci avevano fatto i conti e avevano ricominciato esattamente da dove avevano lasciato la loro amicizia, che era poi diventata qualcosa di più. E Damian non si pentiva affatto di averlo scelto e aspettato. Essere più piccolo e più basso di lui a volte ancora gli bruciava, ma c'erano momenti in cui la loro differenza d'altezza era tutt'atro che un impiccio.
    Scosse la testa per cacciare quei pensieri, non era una ragazzina alla prima cotta e per quanto amasse Jon non poteva deconcentrarsi in quel modo, andando in camera per preparare giusto uno zaino con qualche ricambio, cercando di evitare che Alfred il gatto si sdraiasse sui vestiti che abbandonava sul letto; non contava di stare via molto a lungo, ma quel tipo di operazioni richiedevano un po' di tempo ed era sempre meglio essere preparati. Non ci mise più di cinque minuti, anche se a lui ce ne sarebbero voluti un po' di più per raggiungere la baia, ma si erano dati appuntamento direttamente alla Fortezza, quindi chi sarebbe arrivato prima - sicuramente Jonathan, ma quello era un altro paio di maniche - avrebbe aspettato l'altro.
    Dopo una carezza alla testa pelosa del gatto, Lasciò la sua camera nel momento esatto in cui vide anche suo padre e sua madre uscire dalla stanza, con Pennyworth che sembrava stesse raccomandando proprio a quest'ultima di non fare sforzi mentre si incamminavano di sotto prima di lui. A quanto sembrava, il maggiordomo aveva reputato le sue condizioni abbastanza buone da farle sgranchire un po' le gambe.
    La cosa, lo ammetteva, lo rincuorava. Seguì con lo sguardo le figure dei suoi genitori, sentendo nuovamente nel petto quell'egoistico desiderio che, a dieci anni, aveva avuto nei loro confronti, sperando come il bambino che era che tornassero insieme e combattessero il crimine senza più lottare tra loro. Erano così inconsapevolmente vicini che Damian quasi si chiese se avessero ancora quella chimica che li aveva visti uniti la prima volta, che aveva spinto suo padre a farle molti regali e a viaggiare con lei a Parigi. No, non doveva pensarci.
    Scese anche lui con lo zaino in spalla, e non fece nemmeno in tempo a svoltare l'angolo che il suo cellulare squillò di nuovo. Stessa suoneria, stesso chiamante. «Hai appena chiamato, che c'è?» domandò non appena rispose, sentendo un po' di grida in lontananza.
    «Mhn... D... ecco... mi sa che ci vediamo tra un'ora, roba... roba da Super», disse dispiaciuto, e Damian fu abbastanza sicuro che si stesse mordendo il labbro inferiore. «Mi farò perdonare».
    «Sarà meglio», ironizzò Damian. Non era arrabbiato, i loro doveri venivano prima di tutto. Lui stesso si concentrava prima sulla missione e molte volte avevano dovuto rimandare uscite al cinema o semplici nottate insieme. «Ci vediamo dopo... habibi».
    Il canticchiare divertito di Jon gli giunse come un trillo di campane, prima che uno schiocco simile ad un bacio si facesse sentire al ricevitore e venisse salutato ancora una volta, scuotendo brevemente il capo. Non lo chiamava spesso “Amato”, soprattutto non in arabo, ma a Jon sembrava piacere molto la sua cadenza e la tonalità in cui lo diceva, quindi di tanto in tanto poteva accontentarlo.
    Non si rese nemmeno conto di essere arrivato davanti al salotto, gettando un rapido sguardo oltre la soglia solo per fare un breve cenno in direzione del padre. Lui e sue madre si erano accomodati sui divani, l'uno di fronte all'altra, e nonostante la lontananza quella scena aveva quasi un po' di... calore. Era strano. Non era abituato a vederli così, al di fuori del campo di battaglia. 
    «Padre», richiamò immediatamente la sua attenzione, aspettando che si voltasse verso di lui. «Sarò alla Fortezza se avrai bisogno di me. Non conto di restare a lungo».
    Sulle prime Bruce non parve convinto, ma il figlio aveva passato gli ultimi cinque giorni a tener d'occhio sua madre insieme a lui, a prendere a calci i criminali e a cercare informazioni, quindi poteva capirlo se sentiva il bisogno di cambiare un po' aria. «Comunicazioni aperte».
    «Come sempre».
    Damian si congedò con un altro breve cenno del capo, senza accorgersi che sua madre l'aveva osservato per tutto il tempo finché non era scomparso oltre la soglia ancora una volta.
    «Non mi avevi detto che Damian aveva trovato una donna», esordì lei non appena il figlio se ne fu andato, e Bruce arcuò un sopracciglio.
    «Ha diciannove anni, non è compito mio informarti sulle relazioni sentimentali di nostro... cosa?» domandò, sinceramente stupito dalla costatazione di Talia. Una donna?
    Talia agitò una mano in risposta, alzandosi dal divano solo per sedersi sinuosamente al suo fianco. «Ho sentito l'ultima parte della sua conversazione. In ogni caso, devo ammettere di essere piuttosto delusa dal fatto che non abbia ritenuto importante informarmi di aver scelto colei che porterà in grembo l'erede degli Al Ghul». Il suo bel viso assunse un cipiglio scocciato. «Inoltre qui in America il suo arabo è diventato dozzinale, ha sbagliato a pronunciare habibti».
    Bruce, solitamente così composto, stavolta dovette combattere con tutte le sue forze per non farsi sfuggire una parola di troppo quando Talia poggiò il capo sulla sua spalla. «Già», replicò, guardando altrove nel far finta di niente. «Dev’essere così».
    Se Damian avesse voluto parlarne alla madre, l’avrebbe fatto da solo.


***


    Massaggiandosi le tempie, Bruce stava facendo scorrere tutti i files che aveva nel bat-computer, seguendo le indicazioni che Talia gli aveva fornito.
    Dopo la chiacchierata che avevano avuto, l'aveva lasciata riposare ancora ed era uscito per raggiungere Lucius alle Wayne Enterprises per una riunione straordinaria, ma la sua mente era stata rivolta altrove per tutto il tempo, gettando persino sguardi alla città attraverso le grandi vetrate della torre. Aveva seguito poco o niente, preoccupato per l'uomo sconosciuto che era arrivato a Gotham e che aveva ridotto Talia in quelle condizioni, prima di dover tornare a concentrarsi per fare il suo lavoro.
    La chiamata che aveva ricevuto nemmeno un'ora dopo, però, l'aveva fatto trasalire. Dicendo di aver avuto un'emergenza in famiglia, si era scusato e aveva lasciato le redini della situazione a Lucius, promettendogli che gli arebbe spiegato tutto in un secondo momento prima di tornare alla villa direttamente in elicottero. Quando era tornato, aveva visto un Alfred letteralmente scompigliato da capo a piedi e con la giacca, solitamente impeccabile, stracciata in più punti, con il fucile alla mano e un paio di uomini vestiti di nero riversi per terra al suo fianco; il labbro inferiore era spaccato e aveva un taglio profondo sullo zigomo, ma tutto sommato sembrava che fossero stati quegli assalitori a passarsela peggio. Anche Tito aveva attaccato qualcuno, azzannando le loro gambe per proteggere chi era rimasto in casa. E Talia era lì, in piedi accanto a lui, con la vestaglia di seta macchiata di sangue e una spada spezzata in mano, il viso completamente sporco mentre cercava di raccogliere le forze. L'aveva raggiunta un secondo prima che crollasse sul pavimento, e si era accasciata fra le sue braccia ma senza svenire; si era solo limitata a poggiare una mano sul suo petto e ad artigliare con le dita la sua camicia, fissandolo con occhi dardeggianti di furore.
    Era stato Alfred a spiegargli ciò che era successo, ma solo quando erano riusciti a portare Talia in soggiorno e a calmarla una volta seduta sul divano, poiché per fortuna non era stata ferita ulteriormente. Gli aveva detto, cercando di mantenere la sua solita compostezza nonostante il tono un po' agitato, che lo avevano sorpreso mentre preparava il the, facendo saltare letteralmente in aria le enormi vetrate della cucina; lui si era difeso, calciando uno di quegli uomini allo stomaco prima di saltare il bancone e recuperare il suo fucile, sparando verso di loro dei dardi tranquillanti. Era riuscito a sedare quelli che l'avevano attaccato, ma un'esplosione aveva richiamato la sua attenzione ed era corso di sopra, trovando la “signorina Talia” a lottare con altri uomini. E, anche se la battaglia che ne era sussesguita non era durata molto, aveva comunque aperto un nuovo capitolo in tutta quella storia.
    Poi era stato il turno di Talia. Dopo aver bevuto un sorso del suo the al bergamotto, aveva sollevato lo sguardo verso di lui e l'aveva osservato con un'espressione così furibonda che persino Bruce era certo di non averla mai vista. E poi Talia aveva pronunciato un nome. Un singolo nome che l'aveva portato a fare quelle ricerche lì sotto dopo che la donna gli aveva spiegato come stavano le cose, con la memoria che tornava pezzo dopo pezzo.
    «Quando avresti voluto dirmi che Talia era alla villa?»
    La voce di Tim rimbombò nella caverna, riscuotendolo un po' dai suoi pensieri mentre si massaggiava un po' il mento. Sollevò giusto una mano, tornando a digitare qualcosa sulla tastiera. «Ciao anche a te, Tim» esordì in tono incolore, sentendo uno sbuffo da parte del figlio adottivo.
    «Sì, beh, ciao, Bruce. Quando avresti voluto dirmi che Talia era alla villa?» ripeté Tim, e stavolta ricevette uno sguardo veloce. Bruce sembrava stravolto, e aveva delle occhiaie profonde quasi quanto le sue quando gli mancava il sonno e funzionava solo a caffè.
    «Non sapevo nemmeno che saresti tornato».
    «Questo non risponde comunque alla domanda».
    Bruce si passò una mano fra i capelli, tornado a guardare l'enorme schermo come se stesse cercando le parole adatte. La sua schiena era ricurva, le spalle rigide, e aveva cominciato a picchiettare con un dito sul bordo della scrivania con un certo nervosismo. «Giorni fa è stata attaccata. Con le ultime forze che le restavano, è riuscita a trascinarsi fin qui». Vide Tim aprire la bocca per replicare, ma lo zittì immediatamente nell'alzare una mano. «L'uomo che l'ha ridotta in quello stato è ancora a Gotham».
    «Fammi capire, ci ha portato un altro criminale?» domandò Tim con un certo scetticismo, non molto incline a credere alle parole di Talia o a qualsiasi cosa si fosse inventata per piazzarsi nella villa. Per quanto lui fosse andato a vivere da solo, quella restava pur sempre casa sua.
    «Non è così facile come sembra, Timothy». Bruce gli scoccò un'occhiata, scrutandolo con attenzione. «Da quando Talia ha preso il posto di Ra's, le cose nella Lega sono andate solo secondo i suoi piani, senza rispettare le disposizioni che aveva dato inizialmente suo padre», spiegò, e Tim afferrò lo schienale dell'altra poltrona, trascinandola a sé per potersi accomodare e ascoltare attentamente. Bruce apprezzò quel silenzio, continuando. «E non tutti alla Lega hanno apprezzato le sue iniziative. Sembra siano pronti per spodestarla».
    «…e se fosse tutta una messa in scena? Magari lavorano insieme e stanno cercando di fregarti», osò Tim, lanciandogli un’occhiata. Quando si trattava di Talia, certe volte Bruce non era davvero così lucido come voleva sembrare.
    «Tu non hai visto com’era ridotta quand’è arrivata, Tim».
    «Sto solo dicendo--»
    Bruce sollevò una mano come per zittirlo. «So cosa stai pensando. Il fatto che io e Talia abbiamo avuto una storia non offusca la mia capacità di giudizio».
    «Senza offesa, Bruce, ma ci hai fatto anche un figlio». Venendo fulminato all’istante, sollevò entrambe le mani in segno di resa. «Sto solo dicendo», ripeté, guardandolo di sottecchi, «che Talia non è nuova a macchinazioni del genere. Ma poniamo il caso che di volerle concedere il beneficio del dubbio… abbiamo una pista?»
    Nonostante l’aria poco concordo che si era dipinta sul volto di Bruce, quest’ultimo scosse la testa brevemente. «È letteralmente fuori dai radar», replicò, ravvivandosi i capelli all’indietro. «Talia mi ha fornito qualche codice e mi sono infiltrato nel database della Lega per scaricare le informazioni su quest’uomo, basandomi sulla descrizione di Talia. Ho effettuato una ricerca facciale utilizzando le telecamere di sicurezza della città, ma non ha ancora dato i suoi frutti».
    «Credi ancora che non ci sia qualcosa di strano, in tutta questa storia?»
    La domanda di Tim era comprensibile. Bruce era sempre stato un uomo paranoico, diffidente nei confronti degli altri e restio a credere come oro colato a tutto ciò che gli si parava davanti... eppure, in quel momento, una parte di lui sembrava voler davvero dar credito alle parole di Talia.
    Fu quindi dopo un lungo attimo di esistazione che Bruce guardò con estrema attenzione il figlio. «Monitorerò la situazione», affermò. «E se Talia sta davvero tradendo la mia fiducia, non--» prima che potesse aggiungere qualcosa, fu il computer stesso a richiamare l'attenzione di entrambi e si voltarono immediatamente a fissarlo. Nei pressi di Crime Alley, proprio nel luogo in cui erano stati uccisi i suoi genitori, avevano trovato una corrispondenza. L'uomo che stavano cercando era stato visto lì, e avrebbero ancora potuto seguire le sue tracce.
    Bruce e Tim si gettarono una rapida occhiata, e l'uomo si alzò immediatamente per afferrare il mantello abbandonato precedentemente sulla sua poltrona. «Indossa l'uniforme, Red Robin», esordì, indossando il cappuccio. «Abbiamo un lavoro da fare»
.





_Note inconcludenti dell'autrice
Partiamo dalle cose che ho dimenticato (come sempre, ovviamente). Il titolo della storia è tratto dalla canzone Let her go di Passenger. E, anche se viene direttamente citata nella storia, la suoneria di Damian è Superman (It's not easy) dei Five for Fighting, canzone che in quel momento mi sembrava abbastanza adatta come suoneria personalizzata per Jon. Sì, io cerco sempre le canzoni più assurde.
La situazione comunque sta cominciando a venire poco a poco a galla e Bruce e Talia stanno ricominciando ad avvicinarsi, anche se... anche se Talia ancora non conosce la vera natura della relazione di Damian, lol. Non qui, almeno
Prossimamente, forse posterò di nuovo Swap (Bodies)
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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