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Autore: Mary P_Stark    21/02/2022    2 recensioni
Bradford - 2010
Lorainne Simmons e Kennard Palmer sono entrambi volontari presso il Centro Diurno Rainbow, che si occupa di bambini e di famiglie in difficoltà. La loro amicizia si sviluppa entro le mura del Centro, oltre che fuori, e il suono di un pianoforte accompagna le loro giornate, pur se un'oscura minaccia sembra avvicinarsi per tentare di incrinare il loro neonato rapporto.
Riusciranno i due a fare fronte comune contro questo pericolo, o le loro differenze li divideranno per sempre?
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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5.
 
Settembre 2011 - Centro Diurno Rainbow
 
L'estate era stata terribilmente afosa, pur se Kennard aveva potuto contare su un ambiente lavorativo climatizzato come il suo ufficio. Non aveva però potuto evitare le sue consuete uscite per i controlli  presso le famiglie che seguiva giornalmente, e questo aveva voluto dire essere testimone di ambienti tra i peggiori e desolanti mai visti.

Presentarsi nei luoghi più disagiati di Bradford in cravatta e mocassini gli aveva quasi fatto perdere il senno, perché era difficile respirare quando avevi quel maledetto capestro di seta stretto attorno al collo.

Il suo capo, però, era stato lapidario. Ci si doveva presentare impeccabili, a casa delle famiglie, per dare l'idea che loro sapessero esattamente cosa fare, e come farlo.

Cosa c'entrasse l'essere vestiti come pinguini, Kennard ancora non lo capiva. Inoltre, era complicato difendersi da hooligan mezzi ubriachi, quando eri tirato a lucido come un penny nuovo di zecca.

Quando, perciò, le giornate avevano cominciato ad accorciarsi e il sole a farsi meno terribile, era tornato a respirare davvero.

Quel giorno, poi, la brezza che spirava dalla Scandinavia portava con sé frescura e cieli limpidi e alti, dandogli l'idea di giornate finalmente piacevoli e non più costellate da umidità e temperature assassine.

Anche per questo, quella mattina era uscito poco prima delle sette per recarsi al Centro Diurno Rainbow. Quel luogo era una valvola di sfogo per i suoi pensieri, oltre che l’unico posto in cui si sentisse al sicuro dove incontrare Lorainne.

Da quella serata al Citypark non aveva più osato mettere piede neppure nei pressi del suo negozio e, ogni qualvolta lei gliene aveva chiesto il motivo, lui aveva accampato ogni genere di scusa.

Incontrarla al Rainbow, però, lo metteva al sicuro da imbarazzanti silenzi, vista la presenza costante dei bambini, perciò gli era parso l’unico luogo adatto in cui vederla senza dare di matto.

Perché era ormai sicuro che sarebbe successo questo, se l’avesse incontrata senza qualcosa – o qualcuno – a frapporsi tra loro.

Nell'entrare nel Centro Diurno per la sua consueta giornata insieme ai bambini, si diede comunque mentalmente dell’idiota e sperò che anche quella domenica potesse svolgersi al meglio.

Ergo, vedere Lorainne senza dover però rimanere solo con lei.

Un controsenso in termini ma, almeno per il momento, non poteva permettersi altro, se non voleva rischiare di saltarle addosso come un maledetto animale senza alcun controllo.

La vista di quel biondo vichingo che le faceva la corte lo aveva quasi mandato al manicomio e, suo malgrado, dopo quella sfortunata serata di giugno, si era ritrovato spesso a bazzicare nei dintorni della casa di Lorainne.

Ufficialmente, si era detto che lo faceva per tenerla al sicuro, ma sapeva bene che le sue azioni erano dettate unicamente dal desiderio di essere certo che lei non avesse altri appuntamenti con Mister Universo formato gigante.

Questo aveva automaticamente causato problemi coi suoi colleghi della Centuria, che spesso gli avevano chiesto se, per caso, non si fosse fatto una donna.

Pur negando, aveva dovuto però spiegare i suoi frequenti ritardi, così come le sue improvvise fughe anticipate o i suoi strani quanto alternativi percorsi lungo le vie di Bradford.

“Dovrei davvero trovarmi una donna, così almeno la pianterei di comportarmi da imbecille” mormorò tra sé, aggirando la hall per dirigersi verso le aule ludiche del Centro.

Lungo i corridoi, una brezza leggera spirava come se si fosse trovato all'esterno, segno che qualcuno aveva pensato bene di aprire le finestre per arieggiare l'intero ambiente.

Il profumo dei gelsomini piantati in giardino riusciva ad arrivare fino al punto in cui si trovava e, quando imboccò il corridoio che portava all'aula di didattica in cui solitamente svolgeva i suoi compiti di volontario, non poté che sorridere.

Quel giorno, si sarebbero sicuramente divertiti e avrebbero potuto giocare all’aperto senza morire di caldo.

Nell'udire il canto allegro di Lorainne, però, i suoi passi si bloccarono e la gola inaridì all’improvviso.

Lei. Lei era lì. Assieme a lui. Ma gli altri? Gli altri dov’erano?!

Evidentemente, anche Lore aveva pensato di venire prima per sbrigare alcune faccende, e stava approfittando dell'assenza di gran parte del personale per darsi a qualche canzone spesa in totale libertà.

Già pronto a darsela a gambe per non dover rimanere solo con lei, si diede però dello sciocco bambino pauroso così, con tutto il coraggio che gli riuscì di trovare, avanzò verso l’aula per salutarla.

E solo dopo, darsela a gambe.

Sul punto di salutarla e farle i complimenti per la bella voce, Kennard si bloccò a metà di un passo quando la vide piegata su un ginocchio, le cuffie dell’iPhone alle orecchie, mentre sollevava senza problemi un cassettone per recuperare una pallina.

Quella vista lo raggelò, portandolo a nascondersi immediatamente dietro la parete del corridoio, mentre il cuore gli balzava nel petto e la mente correva a mille miglia orarie nel tentativo di comprendere ciò che aveva visto.

Non... non poteva essersi sbagliato. Aveva davvero visto Lorainne sollevare un mobile di legno che aveva richiesto la presenza di tre uomini, per essere sistemato nel salone!

Se ciò che i suoi occhi avevano registrato era vero, non potevano esservi molti dubbi sulla reale identità di Lorainne, a quel punto. O lei era la figlia di Hulk, oppure... oppure...

A denti stretti, e sentendo il cuore andargli in frantumi, sibilò: "E' un licantropo."

Chi altri avrebbe potuto vantare una simile forza? Chi, se non una creatura con sangue demoniaco nelle vene?

Il solo pensarlo, però, lo fece tremare di rabbia e rifiuto.

La Lorainne che conosceva non era affatto demoniaca. Sapeva essere gentile, generosa, buona e affettuosa, e i bambini la adoravano.

Sgranando gli occhi per l'orrore, Kennard arrivò a chiedersi se anche i bambini del centro fossero tutti licantropi ma, rammentando che tra loro vi erano anche i figli di persone che conosceva da una vita, si tranquillizzò un poco.

Cosa doveva fare a quel punto, però? Non aveva prove concrete, per condannarla e, senza prove, suo zio non avrebbe mai mosso la Centuria contro di lei.

Inoltre, lo voleva realmente?

Perché non aveva ancora sollevato il telefono per avvisare lo zio in merito ai suoi dubbi? Perché la mano ancora tremava accanto alla tasca dei suoi pantaloni, impossibilitata ad afferrare lo smartphone?

Sospirando, Kennard si allontanò in fretta dalla stanza per rifugiarsi in uno dei bagni del centro e lì, dopo aver afferrato il telefono, sospirò e ammise con se stesso di non poterla denunciare.

Per quanto l'istinto gli dicesse di farlo, di mettere fine a uno degli odiati licantropi, la testa e il cuore gli stavano raccontando ben altro. Gli rammentarono i momenti passati con Lore, le volte in cui avevano condiviso i pasti lì al Centro Diurno, o quando lui aveva suonato Clarisse nel suo negozio.

C'erano troppe cose, troppi sentimenti a legarli e, ora che aveva scoperto anche questo, di lei, non riusciva a vederla come una nemica.

Fu per questo che, invece di chiamare zio Cassian, digitò il numero di Lorainne e attese che lei rispondesse.

Quando lei accettò la chiamata al quinto squillo, la sentì esalare divertita: "Ciao! Scusa se ho risposto in ritardo. Stavo ascoltando la musica con l’iPhone e mi hai colta di sorpresa. Dimmi tutto, Ken."

"Ciao, Lore. Sto arrivando al Centro, e volevo sapere se potevi darmi una mano con le lampadine del lampadario dell’aula n.6. Bob mi ha chiamato, ieri, dicendo che se ne erano fulminate un paio, perciò contavo di cambiarle stamattina, quando arriverai."

"Sono già qui, non temere. Se vuoi, le cambio anche da sola" si propose lei, allegra e pimpante.

Kennard si sentì stringere il petto, al suono di quella voce che lui era arrivato ad amare e, pur detestandosi, disse per contro: "No, aspetta che io arrivi. Non bisogna mai salire su una scala da soli."

"Come preferisci" mormorò allora lei con tono più morbido. "Ti aspetto."

Ciò detto, chiuse la chiamata e Ken, nello stringersi il cellulare al petto, si piegò in avanti e cercò di non piangere. Se lo avesse fatto, Lorainne se ne sarebbe di sicuro accorta, e lui non voleva sembrare diverso dal solito.

Cercò quindi di scacciare amarezza e rabbia e, quando si ritenne sufficientemente al sicuro da eventuali crisi di nervi, uscì dal bagno e la raggiunse.

Lei, nel frattempo, si era tolta le cuffie dalle orecchie e, nel vederlo, sorrise e gli venne incontro per salutarlo con il suo solito abbraccio cameratesco.

Ken lo accettò nonostante tutto e, maledicendosi, replicò a quella stretta con calore autentico perché, era inutile negarlo, lei ancora gli piaceva e non poteva fare a meno di stringerla a sé, quando poteva.

Indipendentemente dal fatto che lei fosse la cosa che lui sospettava essere.

Sciogliendosi inconsapevole da quell'abbraccio, Lorainne gli mostrò la scala che, nel frattempo, aveva recuperato, e domandò: "Allora, ci mettiamo al lavoro?"

Essendosi inventato il problema delle lampadine di sana pianta, Kennard la invitò quindi a seguirlo nella stanza accanto e lì, aperto che ebbe la scala, domandò: "Ti scoccia salire al posto mio? Io soffro di vertigini anche da due pioli di scala."

Con un risolino, Lorainne assentì e disse: "Ora capisco perché volevi che fossimo in due. Ti terrorizza il pensiero che qualcuno possa salire senza che ci sia almeno un’altra persona che controlli la scala?"

"Esattamente. Do sempre per scontato che anche gli altri la trovino un’esperienza terrificante" cercò di ironizzare lui, osservandola mentre saliva con passo spedito e toglieva la plafoniera di vetro dai suoi agganci.

Passatala a Kennard, Lorainne svitò una dopo l'altra le lampadine a incandescenza, borbottando: "Andrebbero cambiate tutte con quelle a fluorescenza. Queste, sprecano un sacco di energia e basta."

"Hai ragione" mormorò distratto Kennard, osservandola dal basso e scrutando con la morte nel cuore il gancio di sicurezza che teneva bloccati i pioli a scorrimento della scala in alluminio.

Se si fosse sbagliato, avrebbe rischiato di romperle l'osso del collo ma, dopo quello che aveva visto, non poteva non sapere. Doveva farlo a ogni costo.

Allungata perciò una mano mentre Lorainne sistemava la seconda lampadina svitata nella tasca della sua felpa, Kennard sbloccò la sicura senza essere visto e, subitanea, la scala perse la sua stabilità.

Con uno strillo spaventato, Lorainne scivolò verso il basso puntando verso di lui e Kennard, allargando istintivamente le braccia per prenderla, crollò sui materassini alle loro spalle, sentendo distintamente un dolore tremendo alla schiena.

Per quanto i materassini fossero morbidi, non erano fatti per simili atterraggi.

"Oddio, Ken!" esclamò terrorizzata Lorainne, sollevandosi immediatamente sulle ginocchia per non far gravare il proprio peso sull'uomo.

Lui si sollevò sui gomiti in un gran mugugnare e, nell'osservarla in viso, desiderò urlare.

Lorainne appariva rossa in volto, spaventata a morte e bellissima, e due splendidi occhi verdi lo stavano osservando al colmo del panico e pronti a rilasciare lacrime di sollievo.

Il cuore perse un battito, a quella vista ma, ligio al suo dovere di Sentinella, mantenne una calma olimpica di fronte al proprio nemico e mormorò roco: "Vedi, perché serve sempre qualcun altro?"

"H-hai ragione" tentennò lei prima di gettargli le braccia al collo e piangere per lo scampato pericolo. "Non avrei mai sopportato di averti fatto del male!"

Me lo hai fatto, ma non immagini neppure perché, pensò tra sé Kennard, provando un calore inimmaginabile dentro di sé, nonostante si trovasse tra le braccia di un mostro.

Un mostro che, però, non riusciva a vedere come tale, perché era lei. Perché era Lorainne.

Pur volendo allontanarla, pur volendo che lei se ne andasse dalla sua vita e sparisse per sempre, Ken continuò a tenerla stretta, accentuò il loro contatto e si lasciò andare contro la sua spalla, distrutto.

Lei allora si fece cedevole, lo carezzò sulla schiena e, con la sua voce morbida e roca, sussurrò: "Ti sei spaventato per me?"

Ken si limitò ad assentire, non avendo cuore di parlare così Lorainne, nel sorridere - perché lui sentì che stava sorridendo - aggiunse: "Mi ha fatto piacere essere salvata da te."

L'attimo seguente si scostò e, nel prendere il viso di Kennard tra le mani, gli diede un bacio leggero sulle labbra, mormorando: "Grazie."

Per lui fu troppo. Crollò lungo disteso sui tappetini e Lorainne, male interpretando il suo cedimento, sorrise divertita, si rialzò e disse: "Cielo! Ho avuto l'effetto contrario del principe di Biancaneve!"

Non potendo evitarselo, lui allora rise, si passò una mano sul volto per nascondere un principio di lacrime e, trovando la forza di mettersi nuovamente a sedere, esalò: "Andiamo bene! Sono passato da eroe a principessina."

"Temo di aver fatto una gaffe" ammise allora lei, solare come poche altre volte e accesa da una fiamma interna che Kennard, semplicemente, trovò maledettamente affascinante. Perché doveva continuare a fargli quell'effetto, pur sapendo cos’era?

"Vado a prenderti una bibita, così almeno mi sdebiterò con te. Tu, però, controlla di non aver dolori strani, oppure dovrò medicarti" gli propose a quel punto lei, avviandosi verso la porta.

Kennard non poté evitarselo. La guardò con occhi pieni di desiderio e disse: "Mi fa male il cuore. Conta?"

Lei si bloccò, gli sorrise maliziosa e mormorò: "Potrebbe." Ciò detto, lo salutò e corse via per fare quanto detto mentre Kennard, distrutto, si piegava in avanti per riprendere aria e capire cosa diavolo fare con lei.

Non poteva sbagliarsi. Gli indicatori c'erano tutti.

La forza smisurata, gli occhi eterocromatici, l'estrema agilità. Ma c'era anche altro, in lei, che non riusciva a spiegarsi.

Perché, ogni qualvolta l'aveva vicino a sé, lui si sentiva protetto, come avvolto da un calore così desiderabile da spingerlo a gettare al vento ogni cosa?

Inoltre, cosa di non poco conto... lui era in grado di vederla come un nemico, visto ciò che sentiva per lei?

Tornando a distendersi - il colpo alla schiena doveva avergli fatto più male di quanto non si fosse immaginato - Kennard si passò una mano sul volto, si asciugò alcune lacrime ribelli e strangolò in gola un singhiozzo di pura frustrazione.

Perché, in nome di tutti i santi del paradiso, lui doveva amare un licantropo?
 
***

Quando Lorainne tornò con il necessario per Kennard, emise un singulto strozzato dalla paura non appena lo vide nuovamente sdraiato a terra, e con un braccio a coprirne gli occhi.

Terrorizzata, affrettò il suo passo per poi accucciarsi accanto a lui e, turbata, lo sfiorò a un gomito per domandargli: "Non stai bene, Ken?"

Lui sobbalzò leggermente, forse non essendosi accorto del suo ritorno e, nello scostare il braccio, la guardò con occhi lucidi e una leggera smorfia a piegarne la bella bocca.

Il turbamento di Lorainne aumentò a dismisura, a quella vista e, nel mordersi il labbro inferiore, mormorò: "Devo chiamare l'ambulanza? Forse hai preso uno strappo."

"N-no... non temere. Doveva esserci un giocattolo a terra, e io sono atterrato su quello, ma non è niente di grave" borbottò lui, cercando di rimettersi seduto.

Lorainne lo aiutò con gesti teneri delle mani e, premurosa, gli disse: "Lascia che controlli la schiena. Prometto di non toccare nulla."

Lui acconsentì prima ancora di rendersene conto e, mentre la giovane passava dietro di lui per sollevargli la camicia, borbottò roco: "Mi sa che la prossima volta faccio cambiare le lampadine a Bob."

Sorridendo divertita, lei assentì e, dopo aver sollevato l'orlo della camicia, notò subito una macchia rossastra a metà schiena, segno inequivocabile di uno scontro spiacevole con qualcosa.

"Se me lo permetti, ti applicherò un po' di crema antidolorifica. Hai un bel segno rosso, sotto la scapola" gli spiegò lei, tastando leggermente il punto incriminato.

Lui mugolò e, subito, Lorainne ritrasse la mano mormorando una scusa.

Già pronta a prendere il necessario per curarlo, la giovane venne però bloccata dalla presa al polso di Kennard che, turbato, la guardò negli occhi in cerca di un ultimo, disperato segnale di non colpevolezza.

Come aveva però temuto, i brillanti occhi verdi che l'avevano fissato durante la caduta erano spariti, soppiantati dai più familiari occhi color fumo di Londra, che tanto aveva imparato ad apprezzare per la loro dolcezza.

In quel momento, erano pieni di contrizione e dubbi e, quando lui vi affondò con lo sguardo, desiderò perdersi in essi per sempre, pur di non dover affrontare la realtà che gli si era presentata dinanzi nel modo peggiore.

"Cosa c'è, Ken?" domandò lei turbata.

Sapeva che Lorainne avrebbe potuto fuggire senza problemi, ucciderlo senza battere ciglio, ma non lo fece. Ristette lì dinanzi a lui, come qualsiasi altra donna, incerta su cosa volesse dire il suo gesto.

Era per questo che non riuscivano a trovarli? Erano dunque così bravi a camuffarsi, così sfuggenti a qualsiasi tipo di controllo? E poi, alla fine, erano davvero crudeli?

Coi bambini, lei era sempre stata gentile e dolce, e loro letteralmente la adoravano. Se fosse stata una creatura malvagia, loro se ne sarebbero sicuramente resi conto, no?

I bambini, dopotutto, si rendevano conto di cose che gli adulti, spesso e volentieri, non notavano.

Oppure, molto semplicemente, lui voleva credere che fosse buona per non dover ammettere di essersi invaghito di una creatura terrificante?

Accentuando inconsapevolmente la stretta, Kennard continuò a rimanere in silenzio e Lorainne, nel carezzare quella mano che stringeva così veemente il suo polso, sorrise appena e mormorò: "Lascia che ti curi. Il dolore deve essere davvero forte... più di quanto tu non voglia ammettere."

Ken allora calò il volto a scrutare quelle mani che si sfioravano, il calore rinvigorente di Lorainne che, come un flusso energetico, passava da lei a lui con il semplice contatto della loro pelle.

Solo a quel punto, riuscì a dire: "Sì. Fa male. Un male cane."

"Stenditi prono. Curerò il tuo dolore, promesso" gli sorrise allora lei, svincolandosi quando lui la lasciò andare.

Lasciandosi quasi cadere sui materassini mentre lei si apprestava a prendere il necessario dalla cassetta del pronto soccorso che si trovava nella stanza, Kennard si volse senza più forze.

Diede le spalle al suo nemico, ben deciso a lasciare che lei gli facesse quello che voleva. Se aveva ceduto al fascino del maligno, meritava di morire per mano di quest'ultimo.

Nessun guerriero suo pari meritava di sopravvivere, dopo un simile scorno.

Lorainne, però, non lo divorò affatto.

Si accucciò accanto a lui, sollevò nuovamente la camicia e, con carezze delicate mescolate all'antidolorifico, lo curò con gentilezza, canticchiando per lui una nenia come avrebbe fatto per un bambino malato.

Il massaggio durò cinque minuti buoni, minuti in cui Kennard rimase in assorto silenzio, completamente avviluppato dal calore piacevole che le carezze di Lorainne avevano fatto calare su di lui.

Le sue mani, così calde sulla sua pelle raggelata dalla verità, sembravano un balsamo capace di lenire il suo sconforto, la sua rabbia e il suo dolore ma, al tempo stesso, lo rendevano sempre più consapevole della donna al suo fianco.

Un perverso istinto animale lo spronava a volgersi verso di lei per accoppiarsi selvaggiamente e, per quanto fosse disgustato da se stesso e da quelle pulsioni, non poté esimersi dal lasciarsene avviluppare.

Immagini di lui e Lorainne avvinghiati su un letto e in preda a una folle frenesia sessuale lo spinsero a sospirare roco.

Mal interpretando quel gorgoglio, Lorainne si bloccò per piegarsi su di lui e, nel poggiare una mano bollente sulla sua fronte, mormorò: "Sei sicuro di sentirti bene?"

"Meglio che non ti dica cosa vorrei fare ora" si lasciò sfuggire lui prima di guardarla spiacente e darsi dell'idiota.

Lei, però, si esibì in un sorrisino tutto fossette, che di solito elargiva unicamente ai bambini, e replicò sorniona. "Oh... di prima mattina? Così focoso, Kennard?"

A ben vedere, sarebbe stato meglio rimanere prono ancora per un po', visto ciò che quei massaggi erano stati in grado di risvegliare.

Vergognandosi di se stesso e delle sue reazioni scomposte in presenza di un licantropo - era mai possibile che non si ricordasse che doveva odiarla?! - Kennard volse il volto dalla parte opposta e borbottò: "Ti ringrazio, Lorainne, ma ora vorrei stare solo."

"Non mi sconvolge se sei eccitato, sai?" precisò lei, pur levandosi in piedi. "Ma mi allontanerò come hai chiesto. Sappi solo che, se hai bisogno di me, sarò a portata di urlo."

Dopo un altro istante di tentennamento, uscì finalmente dalla stanza e Kennard, nel volgersi finalmente supino, dovette affrontare l'amara realtà dei fatti.

Aveva un'erezione spaventosa e, a causargliela, era stata una licantropa che sembrava averlo totalmente in suo potere.

Che diavolo doveva fare, adesso?
 
***

Kennard aveva fatto in modo di riprendere una parvenza di calma, dopo quella terrificante mattinata e, come se niente fosse, aveva giocato con i bambini, li aveva aiutati durante il pranzo e li aveva fatti stendere per il riposino pomeridiano.

Nel pomeriggio, aveva aiutato Lorainne e un altro paio di volontari nel preparare le attività ricreative e, tra una fetta di torta e una bibita, la giornata era trascorsa senza altri incidenti.

Lorainne non aveva affatto menzionato con gli altri il loro piccolo incidente, forse per risparmiare a lui una figuraccia, o forse per non dover dare spiegazioni ai colleghi.

La sera era quindi giunta senza ulteriori scossoni e, quando infine i genitori furono passati a riprendere i bambini e il Centro fu chiuso, loro poterono andarsene.

Con la promessa di risentirsi il lunedì successivo per sincerarsi delle sue condizioni, Lorainne salutò Kennard per poi correre verso casa, dichiarandosi in ritardo per un appuntamento al cinema.

Kennard la lasciò fare, ben deciso a seguirla per confutare così le sue teorie e, nel pedinarla tenendosi sempre sottovento, la seguì fino a raggiungere il Bradford Citypark, attraverso cui lei amava sempre passare prima di recarsi a casa.

Attese paziente finché non raggiunse i portici di Channing Way dopodiché, cogliendola di sorpresa e approfittando della poca gente presente, la afferrò a un braccio e la condusse in un punto ombreggiato e quasi invisibile dalla piazza.

Sgomenta e confusa, Lorainne lo lasciò fare finché Kennard non la schiacciò contro la parete del palazzo da cui si sviluppavano i portici e lì, fissando costernata la sua espressione terribile, esalò: "Ken! Ma che ti prende?"

"Dimmi che non sei così, Lore... ti prego!" singhiozzò rabbioso lui, estraendo da una tasca un corto stiletto d'argento che fece rizzare i peli sulla nuca della donna.

Subito, gli occhi le tornarono verdi come le giade più pure e, con un movimento fulmineo che quasi Kennard non vide, lei lo disarmò e si allontanò a sufficienza perché non potesse più afferrarla.

I sensi allerta, Lorainne lo fissò quindi piena di frustrazione e rabbia mentre lui, basito, osservava lo stiletto gettato a terra dalla sua mossa e la posa attendista della donna che, ora, sapeva essere un licantropo.

Prima ancora di poter dire qualcosa, però, una mano enorme calò su di lui, sorprendendolo così come sorprese Lorainne, che sibilò furiosa prima di ringhiare: "Piantala, Will!"

Kennard non riuscì a capire un accidente. Si ritrovò sollevato di peso da terra, con un braccio torto dietro la schiena, mentre un energumeno biondo lo tratteneva senza il minimo sforzo, ringhiandogli addosso furente.

"Hai abbassato la guardia, amica... e questi sono i risultati. Questo cane è un Cacciatore!" sibilò William, snudando un arsenale di zanne che fecero quasi andare Kennard in red out.

"Potrà anche essere vero, ma non puoi ammazzarlo qui!" sussurrò sconvolta Lorainne, afferrando il braccio di William con cui tratteneva Kennard.

Pur controvoglia, Will la accontentò e, dopo aver lasciato cadere a terra uno sconcertato Kennard, gli ringhiò contro e disse letale: "Non si sollevano armi contro di noi senza passare dei guai, Cacciatore."

Lorainne osservò addolorata Kennard che, a sua volta, non aveva occhi che per lei. Non gliene importava nulla di morire, ma l’ultima cosa che voleva vedere era il volto di Lorainne. Era stupido, masochistico, ma non poteva farci proprio nulla.

Nel rendersene conto, William imprecò spudoratamente e, dopo aver dato una pacca sulla spalla a Lorainne, domandò roco: "Vuoi che lo sbudelli per te?"

"Decisamente no" esalò la donna, lanciando un'occhiata di sfida all'imponente licantropo. "Lui è mio."

"In tutte le declinazioni possibili?" 

"Direi di sì" sospirò a quel punto Lorainne, vedendolo scuotere il capo per il dissenso. "Devo sbrigarmela da sola."

"Come preferisci" dichiarò a quel punto l'Hati prima di fulminare con lo sguardo Kennard e sibilargli addosso: "Se la ritrovo con un graffio, non esisterà pianeta nell'Universo in cui io non verrò a cercarti per farti fuori."

Ciò detto, diede un buffetto sulla guancia a Lorainne e se ne andò com'era apparso, in un semplice batter di ciglia.

"Lui è..." tentennò Kennard, riuscendo in qualche modo a ritrovare la voce.

Allungandogli una mano con espressione burbera, Lorainne borbottò: "Non è svanito nel nulla, esattamente così come non è apparso su due piedi. Era venuto a cercarmi perché stavo tardando, così è intervenuto."

Lui la squadrò confuso e, pur accettandone la mano, dopo essersi rimesso in piedi rimase a debita distanza dalla donna che aveva saputo piegarlo in tutti i sensi possibili.

Lorainne, a quel punto, sospirò affranta e, nel passarsi le mani sul viso, mormorò: "Dobbiamo parlare. Ma non qui."

"E' l'unica cosa su cui posso essere d'accordo" dichiarò Ken, fissandola ombroso.

"E' inutile che mi guardi a quel modo. Se avessimo voluto ucciderti, lo avremmo già fatto" gli sibilò contro lei prima di tamburellarsi nervosa il mento alla ricerca di una soluzione. "Andremo al The Bradford Hotel. E' qui vicino, e tu sarai al sicuro. Come ben immaginerai, non potrei mai permettermi di inscenare Arancia Meccanica in un luogo simile, ti pare?"

"Potrebbe essere gestito da lupi" replicò accigliato lui, mettendo a parole per la prima volta la realtà dei fatti.

Lei si accigliò, al suo dire, perciò ribatté: "Decidi tu, allora. Poco importa, a questo punto."

"Andremo al The Great Victoria Hotel" disse Kennard dopo alcuni istanti, avviandosi fuori dai portici prima di attenderla sotto la luce di un lampione.

"Sei stazzonato. Sistemati, se vuoi entrare in quel mega hotel senza dare nell'occhio" borbottò Lorainne, procedendo prima di lui lungo la via per poi imboccare il marciapiede che li avrebbe condotti a quel lussuoso albergo del centro città.

Kennard si sistemò alla bell'è meglio la leggera giacca di pelle che indossava e, silenzioso, la seguì lungo il marciapiede senza più aprire bocca.

Niente di quanto aveva ipotizzato si stava svolgendo secondo i suoi piani ma, la cosa più assurda di tutte, era una, e una sola. Non lo avevano ammazzato, nonostante avessero capito chi fosse in realtà.

Andava contro a tutto ciò che sapevano sui licantropi, e questo stava rapidamente creando nella sua mente iperattiva una serie di domande a cui non riusciva a dare una risposta.

Inoltre, cosa da non sottovalutare, avvertiva un tale calore e un tale prurito da chiedersi se, per caso, il suo cervello non fosse per caso rimasto ammaccato durante la colluttazione con quell'energumeno biondo.

Quando infine raggiunsero l'hotel e Lorainne si recò alla reception per chiedere una suite, lui non riuscì a fare in tempo a pagare, troppo stordito da quella situazione assurda per riuscire a comportarsi come un cavaliere.

Il solo pensiero, però, fu ancor più assurdo rispetto alle altre cose assurde che gli stavano capitando e, quando Lorainne lo chiamò perché salisse con lei in ascensore, lui si ritrovò a dire: "Dovevo pagare io."

"Oh, pagherai. Credimi" dichiarò lei sibillina.

Kennard non seppe come prendere quelle parole e, di sicuro, Lorainne non avrebbe aggiunto altro, in un luogo in cui erano presenti dei microfoni per le emergenze e, potenzialmente, dei curiosoni all’ascolto.





N.d.A.: direi che è una situazione piuttosto incasinata, al momento... voi che ne dite? Come andrà a finire la loro discussione? ;-)
  
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