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Autore: Ghostro    22/02/2022    1 recensioni
Questa storia prende spunto dal contest Riddikulus di Fiore di Cenere
Le vicende si svolgono durante gli eventi del quinto libro della saga. Damien Kiran, giovane Tassorosso, durante una punizione notturna nella Foresta proibita fa una scoperta che cambierà per sempre la sua vita. Lui e i suoi amici si troveranno alle prese con il furto di un artefatto antichissimo e proibito capace di strappare alle persone la loro risorsa più preziosa: l'amore.
Genere: Azione, Dark, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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UNA BACCHETTA È PER SEMPRE
 
Il colpo di cannone annunciò il ritorno dei campioni.
La folla si alzò in piedi alla vista di Potter e Diggory riversi al centro della piazza, esplodendo un boato assordante. Damien aveva gli occhi lucidi. Non riusciva a crederci: due studenti di Hogwarts erano riusciti a vincere il torneo e uno di loro aveva solo un anno più di lui! Dalla sua postazione in alto riusciva a vedere tutto. I suoi compagni tassorosso in festa, così come il padre di Cedric. Luna e Ginny che festeggiavano, i gemelli Fred e George Weasley che correvano a riscuotere le vincite. Persino Rodriguez, pochi spalti in basso rispetto a lui, si concesse di battere le mani ed emettere un fischio d’esultanza.
Damien non poteva essere più fiero d’essere un Tassorosso.
Cominciò con un sussulto. Un brusio di sottofondo che divenne mano a mano una torbida paura, un terrore gelido come il ghiaccio che incrostava la superficie di un vetro al passaggio di un Dissennatore. La musica cessò. I singhiozzi di Harry Potter furono i soli a riempire un silenzio che diventava attonito.
Qualcuno corse verso il giovane campione di Grifondoro.
Damien non riuscì a capire cosa stesse succedendo, ma il fiato nel suo petto sembrava glielo avessero portato via. I sussurri sibilavano come serpenti nella notte, di bocca in bocca, accompagnati da voci tremanti e tese.
«È stato ucciso un ragazzo.»
«Lì, guardate.»
«…Non è possibile.»
Quell’attesa incessante, stridente come una lama che lacerava l’anima, ebbe fine nel modo più atroce: l’urlo disperato di Amos Diggory raggiunse tutti i presenti senza esclusione, facendolo rabbrividire. Damien non riusciva a crederci, non poteva. No, non era vero.
Cedric era morto.
 
Non ricordava esattamente cosa successe in seguito. Forse era rimasto in piedi a osservare Amos Diggory disperarsi per un tempo indefinito. Ore, giorni, settimane.
Ricordava in modo nebuloso voci intrise di un’ansietà contagiosa, lacrime di disperazione. Era tornato alla sala comune. I suoi compagni di casata piangevano e si stringevano tra loro. Richie era sparito chissà dove e per i corridoi si respiravano piagnistei commossi e un’oscura diceria che aveva il sapore di una condanna.
Damien ricordava di aver corso senza meta, mentre incessanti voci sul ritorno del Signore oscuro si facevano più concrete e paralizzanti passo dopo passo. Ricordava che le gambe l’avevano mantenuto in piedi a stento, di essersi spinto fuori dalle mura del castello. Lungo il ponte di pietra.
Il panico e la paura avevano reso il suo affanno doloroso. Gli tremavano le mani e la vista si era offuscata. Si era visto costretto a reggersi al parapetto mentre guardava il fiume scorrere centinaia di metri sotto di lui, con le lacrime che cadevano dal suo viso. Forse aveva urlato, difficile esserne sicuri quando il panico bussa alla tua porta. Forse si era accasciato sotto il peso della sofferenza e della paura.
Ciò che ricordava con assoluta certezza era che, nell’attimo in cui aveva realizzato tutto questo, il terrore e il dolore si erano fusi in una cosa sola e gli avevano chiuso lo stomaco. Aveva vomitato, mentre stringeva nelle mano la sua bacchetta di cipresso.
La bile gli aveva rubato le forze, ma aveva chiaro e in mente l’attimo in cui l’odio e il terrore verso la magia erano diventati una cosa sola. Aveva osservato la sua bacchetta con un disgusto viscerale e l’aveva buttata via, con tutte le sue forze, mettendo nel braccio ogni briciolo d’odio e rabbia che stava provando.
Insieme a un grido straziato.
 
Richie aveva preferito parcheggiare la macchina in un posto sicuro, prima di tornare al castello. Damien l’aveva dedotto dal contesto. Aveva la testa altrove e quando il suo amico aveva deciso di spiegarsi si era limitato ad annuire soprappensiero.
Quella voce gli aveva permesso di fuggire da quelle strane ombre. Gli doveva la vita, il minimo che potesse fare per rigarla era fare qualcosa a proposito del ladro. Possibilmente che non comprendesse tornare indietro e mettere al setaccio la foresta in cerca di qualche squilibrato col mantello.
Aveva suggerito perciò di tornare indietro e spiegare la situazione al suo “capo villaggio”; quella parola aveva avuto l’effetto di zittirlo, almeno per un po’.
Non sapeva come funzionasse il manufatto magico appiccicato al suo braccio o quanto quella voce parlante fosse consapevole di ciò che lo circondava. Non appena l’imponenza di Hogwarts si stagliò all’orizzonte la udì chiaramente trasalire.
– Cos’è quella creatura? –
– Quella è Hogwarts. Una delle scuole di magia più rinomate del mondo magico. Hai mai visto un castello prima d’ora, no? –
– No. Cos’è una scuola? –
Una domanda che lasciò Damien basito. – Com’è possibile che tu non lo sappia? –
– Potrei chiederti perché indossi delle pellicce così strane e leggere, o cosa calzi ai piedi, ma voglio rammentarti che c’è un ladro da fermare! Dimmi qualcosa su quello strano gigante di roccia e se il ladro potrebbe utilizzarlo come suo famiglio. –
Damien radunò la calma e cercò di spiegargli che un castello non era una creatura, perlomeno per quel che ne sapeva, mentre attraversava il ponte di legno che dava sulla foresta. Poi percorse i corridoi pieni di studenti in marcia verso i dormitori, o la torre di astronomia.
«Dove stiamo andando?» chiese d’un tratto Luna.
«Non so voi, ma io filo in camera mia. Per oggi ho dato abbastanza con il rischio di andare incontro a una morte orrenda. Grazie e buonanotte.»
Damien fermò Richie afferrandolo per il mantello. «Non possiamo andarcene a dormire come se nulla fosse. Per di più siamo ancora in punizione. Dobbiamo dirlo alla Umbridge.»
Non c’era bisogno che Richie aprisse bocca per indovinare gli anatemi che frullavano in quella sua testa sormontata da una chioma biondo paglierino. Lo udirono sbuffare, ma annuì svogliatamente.
«Io non credo che dovremmo dirglielo» intervenne Luna. «La Umbridge non sta facendo gli interessi di Hogwarts in questo momento. Dovremmo parlarne agli insegnanti che ci hanno messo in castigo.»
Anche con i capelli in disordine e la divisa sporca di terra, Luna rimaneva una visione affascinante. Tuttavia l’imbarazzo non gli impedì di ragionare a mente lucida. «È un’insegnante, quali interessi dovrebbe sostenere? Non credo sia negli standard della scuola giocare con la vita dei propri studenti. Inoltre è l’Inquisitore, la figura più vicina al preside. Deve saperlo!»
Forse era stato troppo duro. Per un attimo aveva rivisto il corpo senza vita di Cedric e la rabbia aveva preso il sopravvento sulla ragione.
Lei gli si parò davanti, impedendogli di superarla. «Silente non è riuscito a convincerla sul ritorno di Tu-sai-chi. Secondo te crederà alla storia di tre studenti in punizione?»
– Tu-chi o cosa? –
Damien dovette respirare profondamente per calmarsi. Si voltò verso Richie in cerca di sostegno.
«Non guardare me, bello. Non mi cambia nulla andare da chi mi ha punito o chi ha trasformato la mia punizione in una passeggiata al gusto dark. Però la biondina del terzo tipo, qui, si è presa il punto: la racchia ti chiederà se hai bevuto succo di bolle corretto al rum, probabilmente con il tono di una maestrina d’asilo.»
Entrambi lo guardavano così intensamente che dovette cedere. «E va bene. Andiamo da Piton.» Moriva dalla voglia.
 
Siccome Richie non parlava mai al cospetto di Piton e Damien non si sentiva particolarmente loquace quella sera, fu Luna a dover spiegare la situazione al professore.
Nel suo lugubre studio, dietro una lugubre scrivania di legno consunto, in una lugubre stanza che aveva a malapena due o tre candele fluttuanti accese; fortuna che la strega di Corvonero dimostrava con i professori una parlantina tanto sciolta quanto strana e infantile diventava nelle situazioni normali. Sembrava non temere lo strapotere fatto di paura e graffiante sarcasmo che Piton riusciva ad evocare semplicemente muovendo le labbra perennemente imbronciate.
– Questo sarebbe il tuo capo villaggio? –
– Lui è uno dei suoi… consiglieri. Diciamo. –
Damien lasciò cadere la conversazione. Luna stava iniziando a parlare della grotta, e del fatto che lui l’aveva esplorata più a lungo. Ovviamente il professore di pozioni lo scrutò subito con attenzione. Come se volesse estrapolare la verità dai suoi occhi; o forse la sua anima, per poterla strappare in mille pezzi. Dovette deglutire e prepararsi a mente qualcosa di vagamente simile a un discorso sensato.
«Fatemi capire: voi tre avreste trovato una grotta nella Foresta proibita e una volta usciti sareste stati aggrediti da uomini che vestivano abiti neri.» Piton congiunse le mani sopra il tavolo. «Uomini che voi non avevate mai visto prima.»
«Esatto.» Luna annuì un paio di volte.
Chiudendo le palpebre, Piton rimase in silenzio per qualche secondo. «Sarete a conoscenza, mi auguro, che la scuola è protetta da incantesimi che impediscono l’accesso a visitatori ostili. Le protezioni che la circondano sono numerose e antiche, e di nuove sono state tracciate dal preside in persona. Si deve anche a queste difese il pregio, che ha questa scuola, di essere un baluardo per la conoscenza e la sicurezza dei propri iscritti, perfino in tempi difficili. E voi tre avete la pretesa di affermare che qualche buono a nulla è riuscito ad oltrepassarle senza essere notato, per attaccare tre studenti che convenientemente stavano scontando un castigo fuori dalle mura.»
Umbridge un paio di troll. Certe volte non capiva perché si ostinasse a seguire i consigli di Richie. Per fortuna con sé aveva una prova inconfutabile della verità.
Fece per scoprirsi la manica del braccio destro. Le dita artigliarono il tessuto per portarsela su e fu in quel preciso momento che il suo corpo si bloccò diventando immobile. Riusciva ancora a respirare, a provare emozioni ed avere coscienza di ciò che lo circondava, ma aprire la bocca o muoversi divenne all’improvviso impossibile.
– Mi spiace. Non posso lasciartelo fare. –
Se avesse avuto il controllo completo sul suo corpo, Damien era certo che sarebbe andato in iperventilazione. – Cosa vuol dire? –
– La magia che ha fuso la mia anima a questo bracciale non dovrà mai essere studiata o tramandata. Dovrà morire con noi. –
– Noi? –
Glyn non rispose. Tutto ciò che lo circondava divenne improvvisamente buio e Damien scivolò in un sonno senza sogni.
 
Riprese conoscenza boccheggiando ferocemente.
Tirandosi a sedere, le coperte scivolarono lungo il suo corpo sudato. Mentre ansimava per la paura, scosso dai brividi, comprese pian piano di trovarsi nella sua stanza. Gli altri con i quali la divideva dormivano profondamente; Richie sembrava una mummia, così rigido e con le braccia incrociate al petto. Damien si passò una mano sulla fronte sudaticcia, domandandosi se ciò che aveva vissuto non fosse altro che un brutto incubo.
– Non lo è. –
Alzò la testa. Nel buio che dominava la stanza, una figura era sorprendentemente chiara sedeva sul bordo del suo letto. Era un uomo giovane e atletico, forse sulla trentina. Vestiva come un babbano, sportivo e con un giaccone di pelle foderato di pelliccia. I suoi capelli erano lunghi, sporchi, raccolti in tante trecce a loro volta legate in una tronfia coda dietro la nuca. I suoi lineamenti avevano una fisionomia affilata, aggressiva come quella di un lupo, e gli occhi chiarissimi scintillavano di una strana luce gialla. Un po’ di cura e qualcuno l’avrebbe scambiato per un modello svedese di una pubblicità per profumi.
– Glyn? – azzardò. Lui annuì. – Che cosa mi hai fatto? –
– Credo sia il momento di spiegare. Vedi, le nostre anime sono entrate in contatto. Se tu possedessi una forte volontà, forse riusciresti ad allontanarmi e fermare il rituale che mi riporterà in vita a tuo scapito. Da quello che ho potuto constatare, non la possiedi. Per questo motivo talvolta mi sentirai sparire. Già in questo stato potrei influenzare la tua mente fino a renderti un’insignificante passeggero dentro il tuo stesso corpo. Se non lo faccio, è perché non ne ho intenzione. Men che meno di tornare in vita. L’altro, tuttavia, avrà già assunto il controllo del suo ospite. –
Damien si sentì soffocare. «È mostruoso.»
– Perché altrimenti saremmo stati sigillati nelle profondità della terra? Nessuno avrebbe dovuto disseppellirci. La nostra esistenza doveva restare inosservata fino alla fine dei tempi. Invece il vostro clan si è stabilito nei pressi della nostra tomba. E quel che peggio, l’altro possiede ancora dei seguaci. –
Non riusciva a smettere di tremare. – E adesso cosa vuoi fare? Usarmi come un cane da riporto per andare a caccia di Invasati? –
Glyn rimase in silenzio per un momento, torturandosi le dita. – No. Quel consigliere non è un uomo da sottovalutare. Il vostro racconto è riuscito a instillargli un dubbio e dubito che il ladro si lascerà scovare tanto facilmente. È ferito, aspetterà. Lo faremo anche noi. Il tuo clan comprenderà presto l’entità della piaga che è stata liberata. –
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma le parole divennero un disperato lamento sfiatato.
– C’è un motivo se voglio restare nell’ombra. La magia che ci lega è pura oscurità. Chi possiede l’altro bracciale in questo momento è sotto il giogo di un potente mago oscuro. –
Bastò quella parola per fargli ricordare di Cedric, di Tu-sai-chi, di quella notte.
Il panico produsse qualcosa di terrificante: un ricordo, qualcosa che non gli apparteneva.
 
Sembrava un campo di battaglia. Le fiamme e il fumo s’innalzavano feroci e attorno a lui si stendeva un mare di corpi agonizzanti. Figure sinistre, ammantante di nero, libravano intorno ai sopravvissuti di quella piana. Il cielo era rosso come il sangue, eppure nei loro pressi tutto sembrava diventare grigio e freddo. Damien sapeva benissimo cosa fossero quelle creature, il secondo anno ne aveva incrociata una fin troppo da vicino: Dissennatori.
C’era un uomo, in mezzo a tutto questo. Stringeva la bacchetta blu a spirale nella mano destra con una forza tale che le dita tremavano. Urlò qualcosa. Qualcosa che fece girare un altro uomo verso di lui. E quell’uomo stava stringendo con eleganza una bacchetta in tutto e per tutto gemella, nera, in deferenza con entrambe le mani. Sembrava triste. Forse stava piangendo; Damien non riuscì a comprenderlo, tutto si stava sfocando.
I due parlarono di qualcosa, ma le loro voci erano soffocate e lontane.
Poi rivolsero le bacchette l’una contro l’altra e si diedero battaglia.
 
Il terrore e il disgusto che gli provocò quella scena per poco non gli fecero perdere i sensi. Nella sua testa tornarono a soffiare un’infinità di voci che parlavano della morte di Cedric e il ritorno di Lord Voldemort, di urla, di pianti. Era tutto nella sua testa! Dovette stringersela con entrambe le mani fino a piantarci le unghie.  
– Che ti prende? –
Il panico risvegliò l’odio e la rabbia che ruggivano dentro di lui. Quasi non riconobbe la sua stessa voce, quando a denti stretti sibilò: «Vattene.» Avrebbe voluto che quell’affare smettesse di restargli appiccicato. Gettarlo lì, in mezzo alla stanza, e scappare il più lontano possibile.
– Ho già spiegato che non posso farlo. Sii uomo e vedi di darmi una mano. –
«Ti ho detto andartene!!»
Il baccano provocato dalla sua voce scatenò qualcosa. Quella pallina da baseball non la vide arrivare e lo colpì dritto in faccia, spedendolo contro il cuscino e a vedere le stelle.
«Avevi un incubo» mormorò la voce assonnata di Richie.
No, il vero incubo era appena diventata la sua vita. «Grazie, amico...»
«Figurati.»
 
~
 
Damien si rialzò lentamente dal pavimento ancora umidiccio dei bagni. Tiger e Goyle si erano divertiti a ficcargli la testa nel gabinetto e lui non si era nemmeno dibattuto.
Perché avrebbe dovuto? Tutto aveva cessato di avere un senso da ben prima che quel bracciale maledetto gli s’incollasse addosso. Si trascinava per i corridoi senza uno scopo. I suoi voti erano crollati, persino un’insegnate paziente come la McGranitt aveva rinunciato. Per educazione si presentava ancora in orario, ma era evidente che Hogwarts non era più il suo posto. Paradossalmente, la sua avversione verso la magia e le conseguente feeling verso un insegnamento di sola teoria gli aveva fatto guadagnare le simpatie della Umbridge. Forse quella donna aveva davvero qualcosa che non andava col cervello. In lui vedeva uno studente modello e più d’una volta gli aveva fatto dono dei punti che il resto del corpo insegnanti gli toglieva per punire la sua negligenza. C’erano veramente poche cose che riuscissero ancora a tenerlo in qualche modo vivo. Per il resto, cercava dove possibile di non dare nell’occhio.
Giorno dopo giorno si recava in biblioteca ogni volta che poteva, per cercare qualcosa che potesse aiutarlo a liberarsi di Glyn e di tutti i problemi che si portava dietro. La sua voce era sparita in quei giorni e non sapeva se fosse per merito proprio o del supposto allontanamento di cui gli aveva parlato. Ma la sua influenza c’era ancora. Damien la sentiva scuotersi ogni qual volta si trovava di fronte a un’insegnante e cercava, invano, di mostrare il bracciale. Non si era mai sentito più impotente e in trappola nella sua vita. Ormai passava i giorni ad appuntare formule sempre più estreme sul suo diario personale e a maledire quell’ingenua visita nel fondo della grotta.
Dopo essersi dato una ripulita e lasciato che la divisa asciugasse, si diresse ancora una volta in biblioteca e cercò di reperire quanti più libri possibile riguardanti ricerche sui legami tra i vivi e morti, e la morte in generale.
Ultimamente nessuno restava al suo fianco mentre approfondiva quelle ricerche. Tra gli studenti che dovevano prepararsi ai G.U.F.O. e quelli che si riunivano per fare i compiti assieme, amici e conoscenti erano occupati con le loro cose; e di certo non doveva far piacere dividere la postazione con qualcuno che improvvisamente divorava volumi e volumi di rituali post-morte e robe simili.
Rimase perciò di stucco, tanto da dimenticare come si chiudeva la bocca, quando un libro cadde all’improvviso davanti a lui. Luna gli si era appena seduta di fronte.
«Incanto Patronus.»
Passò almeno un minuto di assoluto silenzio prima che riuscisse a connettere il cervello. «Cosa?»
«Credo sia la magia che hai compiuto l’altra sera» disse, assolutamente indifferente, o ignara, dei risolini degli studenti alle sue spalle.
Damien accettò il libro che gli porgeva e lesse velocemente il contenuto. «Qui non accenna a nessuna danza. Le parole sono in latino.»
Luna lo studiò per un momento senza dire una parola. Poteva essere morta, per quel che ne sapeva. «Leggi più sotto. Si narra che l’Incanto Patronus sia nato molto prima della fondazione della scuola. Utilizzato dagli antichi druidi celtici per scacciare i Dissennatori.»
Difficile tenere il filo del discorso quando l’interlocutore utilizzava uno strano fiocco violaceo, storto, per legare i capelli in una lunghissima treccia, ma fece un tentativo. «Io però non ho antenati druidi. Almeno credo. Insomma, i miei genitori non sono nemmeno maghi. E poi non ricordo esattamente cos’è successo.»
«E, dimmi, sbatti spesso la testa?» Incredibile che la sua espressione non accennasse a fare una piega nemmeno quando interrogava qualcuno.
«Beh, il più delle volte me la infilano dentro il gabinetto.»
«Bizzarro.» Fu il commento assolutamente neutro di Luna. «Mio padre potrebbe essere interessato a scriverci un articolo sul Cavillo.»
Alla fine aveva scoperto cos’era successo tramite voci di corridoio. Luna e la Umbridge erano entrate in conflitto per questioni legate alla rivista del padre. Anche a lei in origine era stata destinata la “penna d’oca della discordia”, ma il professor Vitious era riuscito a intercedere cambiando la punizione.
Passarono altri minuti di puro silenzio, mentre si chiedeva cosa accidenti potesse esserci di spaventoso in una penna d’oca. Luna sembrava smarrita nei propri pensieri. Eppure, non lo trovò pesante. A Damien piaceva la quiete e raramente la importunava se non aveva qualcosa da dire.
«Il tuo amico?» Luna diede nuovi segni di vita.
«Richie? L’ultima volta che l’ho visto è stato due giorni fa, a colazione. All’improvviso si è alzato da tavola ed è corso via. Come ho detto ad Hannah, tornerà quando avrà finito quello che deve fare.» Damien non poté trattenere un sorriso. «Penserai che è strano.»
«Un po’.»
«Non sarò io a negarlo. Richie è un tipo che quando si mette in testa una cosa ci si butta a capofitto. Si lascia assorbire e non da peso al resto. È un po’ eccessivo, ma lo ammiro molto.» E ammirava lei, ma questo non lo disse.
Luna non parlò più. Fece saltare fuori da una borsa di paglia e iuta un libro, che aprì immediatamente, una pergamena ingiallita, e poi inchiostro e penna d’oca. Iniziò a fare i compiti come se nulla fosse successo. In qualche modo, Damien ebbe la sensazione di aver azzeccato qualcosa.
Anche se non riusciva a capire cosa.
 
«Ehi, Luna» disse, ore più tardi, mentre uscivano dalla biblioteca. «Per caso hai novità sulla foresta? Insomma, se alla fine hanno dato un’occhiata.»
«Penso che gli insegnanti vogliano agire con discrezione. Tu l’hai detto alla Umbridge?»
«No. Sono un po’ distratto, ultimamente.»
Lei impiegò cinque secondi per sbattere le ciglia. Frugò nella sua borsa fino a trovare quella che aveva tutta l’aria di essere una barretta e gliela porse. «Cioccolato. Il professor Lupin diceva che aiuta a riprendersi.» Silenzio. «Chissà se è vero.»
Era oggettivamente sformato e molle, ma a Damien non poteva importare un accidenti. Rimase impalato a guardarla imboccare il corridoio, tenendo stretta quella barretta come se ne valesse la vita.
«Ma guarda un po’.» Una risata sprezzante. «Kiran, non vorrai dirmi che ti piace quella svitata di Lovegood? Si vede lontano un miglio che non ha cervello. Altrimenti a uno sfigato come te non rivolgerebbe neppure la parola.» Come sempre, Tiger e Goyle risero della battuta di Malfoy come due troll particolarmente tonti.
Damien si voltò accigliato. «È possibile che tu debba essere sempre così stronzo?»
Il serpeverde si accigliò. «Cos’è uno stronzo?»
«Il modo babbano per indicare quello che ti esce quando siedi per ore nel gabinetto dorato di Villa Malfoy.»
Non aspettò che lui recepisse per darsela a gambe. A differenza dei due gorilla che lo accompagnavano, Malfoy era intelligente. Iniziò a inseguirlo, gridando qualcosa a proposito del padre ricco e di un incontro ravvicinato tra la sua testa e il gabinetto del terzo piano.
– Guarda un po’. Allora ce l’hai il fegato. –
– Sta’ zitto! –
Non aveva tempo per Glyn. Aveva sentito Draco ordinare a qualcuno di afferrarlo e per evitare il plotone di serpeverde che gli stava venendo addosso deviò verso il muretto che dava su un giardino interno. Damien non lo scavalcò: lo superò agilmente issandosi sulla ringhiera con le braccia e cominciò a correre sul prato, saltando sulle panchine di pietra per scansare studenti e ostacoli. Uscendo dall’altra parte del giardino, per cambiare direzione andò a sbattere contro la parete del corridoio e continuò a correre mentre Malfoy strepitava altri ordini.
Svoltò per le scale. C’era troppa gente per i suoi gusti. Saltò sul corrimano e si lasciò scivolare. Poi ci rimase ancorato e si gettò nel vuoto. Afferrò quello del piano sottostante e con un colpo di reni lo scavalcò, guadagnandosi i sinceri complimenti di Glyn.
Udì la voce di Malfoy ordinare a qualcuno di acciuffarlo, perciò continuò a scendere di corsa un’altra rampa, tallonato da almeno un paio di maghi. Il rumore fragoroso che preannunciava un cambiamento fu seguito da uno scossone. La scala iniziò a muoversi di novanta gradi mentre Damien si trovava al suo esatto centro. Gli inseguitori erano vicini. Non ebbe altra scelta se non saltare sul corrimano e mettere forza sulle gambe per spiccare un balzo. Atterrò con una fluida capriola su un pianerottolo rimasto orfano del piano inferiore e continuò a scappare; prima, si tolse lo sfizio di guardare quei due tonti vestiti di nero-verde e fargli un saluto con due dita.
Per depistarli, scelse di risalire il castello passando per un’altra ala. Fino al settimo piano. Aveva bisogno di un posto dove nascondersi, e in fretta, prima che qualcuno lo incrociasse per caso mandando in fumo i suoi sforzi.
«Psst! Psst…»
Vide una creatura minuscola affacciarsi da un portone di quercia massiccio: un portone che sembrò formarsi mentre quella creatura con le orecchie a punta gli faceva segno di avvicinarsi. Gli elfi domestici erano particolarmente vicini alla sua casata, sgattaiolò dentro senza pensarci due volte.
Era un posto spoglio, completamente. Un quadrato di spazio illuminato dalla luce che proveniva da una finestra e occupato soltanto da un letto simile a un futon, ora sfatto e sporco di qualcosa che odorava di alcol.
«È una stanza speciale. Appare solo a chi ne ha davvero bisogno. Il signore deve stare tranquillo, chi lo insegue non riuscirà a trovarlo qui» disse la vocina della creatura dalle orecchie appuntite.
Era piccola e deperita, con una veste di stoffa consunta e sporca di moccio. Ai piedi portava un calzino e, se ricordava qualcosa delle sue lezioni di Storia della magia, ciò lo identificava come un elfo libero.
«G-Grazie» sussurrò Damien, chino a riprendere fiato.
«Dobby ha sentito cosa il signore tassorosso ha detto a padron… A Draco. Dobby voleva aiutare.» L’elfo si torturò le dita piccole e nodose. «Il signore può informare Dobby se il suo aiuto è stato buono?»
«Sì» rispose ansante. «Sei stato gentilissimo. Grazie, Dobby. Io mi chiamo Damien.»
«Molto piacere, signor Damien.»
«Solo Damien. E ti devo un favore.»
– Gli elfi sono creduloni. Se loro prometti qualcosa devi mantenere la parola, o ti faranno a pezzi. Anche se questo elfo è strano. Dev’essere un esiliato. –
Dobby sgranò i suoi grandi occhi a palla. «Oh, no, no, no. Dobby è solo felice di aver aiutato. Dobby vuole imparare come aiutare meglio. L’ultima volta che Dobby ha cercato di aiutare, ha quasi ucciso Harry Potter.»
«Così va benissimo! D-Davvero. È perfetto!» gli rispose, con voce tremula.
Per fortuna Dobby non parve notarlo. Anzi, annuì solenne. «Allora, Dobby farà così. Dobby vuole ringraziare Damien e ricordargli che può venire in questa stanza quando vuole. Basta passare tre volte e pensare a cosa hai bisogno. Ora Dobby deve andare a cercare la sua amica Winky. È stato un piacere.»
Quando uscì dalla porta che si era appena formata, Damien si sentì libero di accasciarsi sul muro e scivolare giù. Tirò un sospiro di sollievo.
La borsa si allentò e vuotò a terra il suo contenuto. Tra gli effetti c’era ancora il libro che gli aveva prestato Luna. Aveva giurato di sfoderare la bacchetta solo se fosse stato assolutamente necessario, ma c’era anche un’altra cosa, da quella notte, che proprio non riusciva a togliersi dalla testa: la sensazione di calore e pace che aveva provato evocando quella magia. Erano mesi, da quando Cedric era scomparso, che si sentiva un vuoto crescere dentro di sé e quell’incanto, per un momento, lo aveva arrestato riempiendolo di una luce sottile: era tornato a quel maledetto giorno, ad esultare mentre lo vedeva imboccare il Labirinto. L’ultima volta che aveva visto il suo amico ancora vivo.
Damien prese in mano il suo diario e iniziò ad appuntare le informazioni contenute nel libro.
 
Quando poteva, sgattaiolava nella stanza segreta e cercava di perfezionarsi.
Mormorò le parole che erano uscite dalla sua bocca quella notte. Improvvisò persino la danza. Dalla bacchetta non usciva altro che un flebile vapore pallido.
Damien strinse i denti. Aveva provato e riprovato. Per ore, per giorni. L’incantesimo non voleva saperne di funzionare. Aveva ripassato e controllato di aver trascritto bene le istruzioni centinaia di volte. Niente. Non ci riusciva.
– Non funziona così – disse Glyn.
«Non rompere. Il libro dice che può essere normale faticare, le prime volte.»
– Ho solo una vaga idea su cosa sia quella cosa che chiami libro, ma so cosa ti manca. Le nostre anime s’incrociano dove risiede l’istinto. Tutto ciò che compi impulsivamente, io posso assimilarlo. La tua lingua madre, le formule magiche in cui ti sei imbattuto almeno una volta nella vita. Tramite il bracciale posso replicare tutto. Ma se vuoi imparare quell’incanto per conto tuo, dovresti quantomeno conoscere la formula del tuo tempo. E concentrarti su un ricordo felice. Il più potente che hai. –
Effettivamente il libro del Ministero si limitava a un generico “aggrapparsi alla propria felicità con un bel sorriso”. – Già. Gran bella fregatura, professoressa Umbridge. –
Andò a sedersi in un angolo, sconfortato.
– Possiamo parlare un attimo? O farai un’altra scenata? –
Damien rovesciò la testa lungo il muro. – Perché non puoi semplicemente lasciarmi in pace? –
Dopo ore di incessanti pressioni, gli riferì a grandi linee come si era evoluto il mondo magico rispetto ai suoi tempi. Il Ministero, le scuole, il concetto stesso di società magica per come Damien lo considerava.
Lui sembrò sorpreso. – Ora capisco perché voi giovani sembrate tutti così deboli. Nella mia epoca un mago doveva eccellere sia nella magia che nel corpo, se voleva sopravvivere. Tu non sei robusto, ma sei agile. Questo te lo concedo. –
– I miei “amici” babbani mi paragonano spesso a una scimmia, ma lo prenderò come un complimento – gli rispose; poi dovette spiegargli cos’era una scimmia.
– Ascoltami, Damien. Non ho riserve sui nati babbani, e sono sempre stato dell’opinione che gli dei non fanno incrociare i cammini di due guerrieri per caso. Comprendo le tue angosce, ma la paura non proteggerà te o il tuo clan se lasciassimo il ladro libero di agire indisturbato. Tu mi sei apparso in quella grotta e dovrai aiutarmi. Se non per onore, detta le tue condizioni. –
«E io te lo sto ripetendo da ore: sono un ragazzo, e neanche così dotato nel duello. Se vuoi che qualcuno ti aiuti, dovresti chiederlo al professor Silente.»
– Possiamo stare qui a discutere per un intero ciclo lunare. Se temi per la tua incolumità, non devi temere. Finché indosserai il bracciale, ci penserò io a proteggerti. –
Damien chiuse gli occhi, rivedendo ancora una volta il corpo spento di Cedric che aleggiava nei suoi incubi. – La magia non protegge. È solo un’arma, come una pistola o una daga. –
– Anche questo Patronus, di cui ha parlato la ragazza? –
Damien preferì non rispondere.
– Mi pare di capire che vorresti apprenderlo. Io posso insegnartelo, ma dovrai stringere un patto con me. A quanto pare mi sbagliavo: sei in grado di resistere. Ma non mi sono ancora impegnato come potrei. Cosa rispondi? –
«Cosa dovrei rispondere? Sei un infame bastardo.»
– Non saresti il primo a parlami in questo modo. – Curiosamente, Glyn parve divertito. – Allora, abbiamo un patto? –
«Bel patto: muori o muori in modo diverso.»
– La vita non è per i pavidi. –
E con queste premesse, preferì afferrare la mano sinistra con l’altra per placarne il motivatissimo tremore. Damien si maledisse mille volte e mille ancora. L’unico pensiero che lo confortava era che, quantomeno, era riuscito a salvare Richie e Luna da una potenziale morte prematura.
Si chiese se anche Cedric avesse pensato questo, mentre gettava il suo nome tra le fauci azzurre e fiammeggianti del Calice di fuoco. Lui però aveva scelta; un lusso che Damien, invece, temeva che non avrebbe potuto permettersi.
«D’accordo.» Si arrese, chinando la testa. Sentiva già gli occhi pizzicare e il naso sfrigolare di moccio. «Però dovrai insegnarmi quella magia.»
– Un patto è un patto, Damien Kiran. –
Immediatamente, subì un nuovo blackout.
 
Era notte. Si ritrovò nella Foresta proibita.
– Ti ho osservato in questi giorni, ragazzo. Temi la magia, nonostante tu sia un mago, e questo lo rispetto. Anche il nemico più infimo, se preso con leggerezza, può rivelarsi letale. Attento, però, a non dare troppa corda alla paura. Ti distruggerà. Per questo siamo qui. – Davanti, si stagliava l’enormità della montagna. – Hai eretto un muro invalicabile tra te e il mondo magico che ti circonda. Vuoi imparare il Patronus? Inizia scavalcandolo. –
Damien guardò attentamente. Rimase in silenzio e annuì deciso.
Prima di fare dietrofront. «Tu sei scemo.»
Il bracciale lo tirò subito indietro. – Sii uomo e scala questa montagna! –
«Senza strumenti? Senza motivo, se non per sport. Faccio prima a prendere una pietra e darmela in testa finché non mi fratturo il cranio!»
– Abbiamo un patto. – Si ostinò lui, intransigente.
«Sì, ma se da morti ci si potesse muovere nel mondo dei vivi, tu non avresti bisogno di me.» Il bracciale lo stava facendo barcollare a furia di fare pressione per smuoverlo. «Non voglio salire su quella diamine di…»
Aveva protestato, animatamente, per ore intere. Alla fine, Damien aveva dovuto cedere e tentare l’impossibile.
Per tre notti aveva tentato, e fallito. Ogni giorno si svegliava con le occhiaie per il sonno arretrato, le vesciche scoppiate alle mani e i piedi, e tanti di quei lividi che il suo carnato da roseo era diventato zebroso. Sembrava uno zombie che si trascinava per i corridoi della scuola ed era troppo dolorante per sfuggire alla vendetta di Draco Malfoy e dei suoi scagnozzi; per fortuna, qualche serpeverde aveva avuto pietà di lui e aveva iniziato ad avvertirlo sulle “ronde” di quei tre figli di papà.
Ogni pomeriggio, Glyn lo trascinava in quella stanza strana e lo costringeva a potenziare il corpo con dei percorsi a ostacoli molto simili ad arrampicate pregne di trappole mortali. Poi lo aiutava a cercare la formula dell’incantesimo fino al calar del sole, e dopo cena dritti nella Foresta proibita per tentare l’impossibile.  
Alla quarta notte di seguito passata praticamente insonne, sentiva le mani e i piedi più dolenti che mai per le vesciche. Strinse i denti e continuò a salire sfidando ostacoli naturali e un vento impetuoso che rischiava di farlo cadere ad ogni raffica potente. Attraversò sentieri naturali, si arrampicò su pareti di roccia polverose; se perdeva la presa, la bacchetta blu aveva subito pronto un incantesimo da fargli evocare per sorreggerlo. Carpe Retractum, si chiamava, sebbene in quei frangenti avesse dimenticato dove l’avesse sentito per la prima volta.
Perse il suo diario durante la scalata di quella notte. Era scivolato via dal mantello e l’aveva visto cadere giù fino a diventare un puntino minuscolo. Fortuna che non soffriva di vertigini, perché non era mai arrivato così in alto. Preferì comunque chiudere gli occhi. Si diede del pazzo, ma continuò a salire su incito di Glyn: la sua voce riusciva a trasformare la fatica in determinazione e il dolore in nuova forza. Ripensò a Cedric. Ai serpeverde e i babbani che si erano sempre accaniti su di lui. I loro risolini di scherno, i fallimenti. Tutti i ricordi che si mischiavano al sale delle lacrime di dolore, ma continuò a salire.
Era quasi l’alba quando raggiunse la cima. Il sole, a contatto con le nuvole, iniziava a risplendere e disegnava nel cielo immenso tinte d’azzurro, arancio e chiazze violacee. Il paesaggio che si stagliava davanti ai suoi occhi, mentre riprendeva fiato, era immenso e di una bellezza incomparabile. Lo ammirò a trecentosessanta gradi. Aveva il sapore della conquista.
Non riuscì a trattenere l’impulso euforico di urlare a pieni polmoni, dando pieno sfogo a tutte le emozioni che provava!
– Così! Questo è lo spirito! Quale che sia l’epoca, c’è qualcosa che ogni generazione deve sempre tenere a mente: la maggior parte delle cose importanti nel mondo sono state compiute da persone che hanno continuato a provare quando sembrava che non ci fosse alcuna speranza. È giusto aggrapparsi alla vita, come anche affrontarla con sfiducia. Ma essa non offre solo ombra. C’è anche luce, e calore. Il mondo che ci circonda ha molto da offrire per coloro che scelgono di non arrendersi. –
Effettivamente, sentiva fin dentro le ossa che tutta quella fatica era stata ripagata.
– Vale per il cielo, i suoni, gli odori, i sapori. I nostri sentimenti. La vita, come gli dei della natura, vive di contrasti. Anche la magia. –
Damien non riusciva a non rabbrividire, sentendola nominare. «Cosa vuoi dire?»
– La magia non è solo un’arma. Sei vivo perché afferri l’aria che respiri. Sai provare emozioni perché hai un cuore che ti pulsa nel petto. Sei un mago perché la natura ti ha scelto. Un mago che sceglie di vivere ignorando la magia è come un uomo che pretende di vivere senza respirare, o provare amore: non è naturale. Hai imparato ad apprezzare ciò che ti circonda. Impara ad apprezzare anche la magia. Lascia che lei ti afferri quando cadi. –
«Io… Non saprei.»
– Hai infagottato il tuo mantello come ti ho chiesto, vero? – Damien annuì con riluttanza. – Bene. Girati un momento, se non ti dispiace. –
Lo fece con cautela, dando le spalle al dirupo.
Si diede subito dell’imbecille. La fatica e l’adrenalina l’avevano rimbambito per un momento di troppo. Non fece in tempo a tramutare i suoi sospetti in parole che la bacchetta blu effettuò un incantesimo che lo spinse oltre il precipizio e poi si ritirò dentro la manica!
– Afferra il tuo mantello e la tua bacchetta, Damien! –
Il suo urlo di puro terrore fu assorbito dal forte vento che gli sferzava contro il viso! La sensazione di trovarsi sospeso, mentre in basso si stagliava sempre più vicina e opprimente l’immensità del Lago nero, lo lasciò paralizzato e tramortito. Damien passò preziosi secondi ad agitarsi e gridare.
– La tua bacchetta – ripeté Glyn, paziente.
Stavolta la sfoderò goffamente e la strinse nella mano sinistra. «C-Carpe Retractum. I-I-I-Incendium
Una mano invisibile lo tenne ancorato al mantello, ora infagottato a mo’ di paracadute. Dovette evocare in fretta e senza mai fermarsi delle piccole sfere di fuoco, che lo fecero ascendere quel tanto da trasformare la caduta in una discesa controllata. Damien continuò a incendiare l’aria mentre piangeva e moriva di paura, attraversato da una serie infinita di emozioni che si mischiava anche ad un’insana, folle euforia. Il cuore batteva così forte da temere che stesse per esplodergli nel petto!
 
Aveva ancora il fiatone, ma neanche un filo di voce o forza nelle braccia, quando il suo corpo si rifiutò di muoversi e precipitò per gli ultimi due metri che lo separavano da terra. Franò, per citare Richie, come una pera cotta. Per un attimo temette di essere esploso. Solo girandosi sulla schiena comprese che l’umido che sentiva addosso era il suo sudore e non la poltiglia del suo corpo.
Per tutto il tempo che gli servì a riprendersi da un potenziale infarto, Glyn sghignazzò allegro e fiero. – Liberatorio, vero? –
«Ti odio. Se non fossi già morto, ti avrei ucciso», riprese fiato avidamente, «con le mie stesse mani.»
Continuò a ripetersi e lui ad ignorarlo raccontando delle sue passate peregrinazioni in tutta la sua terra natia. La testa di Damien era piena di un ciarlare infinito che gli diede il mal di testa. Aveva male dappertutto, la nausea, era sudato, sporco, con le orecchie che fischiavano. E quel giorno la Mcgranitt avrebbe fatto anche una verifica di Trasfigurazione. Se un buon giorno si vedeva dal mattino, quello che stava iniziando, per lui, si era già sfracellato a terra.
 
La bacchetta gli era scivolata di mano durante gli ultimi istanti di caduta. Damien la trovò ai margini del lago, chiara come l’alba che si rifletteva sulla superficie di cipresso. Mentre la raccoglieva, fu attraversato dal ricordo di chi gliel’aveva resa.
 
Quanti studenti potevano vantarsi di aver ricevuto il preside nella propria stanza?
Aveva sentito la porta aprirsi all’improvviso e la veste lunga del preside scivolare sulla moquette appena ripulita. Emanava un’aura di autorità e dolcezza, eppure Damien si era alzato in piedi spaventato. Sua madre sorrideva emozionata alle spalle di Silente, senza sapere cosa dire. Quando lui aveva chiesto un momento in privato, i suoi genitori si erano messi a disposizione.
«Ho visitato spesso Londra. Una città magnifica, e le persone che la abitano sono cordiali.» Aveva sorriso. Più di tutto, l’aveva catturato con il suo sguardo profondo e azzurro. «Posso sedermi?» Damien si era affrettato ad annuire e guardarlo sistemarsi sul bordo del suo letto con leggerezza. «Mi rincresce per questa visita improvvisa, ma i miei affari al Ministero avranno luogo solo tra qualche ora e, come si dice, ho colto l’occasione al balzo.»
Damien aveva chinato la testa. «È per Tu-sai-chi? Volete chiudere la scuola?»
«Sì. E no» gli aveva risposto. «Qualcosa era ansioso di tornare da te.» Tra le mani di Silente era apparsa la sua bacchetta di cipresso. «È un materiale assai frainteso, sapevi? Spesso associato alla morte, e ciò impedisce alle persone di guardare oltre l’apparenza.»
«Cosa vedrebbero?»
Silente continuava ad esaminarla attraverso i suoi occhiali a mezzaluna. «La lealtà. Sono bacchette che si legano solo ad un mago dal cuore nobile. Sono capaci di scrutare un’anima nel profondo, certamente più di quanto i nostri occhi lascino trasparire.»
«È vero, signore? Quello che si dice su Tu-sai-chi?»
Silente aveva sorriso e gli aveva consegnato la bacchetta con entrambe le mani. Damien aveva esitato. Era stato percorso da un brivido di paura solo afferrandola. Infine, aveva stretto la presa. «Possibile. Eppure c’è chi giura il contrario. Tu cosa pensi?»
«Con tutto il rispetto, professore. Non credo abbia importanza cosa penso io.»
Se possibile, l’espressione di Silente era diventata più dolce. «Mio caro ragazzo: è tutto ciò che conta.» Dopo essersi alzato e aver aperto la porta, il preside aveva afferrato i bordi dell’uscio e si era voltato. «Hogwarts avrà sempre un posto per coloro che desiderano imparare, ma ciò di cui un mago avrà sempre bisogno non risiede nella conoscenza. Quella bacchetta è legata a te, quale che sia il cammino che sceglierai di percorrere. Te ne raccomando: tienila sempre al tuo fianco.»
 
Ancora oggi non riusciva a capire le parole del preside, ma non aveva più abbandonato la sua bacchetta. Per quanta repulsione provasse stringendola tra le dita. Damien la ripose nella tasca e si girò, pronto per tornare al castello.
Solo per trovarsi davanti il professor Piton, intento a sfogliare le pagine del suo diario.

 
 
   
 
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