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Autore: Ikki_the_crow    22/02/2022    0 recensioni
Nel folto dei boschi di Neverwinter, una carovana mercantile trova un uomo svenuto. Non ricorda nulla, non sa nemmeno come si chiama. L'unica cosa che ricorda è un nome. Elisa.
Quanto in là siete disposti a spingervi per la persona che amate?
[Serie collegata alla storia "RS-F-1073-11-11-902" e alla serie "Lathander take the wheel" di NPC_stories e Dira_]
Genere: Drammatico, Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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 Capitolo 5
 
28-03-1371
Dopo quasi un mese di viaggio, sono finalmente arrivato nella zona dove l’avviso di taglia diceva essere stata avvistata la Necromante. Purtroppo, le indicazioni da questo punto in poi diventano parziali. Si parla genericamente dei territori vicino a Gillian’s Hill, un paese tra Daggerford e Liam’s Hold. Nient’altro. Ma sono sicuro che i locali sapranno dirmi di più. Si tratta solo di raccogliere informazioni in maniera discreta.
 
Il dottor Blackwood chiuse il diario e si guardò intorno con curiosità. Si trovava seduto su un sasso vicino al fiume Delimbiyr, a poca distanza dalla strada carrabile su cui viaggiavano le carovane dei mercanti. Si era aggregato ad una di esse alcune settimane prima, e da Luskan avevano coperto in maniera dolorosamente lenta le miglia verso sud che li separavano da Daggerford, su carri talmente lenti che a volte facevano venire voglia di gridare.
Quanto meno, non c’erano stati imprevisti. O meglio, ce n’erano stati ma erano stati risolti senza troppi impicci. Un paio di assalti di banditi, una piccola tribù di goblin bellicosi e perfino un troll insediatosi vicino ad un ponte. Niente che i mercenari della compagnia del Drago Rosso non avesse già visto e affrontato. C’erano stati dei feriti, ovviamente, ma quello era il motivo per cui il dottor Blackwood era con loro. Molti dei soldati lo conoscevano, li aveva avuti in cura alla clinica, e avevano supportato la sua richiesta con il capo carovana quando lui aveva chiesto il permesso di unirsi alla squadra.
Christopher aveva sorriso con aria modesta. Aveva sempre prestato attenzione a scegliere i soggetti dei suoi esperimenti tra coloro che avevano riportato ferite quasi sicuramente mortali. Nessuno si insospettisce se un tipo con i polmoni spappolati tira le cuoia; è una questione di “quando” più che di “se”. E sprecare un’occasione sarebbe stato un vero peccato.
Alla fine, il dottore era riuscito a godersi un viaggio relativamente tranquillo senza dover fare più di quello che avrebbe comunque fatto se fosse rimasto a Luskan a lavorare per la clinica. Rappezzare mercenari e fare in modo che meno gente possibile morisse. E all’arrivo a Daggerford, la carovana non aveva riportato nessuna vittima. Praticamente un record.
Il dottor Blackwood non era un idiota: sapeva perfettamente che viaggiare da soli era pericoloso, anche lungo le strade più trafficate, e solo persone molto abili e preparate sarebbero state in grado di affrontare tutti i pericoli che il percorso aveva in serbo per loro.
Inoltre, c’era un altro problema.
 
07/02/1371
Ho notato una cosa estremamente bizzarra – e forse leggermente preoccupante. Niente di grave, ma devo tenerne conto nei miei piani. Potrebbe avere gravi conseguenze se ignorata.
Durante l’esperimento di una settimana fa, mi sono maldestramente tagliato un dito con una lama quando il soggetto ha avuto una convulsione imprevista. Niente di grave, solo un graffio poco profondo sul palmo della mano che ha spillato qualche goccia di sangue. Ma due giorni fa, quando ho rimosso il bendaggio per controllare la ferita, ho notato che era esattamente come quando l’avevo pulita. L’emorragia si era fermata, ma non c’era segno di guarigione.
Incuriosito, ho fatto qualche ricerca. Mi sono procurato qualche taglio minore sul retro dei polpacci, dove non mi avrebbero causato troppo disagio. Oggi li ho ricontrollati: sembra che non siano guariti per nulla, anche se ferite così superficiali si sarebbero dovute richiudere nel giro di qualche ora.
A quanto pare, l’uscita dall’Inferno ha modificato il mio corpo ad un livello ben più profondo dei miei occhi. Se da un lato non ho più bisogno di luce per vedere nella notte (almeno per una decina di metri), dall’altro sembra che le mie ferite non si richiudano più da sole. Non solo: mentre ragionavo, mi sono ricordato della sensazione sgradevole che ho provato quando padre Laetonius ha utilizzato l’Energia Positiva per guarire quel mercenario. Mettendo insieme le due cose, ho fatto un esperimento: ho incanalato una minuscola quantità di Energia Negativa in uno dei tagli. La ferita si è chiusa all’istante.
A questo punto, l’immagine è chiara: il mio corpo è diventato simile a quello di un non-morto. Le ferite non guariscono naturalmente, e mentre l’Energia Positiva ha effetti deleteri sul mio fisico, l’Energia Negativa lo sostiene e lo ripara.
Vista la superstizione che circola intorno a queste due forme di energia – a partire dal loro stesso nome – è fondamentale che questa nozione resti il più possibile segreta.
 
Dopo aver domandato ad una dozzina di persone tra paesani, guardie e semplici viaggiatori, Christopher Blackwood fu costretto a gettare la spugna. C’erano parecchie storie su una Necromante che avrebbe il suo laboratorio da quelle parti, ma purtroppo nessuno era stato in grado di essere più preciso. La taglia faceva riferimento ad un altro paese, Gillian’s Hill: poco più di un puntino sulle carte geografiche, era un insediamento di contadini da meno di duecento anime. A quanto aveva capito, non c’era neppure una locanda.
Era improbabile che un incantatore serio si stabilisse in un luogo così remoto, dove perfino procurarsi la materia prima sarebbe stata un’impresa. In ogni caso, era la pista migliore che aveva. Così, dopo una nottata a Daggerford, il dottore si caricò in spalla la sua sacca e si incamminò verso le colline. La giornata era luminosa, e con un po’ di fortuna sarebbe arrivato a destinazione prima che cadesse la notte. Wolfgang svolazzava sereno lì intorno, tenendo d’occhio la strada in caso di agguati o altri pericoli. Precauzione inutile: nessuno di importante andava mai a Gillian’s Hill.
Ma non si poteva mai sapere.
Con il ronzio dei primi insetti nelle orecchie, Christopher Blackwood continuò a camminare.
 
“Christopher! Qual è il tuo animale preferito?”
Il bambino ci aveva riflettuto un attimo, i piedi a mollo nell’acqua fresca del torrente. Quell’estate era particolarmente calda e afosa, ma le nevicate abbondanti avevano riempito le riserve sui monti, e non c’era alcun rischio di siccità. I contadini ne erano entusiasti. E anche i bambini, che avevano un torrente limpido e impetuoso in cui giocare.
“Direi le rane. E il tuo invece?”
Elisa aveva risposto con tutta la serietà di una bimba di otto anni a cui era stata rivolta una domanda di tale importanza.
“I cervi volanti,” aveva detto con orgoglio.
“E perché?”
“Perché sono belli,” era stata la risposta. E Christopher l’aveva accettata così com’era. Era inutile discutere con Elisa di queste cose. Tanto alla fine l’aveva sempre vinta lei.
“Sai che se spalmi del miele sul tronco di un albero, a volte dei cervi volanti ci restano appiccicati sopra mentre provano a mangiarlo?” aveva detto invece.
Gli occhi verdi della bambina si erano illuminati, e Christopher aveva sentito il cuore battergli leggermente più in fretta. Era da qualche tempo che ogni tanto gli capitava, quando loro due giocavano insieme, ma non riusciva bene a capire perché.
“Proviamoci!” La bambina era saltata giù dalla roccia su cui era appollaiata, spruzzando acqua dappertutto. “Sono sicura che la mamma ha del miele a casa!”
“Non si arrabbierà se lo prendiamo?”
“Non penso. È lì da un sacco di tempo! Non lo usiamo mai!”
“Va bene, allora!”
Si erano messi a correre per il sentiero, accompagnati dal suono delle cicale.
 
L’erba era alta, e intorno a loro la primavera stava dando il meglio di sé. Il prato era pieno di fiori di ogni colore, e un aroma di erba umida riempiva l’aria.
Elisa aveva finito di sistemare la tovaglia per terra e ci si era seduta sopra con un sospiro, il fiato leggermente corto. Una ragazza di nemmeno sedici anni non si sarebbe dovuta affaticare così tanto per poche decine di metri in salita lungo un pendio così dolce, ma Elisa non era una ragazza normale. Ogni giorno, diventava dolorosamente più chiaro a tutti.
“Sei stanca?” aveva domandato Christopher, passandole una borraccia piena d’acqua.
Lei aveva bevuto un sorso e aveva scosso la testa.
“Non preoccuparti.”
“Se non te la senti –”
“Me la sento,” lo aveva interrotto lei con un tono che non ammetteva repliche. “Abbiamo rimandato questa giornata così tante volte.”
Poi aveva sorriso. “Ma non mi spiacerebbe iniziare dal dolce. Ho bisogno di qualche zucchero.”
Prima che lui potesse fermarla, la ragazza aveva afferrato l’involto di stoffa in cui sapeva esserci la torta di ricotta che Christopher le aveva promesso e lo aveva spalancato.
La torta effettivamente c’era. E in mezzo alla crema c’era anche un anello dorato.
Lei lo aveva fissato senza fiato.
“Non era esattamente così che me l’ero immaginata,” aveva mormorato lui, le guance arrossate. “Ma ormai siamo qui.”
Si era piegato su un ginocchio, aveva afferrato l’intera torta e l’aveva porta alla ragazza.
Elisa Maria Röckel. Sei da sempre la mia migliore amica, il mio mondo, l’amore della mia vita. Vorresti diventare anche mia moglie?”
Gli occhi di Elisa si erano riempiti di lacrime.
“Anche con…” Aveva fatto un gesto verso il suo corpo, le mani tremanti.
Lui aveva annuito, fissandola in viso.
“Certo che voglio, stupido! Che bisogno avevi di chiederlo? E di spendere soldi per un anello? E di…” Gli si era gettata tra le braccia, singhiozzando. Colto alla sprovvista, lui aveva fatto cadere la torta sulla tovaglia e l’aveva abbracciata. I due erano rotolati all’indietro, sull’erba.
“Ti amo tanto, Christopher,” aveva mormorato.
“Ti amo tanto, Elisa.”
 
“Stai attento, amore.”
“Tranquilla, non – ahi!”
Con uno scatto, Christopher si era tirato indietro dal cespuglio di rose che stava potando. Si era portato il dito alla bocca, succhiando una goccia di sangue che gli usciva dal polpastrello.
Elisa era scoppiata a ridere. “Te l’avevo detto! Vuoi che lo faccia io?”
“Nemmeno per sogno!” Il dottore si era voltato verso la moglie, seduta su una sedia all’ombra del larice che cresceva nel cortile della loro casa. Aveva agitato un paio di grosse forbici come si fosse trattato di una spada. “Ora è una questione personale!”
“Almeno mettiti i guanti!”
“Giammai! Sono un chirurgo, con le mani ci lavoro, non sarò sconfitto da – ahi!”
Un’altra risata cristallina. Christopher si era alzato in piedi osservando il cespuglio con aria offesa e scuotendo la mano dolorante.
“Obbediscono solo alla loro padrona, temo,” aveva mormorato.
“Già. Sanno chi vuol loro bene e chi no.” Elisa aveva teso le mani verso di lui. “Aiutami ad alzarmi. Faccio io.”
A malincuore, lui si era avvicinato. “Non esagerare, mia,” aveva detto, sfiorandole le mani con due baci prima di afferrarle ed aiutarla a mettersi in piedi.
“Non preoccuparti. Tu stai pronto con il concime.”
 
Un sommesso vociare riscosse Christopher Blackwood dai suoi ricordi. Senza nemmeno accorgersene, era arrivato alle porte di Gillian’s Hill, con largo anticipo rispetto al previsto. Per fortuna che Wolfgang aveva controllato i dintorni: distratto com’era, sarebbe potuto camminare dritto dentro una tagliola per orsi senza neppure accorgersene.
La piazza del mercato era insolitamente affollata, e il dottore iniziò subito a guardarsi intorno. Individuò quello che sembrava il gruppetto degli anziani della città e si avvicinò.
“Buongiorno, miei cari signori,” iniziò, per poi presentarsi. Quelli lo fissarono stupiti.
“Sono un medico itinerante. Vorrei rubarvi alcuni minuti del vostro tempo per sapere qualcosa di questa cittadina. Che novità ci sono?”
“Oh, un dottore!” lo accolse uno di loro. “Forse potrebbe aiutarmi con la mia gamba allora…”
Christopher sorrise, preparandosi ad una raffica di commenti sui loro acciacchi e domande su disturbi e doloretti assortiti. Era il motivo per cui aveva scelto quel gruppetto: gli anziani avevano sempre desiderio di parlare, e in particolare con un dottore.
Alla fine, ottenne le informazioni che cercava. Uno degli uomini, tra una lamentela sul suo ginocchio e un’altra sul fatto di doversi sempre alzare in piena notte per andare a svuotare la vescica, gli disse che c’erano storie su una Necromante che si era stabilita da qualche parte nei boschi a nord del paese. Quando però il dottor Blackwood aveva chiesto se qualcuno fosse mai andato a controllare questa persona, quelli gli avevano rivolto degli sguardi sconcertati.
“Certo che no!”
“Non si traffica con i non morti!”
“Si tratta senz’altro di una persona pericolosa!”
Christopher aveva soppresso un sospiro – di nuovo, stupide superstizioni di gente dalla mentalità limitata – e si era guardato intorno per cercare qualcuno che potesse essere interessato a fargli da guida.
Il suo sguardo fu attratto da un gruppetto chiaramente fuori posto, che stonava con l’ambiente come un pugno in un occhio. Erano tre persone, chiaramente avventurieri, che stavano cercando di convincere un asino recalcitrante a trainare un carretto carico di merci attraverso la cittadina. Uno era un goliath alto più di due metri, dalla pelle rocciosa e con un’ascia bipenne sulla schiena, che in quel momento stava cercando di convincere l’asino a muoversi facendogli quelli che probabilmente nelle sue intenzioni dovevano essere gesti di incoraggiamento, ma che sembravano più promesse di violenza fisica. Forse erano entrambi.
Gli altri due erano umani, probabilmente imparentati tra di loro: un tipo dall’aria atletica e con un vestiario ridotto al minimo che parlava con voce stentorea, e una giovane avvolta in un’armatura con una mazza al fianco e i simboli di un dio della luce sul petto. Stavano battibeccando, ma il dottore non era sicuro di sapere a che proposito. Gli pareva di aver capito che lui avesse espresso l’intenzione di “mostrare a quei villici come si nuotava nella terra” e lei stesse cercando di dissuaderlo, ma quasi sicuramente aveva sentito male. Con un lieve gracchiare, Wolfgang gli si posò sulla spalla del mantello nero.
“Che ne dici, chiediamo a loro?” mormorò il dottore.
Il corvo non pareva convinto. Si arruffò le piume con aria dubbiosa.
“Lo so. Ma sono avventurieri. Nella migliore delle ipotesi ci accompagneranno dalla Necromante, moriranno male e noi avremo qualche corpo fresco su cui esercitarci. Nella peggiore, la uccideranno e noi ci prenderemo i suoi appunti.”
Indicò la ragazza in armatura con un cenno del capo. “Quella mi sembra l’unica lì con più di mezzo cervello, quindi probabilmente è la capa. Ed è una chierica di Lathander. Se le diciamo che c’è qualcuno che traffica con i non-morti in giro partirà in quarta. Lo sai quanto sono idioti. E gli altri due la seguiranno a ruota, da bravi cagnolini.”
Wolfgang emise un altro verso gutturale. Non era ancora convinto, e Christopher Blackwood non poteva che dargli ragione.
Questi tizi puzzano di guai. Una confezione formato famiglia di casini.
Oh, beh. Tanto non sarebbe rimasto con loro a lungo.


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