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Autore: michaelgosling    12/03/2022    1 recensioni
Tre amiche appassionate una di Harry Potter, una di Star Trek e una della Disney in seguito ad un incidente vengono catapultate ognuna in uno di questi universi, ma non di quello di cui sono fan.
Proveranno ad usare quello che sanno della storia per renderla migliore? O le loro azioni porteranno ad un finale peggiore? La loro presenza influenzerà queste storie molto più di quanto immaginano, perché una sola persona può cambiare tutto.
[Fandom Variabile: il Fandom in cui verrà pubblicata la storia dipenderà dall'ambientazione dell'ultimo capitolo pubblicato. Sarà comunque possibile trovare la storia anche negli altri due Fandom nella categoria Crossover]
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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LONTANO, OLTRE LE STELLE – CAPITOLO 1
 
 
 
Non aveva ancora aperto gli occhi, eppure sapeva di essere sveglia.
 
Sentiva i suoi capelli ondeggiare, il movimento causato da un fresco venticello: per un attimo, ebbe l’impressione di trovarsi in camera sua in un’afosa giornata estiva. Quell’aria fresca che sentiva le fece tornare alla mente il condizionatore attaccato sopra alla porta d’ingresso della sua stanza, che accendeva per combattere il caldo.
 
Per quanto quel venticello fosse gradevole, i tanti, piccoli e minuscoli sassolini attaccati alle sue gambe non lo erano. Era stesa su una sorta di ghiaia, e l’aver deciso di mettersi un vestito quel giorno si rivelò una pessima decisione. Non seppe dire da quanto tempo era lì, ma fu abbastanza da sentire la ghiaia che premeva sulla sua pelle nuda.
 
Aprì gli occhi di colpo, un po’ come Aurora e Biancaneve nelle rispettive favole subito dopo aver ricevuto il bacio del vero amore, ma a differenza loro non trovò un bel principe chino su di lei, il che sarebbe stato alquanto inquietante in effetti.
 
Alzò il busto, e mentre toglieva i sassolini che si erano incastonati nella sua pelle, si accorse con fastidio che alcuni avevano lasciato dei piccoli segni rossi sulla sua pelle.
 
Il venticello che aveva percepito non era causato da un condizionatore, ma dall’aria stessa della zona: si trovava all’aperto, in una zona desolata nel bel mezzo del nulla. C’era una strana luce color arancione, eppure del Sole non c’era traccia, nonostante fosse chiaramente giorno.
 
Nel momento in cui si mise in piedi, sentì un leggero senso di vertigini e anche una sorta di sonnolenza, come se avesse dormito poco e male.
Poi sentì qualcosa ai suoi piedi. Abbassò lo sguardo terrorizzata pensando che fosse un animale, e invece era stoffa. La stoffa della borsa, ma non della sua borsa.
 
Si chinò a raccoglierla e vide l’inconfondibile “A” dorata, con al proprio interno una stella cadente nera come il contorno dell’immagine.
 
La borsa di Yvonne.
 
Dov’erano? Cos’era successo?
 
Eravamo nella Cattedrale. E poi c’è stato il caos. Ricordo qualcuno che alludeva ad un incendio. E poi tanta, tanta confusione. E.. E.. e poi?
 
Inutile.
 
Arielle non riusciva a ricordare altro, non importava quanto si sforzasse, ma per quanto quel buco di memoria fosse inquietante, non la preoccupava nemmeno la metà di quanto la preoccupava stare da sola in un luogo desolato e sconosciuto.
 
Guardò davanti a sé, ma non vide altro che lo spazio incontaminato. Stessa cosa dietro. E stessa cosa a destra e a sinistra.
 
Per qualche ragione a lei sconosciuta, la zona alla destra sembrava leggermente più illuminata, ma si trattava di qualcosa di impercettibile, e Arielle stessa non sarebbe stata sorpresa se avesse scoperto in seguito che in realtà era tutto nella sua stessa e che tutte le zone erano effettivamente illuminate nello stesso modo, ma doveva comunque iniziare da qualche parte e perché non partire dalla zona più luminosa? Fece un passo verso la luce, poi un altro, e poi un altro..
 
Camminò a lungo, anche se le fu difficile tenere conto del tempo che passava.
 
Era stanca, e quel venticello che all’inizio era piacevole stava iniziando a causarle freddo.
 
Poi arrivarono i morsi della fame. Quanto tempo era passato? Un minuto? Un’ora? Una settimana? Un mese?
 
Teneva stretta a sé la borsa di Yvonne come se fosse un neonato, ma all’improvviso si fermò e l’aprì frettolosamente.
 
Sono una stupida. Una. Stupida. Ho girovagato come un’imbecille per chissà quanto tempo, quando avrei potuto non muovere nemmeno un passo e limitarmi a chiamare aiuto.
 
Una volta preso il telefono di Yvonne, fece cadere la borsa come se tanto l’oggetto più importante fosse quello.
 
Il telefono di Yvonne era uno Xiaomi, interamente touch screen e molto grande.
 
“E’ perché ho delle enormi, schifose dita grosse. Se avessi uno schermo piccolo o una tastiera piccola non riuscirei a digitare nemmeno il mio nome.” Le aveva detto un giorno Yvonne, che come al solito si buttava giù per delle sciocchezze. Le sue dita non avevano niente di male.
 
Il telefono era acceso e aveva più della metà della batteria, ma era, naturalmente, bloccato e Arielle si ritrovò i nove punti, tre in ogni riga, mentre il telefono attendeva la sequenza corretta affinché si sbloccasse, sequenza che Arielle, naturalmente, non conosceva.
 
Fece vari tentativi.
 
Provò a formare una “L”. No, una “I”. Una “C” forse? Una “S”?
 
Niente da fare.
 
Ogni tentativo andò in fumo e alla fine il telefono si stancò, facendo apparire la scritta che diceva che il telefono era bloccato e che era necessario aspettare trenta secondi prima di tentare di nuovo, ma in fondo allo schermo vide la possibilità di fare una chiamata di emergenza.
 
Bingo!
 
Sfortunatamente la sua gioia ebbe breve durata: solo in un secondo momento si accorse che non c’era campo. Non per Internet. Per niente.
 
Stava valutando se valeva comunque la pena fare un tentativo, magari chiamare il Pronto Soccorso, quando sentì un rumore.
 
Era la ghiaia. Si stava muovendo.
 
Ovviamente la ghiaia non può muoversi, il che poteva solo significare che era qualcuno, o qualcosa, che la stava muovendo.
 
Non voleva guardare, ma i suoi occhi decisero per conto loro e seguirono il rumore.
 
Ci vollero almeno un paio di secondi perché Arielle si rendesse conto che una striscia gialla ondeggiante si stava muovendo, spostando la ghiaia al suo passaggio. Era di un giallo molto chiaro, e la ghiaia bianca aveva reso difficile identificarla istantaneamente.
 
E ci volle un altro secondo prima che si rendesse conto che non era una striscia, e quel secondo fu il più lungo della sua vita.
Un serpente.
 
Un cazzo di serpente.
 
Un cazzo di serpente giallo.
 
Un serpente piccolo, ma indubbiamente un serpente, che già tirava fuori la sua lingua biforcuta.
 
Arielle urlò terrorizzata con una tale intensità che il serpente parve addirittura più spaventato di lei.
 
Si allungò delicatamente verso di lei, ma l’unico risultato che ottenne fu quello di far urlare Arielle ancora di più, la quale iniziò a muovere agitatamente le gambe come se stesse facendo ginnastica.
 
Il serpente le schizzò velocemente addosso spalancando la bocca e questo fu la goccia che fece traboccare il vaso, già fin troppo precario.
 
Svenne di nuovo.
 
 
          
 
 
*
 
 
 
 
Non era affatto piacevole svenire due volte consecutivamente, ma Arielle fu comunque grata che questa volta, il suo risveglio fu più piacevole.
 
Niente ghiaia. Niente freddo.
 
Questa volta si sentiva avvolta da delle soffici lenzuola, stesa su un comodo materasso e il clima era perfettamente temperato.
 
C’era solo un piccolo problema: non riusciva ad aprire gli occhi.
 
Era sveglia, lo era indubbiamente. Sentiva il caldo, la comodità del letto. Era cosciente, ma non riusciva ad aprire gli occhi.
 
Il serpente.. forse l’aveva morsa? Per questo era svenuta? Il suo veleno aveva avuto effetto sul suo corpo e ora non aveva più il controllo dei suoi occhi?
 
Era tutto così strano, così caotico. Ricordava il serpente che era scattato su di lei, ma non ricordava la sensazione di un morso, né il dolore. Poteva benissimo essere svenuta dalla paura, e magari quel serpente non le aveva fatto niente.
 
Ma tutto questo non spiegava perché non riuscisse ad aprire gli occhi.
 
E in un attimo, un terribile pensiero la assalì: e se fosse diventata cieca? Se avesse effettivamente gli occhi aperti, ma non potesse comunque vedere nulla perché aveva perso la vista?
 
No, vi prego no! Non fatemi questo! Ho già la vitiligine, e ora sono anche cieca? Quanto devo essere punita in questa vita?!?
 
Cercò di mantenere la calma arrivando alla conclusione che agitandosi non avrebbe risolto un bel niente, ma non era per niente facile.
 
Quando iniziò a sentire delle voci, anche i suoi pensieri cessarono. Cieca o no, avrebbe impiegato tutte le sue energie ad ascoltare quelle voci.
 
Erano due voci maschili. Una più matura e seria, l’altra più giovane e serena.
 
“Le analisi confermano che è cosciente, che è mentalmente sveglia, ma non riesco a capire perché non apre gli occhi..” questa era la voce seria e matura “.. ma sta bene. In effetti, ha una salute di ferro. Resistenza, organi, flusso del sangue, vista.. tutto ottimale.”
 
Oh grazie al Cielo!
Allora posso vedere!
 
Poi l’altra voce parlò.
 
“Una caratteristica della sua specie, forse?”
 
Specie? Scusami? Per chi mi avete preso? Per un animale?
 
Fu non poco irritata che dei due era proprio quello con la voce che sembrava più calorosa a dire una cosa del genere.
 
“Specie? Jim, questa ragazza è umana.” Riprese la prima voce, diventando d’un tratto più dolce.
 
Grazie mille tizio sconosciuto! Se potessi te lo direi con la mia, di voce.
 
“Quelle macchie..”
 
“Vitiligine. E’ una condizione della pelle che causa la comparsa di chiazze non pigmentate sulla pelle.”
 
“Avevi detto che stava bene.”
 
“E sta bene. E’ solo un fattore estetico. La sua salute non ne risente in alcun modo.”
 
Queste voci mi sembrano terribilmente familiari, devo averle già sentite. Ma dove?
 
“Non ne avevo mai sentito parlare.”
 
“E probabilmente non ne sentirai parlare più. E’ stata trovata una cura più di centocinquanta anni fa. Nella maggior parte dei casi la cura viene data alle donne in gravidanza che in seguito ad esami hanno appreso che il nascituro l’avrebbe sviluppata, in tal modo al momento della nascita il bambino è già curato, ma ci sono stati rari casi in cui è stata somministrata ad un adulto e in entrambi i casi l’esito è positivo.”
 
C-cosa?
 
Una cura?
 
Ma siete seri?
 
E da quando?
 
Pff, impossibile. I miei genitori sono benestanti. Hanno accesso ai medici migliori del paese, e non abbiamo mai sentito di una cura.
 
Sconsiderati.
 
Poi sentì un rumore. Le porte di un ascensore? Un meccanismo che si attivava. E un Bip.
 
Qualcuno entrò, sentì i passi.
 
“Capitano, non c’è nessun riscontro.”
 
Era una terza voce, quella appartenuta a chi era appena entrato, un uomo dalla voce talmente fredda ed impassibile da far apparire la prima voce che inizialmente le sembrava seria come quella di un cantante per bambini.
 
“Chiunque sia, la sua nascita non è mai stata documentata sulla Terra.” Continuò.
 
“Com’è possibile? E cosa ci faceva in questa parte dello spazio?” disse quello dalla voce rilassata.
 
“Che sia rimasta su quel pianeta tutto questo tempo?” era la prima voce.
 
“Impossibile, dottore. Secondo le mie analisi, il pianeta non dispone né di cibo né di acqua, né flora né fauna. Non avrebbe mai potuto sopravvivere tanto a lungo. Nessuno di noi avrebbe potuto.” Fece l’ultima voce.
 
“Glielo chiederemo quando si sveglierà. Ora lasciamola riposare.”
 
Sentì quel Bip di nuovo e altri passi. Le voci cessarono. Poi sentì degli altri passi, erano due piedi che si muovevano uno dopo l’altro verso di lei. Evidentemente due di loro erano usciti, e quello che rimaneva si era avvicinato a lei.
 
Sentì un altro rumore. Un altro bip, ma diverso da quelli che aveva sentito prima, e provenivano da sopra la sua testa.
 
“Che resti tra te e me..” era la prima voce, quello che sapeva tutte quelle cose sulla vitiligine e che sosteneva esserci una cura “.. spero che resterai con noi a lungo. Se Spock continuerà ad essere così confuso dal non riuscire a trovare una spiegazione logica per la tua presenza qui, non avrà il tempo di essere irritante con me come al suo solito.”
 
 Un momento.
 
Spock? Ha detto Spock?
 
E quell’altro.. l’aveva chiamato Jim?
 
Non.. non.. non è possibile..
 
Non possono essere chi penso..
 
Lo stupore era tale che finì con l’aprire gli occhi, e si trovò davanti esattamente chi pensava.
 
Leonard McCoy.. o DeForest Kelley… insomma lui, quel viso familiare che tante volte aveva visto in TV, ma mai quanto lo aveva visto Yvonne, era in piedi accanto a lei, che le sorrideva in modo rassicurante.
 
“Non avere paura. Ti trovi a bordo della nave stellare USS Enterprise. Io sono..”
 
“Bones.” Mormorò Arielle con stupore.
 
E gli enormi occhi azzurri di McCoy, che da soli erano già molto grandi, si spalancarono ancora di più.
 
 
 
 
 


 
  
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