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Autore: postumana    29/03/2022    0 recensioni
Un giovane amore diviso che cresce e si consuma nella stellare atmosfera delle Cascate di Cosma, dove gli amanti cercano rifugio dalla terribile minaccia dei Corpi Bianchi.
"Untitled - Cosma" è un racconto breve che sto pubblicando anche su Wattpad; qua riunisco i capitoli già usciti, raggruppandoli secondo la suddivisione originale per offrire una lettura più scorrevole.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Di nuovo, le foglioline di sofora carezzavano il viso di Alma. Stavolta l’attesa era intenzionale e il nascondiglio era un inno; il sole doveva ancora tramontare. Notte dopo notte, in Alma si era fatta strada l’idea che al mondo ci fosse più felicità di quella che l’uomo era disposto a riconoscere, allontanando la paura; che ci fossero maestri, proprio come Ivo lo era per lei, più che disposti a svelarla ed insegnarla, in attesa soltanto dell’arrivo dei novizi. Era poco meno di un’irresistibile follia. Cercarla; goderla; diffonderla; e, forse, così il male si sarebbe dileguato.
In cima all’albero più florido delle Cascate di Cosma, col sole ormai porpora che screziava di lampi la luce dell’acqua, un vento sottile tra le ciglia, Alma pensò di aver trovato qualcosa; di aver appena scalfito la superficie del reale.
Non c’era nessuno: era ancora presto. Se si concentrava, lasciando andare i profumati colori della natura, poteva quasi vedere le ombre di tutti coloro che là sotto, resistendo, avevano fermato il tempo.
Ciò che vedeva adesso, però, infiltrato tra le brume dipinte che le velavano gli occhi, non era uno spirito: era Ivo, più bello che mai e in abbigliamento inconsueto. Gli occhi di tormenta erano l’unica cosa che brillava sopra il nero cappotto, i calzoni stretti e neri, neri pure gli stivali. Si guardavano intorno, cercando. Ma quel che vedeva Alma trapassava i tessuti. Era un riflesso di sé che stava accanto all’acqua di stelle, una componente divenuta e sempre stata inscindibile.
Quando la individuò, un luccichio. Spalancò le braccia.
Alma fu giù in un fruscio.
Il cappotto odorava di fumo nero e di freddo.
«Non mi sei mai mancato» sussurrò Alma, attutita dall’abbraccio. Era così: ogni giorno separati, ogni istante, lui era lei e lei era lui, e alle Cascate rinforzavano solo quel legame d’identità.
La voce di Ivo era un rombo lontano che squarciava l’orizzonte.
«Nemmeno tu.» Sciolse le braccia, liberò i respiri; sul volto s’inseguivano le nubi. «Non potrai mai mancarmi, Alma.»
Lei si discostò ancora per osservarlo; cercava la fonte di quelle note fuori sincrono. Le foglie sui rami e quelle cadute cantarono con l’acqua, ma stavolta non si trattava del vento. In un lungo attimo, i muscoli di Alma si tesero, e gli occhi sferzarono Ivo.
Entrambi si lacerarono.
Perché lei era lui e lui era lei, e Alma aveva capito cosa stava per accadere mentre Ivo soffriva il dolore di entrambi.
Sparì insieme al sole, portato via da un mulinello bianco. Alma poteva ancora vederlo dietro la cortina che vorticava, attorniandola, e in trasparenza di là del velo di lacrime. Non provò a scappare. Sentiva il mondo crollare dentro, innumerevoli macerie che si staccavano e schiacciavano amore, certezze, galassie; la frana rendeva inerte la vita.
Il tornado si fermò, facendosi muro e interrompendo il vento. Le Cascate di Cosma continuavano a scorrere con minaccioso fragore mentre la foresta tratteneva il respiro. Gli altri avevano iniziato ad arrivare, ma non osavano avvicinarsi: alcuni erano già fuggiti col terrore che artigliava loro la schiena, ma qualcun altro, impietrito, restava a guardare compiersi il più vile degli incubi.
Straziata, Alma alzò gli occhi dalla pozza di lacrime. Un vuoto nauseante era sceso dalla gola lungo tutto il torace.
Loro erano lì: la fissavano anche se non avevano occhi, la accusavano senza bocche per parlare.
I Corpi Bianchi avevano invaso le Cascate di Cosma. La malvagità che incombeva sull’uomo, nel posto dove ritrovava sé stesso, insieme a tutti gli altri. Bianco latte, bianco di stelle, e bianco oscuro.
Ed era stato Ivo a portarceli.
L’urlo dilaniante che eruppe da Alma arrivò un secondo prima dell’attacco simultaneo. Non erano in tanti; sfioravano appena la decina. Ma era noto che un solo Corpo Bianco era più che sufficiente a distruggere per sempre un individuo dotato di volto e colori. Gli spettatori sul limitare della radura rimasero immobili, con l’orrore che storceva loro le bocche, raccapricciati dalle membra bianche che si riversavano fameliche su Alma. Piangevano la sorte della giovane; si domandavano perché così tanti, e perché loro stessi non venivano assaltati… tra quanto sarebbe giunto il loro turno. Pochi secondi: tanto bastava ad essere toccati, a cancellare una regolare esistenza umana. Si chiedevano perché, nonostante sapessero questo, non riuscissero a correre via.
Ma non si trattò solo di un tocco. L’anomalia era tanto evidente da torreggiare nel delirio. I Corpi Bianchi erano singolarità maledette, e agirono come tali.  Il loro moto di bufera coprì solo in parte la tremenda protesta di Ivo, che comprese troppo tardi ciò che aveva veramente fatto.
Alma era una bambola di pezza nelle loro mani. Tiravano, stringevano, colpivano e violavano, ognuno ansioso di prendere la propria fetta e di non lasciarne ai compagni. Non c’era posa nell’umiliazione, e nemmeno c’era piacere, divertimento, o rivalsa; era ignobile caos fine a sé stesso, perpetrazione dell’empietà pura che quegli esseri, col loro tocco orribile, regalavano agli uomini senza ragione e senza un viso capace di sorridere crudele.
Sembrava non dover finire mai. Sembrava che ad Alma non fosse concesso neppure di morire, che gli amanti delle Cascate fossero condannati ad assistere per sempre a quello spettacolo di arcana e diabolica potenza, Ivo a ingoiare una valle eterna di lacrime pentite.
Ma, dopo quelle che dovevano essere state ore di flagello, parve che i Corpi Bianchi non potessero più contenere la loro bestiale sete di violenza. Sempre divisi, poiché quello era l’unico modo di esistenza che conoscevano, si sollevarono da terra per calare ancora su Alma, come per inglobare quello che ormai non era che il guscio vuoto di un’anima annientata. Il suo corpo sparì sotto la bianca coltre di ferocia, da cui si levavano stridori sempre più acuti, impossibili da identificare, impossibili da concepire…
 L’ultimo singhiozzo di Ivo fu spezzato. Spalancò gli occhi, grigi e rossi come braci di un falò; forse adesso sarebbe davvero finita, sarebbe potuto finire anche lui…
E allora un grido che pareva gettato dalle profondità della terra salì a scuotere l’indicibile sgomento della Foresta di Cosma. Vibrarono le radici e ribollirono le cascate; persino le stelle del cielo tremarono a quel suono letale, aprendo crepe nel tessuto della galassia. Era un urlo ossimorico di morte e di vita, di amore e di odio dell’intero universo, dolore di miliardi di esistenze, piacere esplosivo che riecheggiava da ere attraverso i singoli individui che venivano al mondo e lo lasciavano nel silenzio.
Non fermò i Corpi Bianchi, ciechi e sordi a tutto ciò che non erano. Continuarono a imperversare sulla preda senza accorgersi di cosa succedeva. Il grido divenne così acuto che le mani salirono a tappare le orecchie. Quando sembrò sul punto di spezzarsi, si fece più forte ancora. Poi lo inghiottì una folata di vento che non veniva dall’aria. Investì e piegò le fronde verdi, gelò il sudore sulla pelle degli amanti, un’ondata di ultrasuoni e luce improvvisa che spinse via come mosche i Corpi Bianchi, invasori delle cascate.
Rialzandosi, i presenti si schermarono gli occhi, sbalorditi. La luce che brillava nella radura era la stessa delle bianche cascate, remota e splendente. Un maestoso sbattere di ali scandiva l’andamento dei cuori: ali piumate, d’argento e di pallido viola, lucenti come metalli celesti.
La magnifica creatura aleggiava sull’erba affrontando i nemici, occhi di quarzo e artigli massicci di alabastro. Il petto latteo ansimava lentamente; rombava il suo grido di battaglia.
Incredula, rifiorì la speranza.
I Corpi Bianchi avevano recuperato l’equilibrio. Attaccarono con balzi ferini. Si aggrapparono con le dita bianche e lunghe all’animale, insensibili alla sua aura inviolabile, determinati a concludere il sacrilegio. Lo sovrastarono, lo ricoprirono, ma il loro tocco non poteva più nuocere. E gli artigli presero a strappare mentre il becco affondava nel perfetto pallore dei Corpi Bianchi, cavandone il nero viscoso che alimentava il loro miserabile esistere.
Vedendo combattere l’essere alato, Ivo si gettò nella ressa col solo desiderio di far scomparire quei putridi cadaveri che l’avevano raggirato. La furia lo faceva sentire forte come una valanga, e lo rendeva stupido. Saltò in groppa a uno dei Corpi Bianchi… la testa esplose dal dolore, il petto sprofondò nell’assurdo, ma durò un solo istante. Un nuovo grido lacerato, e gli artigli della creatura si scagliarono contro Ivo, sbranando la carne e ributtandolo a terra coperto di sangue.
Finì il lavoro per conto suo. Fece a pezzi ogni singolo Corpo Bianco, ciascuno incapace di allontanarsi nonostante la disfatta, fin quando di essi rimasero soltanto brandelli che il suo becco non poteva più afferrare. Volavano via nelle correnti delle ali, e la testa affondava ancora, gli artigli in cerca di bersagli ormai debellati. La creatura non trovava pace.
Da terra, si alzarono due occhi che non erano più d’uomo, ma che grigi come i suoi rimanevano, e dolenti come di chi non potesse più piangere. Un suono serpeggiava attutito tra le cascate; parole, forse, o un indistinto mugolio d’angoscia. La creatura lo notò. Con ancora un altro grido, solo meno acuto, mille volte più atroce, tornò ad abbattersi sul corpo che mutava col tormento delle sue grinfie.
Lo lasciò vivere. Smise d’un tratto di massacrarlo per lanciare il più struggente dei lamenti. Con esso, si librò sopra la Foresta di Cosma, smuovendo le foglie che parevano chiederle scusa con voci querule. Mentre l’essere con gli occhi grigi e con scaglie nere luccicanti di rosso che gli crescevano addosso, in agonia, strisciava lontano dalla vista, la creatura di argento viola ascese tra le nuvole buie. La seguiva una scia brillante di luminescente acqua delle cascate.
In seguito, nei mercati e agli angoli delle strade che i lampioni non colpivano, molta gente tentava gli acquirenti con cestini di uova color lavanda.
«Uccelli dell’Anima» asserivano in tono confidenziale, «direttamente dalle Cascate di Cosma.»
Ad alcuni bastava l’alone perlaceo che sembrava loro di scorgere intorno al guscio per convincersi a sganciare. A beneficio dei più diffidenti, però, si aggiungeva:
«Proteggono dalla malasorte e amplificano la chiarezza della mente profonda. Inoltre, qualora lei fosse tanto accorto da farle schiudere…» Strizzavano l’occhio in una promessa luminosa.
Di solito, questi truffaldini spacciatori di buona fortuna finivano per essere i primi a cadere nelle malefiche mani dei Corpi Bianchi. Giravano ancora e mietevano vittime incaute, silenziosi, subdoli e inarrestabili più che mai, seminando nel mondo dolore e disperazione; solo, i loro sensi privi di organi si affilavano guardinghi quando udivano strilli di rapace fulminare attraverso il cielo.
Quella notte, la notte in cui Alma fu tradita, nessuno tornò a casa, nessuno si stese all’influenza protettiva delle Cascate di Cosma; ma tutti furono comunque insieme.
Quella notte, l’Uccello dell’Anima capì il significato dell’amore dato e dell’amore preso quando veniva perso; capì che c’erano forze imbattibili anche quando venivano annientate, e che questo le rendeva ancora più vere e lancinanti; capì, infine, il senso di morire rimanendo vivi.
   
 
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