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Autore: Glenda    05/04/2022    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Noam piaceva rientrare a casa. Gli piaceva l'atmosfera che c'era a quell'ora, specialmente nella bella stagione, quando il sole si abbassava dietro i tetti e si sentiva ancora qualche voce di mamma che richiamava i bambini per cena. Erano rarità strappate la tempo che gli ricordavano il luogo da cui veniva, il suo quartiere pieno di grida becere e sbarbatelli per strada: eppure parte della gioia dell'aprire la porta e salire le scale era data proprio dal non trovarsi più lì.

Quell’appartamento l'aveva preso in affitto quando era arrivato a Noravàl senza un lavoro e con pochi soldi in tasca, ragazzo scappato da un paese privo di opportunità, e con una fuga ancora più grande chiusa in valigia.

Ora che soldi non gliene mancavano, l'aveva comprato e fatto ristrutturare. Scelta discussa, dato che avrebbe potuto acquistare una casa più centrale, magari più grande, che gli permettesse di pensare ad una famiglia, per esempio. Ma da quel posto non aveva avuto il coraggio di staccarsi: sarebbe stato come tagliare un altro ponte, ripetere il gesto con cui sei anni prima era salito su quel treno, ed era un ricordo che faceva ancora male.

Un giorno un giornalista gli aveva chiesto se il suo impegno in politica fosse un'espiazione per essere fuggito dal Dàrbrand: formulata così, era un'ipotesi banale, ma nella banalità aveva colto qualcosa di determinante. La ragione che lo aveva spinto ad andarsene era strettamente legata a ciò che lui era e che faceva adesso.

A quella domanda, aveva risposto ciò che amava ripetersi e credere: che se ne era andato per ansia d'orizzonte. Era stata l'unica risposta che gli fosse possibile dare per evitare di mentire, e Noam non amava le menzogne.

Non si era ancora tolto le scarpe quando sentì il campanello suonare.

Sulla porta c’era Adrian Vesna, ma sul momento faticò a riconoscerlo. Era diverso da come lo aveva visto nemmeno un paio di ore prima: sembrava decisamente più giovane, portava occhiali da vista, la t-shirt di un gruppo rock, scarpe da ginnastica consumate e a tracolla una borsa di pelle gonfia e sformata.

“Buonasera! Disturbo?”

Noam lo tirò in casa.

“Signor Vesna, che sta facendo… ?”

Era la prima volta che non lo chiamava col proprio nome: per lui era un segno di evidente difficoltà.

“Lei dovrebbe quantomeno chiedere chi è, prima di spalancare la porta.” eluse lui “D'ora in poi, almeno questa piccola accortezza me la conceda.”

“Che significa questo… ” travestimento, pensò, ma disse “...cambio di look?”

Adrian frugò nella borsa, tra plichi di libri, ed estrasse un portafogli, da cui tirò fuori un documento.

“Faccio quello che lei mi ha chiesto e che i suoi colleghi, del resto, mi avevano preannunciato. La sorveglio 24 ore su 24 senza intralciare la sua vita. O la sua immagine di uomo che si muove liberamente per la città e si fida di tutti.

Pronunciò l'ultima proposizione con un tono che Noam non seppe decifrare: non era critico o dispregiativo, ma c'era dentro qualcosa di stonato.

Il documento riportava una foto di Adrian forse d'un paio di anni più giovane, un nome fittizio, un indirizzo, timbro e firma dell’impiegato comunale di turno.

“In questa identità sono Yiv Bàmen, uno studente fuori sede, ho preso in affitto un appartamento al piano di sotto. Sono sicuro che saremo ottimi vicini e ci capiterà spesso di andare a correre insieme sulle scale del belvedere o di incontrarci sullo stesso treno. Compromesso, signor Dolbruk.”

Noam sbatté gli occhi, fissi sul documento falso.

“Le faccio un caffè.” disse, atono “Le va il caffè? O preferisce altro?”

Non lo lasciò rispondere e si diresse all'angolo cucina, accendendo la macchina da espresso. La mano gli tremava un po', e una cucchiaiata di caffè finì a terra. Si chinò con la spugna in mano, e rimase qualche attimo così, piegato sul pavimento, assorto in un pensiero.

Poi si alzò e fissò Adrian dritto negli occhi.

“Mi faccia capire:” disse “lei pensa di cambiare identità così come cambia i vestiti, per potermi seguire nelle diverse situazioni della mia vita?”

Lui annuì.

“Tendenzialmente è così che lavoro quando il cliente vuole discrezione o quando mi viene chiesto di mantenermi in incognito per far uscire una minaccia allo scoperto. È la mia specialità. Io posso diventare quante persone desidero, e quante volte al giorno lo voglio. Un trasformista, questo dicono di me. E posso garantirle, signor Dolbruk, che a volte lei stesso non saprà riconoscermi.”

Pronunciò quelle parole senza orgoglio, con distacco.

Forse le aveva dette migliaia di volte.

Forse non vi vedeva nulla di pazzesco.

Noam, invece, avvertì un nodo di dolore stringerlo alla gola.

“Ma questo non è affatto bello!” proruppe “Lei così… mi chiede di fingere con i miei amici, con la gente che frequento… e soprattutto mi chiede di fingere con lei! Con chi dovrei relazionarmi io? Con Adrian Vesna la guardia del corpo, con… Yiv lo studente… o con chi altro?”

“Lei non ha bisogno di relazionarsi.” rispose Adrian, con un'impassibilità disarmante “Io devo solo proteggerla. Non le è chiesto di avere alcun tipo di rapporto con me.

Noam pensò che cose del genere si potessero dire solo nei film, e non lì, in casa di una persona vera, che respira e ti guarda. Eppure si rendeva conto che altre volte nella vita gli erano capitate situazioni almeno vagamente simili.

Pensò al suo primo discorso elettorale: si era così stupito quando Kàrkoviy lo aveva messo in contatto con chi glielo avrebbe scritto… era caduto dalle nuvole come un ingenuo: non riusciva a immaginare quanto di convincente potesse esserci in un discorso, se ciò che ci era stato messo dentro non era reale. Reale per lui: detto come lo avrebbe detto lui, sforzandosi – anche - di dirlo con le stesse parole con cui pensava, che non era facile nemmeno per i poeti, figuriamoci per uno sconosciuto che non lo conosceva.

Alla fine quel discorso era stato scritto benino, era chiaro e non retorico, e lui lo aveva imparato a memoria la sera prima, perché non aveva senso parlare alla gente senza guardarla negli occhi: ma poi gli occhi degli altri la memoria gliel'avevano fatta perdere e lui aveva detto quello che voleva, con le sue parole, le esitazioni, le incespicature del suo pensiero: la punteggiatura segreta che distingue il vero dal falso. E lo avevano applaudito a lungo.

“Ogni contatto umano è una relazione. Possiamo investirci o meno, ma non lo possiamo ignorare. Qualsiasi incontro apre una scatola, e ciò che ci verrà messo dentro non può essere preventivato in anticipo, così come non si può preventivare come, quando e se la scatola verrà richiusa.”

Adrian rifletté giusto un attimo.

“Nel mio lavoro si preventiva l'ampiezza della scatola, signor Dolbruk, e questo definisce in partenza quanto può contenere.”

Il modo in cui aveva accolto la sua metafora e l'aveva rovesciata per smontarla era stato indubbiamente brillante.

Noam sorrise.

“Ho capito. Allora, scatola predefinita. Ok. Ma ogni relazione implica due o più elementi.”

“Questo non è un problema. Non sono qui a decidere come lei debba porsi nei miei confronti: non è in mio potere farlo. Le ho solo detto che se le è difficile relazionarsi con un uomo che si nasconderà tra la folla per proteggerla, non deve sforzarsi a farlo. La discrezione è una mia specialità. Sarò nella sua vita sempre, ma lei non mi vedrà quasi mai.”

A quelle parole Noam avvertì un brivido corrergli lungo la schiena.

“Le parole sempre e mai non dovrebbero essere usate con leggerezza.”

Adrian si alzò spostando la sedia senza il minimo rumore.

“Stia tranquillo,” disse “la leggerezza non fa parte di me.”

Si diresse verso il punto luce della cucina e cominciò a guardare all'interno della plafoniera.

“Ok.” fece tra sé, ed andò ad aprire borsa con cui era entrato estraendone qualcosa.

“Che fa?” chiese Noam.

“Sistemo le cimici. Siccome vivo al piano di sotto, dovrò pur sentire se qua dentro accade qualcosa.”

“Eh? Sta scherzando? La prego, mi dica che sta scherzando!”

“Non si preoccupi.” fece Adrian completamente estraneo a quella reazione emotiva “Terrò sotto controllo questa stanza perché è aperta sull'ingresso. Non avrà microfoni in camera da letto.”

“L'intimità non è solo sotto le lenzuola!”

Adrian interruppe per un attimo il suo lavoro e lo fissò con un'espressione mista tra stupore ed irrisione.

“Scusi, ma lei che razza di personaggio pubblico è?”

Era la prima volta che Noam si sentiva etichettare così direttamente come “personaggio pubblico”, e quell'espressione, udita tante volte, su di lui gli suonava strana, dispregiativa.

Eppure era esattamente ciò che lo definiva, e non solo in quel momento della vita.

Non era mai stato una persona che riusciva a rimanere defilata dal mondo: mettersi in mostra gli veniva naturale, lo aveva fatto a scuola, all'università, nelle manifestazioni a piazza Vittoria e anche qui, pur se, quando era partito, si ERA ripromesso di evitarlo.

Era sempre stato più forte di lui, e non si trattava solamente di politica: anzi, forse la politica ne era un aspetto marginale. Cosa c'era allora che gli rendeva tagliente la domanda di Vesna? Non ne era sicuro, ma avvertiva in qualche modo in quell'espressione il sottinteso che la sua vita si svolgesse su una specie di palcoscenico, che ci fosse un copione da imparare, un po' come per quella storia del discorso. Lui non si sentiva un “personaggio” pubblico: sentiva, piuttosto, che buona parte della sua vita aveva necessità di essere pubblica per essere vissuta davvero.

Ma era difficile spiegarlo, specie a qualcuno che aveva appena messo in chiaro di non voler essere ad alcun titolo suo amico.

Rimase in silenzio, lo lasciò lavorare.

Ogni tanto guardava dalla finestra il cielo scurirsi e pensava che tutto sommato anche quella era stata una bella giornata. Anzi bellissima. Oppure pessima.

I bilanci non tornavano mai.

Adrian fece molte prove audio, si mosse un paio di volte dalla casa all'appartamento di sotto, poi disse di nuovo “ok”, ma non a lui, e cominciò a mettere in ordine le sue cose.

Solo allora Noam si accorse che desiderava ancora togliersi le scarpe.

Andò in camere da letto, gettò la cravatta sul comodino, tornò in soggiorno a piedi nudi e si distese sul divano, quasi come se l'ospite non fosse più lì.

“E quindi, lei lavora senza relazionarsi mai?” fece, buttando uno sguardo al soffitto, le mani intrecciate dietro la testa.

“Mai.”

Con un rumore di cerniera la borsa si chiuse.

“E come fa?”

“Io potrei farle la domanda contraria.”

Noam chiuse gli occhi.

“Io le saprei rispondere.”

Rimasero in silenzio abbastanza a lungo da permettere ai suoni della strada di raggiungerli dalle finestre. Una donna gridava qualcosa che non si capiva, nella sua voce c'erano rabbia e vitalità.

Era buio, ormai.

“Per me tutto è relazione.” disse Noam, con dolcezza “Non c'è niente senza. Senza relazione non sta in piedi quasi nessuna attività umana: nemmeno l'arte si sorregge senza qualcuno che ne gode. E la politica, principalmente, esiste per questo. Esiste perché gli esseri umani hanno messo giù le clave per cercare di entrare in un tipo di relazione che fosse d'incontro e non di scontro. Chi dimentica questo, chi dice che la politica si basa sull'economia, o sulla potenza, o sulla lotta di classe, non fa che fare a fette il punto di partenza. La politica è fatta dalle relazioni: ciò di cui ha bisogno l'essere umano per stare bene è di relazioni funzionanti. Per cui, io per primo devo costruire relazioni che funzionino. Purtroppo non sempre mi riesce bene, ma non può chiedermi di non farlo, nessuno può. Non sono un personaggio pubblico, sono una persona che è fatta del suo rapporto con la gente.”

“… ed è per questo che si fida di tutti?”

Stavolta quella nota stonata non c'era, o, almeno, Noam non l'avvertì.

“È per questo che mi fido di tutti.”

  
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