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Autore: Zobeyde    07/04/2022    5 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL GUARDAROBA

 


 
Con appropriato, evidentemente Blake intendeva dire vecchio; sembrava infatti che, a causa dell’estrema chiusura stabilita dai Decani, la moda ad Arcanta fosse rimasta ferma più o meno intorno al Diciottesimo secolo.
«Tieni, prova questi» disse lo stregone, dopo aver rovistato in un baule. «Dovrebbero starti. In caso contrario possiamo sempre apportargli qualche modifica.»
E gli allungò quella che sembrava un’uniforme militare: camicia inamidata, redingote di velluto blu notte con alamari e galloni, pantaloni bianchi e stivali al ginocchio. Mancavano solo parrucca cotonata e fioretto.
«Io questa roba non la metto» dichiarò Jim senza celare una smorfia. «Che bisogno c’è di andare in giro vestito da D’Artagnan?»
«Non puoi presentarti ad Arcanta in jeans come un contadino.» Blake gli mollò la divisa in braccio. «L’ultima cosa che possiamo permetterci è attirare l’attenzione su di te: stiamo già correndo un rischio enorme portando lì un Esterno. Come procede lo studio delle Rispettabili Trenta, a proposito?»
Si riferiva all’elenco in ordine alfabetico delle trenta casate più illustri di Arcanta: contrariamente a quanto accadeva nel Mondo Esterno, laggiù più una famiglia aveva origini antiche e meno era considerata raccomandabile, per via di possibili legami di sangue coi Mancanti. E quelli che, come i Blake, risalivano a prima della Fondazione…be’, erano visti alla stregua di appestati.
«Sono arrivato ai Ravenna.»
«E allora vedi di darti una mossa» lo redarguì il maestro. «Hai ancora un mucchio di cose da imparare e la Prova dell’Oro è fra tre giorni. Forza ora, fammi vedere come ti sta la divisa.»
Jim si astenne dal roteare gli occhi al cielo per l’ennesima volta solo perché era consapevole che si trattava di precauzioni necessarie. Boris Volkov li aveva invitati con l’intenzione precisa di smascherare Solomon di fronte a tutta Arcanta e dovevano offrirgli meno pretesti possibili per indagare sul conto di Jim.
Dopo essersi cambiato, il ragazzo si osservò allo specchio sentendosi pronto per il Carnevale. Ma doveva ammettere che, a dispetto delle apparenze, erano i vestiti più comodi che avesse mai indossato e gli avvolgevano il corpo come una seconda pelle. Si accorse che Blake stava evitando di incrociare il suo sguardo nel riflesso.  E capì. «Apparteneva a uno dei suoi allievi, vero?»
«Sì» rispose lui, con voce sorda. «A Jasper, aveva una corporatura simile alla tua.»
Jim esaminò le preziose rifiniture della redingote e vide che sul petto erano cuciti due stemmi: il più grande, in oro, racchiudeva al suo interno una spada, una bilancia e un libro ed era sormontato da tre api. Il secondo, in argento, raffigurava un corvo e una candela.
«Dicono che rappresenti la saggezza» commentò Solomon, le labbra incurvate in uno strano sorriso storto. «Una fiamma che illumina le tenebre dell’ignoranza. Ma io ci ho sempre visto una minaccia: basta poco a spegnere una candela e i corvi sono animali predatori.»
«Ma era la sua scuola» obiettò Jim con sorpresa. «Ne parla come se la odiasse.»
«Al contrario, c’è di che esserne orgogliosi: la Corte dei Sofisti ha tirato fuori i migliori furfanti di Arcanta, me compreso. Guardati nelle tasche.»
Jim lo fece e all’interno della redingote trovò dei documenti ripiegati.
«“Winston Prosperus Cavendish”. E chi sarebbe?»
«Sei tu» rispose lo stregone. «Come mi auguro ricorderai, i Cavendish sono una delle Rispettabili Trenta, tutti Sanguepuro. E sono imparentati alla lontana con i Blake.»
«Quindi sarò il figlio della sorella della cognata…»
«Sarai semplicemente un mio pronipote» concluse Solomon. «Che ho scelto di prendere come assistente.»
«E se dovessimo imbatterci in un membro della mia presunta famiglia?»
«I Cavendish sono straordinariamente prolifici, nemmeno loro sanno quanti discendenti abbiano con esattezza» spiegò lui. «La sorella di mia madre, Sofronia, era una Cavendish e mise al mondo dodici figli, che hanno avuto altrettanti successori. Tutti coi capelli rossi, tra l’altro. E per finire, cosa che gioca a nostro favore, nessuno li sopporta, ragion per cui non vengono mai invitati a nessun evento mondano.»
«Va bene, mettiamo il caso che se la bevano, che lei riesca spacciarmi per un Cavendish» disse Jim in tono ragionevole. «Come giustificheremo il fatto che nessuno mi abbia mai visto prima in città?»
«Presto detto: alcuni anni fa tua madre, Alcina Cavendish, fu al centro di uno scandalo: qualcuno aveva messo in giro la voce che non tutti i suoi figli fossero del marito. Ovviamente Alcina sostiene che erano calunnie, ma per allontanarla dai pettegolezzi, Roland Cavendish l’ha fatta trasferire in una delle loro proprietà nel Suffolk con parte della prole: sei cresciuto laggiù, con i tuoi sette fratelli, di cui sei il mediano. Al raggiungimento della maggiore età, tua madre mi ha chiesto di prepararti al debutto in società.»
Quella balla aveva l’aria di essere stata confezionata con largo anticipo, come se lo stregone avesse previsto che prima o poi sarebbe giunto il momento di giocarsi la “carta parentela”.
Jim studiò i documenti adeguatamente falsificati con poca convinzione; si era immaginato un mucchio di volte come sarebbe stato andare ad Arcanta, ma in nessuna delle sue fantasticherie doveva andarci sotto falsa identità. Aveva passato la vita a nascondersi dai Mancanti, e anche adesso, fra maghi come lui, era costretto a vestire i panni di qualcun altro…
«Non sono sicuro che sia un buon piano.»
«Su cosa hai ancora dubbi?»
«Tanto per cominciare, “Winston” è un nome da fessacchiotto.»
«Te lo dovrai far piacere. E poi, non è nostra intenzione trattenerci a lungo. Andremo lì unicamente per assistere alla Prova dell’Oro di Alycia, dopodiché torneremo ai nostri affari.» Con espressione corrucciata, Blake usò il bastone per beccare Jim sulla fronte. «Perciò mi aspetto da te la massima discrezione: non iniziare conversazioni, rispondi a eventuali domande solo nel modo che concorderemo. Se ti viene offerto da mangiare o da bere declina educatamente a meno che non sia io a dirti il contrario. E soprattutto, non uscire dal personaggio nemmeno per un istante. Intesi?»
Ancora una volta con le spalle al muro, il ragazzo poté solo sbuffare con rassegnazione. «Intesi.»
 
 
Il resto della settimana fu impiegato per preparare Jim sugli usi e sui costumi di Arcanta; per fortuna, almeno con il galateo e l’etichetta si erano già portati avanti durante i mesi dell’apprendistato, ma a questo dovettero aggiungere tutta una serie di leggi e norme di comportamento, sia scritte che non; Blake gli fece imparare a memoria il Giuramento, che veniva recitato all’apertura di ogni manifestazione pubblica in onore dei Fondatori e del Decanato, gli insegnò quali formule di saluto adottare e quali parole fossero considerate tabù, ossia tutto ciò che riguardava il Vuoto, la Strega Eretica, la tecnologia, i Mancanti, la scienza, il Vecchio Mondo e la guerra.
Jim memorizzò i nomi completi di tutti i suoi parenti più prossimi, i motti e le caratteristiche di ognuna delle quattro Corti di Arcanta e dei rispettivi maestri:
«Macon Ignatius Ludmoore è l’Arcistregone del Sud» spiegò Solomon, indicando il suo nome sulla lavagna. «È a capo della Corte dei Miraggi e tutti i suoi adepti sono esperti tessitori di illusioni. Li riconosci dalle divise viola e bronzo e il loro stemma è un pavone coronato. Se ne vedi uno mantieni le distanze e sonda attentamente tutti i tuoi sensi: le illusioni in genere possono colpirne solo uno per volta. Macon è un tipo all’apparenza affabile, ma ama gli scherzi, gli indovinelli e i rompicapi, di certo non perderà l’occasione per proportene qualcuno. Poi c’è la scuola di Boris Volkov…»
«La Corte delle Lame» completò Jim, ricordando i racconti di Alycia. «Il suo motto è “Sii la tua arma”, il suo simbolo un lupo d’argento con in bocca una spada. Gli allievi sono addestrati in ogni forma di combattimento e sanno evocare armi da qualsiasi materiale.»
«Abili guerrieri, ma non particolarmente svegli» aggiunse Blake, storcendo la bocca. «Ho sempre pensato che Alycia fosse sprecata in quel posto. Mettono l’onore prima di qualunque cosa e sono molto suscettibili, quindi evita di provocarli. Ma quella da cui devi davvero stare in guardia è l’Arcistrega dell’Est.»
Circondò il suo nome col gessetto. Due volte. «Una Duval, “La Regina di Cuori”: apparentemente, la Corte dei Sussurri è la più innocua, solo una scuola di buone maniere per ragazze in età da marito. Non lasciarti ingannare, la Duval è una sottile manipolatrice, in grado di cavare qualsiasi segreto. Non restare mai solo in sua compagnia: c’è un motivo se il simbolo della sua Corte è un cuore stritolato da un serpente.»
Jim deglutì, sforzandosi di non lasciar trapelare la sua preoccupazione: più cose veniva a sapere su Arcanta, più la città dei maghi assumeva l’aspetto di una trappola mortale. A sentire Solomon Blake, il pericolo poteva nascondersi praticamente dovunque, a dispetto dell’avversione dei cittadini per la violenza in ogni sua forma. In un mondo del genere, dove tutti si rivolgevano parole gentili ma chiunque poteva pugnalarti alle spalle, manipolarti o stregarti, come si faceva a non andare fuori di testa?
Io non ci voglio andare fra i matti, diceva Alice.
Il giorno della partenza, Solomon insistette perché facessero un’abbondante colazione: per chi non ci era abituato, le pietanze preparate con la magia creavano dipendenza, una volta assaggiate non se ne poteva più fare a meno, al punto che il cibo normale perdeva sapore.
«Tieni sempre a portata di mano foglie di scopolamina» aggiunse Solomon, consegnandogli un sacchetto di velluto. «Se ti offrono anche solo dell’acqua, fanne cadere una nel bicchiere: è l’Erba della Verità, rivela se sia stata compromessa o avvelenata.»
«Quindi, oltre ad essere arrestato e stregato c’è pure il rischio che mi avvelenino» fece Jim, sconfortato. «Grandioso!»
«Non stiamo andando in vacanza. E ti ho già detto che ho molti nemici laggiù.»
«Non sono abituato a essere circondato da gente pronta a uccidermi.»
«Buon per te» sospirò lo stregone. «Io ormai non ci faccio più caso.»
Su quelle parole, la pendola nel soggiorno batté le undici.
«Dobbiamo affrettarci» disse poi. «Prenderemo il Meridiano delle dodici da uno dei guardaroba del secondo piano.»
«Eh?»
«È il sistema ufficiale per raggiungere Arcanta» spiegò Blake, abituato a suscitare in lui espressioni di puro smarrimento. «Un portale che appare in luoghi ed orari stabiliti in ogni parte del globo nell’arco di una giornata. Ma ha una finestra temporale limitata: se lo si perde bisogna attendere il giorno successivo. Il Meridiano passa per New Orleans alle dodici in punto e i suoi punti di accesso sono gli armadi.»
«Perché proprio gli armadi?»
«Perché chiunque ha un armadio in casa.»
«Perciò il Meridiano potrebbe trovarsi in qualsiasi armadio?»
«Compreso nel fuso orario di riferimento, sì. Un tempo era un sistema di trasporto molto usato, ma con la chiusura di Arcanta al mondo ormai ben pochi lo sfruttano ancora.»
«E che succede se un Mancante per sbaglio ci finisce dentro?» domandò Jim. «Se apre un armadio mentre si è trasformato in Meridiano…?»
«È molto raro, ma se succede viene sbalzato all’indietro e dimentica all’istante cosa ha visto» rispose Blake, ma un momento dopo rettificò: «Ora che mi ci fai pensare, l’unica eccezione fu quel ragazzo di Oxford: mi trovavo allo University College per delle ricerche e usai il Meridiano più vicino nel guardaroba di uno studente, un certo Clive Lewis[1]. Sfortunatamente, il signor Lewis rientrò in camera nel momento in cui varcai il Meridiano.» Si concesse un sorrisetto divertito a quel ricordo. «Naturalmente nessuno gli ha creduto, ma ho sentito dire che abbia sviluppato una vera e propria ossessione per gli armadi.»
Alle dodici meno cinque, erano entrambi in piedi di fronte al grosso armadio in camera di Blake; per l’occasione, lo stregone aveva riesumato da chissà dove un lungo cappotto nero aderente con code di rondine che lo faceva somigliare a un direttore d’orchestra, e sostituito la bombetta con un cilindro. Appariva come sempre padrone della situazione, ma il modo insistente con cui il suo indice sinistro batteva sulla testa di corvo del bastone tradiva il suo nervosismo.
Anche Jim continuava a tormentare i galloni in argento della redingote, sforzandosi di tenere a bada l’ansia che si stava pian piano facendo strada dentro di lui. Si era mantenuto abbastanza calmo per tutta la settimana, e anche la notte prima era sorprendentemente riuscito a dormire. Ma da quando si era alzato dal letto aveva lo stomaco serrato.
Contrariamente a ciò che si aspettava, però, non erano gli avvertimenti del maestro a metterlo in agitazione. Erano gli spazi vuoti, gli imprevisti. Le infinite eventualità che la situazione sfuggisse al loro controllo e andasse tutto a scatafascio: Solomon Blake era in gamba ma non infallibile, lo aveva già sperimentato.
È una recita, ricordò a se stesso. Solo un’altra recita.
Aveva impersonato per anni un orfano che aveva conosciuto la magia alla corte di un sultano, quel giorno sarebbe stato solo Winston Cavendish per un paio d’ore. Non era poi così difficile.
E poi, avrebbe rivisto Alycia dopo settimane. Quel pensiero gli rese il cuore immediatamente più leggero.
Dodici rintocchi.
«È ora» disse Solomon.
Jim lo guardò aprire gli sportelli e allungare un braccio per separare le file di camicie appese e le giacche in cashmere. Poi sorrise, sebbene non capisse a che cosa.
«Puntuale come un orologio svizzero. Sbrigati, non abbiamo molto tempo prima che riparta.»
Ed entrò per intero nell’armadio, lasciandosi dietro una schiera di abiti costosi.
Jim sentì un corpo morbido intrufolarsi tra i suoi polpacci emettendo un leggero miagolio.
«Mi dispiace» disse, raccogliendo Lily da sotto le ascelle per poi andarla a posare sopra il letto. «Non posso portarti con me: ad Arcanta i Famigli non sono ammessi. Torno presto, non preoccuparti.»
Tornò in fretta al guardaroba e le rivolse un’ultima occhiata per assicurarsi che non lo seguisse, ma la gatta sembrava più concentrata sulla sua pulizia personale.
Sentendosi sempre più simile ad Alice che insegue il Bianconiglio, Jim protese una mano tra i vestiti, e quella parte razionale che era in lui, e che sempre più spesso doveva mettere a tacere, si aspettò di toccare prima o poi il fondo dell’armadio. E invece il fondo non c’era e ben presto non ci furono più neppure i vestiti. Ci fu però luce, una luce soffusa che accarezzava morbidamente gli interni di una stanza rivestita di velluto capitonné. Sembrava a tutti gli effetti un ascensore, uno di quelli da alberghi di lusso.
Ritrovò Blake seduto su una panca imbottita, con le gambe accavallate e un giornale tra le mani. Ce n’erano molti altri, stirati e impilati ordinatamente in un portariviste.
«Mettiti comodo» disse lo stregone, sfogliando il giornale. «E non dimenticare di allacciare la cintura.»
Jim inarcò un sopracciglio quando si rese conto che la panca era effettivamente provvista di fibbie. «Questo sarebbe il Meridiano?»
«Altroché e perfettamente funzionante. La cintura, prego.»
 «Ma non ha senso, in che modo dovrebbe…?»
In quell’istante delle porte dorate si chiusero ermeticamente laddove prima c’era l’entrata dell’armadio, e subito dopo un rombo risalì da sotto il pavimento in legno lucido. Un lampadario di cristallo ondeggiò sopra la sua testa spargendo schegge di luce, ma prima che Jim potesse aggrapparsi a qualcosa, l’ascensore partì come un razzo. Solo che partì di lato, con uno scarto così improvviso da scaraventarlo contro la parete opposta. Jim si ritrovò con la guancia schiacciata sul muro senza fiato, ma non fece neanche in tempo a staccarsi che l’ascensore cambiò direzione, cominciando una vertiginosa salita.  Spintonato all’indietro, Jim piombò a terra come un sacco di patate e gattonò fino a raggiungere la panca, dove Blake sedeva composto e leggeva il giornale, come se non avvertisse nessuno di quei bruschi sobbalzi.
«Te l’avevo detto di allacciare la cintura.»
Prima che l’ascensore impazzisse di nuovo e cambiasse rotta, si accasciò sulla panca e si affrettò ad agganciare per bene le fibbie. Magicamente, l’ascensore smise all’istante di scuotersi come un cavallo imbizzarrito, ma Jim aveva ancora il mal di mare.
Per distrarsi, lanciò uno sguardo al giornale che Solomon stava leggendo, l’Oraculum; in prima pagina figurava l’immagine in movimento di una gran folla riunita al cospetto di un imponente edificio bianco a torre. Il titolo, a caratteri cubitali, annunciava l’inizio della cerimonia che avrebbe portato alla nomina dei futuri nuovi alchimisti del Cerchio d’Oro.
«“Tra gli ospiti più attesi, figureranno l’Arcistregone dell’Ovest, Solomon Blake, disperso nel Mondo Esterno e totalmente irrintracciabile”» lesse Jim. «“Voci di corridoio riferiscono inoltre la possibilità che venga accompagnato da un misterioso apprendista.”»
«Visto? Sei già una celebrità.» Blake espirò dal naso e scrollò la testa con disapprovazione. «Altra pubblicità, proprio ciò di cui avevamo bisogno.»
«Pensa che anche questa sia opera di Volkov?»
«Il direttore dell’Oracolum prende istruzioni solo dal Decanato» rispose Blake, pensieroso. «Evidentemente ho sottovalutato il vecchio Boris: è riuscito ad accattivarsi le simpatie di qualcuno ai piani alti, alla fine. E temo anche di sapere di chi si tratta.»
Jim non ebbe modo di chiedere spiegazioni, perché le porte dell’ascensore si spalancarono con uno scatto e sulla soglia comparve un uomo.
«Oh!» Si fermò di colpo, assumendo un’espressione sinceramente sorpresa. «Domando scusa, cittadini, non pensavo che avrei avuto dei compagni di viaggio!»
Blake mise immediatamente via il giornale e salutò il nuovo arrivato con uno dei suoi sorrisi più vivaci. «Si accomodi pure, cittadino.»
L’altro ricambiò calorosamente e rivolse loro un inchino; era alto e nero, con indosso una lunga tunica ricamata, un fez in testa e una spilla d’oro a forma d’ape appuntata sul petto. Si sedette accanto a Jim.
«Mi chiamo Yusuf Alzanar» si presentò a un certo punto, studiandoli con un po’ troppo interesse. «Ho preso il Meridiano di San Francisco per un pelo! Anche voi di ritorno ad Arcanta?»
Jim evitò di incrociare il suo sguardo e affondò il mento nel colletto della redingote. E pensare che non erano ancora arrivati a destinazione!
«Solo per una breve visita» rispose Blake, in tono educato ma senza lasciare spazio alla conversazione.
«Oh, per la Prova dell’Oro immagino!» esclamò invece l’altro con entusiasmo. «Io sono stato convocato solo ieri: in verità non me l’aspettavo, sapete è così tanto che non ricevo notizie da mio figlio.» La sua voce acquisì una nota malinconica, ma subito dopo il suo volto si illuminò. «È entrato nella Corte dei Miraggi, pensate! È un grande onore per la nostra famiglia, peccato che mia moglie non mi abbia potuto accompagnare…purtroppo è, ehm, indisposta.»
Non è una Sanguepuro, capì al volo Jim. Quel mago probabilmente faceva parte delle Rispettabili, ma a giudicare dalla sua smania di dialogo non doveva avere contatti con la società magica da un bel po’. Aveva ricevuto la convocazione solo in quanto Sanguepuro, ma sua moglie no: era triste pensare che fosse stato proprio il figlio a non invitarla.
«Un momento!» aggiunse Yusuf, strabuzzando gli occhi. «Ma…ma lei non sarà mica…? Sì, è proprio Solomon Blake! Oh, per i Fondatori, come ho fatto a non riconoscerla subito?»
«Piuttosto comprensibile» replicò Solomon, con un sorrisino tirato. «Sono latitante da un po’.»
Yusuf si mise a ridere. «Quando Tariq saprà che l’ho incontrata gli prenderà un colpo! È un suo grande ammiratore sin da bambino! In verità mi ha confidato che gli sarebbe piaciuto entrare nella sua Corte.»
«In tal caso, me lo saluti tanto.»
All’improvviso, una voce femminile risuonò nella cabina: «Arboreto del Parnaso. Benvenuti cittadini!»
L’ascensore si aprì, stavolta su un esterno luminoso.
Solomon si liberò alla svelta della cintura e scattò in piedi, imitato da Jim, mettendo immediatamente fine alla conversazione. Yusuf parve un po’ deluso che il viaggio fosse già terminato.
«Be’, vi auguro una piacevole permanenza, cittadini» disse, alzandosi a sua volta. «Spero di incontrarvi alla cerimonia. Che la conoscenza vi illumini il cammino.»
«Che la conoscenza ti illumini il cammino» replicò Solomon, sollevando il cilindro. «Andiamo, Winston.»
Jim si accomiatò adottando la stessa formula di saluto e trotterellò dietro al maestro.
Preoccupato com’era dalle attenzioni di quel tipo non si era neanche accorto di dove fossero finiti; perciò, rimase a bocca aperta quando si trovò nel bel mezzo di una giungla.
Dopo un istante si rese conto che non si trattava di una vera e propria giungla in effetti, ma di un immenso parco, e attraverso il fitto groviglio di piante, scorse fontane e viali, ma anche sculture, sfingi e piccoli templi perfettamente integrati nella natura. Numerosi passanti percorrevano quei sentieri, conversando, leggendo, e corteggiandosi lungo ruscelli e laghetti.
L’odore dei fiori era così inebriante da dare alla testa e, oltre il tetto di rami, i raggi del sole erano filtrati da un’intelaiatura in vetro e acciaio dalle sottili nervature d’ispirazione fitomorfa, che conferiva al luogo l’aspetto di una gigantesca serra.
Stordito dal profluvio di colori e profumi, Jim si incamminò senza sapere dove soffermare lo sguardo, finché non andò letteralmente a sbattere contro la schiena di Solomon, che era in piedi di fronte a una vetrata panoramica.
Io non ci voglio andare fra i matti disse Alice.
Ma tu sei matta, replicò lo Stregatto. Altrimenti non saresti qui.
«Benvenuto alla Città Nascosta.»
 
[1] Più noto come C.S. Lewis: saggista, teologo e scrittore, la cui opera più celebre è il ciclo delle Cronache di Narnia.
  
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