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Autore: Tabychan    13/04/2022    1 recensioni
Ogni persona contiene dentro di sé una certa percentuale dei quattro elementi: terra, aria, fuoco e acqua. La maggior parte non se ne rende conto e non sa sfruttarli.
Ma cosa succederebbe se esistessero combinazioni di elementi più potenti di altre? Le vite delle persone che li ospitano finirebbero influenzate? O sconvolte?
L'istituto Kosmos di Ambervale si occupa di scoprire proprio questo.
E lo scopriranno, a loro spese, anche tre giovani allievi...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le giornate successive furono piuttosto tranquille, nonostante l’inizio dell’amicizia dei tre ragazzi non avesse fatto presagire il meglio.

Tia e Theo cominciarono a frequentare le lezioni teoriche e si dimostrarono molto interessati, anche se risultava evidente come la loro formazione passata fosse più strategica e militare che di scienza della magia. Il fatto però che portassero punti di vista leggermente diversi veniva spesso ben visto dagli insegnanti, soprattutto dagli amanti della praticità quali Steaves.

Tiamal era la concorrente numero uno di Dorcas nel ruolo di studentessa modello. E per sfortuna di quest’ultima risultava anche più simpatica sia agli insegnanti che agli altri ragazzi: per la sua spontanea allegria, e soprattutto per l’assenza di quella leggerissima puzza sotto al naso tipica della maga bianca (che nessuno si era ovviamente mai premurato di farle presente).

 

Il vero idolo delle masse era però Theo: nonostante trascorresse buona parte delle lezioni dormendo o scarabocchiando sui libri, riusciva molto spesso a dare la risposta giusta quando veniva interrogato. E godeva di immensa popolarità tra gli allievi maschi. “Probabilmente”, pensava Dorcas, “a causa del suo modo di fare indisponente e arrogante che fa sempre presa sugli sciocchi ragazzi della loro età”. Era così preso a fare da star che non aveva più recuperato l’argomento abbandonato del suo misterioso elemento di appartenenza, e Dorcas stava bene attenta a non ricordarglielo mai visto che non amava i discorsi con domande a cui non aveva la risposta pronta. A quanto pareva però il motivo principale dell’indifferenza del ragazzo alla questione era di natura meno tecnica: una volta Tia gli aveva chiesto come mai non fosse più andato a parlare con la dottoressa a riguardo e subito il viso di lui era diventato rosso come un peperone:

«Non vorrei disturbarla, presa com’è a star dietro a tutta questa gente.» rispose.

 

Tra le molte serate che trascorsero tranquille, una fu però particolarmente movimentata.

 

I tre ragazzi stavano cenando insieme ad altri quando improvvisamente un nutrito gruppo di persone fece rumorosamente il suo ingresso in mensa. Erano quasi tutti soldati maschi, di diverse età, e ridevano e parlavano ad un volume di voce così alto che sembravano ubriachi ad una festa.

«È il gruppo Redblood di ritorno dalla loro ultima missione» spiegò Dorcas «non c’è una composizione fissa, ma a quanto pare c’è sempre una gran ressa per far parte delle spedizioni con il capitano. Dicono sia perché sono missioni ben pagate e che richiedono poco impegno da parte dei soldati. Ma so anche che ci sono stati incidenti alcune volte. Pare però che il gioco valga la candela… o almeno così riferisce chi c’è stato ed è tornato.»

«Cosa vorrebbe dire “ed è tornato?”» stava per domandare Theo, quando il capitano stesso fece il suo rumoroso ingresso nella sala.

 

«Avete cinque minuti per portare tutto l’alcool disponibile nella dispensa al mio tavolo!» urlò «E intendo anche quello che usate per le pulizie, va bene uguale.» 

Tutti i suoi seguaci risero della battuta e si sedettero attorno a lei.

 

Erica Redblood era una ragazza sui venticinque anni e risultava più che evidente capire perché fosse un personaggio così controverso all’interno dell’istituto.

Era alta, molto alta, e muscolosa. Non da body builder, ma comunque da qualcuno che è in grado di farti volare per diversi metri con un pugno ben assestato. Portava lunghi capelli castani legati in una coda alta e un ciuffo rosso fuoco troneggiava sulla sua fronte, spiccando come una fiamma dal terreno. Vestiva una divisa di un materiale che sembrava pelle e le delineava i contorni del fisico scolpito. La giacca, dello stesso materiale, era chiusa sul petto da una cerniera che fu subito abbassata dalla proprietaria per dare bella mostra dell’abbondante seno. Tia intuì come mai la maggior parte del suo seguito era maschile; anche se ebbe la sensazione che non si trattasse dell’unico motivo. Era troppo triviale per generare un tale successo.

 

Erica beveva e imprecava rumorosamente mentre raccontava dettagli fin troppo espliciti delle sue ultime conquiste - che a quanto pare includevano sia vittorie in scontri fisici che avventure tra le lenzuola - sempre accompagnata dai fischi e dai commenti dei membri della sua squadra. Dorcas si alzò dal tavolo, fingendo di non provare il disagio che le traspariva chiaramente dal volto.

«Non si riesce a parlare con tutta questa confusione, andrò a fare una passeggiata all’aperto.» disse nel tono più controllato che riuscì ad assumere.

«Ti accompagno.» 

Fu Theo a parlare e Dorcas ne fu sorpresa. Un ragazzo superficiale come lui che non voleva buttarsi in quella mischia di perdizione e volgarità? Decise però di non commentare e annuì.

«Vieni anche tu, Tia?»

«Assolutamente sì, ho bisogno di prendere un po’ d’aria che non puzzi di alcolico.»

E seguì gli altri due ragazzi nel giardino esterno.

 

La baraonda era riservata alla mensa e nella zona esterna regnava un pacifico silenzio. Le poche persone che passeggiavano non sembravano desiderose di farsi coinvolgere dalla confusione e si limitavano a chiacchierare a voce contenuta o a osservare il bel cielo stellato in tranquillità. 

«Non mi era mai capitato di percepire un’aria così pesante» disse Tiamal, mentre passeggiavano tra le magnolie in fiore.

«A volte sugli autobus o nei posti con tante persone mi sento soffocare dalla puzza, ma lì mi stava cominciando a girare la testa.»

«Può essere anche che la tua relazione con l’aria stia migliorando.» intervenne Dorcas.

«Il prossimo passo sarà ricevere le partecipazioni al matrimonio?» disse Theo nel suo solito tono sprezzante.

«Ce la vedo proprio a sposarsi uno di quei sassi bianchi pieni di magia del vento. Un sasso bianco in abito bianco.» Tia gli diede un colpetto sulla nuca.

«Tu piuttosto, come mai non sei voluto rimanere dentro? Pensavo ti avrebbe fatto piacere fare la conoscenza del capitano con cui andrai nella tua prima missione.»

«Nessuno là dentro stava parlando della “prossima missione”. E lei è troppo casinista per i miei gusti. Belle tette, eh. Ma troppo casinista.»

«Giusto, a te ora piacciono le donne calme e mature come la dottoressa Saintpeter.» disse Tia, e gli svolazzò attorno fermandosi seduta a gambe incrociate sopra la testa del fratello. Lui la spinse via e lei rotolò a mezz’aria, ridendo. Anche Dorcas rise, ma la sua espressione era preoccupata.

«Fossi in te starei attento, Theodore. Ha una forza mostruosa, e non uso questo termine a caso.»

«Addirittura? Si vede che è allenata, ma i suoi bicipiti non mi sembrano così esagerati.»

Dorcas scosse la testa.

«Non è un fatto di semplice forza fisica. Non ho mai esaminato i suoi elementi, ma credimi quando ti dico che è davvero pericolosa. Quei fessi dei suoi soldati non lo capiscono perché la trovano divertente.»

«In realtà è divertente anche il fatto che tu ti preoccupi così per me.»

Dorcas si fermò di colpo e lo fissò ad occhi spalancati. Per sua fortuna la notte copriva il colorito del suo viso, perché stava praticamente andando a fuoco.

«Mi sembra quantomeno normale preoccuparsi per un compagno di lavoro.» Rispose, fingendosi offesa. E sperando che il suo bluff non venisse colto. Non che davvero credesse di provare qualcosa per lui, ma non era mai stata brava a gestire battute e allusioni a sfondo sentimentale.

«Stai tranquilla, il tuo compagno di lavoro starà molto attento. Te l’ho detto, non ispira molto nemmeno a me quella là.»

«Parti domattina?» chiese Tia. Theo annuì.

«Così pare, dopo colazione. Mi auguro che i tizi che si stanno ubriacando ora non siano gli stessi con cui dovrò partire. Non credo saranno in condizione di rendersi utili domani.»

«Forse dovresti invece sperarlo, così tu avrai l’opportunità di fare bella figura.» disse la sorella ridendo, e stavolta fu lui a tirarle un pizzicotto sulla guancia.

«Sei terribile. Molto più di quanto sembri.»

 

Dorcas li fissò cercando di non farsi notare. Nonostante fosse abituata a ricevere commenti maligni sulla sua nascita non si era mai davvero soffermata all’idea di avere una famiglia. L’accademia era la sua famiglia: i compagni, gli insegnanti… Non aveva mai nemmeno fantasticato sull’avere davvero un fratello o una sorella di sangue. I due gemelli le sembravano andare molto d’accordo; “Sarà così per tutti?” pensò.

Una lieve sensazione di malinconia le attraversò la mente e decise che era ora di andare a letto. Salutò gli amici, tornò in stanza e si infilò sotto le coperte, con dei dubbi che le vagavano per la testa per la prima volta dopo tanto tempo.

 

Theodore aspettava all’ingresso principale di Kosmos. Da quanto aveva capito si sarebbe svolta una breve riunione per discutere della missione, che gli standard dell’accademia consideravano di basso livello. Non aveva ricevuto molte informazioni: sapeva solo che dovevano liberare un villaggio da alcuni mercenari che avevano cominciato a saccheggiare gli abitanti.

“Mandano mercenari a cacciare mercenari” pensò; ma non fece a tempo a concludere il suo ragionamento che un braccio atletico lo avvinghiò attorno al collo.

«Tu sei lo stagista, vero?» Chiese una voce femminile.

Theo si voltò ma dovette subito alzare lo sguardo per fissare negli occhi la sua interlocutrice: lui non era certo una pertica, ma lei lo sovrastava di almeno quindici centimetri. Aveva gli occhi di due colori diversi, cosa di cui Theo si accorse solo in quel momento: il sinistro era verde, mentre il destro era giallo.

Si liberò subito da quell’abbraccio sgradito e si mise sull’attenti come un bravo soldatino, sperando in cuor suo che fosse sufficiente a farsi lasciare in pace.

«Theodore Senna, capitano. Sono una nuova recluta e mi hanno assegnato alla sua unità per questa missione.»

«Molto bene bimbo, molto bene.» Rispose Erica picchiettando un paio di volte la mano sulla spalla di lui. Theo traballò.

«Ti consiglio allora di fare come tutti gli altri e metterti in disparte a guardare finché io gioco, così torneremo tutti a casa felici e contenti.»

«Come sarebbe a dire “in disparte”? Non dobbiamo fermare un’intera squadra di mercenari addestrati?»

«Sì, non ci metterò molto. Per passare il tempo puoi portarti da leggere, o mangiare, farti una sega, non m’importa. Basta che tu non mi stia in mezzo ai piedi.»

Gli fece un cenno di saluto con la mano e si avviò verso gli altri membri della squadra. Theodore li passò in rassegna: alcuni erano gli stessi della sera precedente con chiari segni di sbornia, mentre altri erano nuovi. Non c’erano altri studenti, tutti soldati professionisti. Molto probabilmente ognuno di quegli uomini sarebbe stato rincuorato dalle parole del capitano - “mettiti in disparte e non fare niente” - ma rilassarsi non faceva davvero parte del carattere di Theo, sebbene spesso fingesse di comportarsi in modo superficiale.

 

Notò subito che, nonostante fosse sicuro che Erica avesse bevuto in quantità industriale, era perfettamente sobria. Il suo alito non puzzava di alcol e il suo atteggiamento non mostrava nessuno dei sintomi dell’ubriacatura che, invece, abbondavano negli altri. Non gli aveva chiesto cosa sapesse fare né si era preoccupata di chi era in condizioni pietose. Sembrava davvero stesse per andare a fare una passeggiata. Sempre più sospettoso, si avvicinò per ascoltare i dettagli della missione.

 

«Nonostante la guerra nel sud sia finita, un gruppo di mercenari continua a girare per la zona e a saccheggiare i villaggi che non hanno più modo di difendersi. Il governo non può interferire direttamente nella politica degli altri stati e allora hanno chiesto a noi di fare pulizia. Secondo le nostre informazioni in questo momento stanno campeggiando e pianificano di partire per un raid intorno a mezzogiorno. Il piano è di teletrasportarci là e sistemare la faccenda prima che ciò accada.»

Estrasse una pietra violacea incisa di rune. Al suo interno altre rune più piccole vorticavano come impazienti di uscire. Erica fece cenno a tutti di avvicinarsi. 

«Ci hanno preparato questa pietra per il teletrasporto, contiene le coordinate della destinazione. Finiremo in una foresta ai margini del villaggio che i mercenari vogliono saccheggiare, poco distanti dal loro accampamento. Apro il portale e vado per prima, voi seguitemi.»

Tutti annuirono. Theo non aveva mai visto una “pietra per il teletrasporto”, né tantomeno ne aveva usato una. Non fino a quel momento, almeno.

Erica strinse la pietra e la ruppe, e da questa si sprigionò un grosso portale nero-violaceo con rune che brillavano lungo i bordi. Sembrava quasi una ferita nello spazio, sospesa da terra: Theo provò a sbirciare oltre, ma non vide nulla. L’energia emessa da quel portale gli parve però familiare: buio, senza fondo, come il colore assunto dalla bacinella durante il test degli elementi. Ma ciò che aveva davanti non era un elemento. Non aveva proprio idea di cosa fosse, in realtà.

Era così impegnato a rimuginare sul portale che non vide si stava rimpicciolendo pian piano: si riprese e si lanciò al suo interno, insieme agli altri soldati. Sollevò un piede attraverso la fenditura e…lo appoggiò sull’umido terreno di una fitta foresta.

 

Come pianificato, il portale si aprì poco distante da un villaggio all’apparenza molto povero. O forse era in quelle tristi condizioni soltanto per l’effetto della guerra: le case erano distrutte, le persone sporche e con abiti consunti, e i pochi capi di bestiame che si potevano intravedere non avevano l’aria particolarmente pasciuta.

Erica richiamò l’attenzione di tutti con uno schiocco di dita e indicò un punto a circa cinquecento metri da loro. Una ventina di uomini stavano evidentemente facendo colazione attorno ad un paio di fuochi da campo. Alle loro spalle aspettavano, cariche di armi, cinque o sei jeep. La squadra si nascose in mezzo alla vegetazione per ascoltare le ultime indicazioni del capitano.

 

«Il villaggio è praticamente indifeso, la maggior parte dei maschi sono morti in guerra e i rimasti sono donne, bambini, anziani o feriti. Un po’ tutti nella zona sono ridotti così. Il nostro compito è sistemare questi mercenari in modo che non rallentino ancora di più il recupero di questa gente. Chiaro?»

Tutti annuirono e lei si alzò.

«Molto bene, allor-»

Theo udì uno sparo, e poi uno schiocco. Un proiettile gli passò a pochi centimetri dalla testa mentre era ancora chinato e si conficcò nella corteccia di un albero alle sue spalle.

Una goccia rossa gli cadde sulla mano. Alzò lo sguardo.

Il proiettile aveva colpito di striscio il viso di Erica, graffiandole la guancia. Lei, sanguinante, voltò la testa nella direzione da cui il proiettile era stato sparato: un mercenario era in piedi a pochi metri, con il fucile puntato contro di loro. Ghignava. Theo era pietrificato.

 

Erica si stava leccando il sangue che le colava lungo il volto con un enorme, demoniaco sorriso. I suoi occhi erano iniettati di sangue, e di voglia di spargerlo.

Il mercenario smise di ghignare.

Fu un attimo.

La ragazza balzò in aria e, roteando su se stessa, sferrò dall’alto un calcio a martello sulla testa del ragazzo: si frantumò in un istante. Il corpo decapitato cadde a terra in una pozza di sangue. Erica rideva. Raccolse il fucile caduto e corse verso gli altri mercenari, ora allertati dai rumori.

Utilizzando il fucile come una spranga disintegrò almeno altre due teste con violenza inaudita. Quando vide che gli uomini rimasti stavano sollevando i fucili contro di lei, estrasse velocemente una sorta di tirapugni dalla tasca e lo impugnò: sembrava avere delle piccole pietre incastonate nelle nocche. 

Erica sollevò il braccio destro e colpì il terreno: questo cominciò a tremare e crepe si diffusero dal punto d’impatto fino ai mercenari, che persero l’equilibrio e caddero. Se successe per la forza del colpo o per la loro paura, Theo non lo capì. Non aveva mai assistito a tanta, incontrollata violenza. Ciò che vide nei minuti seguenti lo avrebbe segnato per il resto della sua vita.

 

Lei era brutale, ma brutalmente precisa. Schivava o parava ogni tentativo dei mercenari di ferirla, e lo restituiva in modo estremamente crudele. 

Theodore la vide afferrare alcuni uomini per i capelli e spingere le loro teste nei fuochi da campo, e ridere mentre le teneva schiacciate urlanti tra le fiamme. Ad altri spezzò braccia o gambe, che usò per pararsi dai proiettili di chi provava a interferire. Squartò uomini da parte a parte a mani nude. Pestava i loro volti come fossero foglie secche. Mai, mai un secondo il suo sorriso si affievolì. 

Finita la sua drammatica opera, cadde in ginocchio nella pozzanghera di sangue delle sue vittime. Rideva di un riso folle mentre si guardava le mani sporche di rosso. Se le passò sul viso, come a voler nutrire la pelle con quel sangue; e tra i capelli, quasi a ravvivare il rosso del suo ciuffo.

 

Per tutto il tempo Theo era rimasto immobile. Temeva che muovere anche soltanto un muscolo avrebbe significato la sua morte. Per questo non si accorse di essere rimasto solo.

Se ne rese conto soltanto quando sentì un grido di donna in lontananza, e vide Erica voltarsi improvvisamente verso il villaggio. Solo allora riuscì a guardarsi attorno: i suoi compagni di squadra si erano diretti verso il villaggio, e con intenzioni ben poco solidali. 

 

I soldati sembravano infatti intenti a portare a termine l’incarico che i mercenari non erano nemmeno riusciti a cominciare: approfittando probabilmente della furiosa distrazione del loro capitano, si erano introdotti nelle case degli abitanti. Alcuni avevano ricominciato a bere, altri stavano contando le poche monete e le minuscole pietre preziose - ammesso che davvero lo fossero - che erano riusciti a recuperare. Altri ancora, invece, avevano scelto la carne. 

Due soldati si erano introdotti in una capanna: uno era intento a togliersi i vestiti il più velocemente possibile, mentre l’altro cercava di tenere chiusa la bocca di una giovane ragazza. Questa si divincolava con forza, cercando di sfuggire al suo destino; al punto che riuscì a mordere il suo aguzzino e a liberarsi dalla sua presa. Urlò.

Cominciò a urlare e a pregare in una lingua che Theodore non capiva, ma capiva che doveva fare qualcosa o perlomeno provarci. Stava per precipitarsi nella loro direzione per cercare di fermarli, ma non ce ne fu bisogno.

Bastarono pochi attimi, e di soldati da fermare non ne rimase nemmeno uno.

Erica era sulla soglia della capanna con la testa di uno dei due soldati in mano. Aveva smesso di ridere.

«Che cazzo state facendo?»

Senza attendere risposta strinse la presa e la testa dell’uomo si distrusse.

Il secondo round era iniziato.

 

Sangue e frammenti di cranio esplosero per tutta la capanna. La ragazza urlò ancora più forte, e svenne. Il secondo soldato tentò di fuggire, ma fu subito afferrato per una gamba e sollevato penzoloni a testa in giù, con la facilità con cui si solleva un bimbo appena nato.

«Siamo venuti qua per una missione e voi FATE LE STESSE COSE CHE DOVEVAMO IMPEDIRE?»

Gettò a terra l’uomo che teneva in mano e un forte schiocco della sua colonna vertebrale fece intendere che anche la sua vita era finita. Il terrore si sparse: abitanti e soldati iniziano a urlare e fuggire nelle direzioni più disparate, ma il capitano Redblood era una furia omicida che non accennava a calmarsi. Imprecando, continuava a uccidere.

Theo si rese conto che a breve non sarebbe rimasto più nessuno su cui Erica avrebbe potuto sfogare la sua rabbia. Nessuno, a parte gli abitanti del villaggio. E lui.

E mentre lei frantumava e spezzava e uccideva e massacrava, Theodore tentava disperatamente di recuperare il controllo su se stesso e sui suoi nervi.

Doveva impedire che quella pazza uccidesse anche gli innocenti. Non era sicuro ne sarebbe uscito vivo, e a quanto pare non ne era sicuro neanche il suo corpo visto che non voleva saperne di muoversi. 

Fu quando sentì l’ultimo, rabbioso grido di Erica che decise di agire.

Corse verso la foresta, inspirò con più fiato che poté e urlò:

«EHI REDBLOOD, NE HAI DIMENTICATO UNO.»

Erica si voltò di scatto nella sua direzione. Non corse, ma cominciò a camminare verso Theo. Lui non provò nemmeno a nascondersi, sarebbe stato inutile. Sapeva che correre davanti a un toro infuriato non è mai un’idea saggia. Aveva il viso contorto dal terrore e stava cercando in tutti i modi di trattenere il nodo alla gola e le urla che gli rimbombavano in testa.

In pochi secondi Erica fu lì, davanti a lui, a fissarlo. Il suo viso era completamente ricoperto di sangue. Theodore non aveva mai provato un tale terrore.

«Tu sei quello nuovo. Cerchi rogne?»

Erica gli diede un forte calcio nello stomaco: Theo cadde a terra e rotolò di diversi metri, fermandosi solo quando la sua schiena si scontrò contro il tronco di un albero. Non paga, Erica gli pestò una tibia e un tremendo schiocco secco rimbombò nella foresta. Theodore provò un dolore lancinante e terribile e si morse la lingua per non urlare, per costringersi a non urlare. Erica si chinò su di lui e riprese a fissarlo, piegando il viso di lato come una bestia curiosa.

«Non hai fatto il pezzo di merda come quegli altri, te lo concedo. Ma sei arrogante.»

La donna le appoggiò il palmo della mano aperta sul viso, lentamente. Theodore non era più nemmeno in grado di avvertire i suoi pensieri, non avvertiva nemmeno il dolore alla gamba. Il suo cuore batteva ad un ritmo indicibile: stava andando in iperventilazione, senza rendersi conto nemmeno di quello.

Aveva solo paura paura paura paura paura paura paura.

Sentì la pressione sui polpastrelli di lei aumentare, pronta a schiacciare anche il suo viso come quello di tutti gli altri… quando si bloccò.

I suoi occhi si erano velati. Fissavano il vuoto, come se lei fosse caduta in una specie di trance. Per pochi, lunghissimi secondi Erica non disse niente né si mosse. Poi, improvvisamente come era arrivata, la trance svanì. Lei sbatté le palpebre come se si fosse appena ripresa da un momento di astrazione. E sorrise. Dolcemente.

 

«Che bel fiore!»

Theo seguì il suo sguardo molto, molto lentamente. Vide che poco distante dietro di lui, in linea d’aria con la sua testa, fiorivano sparsi dei piccoli mazzolini di fiori bianchi. Tornò a guardare Erica: il suo viso era quello di una persona completamente diversa.

Non era cambiata soltanto l’espressione, ora vivace ma dolce; e non erano soltanto i lineamenti ad essersi rilassati. Erano i suoi stessi occhi che ora riflettevano un’anima che sembrava non avere modo di compiere le violenze di cui solo pochi minuti prima era stata capace.

Allontanò la mano da Theo e si chinò alle sue spalle.

Theodore sembrò riprendere coscienza di essere vivo solo in quel momento.

I suoi polmoni si riempirono improvvisamente con una brusca inspirazione e lui vomitò a terra, svuotandosi di tutto ciò che il suo stomaco conteneva e di tutto ciò che la sua testa aveva trattenuto fino a quel momento. Erica non se ne accorse.

«So che in queste foreste nascono fiori pericolosissimi, ma è incredibile come altri somiglino così tanto ai fiorellini che abbiamo anche noi. Questi sembrano mughetti, non trovi?» chiese al ragazzo.

Ma quando si voltò, del ragazzo non vi era più traccia.

 

*

 

«Cosa vuol dire “sei tra i monti?”»

Tia sembrava non capire se il fratello, con cui stava parlando al telefono, era serio o se la stesse prendendo in giro come suo solito.

«Non so nemmeno io come ci sono finito, non so dove sono e non so come posso tornare. Faccio fatica a camminare.»

Theodore era effettivamente finito in cima ad una montagna, presumibilmente non molto distante dalla zona della missione. Riusciva a intravedere foreste e villaggi sotto di sé, ma non aveva alcuna voglia di mettersi a cercare indizi con attenzione.

«Ti mando la mia posizione, pensi che il capitano Steaves o a qualcun altro possa venire a recuperarmi?»

«Spero proprio di sì, altrimenti troverò un modo per venire io stessa. Chiedo e ti faccio sapere, ok?»

«Ok. Grazie.»

La ragazza chiuse la chiamata e restò qualche istante sovrappensiero a fissare il suo cellulare, appoggiata al muro esterno dell’aula in cui stava facendo lezione. Trascorse qualche istante fissando il vuoto e non si accorse che anche Dorcas uscì in quel momento.

«Tia? Tutto bene? Sei corsa fuori all’improvviso.»

Vedendo che l’amica non le rispondeva, Dorcas le diede un lieve scossone sul braccio.

«…Tia?»

Tiamal finalmente tornò ai suoi sensi.

«Scusami, mi ero… incantata. Mi ha chiamata Theo, temo sia successo qualcosa durante la missione.»

Dorcas si accigliò.

«Qualcosa di brutto?»

«Non me lo ha spiegato, in realtà.»

«Ti ha detto se è ferito? Dobbiamo avvisare qualcuno?»

«Ha chiesto di poter essere recuperato perché dice di non riuscire a camminare, è finito chissà dove e non ha idea di come ci sia arrivato. Pensavo di andare a cercare il capitano Steaves e chiedergli cosa possiamo fare.»

«Solo lui poteva avanzare una richiesta del genere… Quel ragazzo è proprio strano. Andiamo a cercare il capitano.»

Tia annuì, la sua espressione preoccupata. Se non avesse ben presente suo fratello e il suo carattere orgoglioso, dalla voce avrebbe pensato avesse pianto.

   
 
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