Quando
Margaret sentì che dal pronto soccorso la chiamavano per “un intervento al liceo
classico” si spaventò parecchio. Non che fosse una donna spaurita o poco
lucida, in situazioni di ansia e pressione, ma al sentir nominare il liceo di
sua figlia (da dove, negli ultimi anni, per fortuna non le era arrivato nessun
paziente) non poté fare a meno di pensare che Chiara avesse l’esposizione delle
pagelle quel giorno.
A
dir la verità, dopo averla salutata quella mattina, non aveva la più pallida idea
di dove potesse essere. Era sempre stata piuttosto riservata, Chiara, e
Margaret si era sempre detta che fosse normale, con l’adolescenza si tendeva a
non confidare più nei genitori, a cercare il conflitto, e a nascondere sempre
più di sé. Chiara non aveva fatto eccezione. Eppure, almeno fino a qualche mese
prima, lei e suo marito riuscivano per lo meno ad indovinare che cosa le stesse
passando per la testa, se fosse nervosa per un compito in classe o perché avesse
litigato con uno dei suoi amici. A partire da febbraio, invece – o forse, più
precisamente, da quando era tornata dalla gita a Vienna – Chiara aveva iniziato
ad omettere sempre più dettagli della sua vita fuori casa, e di nuovo Margaret
si era detta, di comune accordo con Matteo, finché non combina guai non sarà
un problema qualche segreto.
Ora,
di corsa per mettersi il camice asettico e raggiungere le porte del pronto soccorso,
si disse che forse quella non era stata delle migliori strategie. Rendersi conto,
in momenti del genere, di non sapere quasi nulla di sua figlia, mentre una
ragazza della sua età veniva portata fuori dall’ambulanza (per fortuna notò subito
che non aveva i capelli rossi e tirò un sospiro di sollievo), poteva dare ad un
genitore parecchia angoscia. E se fosse successo qualcosa a Chiara, senza che
lei se ne accorgesse? E se dietro quella smania di tenersi tutto per sé ci
fosse di più che semplice reticenza da teenager, se avesse qualche
problema anche grave che non riusciva a condividere con la sua famiglia? Il suo
ruolo, da madre, era stato guidare le proprie figlie ed evitare che prendessero
strade accidentate quando ancora non avevano imparato le regole fondamentali
del mondo degli adulti. Regole che, ne era sicura, non solo Chiara conosceva
già (era sempre stata una ragazzina precoce), ma su cui aveva già
abbondantemente riflettuto. Allora perché iniziava a pensare di aver lasciato
quella parte al caso, negli ultimi anni, dedicandosi alla carriera, all’ospedale,
alla sua scalata da capo reparto di medicina d’urgenza? In fondo, avrebbe compiuto
diciassette anni a luglio, era ancora una ragazzina.
Si
fece avanti, sbracciandosi dalle porte del blocco di primo soccorso, per attirare
l’attenzione degli infermieri di turno.
-
Che
cosa abbiamo?- disse neutra, cercando di mettere da
parte per il momento le ansie su Chiara, Benedetta e la sua famiglia.
-
Trauma
cranico e frattura del setto nasale. L’abbiamo stabilizzata, ma è svenuta in
ambulanza-
La
dottoressa Linch annuì, lanciando un’occhiata agli occhi chiusi della giovane
paziente. Curioso, pensò, mi sembra di averla già vista. Solo mentre
si allontanavano nei meandri dell’ospedale per una tac le venne in mente che,
probabilmente, si trattava della figlia dell’avvocato Della Corte.
**
Chiara
rimase attonita mentre l’ambulanza di allontanava, senza aver ancora capito che
cosa fosse successo. Sabrina, al lato, cercava di tenerla buona e di allungare
di tanto in tanto il collo verso la fila di automobili che nel frattempo si era
formata dietro la macchina incidentata, in attesa della polizia. Alla visione
di Roberta a terra, con gli occhi chiusi e il sangue dal naso, era rimasta gelata.
La riccia aveva aperto gli occhi, sbattuto le palpebre fissando lo guardo sui
volti sconosciuti che le si erano parati davanti, ma Chiara aveva l’impressione
che non l’avesse vista. Poi, debolmente, si era lasciata sistemare da uno degli
infermieri dell’ambulanza prontamente chiamata, ed era sparita in uno stridore
di sirene.
-
Andiamo,
Chiara, prendiamo qualcosa da bere prima che ci chiamino- disse dopo un po’
Sabrina, come a scuoterla dal torpore. Chiara ancora fissava senza parlare la
strada, come se Roberta dovesse sbucare fuori da un momento all’altro.
-
Non
mi va nulla. Voglio che mi racconti, lentamente, che cosa diamine è successo-
disse fredda.
Sabrina
sospirò, adocchiando in lontananza Vanessa e Angela in lacrime. L’avevano
spinta, lei lo aveva visto. C’era stato un alterco, una discussione che dall’ingresso
del liceo si era spostata sul marciapiede, poi in strada. Non aveva mai visto
Roberta Della Corte tanto spaventata e tanto agguerrita insieme. Avevano iniziato
ad insultarsi. E Sabrina, senza sapere cosa fare, era rimasta a guardare, in
fondo forse contenta che quelle due avessero trovato un’altra vittima su cui
accanirsi. In men che non si dica, però, la situazione era sfuggita di mano. Vanessa
aveva urlato che Roberta le faceva schifo, che aveva approfittato dell’intimità
della loro amicizia per farsi chissà quali fantasie, che Massimo aveva fatto
bene a scaricarla, perché era – Sabrina lo ricordò con un brivido – anormale.
-
Sei
sempre stata anormale, fin dalle scuole medie. O pensi che io non me lo ricordi?
Quel disegno per la prof di francese, quelle tue paroline melense. Credevamo
tutti ti fosse passata, Rob, ma evidentemente sei una recidiva, neanche Massimo
ti ha curata.
-
Non
ci rivolgere più la parola- aveva aggiunto Angela, - o giuro che te ne pentirai.
Quello
che più aveva sorpreso Sabrina, in ogni caso, e ci rifletteva mentre andava a
prendere due bicchieri d’acqua e Chiara parlottava con uno dei signori che
aveva assistito alla scena, era che Roberta non aveva subito passivamente gli
attacchi delle sue amiche, ma aveva iniziato a rispondere subito, non appena si
era resa conto di essere in pericolo. E senza negare nulla.
-
Mi
fate schifo voi- aveva replicato lei, freddamente – non ho idea del perché abbia
perso del tempo a correre dietro a delle oche senza cervello come te e la tua
amichetta, Vanessa. Non avete un briciolo di personalità, e anzi… - aveva aggiunto
ridendo- perché tu lo sappia, il tuo ragazzo, in terza media, ti tradì con me. Diceva
che tu non ci sapevi fare, che eri finta e lo baciavi come una ventosa.
A
quel punto, Vanessa le aveva dato uno schiaffo così forte che a Sabrina era
sembrato opportuno intervenire per separarle, ma nella baruffa anche Angela
aveva iniziato ad infierire e, spingendo Roberta (forse accidentalmente, forse
con cognizione) in strada, aveva mandato la riccia contro un’auto che in quel
momento girava l’angolo. Roberta era caduta, in avanti, di testa, mentre l’autista
frenava di botto con un grido di orrore. Poi, un nugolo di persone si era raccolto
attorno a Della Corte, sciamando fuori dalla scuola, fuori dai palazzi
adiacenti, attirati dalle grida e dai rumori dei clacson.
Sabrina
tornò da Chiara e le porse uno dei bicchieri di plastica. Notò che aveva gli
occhi rossi, che aveva pianto e stava cercando di respirare più regolarmente.
-
Perché
Vanessa e Roberta hanno litigato?- chiese di nuovo brusca,
tirando su con il naso.
Dall’altra
parte della strada, Vanessa piangeva ancora e Angela urlava di tanto in tanto,
fra le lacrime, che non si erano rese conto di nulla, che non era colpa loro. Era
arrivata la polizia, chiamata dal proprietario della macchina e dal bidello di
turno il pomeriggio, e gli agenti le avevano agguantate subito per capire cosa
fosse successo. Sabrina non rispose alla domanda di Chiara, ma si avvicinò rigida
ad uno dei poliziotti.
-
Vanessa
e Angela hanno spinto Roberta in strada – spiegò, indicandole, per non lasciare
dubbi, - io le ho viste da lontano. Stavano discutendo, non si sono accorte dell’auto,
ma l’hanno spinta deliberatamente.
Chiara,
con il volto tirato, si girò in un angolo. Sabrina pensava si stesse per
rimettere a di nuovo piangere, ma all’improvviso, per
la seconda volta quel giorno senza che si accorgesse di nulla, la rossa si
voltò e in due falcate fu vicino a Vanessa, per darle un sonoro schiaffo in
faccia.
**
Mentre
Margaret ordinava al collega di turno una tac per Roberta Della Corte, comunicandogli
tutti i dettagli del caso, gettò un’occhiata preoccupata alla ragazzina che giaceva
sul lettino del pronto soccorso, con gli occhi aperti e vigili e le braccia
rigide, mentre un infermiere le misurava la pressione.
-
È
regolare- gli comunicò quello, avvicinandosi alla dottoressa. Lei annuì, senza
lasciar trasparire nessun’emozione.
Non conosceva bene Roberta, a dir
la verità gli unici ricordi che aveva di lei risalivano a parecchio tempo
prima, a quando suo marito era rimasto invischiato in quella brutta faccenda
dei conti aziendali, e un concorrente gli aveva fatto causa, nella speranza di
farlo fuori, facendogli prendere un bello spavento. Il peggio era stato evitato,
ma la cattiva pubblicità all’azienda di famiglia ne aveva intaccato la
credibilità per un bel po’. Suo marito, uomo determinato e orgoglioso del lavoro
di suo padre e di suo nonno prima di lui, aveva ripreso in mano le redini della
situazione con dignità ed energia, ma non si era dimenticato del tiro
decisamente basso giocato dall’avvocato Della Corte, spietato e senza valori. Aveva
tirato fuori in tribunale vicende familiari di anni ed anni prima, esponendole
al pubblico ludibrio, facendo fare a Matteo una gran brutta figura. Aveva visto
Roberta proprio in una di quelle occasioni, alla fine di una seduta che si era
conclusa particolarmente male per l’azienda vinicola, mentre si avvicinava a
suo padre e gli porgeva quella che sembrava essere una cartella di documenti. Non
avrebbe potuto avere più di tredici anni, probabilmente non era ancora in classe
con Chiara.
Se la ricordava diversa, in ogni
caso. Margaret, uscendo a fumarsi l’occasionale sigaretta di nascosto dai
colleghi, pensò che non ci fossero danni cerebrali evidenti, ma che fosse
meglio aspettare la tac e tenere la ragazza sotto osservazione. Si era presa,
infatti, una bella botta, e non poteva escludere con certezza un ematoma. In più,
andando a sbattere contro il cemento della strada, sbalzata via dall’automobile
in curva, si era fratturata il naso. Scorse, dal suo angolo segreto, uno degli
specializzandi che la medicava con cura.
-
Allora,
Roberta, come ti senti?- le chiese, quando tornò con i
risultati della tac qualche ora dopo. Dai suoi occhi vacui, intuì che si era
presa un grande spavento.
-
Sto
meglio, grazie. Solo che non mi sento il naso- rispose quella, un po’ timida.
Margaret
si lasciò scappare una risatina.
-
È
normale, hai preso un bel colpo al setto nasale, rimarrà gonfio almeno per una
settimana. Per fortuna l’abbiamo sistemato subito- affermò, mentre le puntava
una luce negli occhi per verificare, di nuovo, se le pupille si contraessero regolarmente.
-
E
la testa?- si sentì chiedere.
Guardò
Roberta con tenerezza materna, dimenticandosi di chi fosse, delle voci su di
lei, dei suoi divieti un po’ burberi nei confronti di Chiara e delle
ripetizioni di fisica. Avrebbe potuto essere sua figlia. Chiara era forse solo
meno appariscente, più timida e a tratti scontrosa, per certi versi più acerba.
Roberta dava invece a Margaret l’impressione di una donna in miniatura, di una
ragazza cresciuta troppo in fretta.
Tirò
fuori la tac dalla busta e le indicò alcune aree del suo cervello. Cercò di
semplificare il più possibile.
-
La
tua testa sta bene. La botta è stata forte, ma non ci sono sintomi
preoccupanti. Dalla tac non è emerso niente di sospetto, per ora, ma è più prudente
tenerti in ospedale, almeno per una notte-
Margaret
notò il suo sguardo preoccupato. Le venne in mente che, probabilmente, non
aveva ancora avvisato i suoi genitori (forse ci avrebbe pensato la scuola), e
si chiese che reazione avrebbe avuto se avesse ricevuto una chiamata dal pronto
soccorso per sua figlia. Le venne un leggero brivido su per la schiena.
-
Hai
perso i sensi, in ambulanza, ma ora dovrebbe andare meglio. Potrebbe venirti
mal di testa, nausea. Comunica subito qualunque sintomo al collega di turno. Domattina
ti rivisiteremo e decideremo il da farsi- continuò, cercando di tranquillizzarla,
- So che sei maggiorenne, ma c’è qualcuno che possiamo chiamare? I tuoi
genitori?
Roberta
sembrò apprezzare la premura, perché sorrise imbarazzata, dicendo che avrebbe
provveduto lei ad avvisare sua madre per farsi portare il necessario.
-
Dottoressa,
posso farle una domanda?
Margaret
si voltò, curiosa, annuendo.
-
Lei
è irlandese?
Margaret
sorrise, rispondendo di sì.
-
Sono
la madre di Chiara, la tua compagna di classe. Te la
ricordi?
**
Chiara,
seduta con un’espressione funerea su uno degli scomodi sedili del commissariato
di polizia, sbuffava guardando l’orologio di fronte a lei. Sabrina, di fianco,
cercava di tenerle compagnia come poteva. Erano state portate alla centrale per
la deposizione sull’incidente (Chiara, in realtà, non c’entrava nulla, ma lo
schiaffo a Vanessa le aveva fatto guadagnare una bella gita in macchina con l’agente
De Tullio), e da venti minuti sedevano fuori dalla saletta in cui Vanessa e Angela
erano state chiamate a deporre.
-
Io
non c’entro nulla, perché non mi lasciando andare via?-
mugugnò Chiara, dopo che altri dieci minuti erano passati senza che nulla
accadesse.
Sabrina
smise di ticchettare sul cellulare e le lanciò uno sguardo a metà fra l’incredulo
e il divertito. L’aria fra di loro, stranamente, era più leggera. L’ospedale
aveva chiamato la direzione scolastica per dire che Roberta stava bene e il traffico in strada era stato disperso già da qualche
ora. Chiara aveva insistito per correre in ospedale, in bicicletta, dopo che
anche Carmen ed Ivan le avevano raggiunte, ma era stata agguantata con sguardo
torvo dall’agente.
-
Perché
hai dato un ceffone alla Monteverde di fronte all’amico di suo padre, Chià.
Chiara
fece le spallucce, borbottando se l’è meritato.
Sabrina
annuì, reprimendo un sorriso e sospirando di sollievo. Chiara, evidentemente,
si era ripresa.
-
Hai
ragione. Però mi dispiace, perché è tutta colpa mia…- iniziò, cercando di farsi
coraggio e confessare a Chiara il vero motivo della lite.
-
Cosa
vuoi dire?
-
Sono
stata io a lasciarmi scappare, con Vanessa, che Roberta fosse lesbica- disse, tutto
d’un fiato.
Chiara
la guardò incredula. Sabrina si chiese se fosse per la rabbia, la sorpresa, l’audacia
o semplicemente lo shock di sentir accostato il nome di Roberta alla parola lesbica.
-
Tu
hai fatto cosa!?
-
Aspetta,
lasciami spiegare. Sono stata provocata, hanno insinuato che fossi io quella a
cui piacevano le ragazze… non che ci fosse niente di male, ovvio… ma mi hanno fatto
vedere rosso, non sono riuscita a trattenermi e… un minuto dopo Roberta era a
scuola e hanno iniziato ad urlarle contro, quelle due matte. Ti giuro che non immaginavo
che sarebbe andata così, io… scusami, Chiara, ti giuro che ho reagito male, tu
eri in ritardo, ero stanca, mi sembra che tu non sia nemmeno più mia amica da quanto
mi ignori e…-
In
quel momento, Vanessa e Angela furono accompagnate fuori dall’ufficio dell’ispettore.
Sabrina e Chiara capirono subito che se la sarebbero cavata con un’ammonizione
e che tutto, in virtù dei famosi “favori in banca” del signor Monteverde,
sarebbe stato dimenticato nel corso di qualche settimana.
Chiara
lanciò uno sguardo furente a tutte, soffermandosi su Sabrina, e forse avrebbe
mollato uno schiaffo anche a lei, se l’agente De Tullio non l'avesse trattenuta per
una spalla con cipiglio severo.
-
Non
azzardatevi a toccare mai più la mia ragazza, intese?
Sabrina
fece di sì mollemente con la testa, sperando in cuor suo che le acque si
sarebbero calmate presto.