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Autore: Deirbhile    19/04/2022    1 recensioni
Dalla storia:
“Magari è vero che le persone non sono mai come sembrano, Pirandello aveva perfettamente ragione. Ognuno di noi indossa una maschera. Solo che fino ad ora ero convinta che l'unica che usasse Roberta Della Corte fosse una maschera esfoliante per liberare i pori” constatò Chiara.
Chiara e Roberta sono due liceali qualunque: a Chiara piace leggere e studiare, stare in mezzo alla natura e portare i capelli rossi legati in una treccia. A Roberta piace ostentare la sua bellezza statuaria, mostrarsi in centro a fare shopping con il suo ragazzo e nascondere i propri pensieri in fondo all'alcol.
E allora perché, dopo quattro anni passati ad odiarsi, sentono lo strano desiderio di capirsi a vicenda?
Fra amiche iperprotettive, genitori sempre assenti, scontri diretti e qualche attacco di panico, Chiara e Roberta capiranno finalmente che c'è qualcuno disposto a cicatrizzare le loro ferite.
[STORIA CONCLUSA]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Quando Margaret sentì che dal pronto soccorso la chiamavano per “un intervento al liceo classico” si spaventò parecchio. Non che fosse una donna spaurita o poco lucida, in situazioni di ansia e pressione, ma al sentir nominare il liceo di sua figlia (da dove, negli ultimi anni, per fortuna non le era arrivato nessun paziente) non poté fare a meno di pensare che Chiara avesse l’esposizione delle pagelle quel giorno.

A dir la verità, dopo averla salutata quella mattina, non aveva la più pallida idea di dove potesse essere. Era sempre stata piuttosto riservata, Chiara, e Margaret si era sempre detta che fosse normale, con l’adolescenza si tendeva a non confidare più nei genitori, a cercare il conflitto, e a nascondere sempre più di sé. Chiara non aveva fatto eccezione. Eppure, almeno fino a qualche mese prima, lei e suo marito riuscivano per lo meno ad indovinare che cosa le stesse passando per la testa, se fosse nervosa per un compito in classe o perché avesse litigato con uno dei suoi amici. A partire da febbraio, invece – o forse, più precisamente, da quando era tornata dalla gita a Vienna – Chiara aveva iniziato ad omettere sempre più dettagli della sua vita fuori casa, e di nuovo Margaret si era detta, di comune accordo con Matteo, finché non combina guai non sarà un problema qualche segreto.

Ora, di corsa per mettersi il camice asettico e raggiungere le porte del pronto soccorso, si disse che forse quella non era stata delle migliori strategie. Rendersi conto, in momenti del genere, di non sapere quasi nulla di sua figlia, mentre una ragazza della sua età veniva portata fuori dall’ambulanza (per fortuna notò subito che non aveva i capelli rossi e tirò un sospiro di sollievo), poteva dare ad un genitore parecchia angoscia. E se fosse successo qualcosa a Chiara, senza che lei se ne accorgesse? E se dietro quella smania di tenersi tutto per sé ci fosse di più che semplice reticenza da teenager, se avesse qualche problema anche grave che non riusciva a condividere con la sua famiglia? Il suo ruolo, da madre, era stato guidare le proprie figlie ed evitare che prendessero strade accidentate quando ancora non avevano imparato le regole fondamentali del mondo degli adulti. Regole che, ne era sicura, non solo Chiara conosceva già (era sempre stata una ragazzina precoce), ma su cui aveva già abbondantemente riflettuto. Allora perché iniziava a pensare di aver lasciato quella parte al caso, negli ultimi anni, dedicandosi alla carriera, all’ospedale, alla sua scalata da capo reparto di medicina d’urgenza? In fondo, avrebbe compiuto diciassette anni a luglio, era ancora una ragazzina.

Si fece avanti, sbracciandosi dalle porte del blocco di primo soccorso, per attirare l’attenzione degli infermieri di turno.

-        Che cosa abbiamo?- disse neutra, cercando di mettere da parte per il momento le ansie su Chiara, Benedetta e la sua famiglia.

-        Trauma cranico e frattura del setto nasale. L’abbiamo stabilizzata, ma è svenuta in ambulanza-

La dottoressa Linch annuì, lanciando un’occhiata agli occhi chiusi della giovane paziente. Curioso, pensò, mi sembra di averla già vista. Solo mentre si allontanavano nei meandri dell’ospedale per una tac le venne in mente che, probabilmente, si trattava della figlia dell’avvocato Della Corte.

**

Chiara rimase attonita mentre l’ambulanza di allontanava, senza aver ancora capito che cosa fosse successo. Sabrina, al lato, cercava di tenerla buona e di allungare di tanto in tanto il collo verso la fila di automobili che nel frattempo si era formata dietro la macchina incidentata, in attesa della polizia. Alla visione di Roberta a terra, con gli occhi chiusi e il sangue dal naso, era rimasta gelata. La riccia aveva aperto gli occhi, sbattuto le palpebre fissando lo guardo sui volti sconosciuti che le si erano parati davanti, ma Chiara aveva l’impressione che non l’avesse vista. Poi, debolmente, si era lasciata sistemare da uno degli infermieri dell’ambulanza prontamente chiamata, ed era sparita in uno stridore di sirene.

-        Andiamo, Chiara, prendiamo qualcosa da bere prima che ci chiamino- disse dopo un po’ Sabrina, come a scuoterla dal torpore. Chiara ancora fissava senza parlare la strada, come se Roberta dovesse sbucare fuori da un momento all’altro.

-        Non mi va nulla. Voglio che mi racconti, lentamente, che cosa diamine è successo- disse fredda.

Sabrina sospirò, adocchiando in lontananza Vanessa e Angela in lacrime. L’avevano spinta, lei lo aveva visto. C’era stato un alterco, una discussione che dall’ingresso del liceo si era spostata sul marciapiede, poi in strada. Non aveva mai visto Roberta Della Corte tanto spaventata e tanto agguerrita insieme. Avevano iniziato ad insultarsi. E Sabrina, senza sapere cosa fare, era rimasta a guardare, in fondo forse contenta che quelle due avessero trovato un’altra vittima su cui accanirsi. In men che non si dica, però, la situazione era sfuggita di mano. Vanessa aveva urlato che Roberta le faceva schifo, che aveva approfittato dell’intimità della loro amicizia per farsi chissà quali fantasie, che Massimo aveva fatto bene a scaricarla, perché era – Sabrina lo ricordò con un brivido – anormale.

-        Sei sempre stata anormale, fin dalle scuole medie. O pensi che io non me lo ricordi? Quel disegno per la prof di francese, quelle tue paroline melense. Credevamo tutti ti fosse passata, Rob, ma evidentemente sei una recidiva, neanche Massimo ti ha curata.

-        Non ci rivolgere più la parola- aveva aggiunto Angela, - o giuro che te ne pentirai.

Quello che più aveva sorpreso Sabrina, in ogni caso, e ci rifletteva mentre andava a prendere due bicchieri d’acqua e Chiara parlottava con uno dei signori che aveva assistito alla scena, era che Roberta non aveva subito passivamente gli attacchi delle sue amiche, ma aveva iniziato a rispondere subito, non appena si era resa conto di essere in pericolo. E senza negare nulla.  

-        Mi fate schifo voi- aveva replicato lei, freddamente – non ho idea del perché abbia perso del tempo a correre dietro a delle oche senza cervello come te e la tua amichetta, Vanessa. Non avete un briciolo di personalità, e anzi… - aveva aggiunto ridendo- perché tu lo sappia, il tuo ragazzo, in terza media, ti tradì con me. Diceva che tu non ci sapevi fare, che eri finta e lo baciavi come una ventosa.

A quel punto, Vanessa le aveva dato uno schiaffo così forte che a Sabrina era sembrato opportuno intervenire per separarle, ma nella baruffa anche Angela aveva iniziato ad infierire e, spingendo Roberta (forse accidentalmente, forse con cognizione) in strada, aveva mandato la riccia contro un’auto che in quel momento girava l’angolo. Roberta era caduta, in avanti, di testa, mentre l’autista frenava di botto con un grido di orrore. Poi, un nugolo di persone si era raccolto attorno a Della Corte, sciamando fuori dalla scuola, fuori dai palazzi adiacenti, attirati dalle grida e dai rumori dei clacson.

Sabrina tornò da Chiara e le porse uno dei bicchieri di plastica. Notò che aveva gli occhi rossi, che aveva pianto e stava cercando di respirare più regolarmente.

-        Perché Vanessa e Roberta hanno litigato?- chiese di nuovo brusca, tirando su con il naso.

Dall’altra parte della strada, Vanessa piangeva ancora e Angela urlava di tanto in tanto, fra le lacrime, che non si erano rese conto di nulla, che non era colpa loro. Era arrivata la polizia, chiamata dal proprietario della macchina e dal bidello di turno il pomeriggio, e gli agenti le avevano agguantate subito per capire cosa fosse successo. Sabrina non rispose alla domanda di Chiara, ma si avvicinò rigida ad uno dei poliziotti.

-        Vanessa e Angela hanno spinto Roberta in strada – spiegò, indicandole, per non lasciare dubbi, - io le ho viste da lontano. Stavano discutendo, non si sono accorte dell’auto, ma l’hanno spinta deliberatamente.

Chiara, con il volto tirato, si girò in un angolo. Sabrina pensava si stesse per rimettere a di nuovo piangere, ma all’improvviso, per la seconda volta quel giorno senza che si accorgesse di nulla, la rossa si voltò e in due falcate fu vicino a Vanessa, per darle un sonoro schiaffo in faccia.

**

Mentre Margaret ordinava al collega di turno una tac per Roberta Della Corte, comunicandogli tutti i dettagli del caso, gettò un’occhiata preoccupata alla ragazzina che giaceva sul lettino del pronto soccorso, con gli occhi aperti e vigili e le braccia rigide, mentre un infermiere le misurava la pressione.

-        È regolare- gli comunicò quello, avvicinandosi alla dottoressa. Lei annuì, senza lasciar trasparire nessun’emozione.

Non conosceva bene Roberta, a dir la verità gli unici ricordi che aveva di lei risalivano a parecchio tempo prima, a quando suo marito era rimasto invischiato in quella brutta faccenda dei conti aziendali, e un concorrente gli aveva fatto causa, nella speranza di farlo fuori, facendogli prendere un bello spavento. Il peggio era stato evitato, ma la cattiva pubblicità all’azienda di famiglia ne aveva intaccato la credibilità per un bel po’. Suo marito, uomo determinato e orgoglioso del lavoro di suo padre e di suo nonno prima di lui, aveva ripreso in mano le redini della situazione con dignità ed energia, ma non si era dimenticato del tiro decisamente basso giocato dall’avvocato Della Corte, spietato e senza valori. Aveva tirato fuori in tribunale vicende familiari di anni ed anni prima, esponendole al pubblico ludibrio, facendo fare a Matteo una gran brutta figura. Aveva visto Roberta proprio in una di quelle occasioni, alla fine di una seduta che si era conclusa particolarmente male per l’azienda vinicola, mentre si avvicinava a suo padre e gli porgeva quella che sembrava essere una cartella di documenti. Non avrebbe potuto avere più di tredici anni, probabilmente non era ancora in classe con Chiara.

Se la ricordava diversa, in ogni caso. Margaret, uscendo a fumarsi l’occasionale sigaretta di nascosto dai colleghi, pensò che non ci fossero danni cerebrali evidenti, ma che fosse meglio aspettare la tac e tenere la ragazza sotto osservazione. Si era presa, infatti, una bella botta, e non poteva escludere con certezza un ematoma. In più, andando a sbattere contro il cemento della strada, sbalzata via dall’automobile in curva, si era fratturata il naso. Scorse, dal suo angolo segreto, uno degli specializzandi che la medicava con cura.

-        Allora, Roberta, come ti senti?- le chiese, quando tornò con i risultati della tac qualche ora dopo. Dai suoi occhi vacui, intuì che si era presa un grande spavento.

-        Sto meglio, grazie. Solo che non mi sento il naso- rispose quella, un po’ timida.

Margaret si lasciò scappare una risatina.

-        È normale, hai preso un bel colpo al setto nasale, rimarrà gonfio almeno per una settimana. Per fortuna l’abbiamo sistemato subito- affermò, mentre le puntava una luce negli occhi per verificare, di nuovo, se le pupille si contraessero regolarmente.

-        E la testa?- si sentì chiedere.

Guardò Roberta con tenerezza materna, dimenticandosi di chi fosse, delle voci su di lei, dei suoi divieti un po’ burberi nei confronti di Chiara e delle ripetizioni di fisica. Avrebbe potuto essere sua figlia. Chiara era forse solo meno appariscente, più timida e a tratti scontrosa, per certi versi più acerba. Roberta dava invece a Margaret l’impressione di una donna in miniatura, di una ragazza cresciuta troppo in fretta.

Tirò fuori la tac dalla busta e le indicò alcune aree del suo cervello. Cercò di semplificare il più possibile.

-        La tua testa sta bene. La botta è stata forte, ma non ci sono sintomi preoccupanti. Dalla tac non è emerso niente di sospetto, per ora, ma è più prudente tenerti in ospedale, almeno per una notte-

Margaret notò il suo sguardo preoccupato. Le venne in mente che, probabilmente, non aveva ancora avvisato i suoi genitori (forse ci avrebbe pensato la scuola), e si chiese che reazione avrebbe avuto se avesse ricevuto una chiamata dal pronto soccorso per sua figlia. Le venne un leggero brivido su per la schiena.

-        Hai perso i sensi, in ambulanza, ma ora dovrebbe andare meglio. Potrebbe venirti mal di testa, nausea. Comunica subito qualunque sintomo al collega di turno. Domattina ti rivisiteremo e decideremo il da farsi- continuò, cercando di tranquillizzarla, - So che sei maggiorenne, ma c’è qualcuno che possiamo chiamare? I tuoi genitori?

Roberta sembrò apprezzare la premura, perché sorrise imbarazzata, dicendo che avrebbe provveduto lei ad avvisare sua madre per farsi portare il necessario.

-        Dottoressa, posso farle una domanda?

Margaret si voltò, curiosa, annuendo.

-        Lei è irlandese?

Margaret sorrise, rispondendo di sì.

-        Sono la madre di Chiara, la tua compagna di classe. Te la ricordi?

**

Chiara, seduta con un’espressione funerea su uno degli scomodi sedili del commissariato di polizia, sbuffava guardando l’orologio di fronte a lei. Sabrina, di fianco, cercava di tenerle compagnia come poteva. Erano state portate alla centrale per la deposizione sull’incidente (Chiara, in realtà, non c’entrava nulla, ma lo schiaffo a Vanessa le aveva fatto guadagnare una bella gita in macchina con l’agente De Tullio), e da venti minuti sedevano fuori dalla saletta in cui Vanessa e Angela erano state chiamate a deporre.

-        Io non c’entro nulla, perché non mi lasciando andare via?- mugugnò Chiara, dopo che altri dieci minuti erano passati senza che nulla accadesse.

Sabrina smise di ticchettare sul cellulare e le lanciò uno sguardo a metà fra l’incredulo e il divertito. L’aria fra di loro, stranamente, era più leggera. L’ospedale aveva chiamato la direzione scolastica per dire che Roberta stava bene e il traffico in strada era stato disperso già da qualche ora. Chiara aveva insistito per correre in ospedale, in bicicletta, dopo che anche Carmen ed Ivan le avevano raggiunte, ma era stata agguantata con sguardo torvo dall’agente.

-        Perché hai dato un ceffone alla Monteverde di fronte all’amico di suo padre, Chià.

Chiara fece le spallucce, borbottando se l’è meritato.

Sabrina annuì, reprimendo un sorriso e sospirando di sollievo. Chiara, evidentemente, si era ripresa.

-        Hai ragione. Però mi dispiace, perché è tutta colpa mia…- iniziò, cercando di farsi coraggio e confessare a Chiara il vero motivo della lite.

-        Cosa vuoi dire?

-        Sono stata io a lasciarmi scappare, con Vanessa, che Roberta fosse lesbica- disse, tutto d’un fiato.

Chiara la guardò incredula. Sabrina si chiese se fosse per la rabbia, la sorpresa, l’audacia o semplicemente lo shock di sentir accostato il nome di Roberta alla parola lesbica.

-        Tu hai fatto cosa!?

-        Aspetta, lasciami spiegare. Sono stata provocata, hanno insinuato che fossi io quella a cui piacevano le ragazze… non che ci fosse niente di male, ovvio… ma mi hanno fatto vedere rosso, non sono riuscita a trattenermi e… un minuto dopo Roberta era a scuola e hanno iniziato ad urlarle contro, quelle due matte. Ti giuro che non immaginavo che sarebbe andata così, io… scusami, Chiara, ti giuro che ho reagito male, tu eri in ritardo, ero stanca, mi sembra che tu non sia nemmeno più mia amica da quanto mi ignori e…-

In quel momento, Vanessa e Angela furono accompagnate fuori dall’ufficio dell’ispettore. Sabrina e Chiara capirono subito che se la sarebbero cavata con un’ammonizione e che tutto, in virtù dei famosi “favori in banca” del signor Monteverde, sarebbe stato dimenticato nel corso di qualche settimana.

Chiara lanciò uno sguardo furente a tutte, soffermandosi su Sabrina, e forse avrebbe mollato uno schiaffo anche a lei, se l’agente De Tullio non l'avesse trattenuta per una spalla con cipiglio severo.

-        Non azzardatevi a toccare mai più la mia ragazza, intese?

Sabrina fece di sì mollemente con la testa, sperando in cuor suo che le acque si sarebbero calmate presto.

 

  
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