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Autore: Golden Bonnie    24/04/2022    0 recensioni
Ogni azione ha una sua conseguenza. Alan è l’arrogante e severo proprietario di una ragioneria, che dopo aver tormentato le persone intorno a lui per anni, presto si ritroverà tormentato lui stesso da qualcosa, una cosa inspiegabile da cui non si può né scappare né nascondere. Ma nel raccapricciante mondo di Five Nights at Freddy’s, nessuna cattiva azione rimane impunita.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Foxy
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Golden Bonnie's FNaF Fan Universe'
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La prima volta che Alan aveva sentito parlare di sogni lucidi, gli erano sembrati una bazzecola, un modo per fare soldi alle spalle della gente vendendo libri sull’argomento come con i chiropratici e roba del genere. Poi, però c’aveva provato, ed effettivamente funzionava. In tutti i suoi sogni, era cosciente di essere in un sogno. E lo era anche adesso. Era da tanto che non faceva incubi. Sognare di essere licenziato, o aggredito, o deriso in pubblico non faceva più così tanta paura ora che sapeva era tutto finto. Ma ora, per la prima volta in tanti anni, sentiva nuovamente quel senso di terrore che lo invadeva. Era all’aperto, in una foresta, ed era inseguito da qualcosa. Qualcosa che gli metteva una paura matta, anche se non sapeva bene che cosa fosse. Correva il più veloce che poteva. Guardando indietro, diede una rapida occhiata a ciò che lo stava inseguendo. Era un ammasso di fili e cavi che aveva mani antropomorfe e camminava su due gambe come un uomo, ma la cui faccia era simile a quella di un lupo. Aveva gli occhi dorati, un muso allungato e due orecchie a punta. La sua mascella era piena di denti acuminati ed affilati. Corse a perdifiato lungo la zona boschiva, corse più di quanto credeva fosse possibile. Ma fu tutto inutile. La cosa gli si lanciò ed atterrò sul suo corpo, facendolo cadere a terra. A quel punto Alan urlò disperato, nella speranza che qualcuno lo sentisse o lo aiutasse, mentre la cosa usava i suoi denti aguzzi per strappargli la carne dal volto. Alan sentì un dolore tremendo. Non doveva essere possibile, lo sapeva. A meno che… a meno che non stesse sentendo un dolore simile anche nella vita reale. Provò a concentrarsi sull’idea di uscire dal sogno e svegliarsi, e sebbene il dolore ed il terrore lo inebriasse, e la cosa continuava a morderlo ed attaccarlo a graffiarlo, Alan riuscì infine nel suo intento. Si risvegliò nel suo letto, in un bagno di sudore. Si alzò e si guardò intorno. Niente. Non c’era assolutamente niente. Si alzò, ed uscì fuori a farsi una passeggiata. Non se la sentiva di rimettersi a dormire.

Alan varcò la porta, ed entrò nella ragioneria, venendo accolto con sguardi sprezzanti. La gente lì non lo aveva mai amato. Forse perché a differenza del vecchio proprietario, utilizzava metodi bruschi, quelli che forgiano davvero il carattere. “Allora” disse, salutandoli “Oggi faremo degli straordinari non pagati. E chi si lamenta verrà licenziato all’istante”. Tutti annuirono, e si misero ai propri posti. Erano troppo spaventati per andare contro la sua autorità. Mentre gli altri lavoravano, lui girava per gli uffici e si assicurava che tutti stessero facendo ciò che dovevano fare. Arrivato all’ufficio di Bryan, lo notò fermo, intento a fissare dei fogli, senza fare nulla. La cosa gli dava sui nervi. Non sopportava i pigri. Quella giornata avevano da analizzare importanti documenti finanziari per conto della compagnia Houses for Everyone. Era un’occasione unica e irripetibile, mai era successo che una compagnia così famosa e ricca si fosse affidata a loro. Non si poteva permettere che i suoi dipendenti perdessero tempo in quel modo. Entrò nell’ufficio a passo lento, poi adocchiò Bryan e gli disse “Fai più in fretta, rammollito, o sei licenziato”. Lui annuì. Ma avrebbe anche potuto non farlo, considerando che immediatamente dopo riprese a fissare i fogli spaesato. Non era mai stato bravo con i calcoli. L’unico motivo per cui il vecchio proprietario lo aveva assunto era perché era suo amico. Ormai Alan faticava a sopportarlo. Il tempo era poco e prezioso, non si poteva permettere di sprecarlo in questo modo. “Basta, sei licenziato” disse allora, senza esitazione. “Cosa, ma io…” provò a rispondere Bryan. “Niente ma, vai via o chiamo la sicurezza”. “Ora basta” sentì una voce femminile dire alle sue spalle “Non ti permetterò più di trattarci in questo modo. Non siamo i tuoi schiavi”. “Chi è?” chiese Alan. Non riusciva mai a riconoscere i suoi dipendenti dalla voce. “Helen Riller” rispose la voce. Helen. Se lo sarebbe dovuto aspettare. Aveva l’ufficio accanto a quello di Bryan. Doveva averli sentiti mentre discutevano. E poi aveva sempre avuto quel caratterino ribelle, che Alan non aveva mai tollerato nei dipendenti. Se proprio erano così tonti ed infantili da non volere ricevere ordini, era meglio facessero un altro lavoro. “Benissimo, Helen” disse allora Alan, sorridendo e girandosi per guardarla fissa negli occhi, “Il tuo stipendio è stato appena dimezzato, ed oggi farai un’ora in più di straordinari rispetto agli altri”. Nonostante tutto, Alan amava davvero quel lavoro. Gli piaceva la sensazione inebriante di potere. Lui, sempre escluso e vittima di bullismo a scuola, a comandare a bacchetta tutti. Sembrava un sogno diventato realtà. Anche se l’incompetenza dei suoi impiegati lo faceva sembrare un po' un incubo qualche volta. Incubo. Quella parola gli rievocava un cattivo ricordo. Meglio pensare ad altro. Bryan era uscito, e Helen si era ammutolita. Andava tutto secondo i piani.

Tornato a casa quella sera, trovò già pronto un piatto a base di carne arrosto. “Congratulazioni” disse a sua figlia Jessie, che aveva appena finito di cucinare, ed aveva ancora il grembiule addosso. Alan tagliò una fetta e fece per portarsela alla bocca. Poi prontamente sputò. Il sapore era pessimo. “Che cosa ci hai messo qui dentro?” urlò alla figlia. “Niente” rispose lei mestamente, abbassando gli occhi “Solamente un po’ di olio e di sale”. “Sale?!” continuò a sgridarla Alan “Lo sai che non sopporto il sale. Io ti ho viziato troppo, hai preso l’abitudine di non ascoltarmi”. Si alzò e le diede uno schiaffo, il terzo quella settimana. Prese il suo piatto e lo buttò nella spazzatura, poi si ritirò in camera sua. Non essere ascoltato proprio da nessuno era insopportabile! Andiamo, quanto doveva essere difficile seguire dei semplici ordini. Decise di uscire in balcone per prendere un po’ di aria. Respirò a pieni polmoni. Finalmente un posto dove poteva rilassarsi. Osservò la piana radura che circondava la sua casa. Amava quella quiete e quel senso di familiarità e semplicità che emanava il luogo. Poi però qualcosa catturò l’attenzione. In lontananza, gli era sembrato di vedere una figura umanoide. Se ne stava lì, immobile, come fosse una statua. Ritornò in camera, prese il suo binocolo, e poi andò di nuovo in balcone. Non appena poté vedere da vicino quella cosa, un brivido di terrore gli attraversò la schiena. Non poteva essere. Eppure sì, era proprio lei. O lui. Non ne aveva idea. Fatto sta che la cosa era identica all’essere che aveva visto in sogno: un ammasso di cavi e fili che aveva assunto la forma di un essere bipede con la testa simile ad un lupo. A differenza del sogno questa volta se ne stava ferma immobile, ma la cosa non era di molto conforto. Provò a chiudere e riaprire gli occhi più volte, ma nulla da fare. Quella cosa non si azzardava a sparire. Evidentemente non era parte della sua immaginazione. Possibile che fosse in un sogno. No, se ne sarebbe reso conto. “Jessie!” chiamò a gran voce la figlia. Voleva assicurarsi che la cosa fosse reale. “Sì, papà” rispose lei, con tono fievole. Sembrava avesse appena finito di piangere. “Vieni in balcone”. Lei arrivò, veloce come un fulmine. “Guarda” le disse, porgendole il binocolo. “Cosa?” chiese lei, guardando attraverso esso. “Non la vedi?”. “Vedere cosa?” “Andiamo, non prendermi per tonto” disse lui “Quella specie di robot”. “Veramente io non vedo niente” rispose lei. “Idiota” disse Alan, schiaffeggiandola un’altra volta. Poi tornò dentro, e, prima che Jessie potesse fare alcunché, chiuse la porta del balcone. Si poteva aprire solo dall’esterno. “E questa notte rimani qui” disse Alan “Così impari ad esagerare con il sale ed a mentire al tuo vecchio”. “Ma io non ho mentito” iniziò a lamentarsi Jessie. Una lacrima le stava rigando il volto. “Come no, vorrà dire che mi immagino le cose” rispose sarcastico Alan, prima di ritirarsi in camera, e mettersi sul letto. Data tutta la rabbia che provava, pensava sarebbe stato difficile addormentarsi. Ma fu tutto il contrario. In pochissimi minuti, sprofondò nel sonno.
   
 
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